GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Il travagliato percorso della tutela del bambino nato da maternità surrogata. Brevi note a margine dell’ordinanza di rinvio alle Sezioni unite n. 1842 del 2022

    Il travagliato percorso della tutela del bambino nato da maternità surrogata. Brevi note a margine dell’ordinanza di rinvio alle Sezioni unite n. 1842 del 2022

    di Mirzia Bianca 

    Sommario: 1. Le diverse stagioni del travagliato percorso e il conflitto tra l’esigenza di conservazione del divieto e la tutela del nato da maternità surrogata - 2. La conservazione del divieto: una costante - 3. La ricerca di uno strumento di tutela per il nato: trascrizione automatica o adozione? - 4. Il problema è parzialmente risolto dalla Corte costituzionale con la decisione n. 79 del 2022 - 5. Riflessioni conclusive.

    1. Le diverse stagioni del travagliato percorso e il conflitto tra l’esigenza di conservazione del divieto e la tutela del nato da maternità surrogata

    L'ordinanza della I sezione civile della Corte di Cassazione n. 1842 del 2022 riapre i termini del dibattito sul nato da maternità surrogata praticata all'estero e costringe l'interprete a considerazioni che toccano inevitabilmente l'equilibrio del sistema e la coerenza complessiva delle decisioni delle Corti in quello che, senza alcun indugio,  può  essere definito come il travaglio della genitorialità derivante da maternità surrogata. Di travaglio si tratta in quanto il rilevante problema di assicurare al bambino nato da maternità surrogata gli stessi diritti degli altri bambini nati in condizioni diverse ha visto duettare la Corte di Cassazione, la Corte costituzionale, che ha sollecitato più volte l'intervento del legislatore, e le corti sovranazionali, alla ricerca di una soluzione ragionevole che possa coniugare interessi palesemente contrapposti e imputabili a soggetti diversi: l'interesse del minore alla identità filiale, l'interesse della donna alla propria dignità, l'interesse della donna a non rinunciare allo stato di madre, l'interesse dello Stato a non incentivare il ricorso a pratiche vietate e lesive della dignità della donna e dell'istituto dell'adozione. Sullo sfondo rimane l'interesse del genitore intenzionale a vedersi riconosciuta  una genitorialità progettata con il partner, il genitore biologico. Tale interesse rimane tuttavia solo sullo sfondo con una sorta di ipocrisia intellettuale che addossa solo al minore e al suo interesse il governo di una problematica molto complessa che vede come attori principalmente gli adulti e il loro desiderio di genitorialità. Il minore sconta questa scelta degli adulti ed è doveroso che l'ordinamento risolva o tenti di risolvere il problema di chi devono essere considerati i suoi genitori.

    Può essere interessante descrivere sia pure sinteticamente le tappe di questo percorso travagliato e complesso che ci ha portato sino all'ordinanza che qui si commenta che rinvia nuovamente alle Sezioni unite il problema. Tale percorso, nelle sue varie stagioni, è stato caratterizzato dal conflitto tra due interessi: l'esigenza di tener fermo il divieto della maternità surrogata e l'esigenza di riconoscere la genitorialità ai figli nati da tale pratica.

    In una stagione ormai del tutto superata, il dibattito sulla genitorialità derivante dalla maternità surrogata vedeva contrapporsi tesi che ritenevano prevalente la madre uterina e tesi che, al contrario, ritenevano che dovesse prevalere la madre committente. Si trattava di un dibattito che atteneva in particolare alla maternità. Nelle stagioni successive, compresa quella che stiamo vivendo, il problema di chi debba essere la madre è stato del tutto accantonato ed è stato sostituito da quello relativo al riconoscimento del genitore intenzionale, che è il partner del genitore che ha dato il proprio patrimonio genetico, genitore che, come emerge dalla qualifica, lo è per l'intenzione ma non per il sangue.  La madre uterina, che è colei della cui dignità si tratta,  è stata del tutto dimenticata e tale dimenticanza, a mio parere, accentua i profili della mercificazione di questa pratica. Inoltre il dibattito sulla genitorialità del nato da maternità surrogata è fuoriuscito dal perimetro dell'ordinamento interno e si è proiettato sul problema del riconoscimento in Italia di genitorialità acquisite all'estero in Paesi in cui la maternità surrogata è pratica ritenuta lecita. Questo cambiamento  di paradigma ha inevitabilmente spostato l'ambito del dibattito al conflitto tra ordine pubblico interno e internazionale e all'esigenza di raggiungere un equilibrio  con altri principi, tra i quali primeggia il best interest of the child, punte di diamante dei confliggenti interessi. 

    2. La conservazione del divieto: una costante

    Per quanto concerne la rilevata esigenza di mantenere fermo il divieto della maternità surrogata, può dirsi che questa è stata  una costante di questo travagliato percorso, pur con alcune recenti varianti. La  nostra Corte costituzionale, anche quando è intervenuta per rimuovere il divieto della fecondazione eterologa, ha mantenuto il divieto, considerato in più di una decisione, pratica lesiva della dignità della donna  e dell'istituto dell'adozione.  Anche la Corte di Cassazione ha più volte ribadito il profilo di lesività di questa pratica. Dicevo che questa costante è stata interrotta da qualche variante, che tuttavia non ha la forza di abbattere o relativizzare la portata del divieto, che rimane fermo, anche nel contesto di altre legislazioni europee, come la Francia e la Spagna, che pure di recente hanno introdotto nuove leggi in materia.  Una di queste varianti è contenuta nell'ordinanza che qui si commenta, là dove si afferma l'esclusione del  profilo della lesività della dignità   della donna “solo se sia il frutto di una sua scelta libera e consapevole, indipendente da contropartite economiche e se tale scelta sia revocabile sino alla nascita del bambino”. L'esaltazione del profilo dell'autodeterminazione, concepita qui come scriminante della lesività, viene argomentata anche attraverso il paragone con il  parto anonimo. Si legge infatti in questa ordinanza che “è da considerare che il nostro ordinamento consente alla donna al momento del parto di dichiarare la propria volontà di rimanere anonima e di non assumere alcuna responsabilità genitoriale escludendo così l'instaurazione del rapporto di filiazione”. È facile e troppo banale replicare che l'autodeterminazione non è tale da eliminare il profilo di lesività della dignità. Tutto il dibattito sul valore primario della dignità umana, considerata quale diritto dei diritti, importa infatti un procedimento complesso che prenda le distanze dalla negoziabilità di questo valore attraverso l'esaltazione del principio di autodeterminazione, come è evidente nel noto caso del lancio dei nani.  Inoltre, e con specifico riferimento alla natura non onerosa che renderebbe lecita tale pratica, deve ritenersi che la lesione della dignità non dipende dal carattere oneroso o gratuito del contratto, ma dalla rinuncia allo status di madre. Quanto poi al richiamo al parto anonimo, ritenuto istituto che confermerebbe il valore dell'autodeterminazione, deve rilevarsi che si tratta di due istituti non comparabili, perché la scelta della madre nel parto anonimo trova ragione nella esigenza di evitare l'interruzione della gravidanza, mentre la scelta libera e consapevole della donna nella maternità surrogata implica una rinuncia al suo stato di madre, ed è questo il profilo della lesività. Considerazioni analoghe devono farsi per la lesione della dignità dell'istituto dell'adozione. Confesso che non ho mai condiviso questo profilo di lesività, ritenendo che se mai la lesione della dignità attiene più propriamente al soggetto nato da maternità surrogata, considerato come merce di scambio. Tuttavia questo riferimento è costante in giurisprudenza e anche in questo caso appaiono irrilevanti i tentativi di limitarne la portata. Il contrasto della maternità surrogata con l'istituto dell'adozione, se di contrasto vuole parlarsi,  è infatti ontologico, in quanto è insito in una pratica che si pone in alternativa all'adozione del minore già nato ma abbandonato. In questo senso non sembra che possano accogliersi le riflessioni che si leggono nell'ordinanza che si commenta che limitano il profilo di lesività alle ipotesi estreme di frode alle leggi sull'adozione. Del pari non è condivisibile ciò che è stato affermato nell'ordinanza che si commenta, ovvero che “è da ritenere non riconoscibile una sentenza o un atto di nascita che accerti la filiazione in relazione a una surrogazione di maternità consentita dalla legge del paese in cui è avvenuta anche se i genitori intenzionali non hanno apportato alcun contributo genetico alla procreazione”. Il profilo di lesività della pratica di maternità surrogata rispetto all'istituto dell'adozione non è infatti condizionata dall'apporto o meno del contributo genetico alla procreazione. Piuttosto, esattamente come avviene nel caso dell'adozione, la mancanza del sangue dovrebbe essere sostituita da un progetto genitoriale e affettivo che sostituisca alla regola di sangue, quella familiare-progettuale.

    3. La ricerca di uno strumento di tutela per il nato: trascrizione automatica o adozione?

    Il travagliato percorso che stiamo cercando di descrivere, oltre ad essere caratterizzato dal mantenimento costante del divieto di maternità surrogata, si è caratterizzato per la forte esigenza di dare una tutela ai bambini nati da maternità surrogate fatte all'estero. Ciò ha posto un problema di circolazione di status nei vari paesi, in quanto è apparsa inevitabile la riflessione sulla necessità di assicurare il mantenimento di uno stato filiale acquisito all'estero. Nel contempo, la riflessione contigua sulla necessità di non incentivare il ricorso a pratiche vietate e lesive di valori primari ha complicato i termini del dibattito. Nelle varie stagioni che si sono succedute, il dibattito è stato caratterizzato dall'alternativa tra due soluzioni. La prima soluzione è quella della trascrizione della genitorialità acquisita all'estero o, ove vi sia stata una sentenza, la delibazione della sentenza straniera. La seconda soluzione è la ricerca di strumenti del diritto interno che possano assicurare la genitorialità al genitore di intenzione e completare così il progetto di genitorialità iniziato con il genitore biologico.  La prima soluzione, ovvero quella della trascrizione di provvedimenti stranieri o di delibazione di sentenze straniere, importa, in conformità della disciplina di diritto internazionale privato, un problema di conformità di tali atti stranieri al principio dell'ordine pubblico. La seconda soluzione, pur sottraendosi a questo giudizio, impone la ricerca di strumenti che, secondo l'indicazione dell'europa, siano adeguati e improntati al principio di celerità e di effettività. Il travagliato percorso che stiamo descrivendo vede al riguardo l'alternarsi di queste soluzioni, secondo un percorso incostante e segnato da grande complessità. Nel 2019 le sezioni unite della Corte di Cassazione (n. 12139), conformandosi all'orientamento delle Corti europee che non ritengono obbligatoria la scelta della trascrizione automatica, ha affermato che tale soluzione è contraria all'ordine pubblico, stante il divieto della maternità surrogata. La Corte ha indicato l'adozione in casi particolari quale soluzione alternativa del diritto interno per risolvere il problema del riconoscimento della genitorialità di intenzione. Nel 2021 (n. 33), la Corte costituzionale ha riaffrontato il problema della genitorialità di intenzione con delle indicazioni preziose per l'interprete che non possono essere dimenticate. Innanzitutto la Corte ha ribadito che la pratica della maternità surrogata è lesiva della dignità della donna. Quanto al problema della tutela del nato da maternità surrogata, il riconoscimento della genitorialità di intenzione viene condizionato a presupposti ben precisi che  sono: 1) l'attualità e la concretezza del progetto genitoriale; 2) il rilievo concreto e costante della cura del minore che denoti l'esercizio congiunto della responsabilità genitoriale, anche se in via di fatto. Significativo in questo senso è un passaggio della decisione della Corte: “Laddove il minore viva e cresca nell'ambito di un nucleo composto da una coppia di due persone che non solo abbiano condiviso e attuato il progetto del concepimento, ma lo abbiano poi continuativamente accudito, esercitando di fatto in maniera congiunta la responsabilità genitoriale, è chiaro che egli avrà un preciso interesse al riconoscimento giuridico del proprio rapporto con entrambe, e non solo con il genitore che abbia fornito i propri gameti ai fini della maternità surrogata”. Queste parole della Corte servono a circoscrivere i limiti dell'ammissibilità del riconoscimento della genitorialità di intenzione alla sola ipotesi di progetto genitoriale attuale e al riscontro di un rapporto di cura e di affetto che deve necessariamente essere valutato in concreto e mai in astratto. Ed è proprio questa valutazione che riempie di contenuto l'interesse del minore al riconoscimento di tale genitorialità che, diversamente,  si tradurrebbe in una scatola vuota. Se si accoglie questa prospettiva della Corte, deve ritenersi che la soluzione della trascrizione automatica del provvedimento straniero non realizza mai questi requisiti, in quanto conduce inevitabilmente ad una valutazione astratta e generalizzata. La presenza di questi requisiti, come emergerà più chiaramente nel prosieguo di queste riflessioni, consente inoltre di paralizzare le critiche allo strumento dell'adozione in casi particolari, in particolare all'obiezione derivante dal necessario assenso del genitore biologico ex art. 46 l. adozione.  Ma a questo problema arriveremo tra un po'. Occorre adesso continuare a raccontare le tappe di questo travagliato percorso. La Corte costituzionale, sempre nella citata decisione n. 33 del 2021, rileva tuttavia l'inadeguatezza dello strumento dell'adozione in casi particolari e sollecita il legislatore ad intervenire. In particolare la Corte sottolinea la mancanza di parentela dell'istituto dell'adozione in casi particolari e il problema del necessario assenso del genitore biologico ai sensi  dell'art. 46 della legge sull'adozione che “potrebbe non essere prestato in situazioni di sopravvenuta crisi della coppia, nelle quali il bambino finisce così per essere privato del rapporto giuridico con la persona che ha sin dall'inizio condiviso il progetto genitoriale, e si è di fatto presa cura di lui sin dal momento della nascita”. E siamo arrivati ai giorni nostri con l'ordinanza che qui si commenta che solleva nuovamente il giudizio delle sezioni unite, avendo riscontrato, a seguito della decisione della corte costituzionale, un vuoto legislativo e la necessità di superare il diritto vivente così come delineato nella decisione delle Sezioni unite del 2019. 

    4. Il problema è parzialmente risolto dalla Corte costituzionale con la decisione n. 79 del 2022

    Un passaggio ulteriore di questo percorso è tuttavia segnato dalla decisione della Corte costituzionale n. 79 del 2022, che interviene dopo l'ordinanza di rinvio alle sezioni unite. Con questa decisione la Corte costituzionale rimuove parzialmente l'inadeguatezza dell'adozione in casi particolari, almeno per la parte relativa alla mancanza della parentela. Questa decisione, nell'affermare  un allineamento dei due modelli di adozione, azzera in parte i termini del dibattito. Quanto all'altro profilo di inadeguatezza dell'adozione in casi particolari (necessità dell'assenso del genitore biologico ai sensi dell'art. 46 l. adoz.), deve rilevarsi che il problema rimane ma può essere facilmente superato in via interpretativa. Occorre al riguardo preliminarmente operare una distinzione tra l'assenso del genitore biologico nel caso che qui si discute e l'assenso del genitore biologico nelle altre ipotesi di adozione in casi particolari. Nell'ipotesi del nato da maternità surrogata, il genitore biologico è il genitore di sangue che ha condiviso con il genitore di intenzione il progetto genitoriale. Un ipotetico dissenso all'adozione dovrebbe necessariamente passare o per la negazione in radice del progetto genitoriale o per la negazione del rapporto costante e di cura del minore che rappresenta il requisito per richiedere l'adozione in casi particolari, anche nell'ipotesi in cui vi sia sta separazione. In parole povere il genitore biologico che nega l'assenso all'adozione del partner potrebbe farlo solo nell'ipotesi in cui quest'ultimo  non abbia intrattenuto nessun rapporto di affetto e di cura nei confronti del nato oppure abbia partecipato solo al progetto di procreazione ma abbia poi abbandonato il partner e il minore.  La valutazione di questi requisiti passa necessariamente attraverso una valutazione del giudice, perché è una valutazione che interessa il migliore interesse del minore. Nelle altre ipotesi di adozione in casi particolari, invece, come per l'ipotesi prevista dalla lett. b), il dissenso del genitore biologico o di sangue è un dissenso a che altri (il coniuge della madre del proprio figlio) possa esercitare  la responsabilità genitoriale. Le due situazioni non sono comparabili, perché mentre nel primo caso si tratta semplicemente di valutare in concreto un rapporto di cura e di affettività che riguarda solo e soltanto il minore, nel secondo caso si tratta di giudicare della concorrenza di due genitorialità. Fatte queste necessarie premesse, deve dirsi che in generale il procedimento di adozione in casi particolari, anche nelle altre fattispecie diverse da quella del nato da maternità surrogata,  e la ratio dell'art. 46 della legge sulle adozioni non è quella di subordinare l'adozione in casi particolari all'arbitrario assenso  del genitore biologico, ma di subordinarla alla realizzazione del migliore interesse del minore.  Il secondo comma dell'art. 46, in combinato disposto con l'art. 57, che impone al giudice la verifica della realizzazione del preminente interesse del minore, conduce a questa interpretazione funzionale, che è condivisa anche da parte della giurisprudenza. 

    5. Riflessioni conclusive

    Descritto questo travagliato percorso, è possibile tentare di fare delle riflessioni conclusive. Il riconoscimento della genitorialità di intenzione e il superiore interesse del minore ad ottenerlo non possono essere affidati   ad uno strumento di carattere automatico come la trascrizione. Ciò per due ordini di ragioni. In primo luogo perché, come ci ricorda la Corte costituzionale, occorre accertare in concreto la sussistenza di un rapporto costante di cura del minore e di un attuale progetto genitoriale. Solo verificate in concreto queste condizioni si può chiedere al diritto di legittimare sul piano giuridico situazioni che operano sul piano del fatto. In secondo luogo la scelta della trascrizione automatica, oltre ad azzerare la rilevanza di questi requisiti, porterebbe ad annullare del tutto la ricerca del migliore interesse del minore che, invece, è proprio legato alla verifica di quei requisiti. Progetto genitoriale e cura costante del minore devono essere entrambi presenti. Così non basterebbe un progetto genitoriale se non accompagnato da una cura ed un rapporto affettivo costante. Allo stesso modo, deve dirsi che la presenza di una relazione di cura e di affetto non basta da sola a fondare il titolo di una genitorialità giuridica. Una diversa soluzione porterebbe a fondare l'acquisto della genitorialità sulla sola scelta degli adulti, in mancanza di un legame di sangue e a prescindere da una valutazione in concreto dell'interesse del minore.  Il preminente interesse del minore è invece qui quello di continuare un rapporto di cura e di affettività e di dare una veste giuridica ad un rapporto che, già nei fatti, si atteggia a rapporto genitoriale.

    Quanto allo strumento dell'adozione in casi particolari e nell'attesa che il legislatore possa suggerire altri strumenti, resta la soluzione preferibile. Il recente intervento della Corte costituzionale (n. 79 del 2022) ha eliminato l'inadeguatezza relativa alla mancanza di parentela e quindi ha eliminato tanto del dibattito. Quanto al necessario assenso del genitore biologico previsto dall'art. 46 l. adoz., una lettura funzionale della disciplina dell'adozione in casi particolari, impone di considerare l'assenso del genitore biologico ancorato alla realizzazione del migliore interesse del minore. Ciò stempera il dubbio sulla inadeguatezza. La soluzione dell'adozione in casi particolari, a differenza della trascrizione automatica,  consente inoltre di impostare il problema della genitorialità d'intenzione sul solo piano percorribile: quello della valutazione in concreto. D'altra parte è proprio dell'istituto dell'adozione una valutazione in concreto dei requisiti. Sotto questo specifico aspetto, deve ritenersi che non si vede perchè nel solo caso del nato da maternità surrogata, che condivide con le altre ipotesi di adozione l'instaurazione di una genitorialità fondata non sul sangue, dovrebbe operare una scelta diversa e meno garantista del reale interesse del minore. Come per il minore abbandonato, per il nato da maternità surrogata la realizzazione del suo migliore interesse non è mai presunta, ma deve essere giudicata nella concretezza della situazione.

    Un'ultima riflessione attiene al rapporto tra divieto della maternità surrogata e tutela del soggetto nato, termini di un insanabile conflitto. Credo che la soluzione dell'adozione in casi particolari consenta di affrontare questa delicata problematica con un approccio metodologico meno conflittuale rispetto alla scelta della trascrizione automatica. L'adozione in casi particolari passa infatti attraverso la sola valutazione dell'interesse del minore a mantenere e a conservare un rapporto genitoriale che è nato nei fatti e che abbisogna di una veste giuridica. Il problema del divieto della maternità surrogata rimane sullo sfondo ma non tocca questa problematica e soprattutto non incide sulla valutazione del migliore interesse del minore. Nel caso invece che si accolga la  soluzione della  trascrizione automatica questi due interessi entrano nuovamente in conflitto in quanto la valutazione della conformità all'ordine pubblico chiama necessariamente in causa la valutazione dell'ordinamento in ordine al mantenimento o meno del divieto. D'altra parte, come si è detto, la valutazione del migliore interesse del minore risulta obliterata o comunque presunta, al di là di ogni indagine in concreto. Si attua così una commistione tra due profili diversi che complicano il lavoro dell'interprete. In definitiva, a me sembra che la soluzione della trascrizione automatica ponga due alternative. O si ritiene che tale trascrizione sia conforme all'ordinamento e allora deve eliminarsi il divieto della maternità surrogata. O si ritiene che la trascrizione non lo sia, perchè, come il diritto effettivo dimostra, la pratica della maternità surrogata è un procedimento lesivo della dignità della donna e quindi contrario ai valori dell'ordinamento. Tertium non datur.    

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