Diritto UE
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Effetti diretti delle norme dell’Unione europea ed invocabilità di esclusione: i problemi aperti dalla seconda sentenza Popławski

Effetti diretti delle norme dellUnione europea ed invocabilità di esclusione: i problemi aperti dalla seconda sentenza Popławski*  

di Lucia Rossi  

Sommario: 1. Dalla prima alla seconda  Popławski - 2. La teoria degli effetti diretti: un percorso giurisprudenziale accidentato - 3. L’enunciazione progressiva del sistema di rimedi: disapplicazione, interpretazione conforme, risarcimento del danno - 4. La disapplicazione coincide con la diretta efficacia? Effetti di esclusione ed effetti di sostituzione - 5. Una formula generale? 6. Invocabilità di esclusione ed effetti orizzontali - 7. I compiti dei giudici nazionali dopo Popławski.

1. Dalla prima alla seconda sentenza  Popławski 

La sentenza resa dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella seconda causa Popławski, C-573/17[1], ha suscitato un’attenzione generale, con reazioni che vanno dall’accettazione della sentenza[2], a commenti critici, soprattutto da parte della dottrina francese[3], sino a far parlare un autore di “une interprétation du principe de primauté très réductrice et apparemment assez rétrograde” e di una “fragilisation du principe de primauté[4]. In realtà la sentenza, di per sé, non contraddice la giurisprudenza precedente, ma solleva nuovi interrogativi sulla complessiva teoria degli effetti diretti in relazione al principio del primato.

In effetti, pur trattando principalmente del rimedio dell’interpretazione conforme nell’ambito di applicazione delle decisioni quadro, la sentenza contiene affermazioni molto più generali, che inducono ad interrogarsi sui confini del diverso rimedio della disapplicazione, con riferimento a tutte quelle norme dell’Unione che non hanno, per varie ragioni, diretta efficacia, in particolare per quel che riguarda il c.d. “effetto di esclusione”[5].

Si ricorderà che nella prima sentenza Popławski (nella causa C-579/15)[6] la Corte aveva dichiarato che la decisione quadro 2002/584 sul mandato d’arresto europeo, pur essendo per definizione, al pari di tutte le decisioni quadro, priva di effetti diretti[7], imponeva comunque ai giudici degli Stati membri di interpretare la legge nazionale in conformità a detta decisione. La Corte riconosceva però che il principio di interpretazione conforme del diritto nazionale è soggetto ad alcuni limiti. Innanzitutto, i principi generali del diritto e in quelli di certezza del diritto e di irretroattività ostano a che l’obbligo di interpretazione conforme “possa condurre a determinare o ad aggravare, sul fondamento di una decisione quadro e indipendentemente da una legge adottata per l’attuazione di quest’ultima, la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni”[8]. Inoltre, il principio di interpretazione conforme non può porsi a fondamento di un’interpretazione contra legem del diritto nazionale[9]. Infine, la sentenza ricordava[10] che “l’obbligo di interpretazione conforme impone ai giudici nazionali di modificare, se del caso, una giurisprudenza consolidata se questa si basa su un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con gli scopi di una decisione quadro”, disapplicando ove necessario, di propria iniziativa, l’interpretazione accolta dal giudice nazionale di ultima istanza, allorché tale interpretazione non è compatibile con il diritto dell’Unione.

La seconda sentenza Popławski (è questa a cui, in mancanza di altre precisazioni, il presente contributo si riferirà) è stata resa su un secondo rinvio della stessa giurisdizione remittente del primo caso (il Tribunale di Amsterdam). Il giudice a quo specificava che, in effetti, l’interpretazione conforme non era, in quel caso, possibile, essendovi un’espressa dichiarazione in senso contrario del ministro per la sicurezza e giustizia olandese che la escludeva espressamente[11]. Il giudice pertanto, cercando una strada alternativa, chiedeva alla Corte se, qualora l’interpretazione conforme non sia possibile, l’autorità giudiziaria di esecuzione, sia tenuta, in forza del principio del primato, a disapplicare le norme nazionali incompatibili con le disposizioni di detta decisione quadro. Sottolineava poi che, se, invece, avesse potuto ignorare quella dichiarazione, in base alle altre norme della legislazione olandese, il mandato d’arresto avrebbe potuto essere eseguito.

A questa domanda l’Avvocato generale Campos Sánchez-Bordona, anche ispirandosi alle Conclusioni rese dall’Avvocato generale Bot nella prima causa Popławski[12], aveva risposto affermativamente, ritenendo che, sebbene sia innegabile che le decisioni quadro sono prive di efficacia diretta, il loro effetto sui diritti nazionali non è tuttavia “riducibile al mero obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale gravante sulle autorità nazionali”[13]. Infatti, “se una disposizione nazionale destinata ad attuare una decisione quadro non può, malgrado gli sforzi compiuti dal giudice nazionale competente, essere interpretata in modo da renderla conforme a tale decisione quadro, ciò significa che perdura l’incompatibilità tra quest’ultima e il diritto nazionale, malgrado il carattere vincolante delle decisioni quadro. Ciò è fondamentalmente contrario al principio del primato del diritto dell’Unione. In quest’ottica, la sola maniera di trovare una soluzione a tale contraddizione consiste nell’imporre che la norma nazionale in contrasto con una decisione quadro sia disapplicata dal giudice nazionale competente”[14].

Discostandosi da quanto suggerito dall’Avvocato generale, la Corte ha invece negato la possibilità di disapplicare le norme nazionali incompatibili con la decisione quadro, in quanto queste non hanno effetti diretti.

La sentenza innanzitutto ricorda che “il principio del primato impone, in particolare, ai giudici nazionali di interpretare, per quanto possibile, il loro diritto interno in modo conforme al diritto dell’Unione e di riconoscere ai singoli la possibilità di ottenere un risarcimento qualora i loro diritti siano lesi da una violazione del diritto dell’Unione imputabile a uno Stato membro”[15] e che, sempre in base al principio del primato, ove non possa procedere a detta interpretazione, il giudice “ha l’obbligo di garantire la piena efficacia delle medesime, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale”[16].

Tuttavia, ricorda ancora la Corte, occorre tenere conto “delle altre caratteristiche essenziali del diritto dell’Unione e, più specificamente, del riconoscimento di un effetto diretto ad una parte soltanto delle disposizioni di tale diritto”[17], perché il principio del primato non può rimettere in discussione la distinzione essenziale tra le disposizioni dotate di effetto diretto e quelle che ne sono prive.

Di conseguenza, quando non sia possibile l’interpretazione conforme, se da un lato il giudice nazionale ha l’obbligo di disapplicare qualsiasi disposizione nazionale contraria a una norma del diritto dell’Unione che abbia effetto diretto nella controversia di cui è investito, dall’altro, tuttavia, “una disposizione del diritto dell’Unione che sia priva di effetto diretto non può essere fatta valere, in quanto tale, nell’ambito di una controversia rientrante nel diritto dell’Unione, al fine di escludere l’applicazione di una disposizione di diritto nazionale ad essa contraria”[18].

La sentenza avrebbe potuto limitarsi ad enunciare questa precisazione con riferimento alle decisioni quadro, il solo atto che veniva in rilievo nella causa. Essa enuncia invece in maniera generale la necessità di effetti diretti della disposizione dell’Unione come condizione anche per la disapplicazione di norme nazionali contrastanti, menzionando specificamente gli effetti delle direttive.

Occorre rilevare che, mentre per le decisioni quadro, sin dalla loro introduzione con il Trattato di Maastricht, gli effetti diretti sono espressamente esclusi a livello di diritto primario, esclusione oggi confermata al protocollo n. 36 allegato al Trattato di Lisbona[19], i confini degli effetti diretti, per le altre fonti del diritto dell’Unione, soprattutto per le direttive, sono assai più difficili da definire[20].

Se è vero che la nuova sentenza Popławski fa abbondante riferimento a precedenti pronunce della Corte, e dunque pare effettuare un mero riepilogo della precedente giurisprudenza, tuttavia il ragionamento complessivo che essa sviluppa costringe a riflettere, mettendone in luce alcune possibili incongruenze, sulla teoria degli effetti diretti, che è stata sviluppata in maniera graduale sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia e che si regge su delicati (e forse anche fragili) equilibri.

Il presente articolo si propone di chiarire se e in che misura le perplessità sollevate dalla dottrina sopra ricordata siano fondate e, più in generale, come la sentenza Popwlaski si collochi nel contesto della teoria degli effetti diretti. A tal fine si riassumeranno brevemente la genesi e lo sviluppo, nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, dei principali concetti che sono alla base della sentenza in esame (paragrafi 2 e 3); in seguito si esamineranno i singoli aspetti problematici sollevati dalla sentenza (paragrafi 4, 5 e 6); ed infine si cercherà di sintetizzare quale siano le possibili conseguenze della sentenza sull’operato dei giudici degli Stati membri (paragrafo 7).

2. La teoria degli effetti diretti: un percorso giurisprudenziale accidentato

Per capire se la sentenza Popławski rivesta o meno carattere innovativo, rispetto ai molti precedenti che essa stessa cita nei suoi vari punti, occorre innanzitutto brevemente ricordare la genesi teorica e l’evoluzione dei concetti fondamentali che vengono in gioco in questa sentenza. Si tratta di concetti fondamentali del diritto dell’Unione, che sono stati messi a punto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, nel silenzio (a tutt’oggi) dei Trattati. La precisazione di tali concetti è stata graduale ed anche faticosa, in un percorso basato sulle risposte ai quesiti dei giudici nazionali, le cui tappe sono state spesso criticate dalla dottrina. Anche per rispondere a tali critiche, la Corte ha via via aggiunto precisazioni alle precedenti sentenze, sino a delineare quella che oggi possiamo globalmente definire la teoria degli effetti diretti[21].

Tale teoria, introdotta nel 1963 dalla sentenza Van Gend & Loos[22], è stata inizialmente concepita come capacità di talune norme del trattato di produrre effetti per i singoli, nei rapporti con uno Stato membro[23], conferendo loro diritti che essi possono direttamente invocare davanti ai giudici. Come è ben noto, si trattava, all’epoca, di un’affermazione non solo inattesa, ma anche iconoclasta, in quanto i trattati, secondo il diritto internazionale, creano, in assenza di previsioni specifiche in senso opposto, diritti ed obblighi solo per gli Stati. Proprio per questo in quella sentenza si enunciò la formula, ormai classica, che la Comunità economica (oggi l’Unione) europea costituisce un “ordinamento di nuovo genere nel panorama del diritto internazionale”. Basandosi sulla stessa premessa, la Corte di Giustizia ha potuto poi enunciare, l’anno successivo, il principio del primato del diritto comunitario su quello degli Stati membri, creando un rapporto di gerarchia a favore del primo[24]. La combinazione di primato ed effetti diretti, nell’ordinamento giuridico di nuovo genere, creava dunque un insieme di obblighi per gli stati membri e di diritti per gli individui nei confronti degli Stati, che le norme di questi ultimi, ancorché successive a quelle dell’Unione, non potevano derogare.

La sentenza Ratti ha poi specificato che per avere effetti diretti, la disposizione invocata deve essere incondizionata e sufficientemente precisa[25]. In realtà la successiva giurisprudenza induce a ritenere che, al di là delle diverse formule che la Corte utilizza, i criteri rilevanti sono di fatto la precisione e l’incondizionalità (anche se a volte può essere proprio il carattere incondizionato…ad essere poco chiaro e dunque a richiedere l’interpretazione della Corte[26]). Nella più recente sentenza, Gassmayr[27], la Corte ha sintetizzato i due requisiti in maniera efficace: “una disposizione del diritto dell’Unione è incondizionata se sancisce un obbligo non soggetto ad alcuna condizione né subordinato, per quanto riguarda la sua osservanza o i suoi effetti, all’emanazione di alcun atto da parte delle istituzioni dell’Unione o degli Stati membri. Essa è sufficientemente precisa per poter essere invocata da un singolo ed applicata dal giudice se sancisce un obbligo in termini non equivoci”.

Il passo più audace, dal punto di vista teorico, fu però l’estensione, con le sentenze SACE[28] e Van Duyn[29], degli effetti diretti alle direttive non attuate (o non attuate correttamente) a partire dalla data di scadenza dell’attuazione. Per quello che riguarda le direttive, uno dei problemi della teoria degli effetti diretti era l’ambivalenza del fondamento teorico che avrebbe dovuto giustificare una rilettura così “creativa” della definizione di tali atti contenuta nei trattati[30].

Da un lato, la ratio ispiratrice era, dichiaratamente, quella di non privare i cittadini degli Stati membri dei benefici che il diritto dell’Unione creava a loro favore in caso di mancata, tardiva o incorretta attuazione da parte di detti Stati. Dall’altro però era evidente, sebbene non dichiarata, anche una finalità sanzionatoria contro gli Stati che non attuavano le direttive entro la scadenza, o le attuavano in maniera incompleta o scorretta. Le défaillances nell’attuazione erano infatti divenute un problema molto serio, in un’epoca in cui la costruzione del grande mercato era basata appunto sulle direttive e in cui il rimedio del ricorso per infrazione era ancora sprovvisto della possibilità di applicare sanzioni pecuniarie. L’enunciazione dell’effetto diretto delle direttive, creava uno strumento indirettamente sanzionatorio contro gli Stati membri, che, avvalendosi della “vigilanza” dei cittadini, con la collaborazione dei giudici nazionali, si affiancava in maniera più capillare ed efficace al ricorso per infrazione. L’effetto diretto infatti, presentandosi come un beneficio che gli individui traevano direttamente dal diritto dell’Unione e che potevano invocare contro gli Stati membri, incentivava i primi a far valere in giudizio contro i secondi la mancata, tardiva o incorretta attuazione di tale diritto.

Questa ambivalenza ha poi determinato i passi successivi del percorso giurisprudenziale, da un lato con la negazione dell’effetto verticale rovesciato e dall’altro con l’enunciazione del principio del risarcimento del danno, alla ricerca di un non facile equilibrio fra le diverse esigenze e di un’altrettanta ardua coerenza teorica.

Nonostante l’estensione degli effetti diretti alle direttive abbia inizialmente sollevato diffuse perplessità, tanto fra i giudici nazionali (il Conseil d’Etat francese riconobbe gli effetti diretti di tali atti solo diversi anni dopo[31]), quanto in dottrina[32], la teoria degli effetti diretti, inclusi quelli delle direttive, è oggi accettata universalmente. Sebbene la definizione di direttiva contenuta nei Trattati non sia mai stata modificata nelle successive revisioni, si potrebbe configurare un riconoscimento implicito della teoria, quando con il Trattato di Maastricht fu creata la decisione quadro, la cui definizione coincideva con quella della direttiva, ma con espressa esclusione degli effetti diretti, mentre per le direttive non fu introdotta una precisazione analoga.

Nel corso degli anni, la stessa Corte ha cercato di rendere più solida la teoria, precisandone la portata e le eccezioni. Tuttavia, ad ogni nuovo passo si sono aperti problemi teorici che poi hanno richiesto ulteriori chiarimenti da parte della Corte.

Come si è detto, la teoria dell’effetto diretto era stata enunciata sul presupposto che le direttive, ancorché non trasposte, possono, a certe condizioni, conferire diritti agli individui: dunque non si poteva sostenere che le stesse potessero conferire obblighi in capo a questi ultimi. La Corte ha così chiarito che le direttive possono essere invocate dagli individui contro gli Stati membri, ma non viceversa (c.d. effetto verticale rovesciato)[33]. La Corte ha via via ampliato il concetto di Stato come destinatario dell’obbligo di osservare la direttiva, includendo non solo la pubblica amministrazione[34] e gli enti locali[35], ma anche società nel cui capitale lo Stato ha o ha avuto una quota significativa in grado di influenzarne le decisioni[36] o, addirittura, imprese private incaricate di servizi pubblici con poteri derogatori rispetto al regime generale[37].

A seguito di questa giurisprudenza si presentò però un’altra lacuna teorica: già dopo la sentenza Marshall[38] la dottrina[39] sottolineava il rischio che l’applicazione della teoria degli effetti diretti delle direttive poteva, paradossalmente, creare una discriminazione, in situazioni comparabili: ad esempio nel caso di lavoratori il cui datore fosse in un caso un ente pubblico e in un altro un’impresa privata, gli effetti diretti delle direttive potevano essere invocati solo dal primo lavoratore e non dal secondo. D’altra parte, riconoscere gli effetti orizzontali delle direttive avrebbe contraddetto il presupposto dichiarato che esse potevano creare direttamente solo dei vantaggi per gli individui. In una controversia orizzontale, solo uno dei due soggetti avrebbe tratto beneficio dalla diretta efficacia della direttiva, mentre l’altro avrebbe dovuto sopportare le conseguenze negative di un atto che, per definizione, crea obblighi soltanto per gli Stati membri. Solo dopo aver enunciato il rimedio del risarcimento del danno (v. paragrafo seguente), la Corte ha definitivamente chiarito che le direttive non possono avere effetti orizzontali, vale a dire non possono essere invocare nelle relazioni fra privati[40].

La Corte ha via via precisato la teoria degli effetti diretti anche con riferimento ad altre fonti del diritto dell’Unione. Per quel che riguarda il diritto primario, da un lato non tutte le disposizioni dei Trattati hanno effetti diretti[41] ma, dall’altro, talune di esse possono avere anche effetti orizzontali[42] e lo stesso vale per la Carta dei diritti fondamentali. Con riferimento agli effetti diretti di quest’ultima la soluzione va cercata con riferimento alle singole disposizioni della stessa[43], oltre che nel rispetto dei limiti generali alla sua applicazione, fissati dagli articoli 51, 52 e 53. La Corte ha affermato nel tempo la possibilità di avere effetti diretti anche per le decisioni[44], per i principi generali di diritto[45], per gli accordi internazionali conclusi dall’Unione[46]. Gli effetti diretti sono invece, come si è detto, espressamente esclusi dai trattati per quel che riguarda le decisioni quadro.

Non può invece a mio avviso parlarsi correttamente di effetti diretti per i regolamenti, in quanto, per la stessa definizione che di essi dà l’art 288 TFUE, essi godono di diretta applicabilità. Anche se i due concetti vengono spesso equiparati[47], quello di diretta applicabilità è più ampio di quello di effetto diretto sotto due profili: da un lato il primo è in via di principio  perfettamente idoneo a creare non solo diritti, ma anche obblighi, per tutti i soggetti, dunque anche per gli individui, potendo di conseguenza avere anche efficacia orizzontale nelle relazioni fra questi ultimi, e, dall’altro, esso implica che gli Stati non devono adottare alcuna misura di attuazione[48]. La diretta applicabilità dei regolamenti pone questi ultimi al riparo della maggior parte dei problemi teorici che circondano, soprattutto per quel che concerne le direttive, la teoria degli effetti diretti.

3. L’enunciazione progressiva del sistema di rimedi: disapplicazione, interpretazione conforme, risarcimento del danno

Per supportare l’efficacia del diritto dell’Unione e l’effettività dei diritti che questo attribuisce agli individui, la Corte ha poi enunciato, nel tempo, tre rimedi, che i giudici nazionali possono (e devono) utilizzare nel caso si trovino a giudicare del conflitto fra una norma del proprio Stato ed il diritto dell’Unione europea. Essi, se si segue l’ordine in cui sono stati affermati, sono: a) la disapplicazione, b) l’interpretazione conforme e c) il risarcimento del danno.

A) Il primo rimedio, in base al quale i giudici degli Stati membri devono applicare il diritto dell’Unione, disapplicando la norma nazionale contrastante con quest’ultimo, è stato enunciato dalla sentenza Simmenthal[49]. In realtà l’obbiettivo primario di tale sentenza era quello di reagire alla sentenza ICIC della Corte Costituzionale italiana[50], che aveva rivendicato a sé il potere esclusivo di conferire applicazione al diritto dell’Unione dichiarando incostituzionali caso per caso le disposizioni italiane con esso incompatibili. Infatti in quella sentenza la Corte collegava la disapplicazione alla diretta applicabilità di una serie di regolamenti, oltre agli effetti diretti delle disposizioni del Trattato CEE sulla libera circolazione delle merci[51] ed al primato. Ci si ricollegava dunque ai principi espressi in Van Gend en Loos ed in Costa Enel, oltre che alla diretta applicabilità dei regolamenti, mentre le direttive non erano in quel caso rilevanti.

La sentenza innanzitutto precisa che “l’applicabilità diretta va intesa nel senso che le norme di diritto comunitario devono esplicare la pienezza dei loro effetti, in maniera uniforme in tutti gli Stati membri, a partire dalla loro entrata in vigore e per tutta la durata della loro validità; dette norme sono quindi fonte immediata di diritti e di obblighi per tutti coloro che esse riguardano, siano questi gli Stati membri ovvero i singoli, soggetti di rapporti giuridici disciplinati dal diritto comunitario”[52]. La Corte inoltre afferma che “in forza del principio della preminenza del diritto comunitario, le disposizioni del Trattato e gli atti delle istituzioni, qualora siano direttamente applicabili, hanno l’effetto, nei loro rapporti col diritto interno degli Stati membri, non solo di rendere «ipso jure» inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale preesistente, ma anche — in quanto dette disposizioni e detti atti fanno parte integrante, con rango superiore rispetto alle norme interne, dell’ordinamento giuridico vigente nel territorio dei singoli Stati membri — di impedire la valida formazione di nuovi atti legislativi nazionali, nella misura in cui questi fossero incompatibili con norme comunitarie”[53].

Il ragionamento sottostante, volto appunto a rispondere alla Corte costituzionale italiana, era pertanto che, in virtù del primato, il giudice non deve tenere conto della legge nazionale incompatibile con il diritto della Comunità (oggi Unione), quand’anche posteriore a quest’ultimo. Il primato risulta chiaramente una regola di gerarchia, che preclude il criterio cronologico della lex posterior.

La sentenza enuncia inoltre il “dedoublement fonctionnel” dei giudici nazionali. La Corte precisa che la disapplicazione deve essere effettuata da tutti i giudici, in quanto organi di uno Stato membro e non solo quelli costituzionali: “qualsiasi giudice nazionale, adito nell’ambito della sua competenza, ha l’obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di tutelare i diritti che questo attribuisce ai singoli, disapplicando le disposizioni eventualmente contrastanti della legge interna, sia anteriore che successiva, alla norma comunitaria”[54].

Da un punto di vista teorico, la disapplicazione può essere scomposta in due passaggi logici: il divieto di applicare la norma nazionale contrastante con quella europea e la sostituzione della seconda alla prima. La dottrina francese, in proposito, ha da tempo sviluppato una distinzione fra “invocabilità di esclusione ed invocabilità di sostituzione[55], poi declinata dalla dottrina anglosassone nella distinzione tra “effetti di esclusione” ed “effetti di sostituzione”[56]. L’invocabilità di esclusione sarebbe, secondo questa visione, una conseguenza del primato, mentre l’invocabilità di sostituzione concretizzerebbe l’efficacia diretta. Tale teoria è utilizzata anche dal Conseil d’État francese[57], che da alcuni anni disapplica norme interne incompatibili con una direttiva, senza interrogarsi sugli effetti diretti delle disposizioni della stessa e dunque senza subordinare l’effetto di esclusione all’esistenza di effetti diretti[58].

B) Il secondo rimedio è quello dell’interpretazione conforme[59], enunciato dalle sentenze Von Colson e Marleasing[60]. La Corte afferma che i giudici degli Stati membri, devono scegliere, fra le possibili interpretazioni della norma nazionale, quella più conforme al diritto dell’Unione. Qualificato dalla Corte come “inerente al sistema dei trattati”, tale rimedio non nasce con intento sanzionatorio e appare logicamente collegato al primato ed al principio di leale cooperazione[61].

Esso è stato ampiamente utilizzato dalla Corte con riferimento alle direttive[62], ai regolamenti[63], alle raccomandazioni[64], alle decisioni quadro[65], ai principi generali di diritto[66], ed alle raccomandazioni[67]. La Corte ha anche precisato che l’interpretazione conforme include l’obbligo di non seguire il principio di diritto proveniente dalla giurisdizione nazionale superiore nonostante le regole processuali nazionali lo ritengano obbligatorio[68].

Tuttavia l’interpretazione conforme non è una panacea: la sua applicazione infatti incontra dei limiti piuttosto rilevanti. La Corte ha precisato che l’interpretazione conforme non può spingersi sino al punto di violare i principi di certezza del diritto[69] e di irretroattività, inoltre non consente di aggravare la responsabilità di un individuo[70], in particolare quella penale[71]. Ma, soprattutto, la Corte esclude che essa possa servire a fondare un’interpretazione contra legem del diritto nazionale[72]̀.

Va anche rilevato che, a differenza della disapplicazione, l’interpretazione conforme, che varia in funzione della diversità delle leggi degli Stati membri, non garantisce l’uniforme applicazione delle disposizioni del diritto dell’Unione. In ultima analisi, è al solo giudice nazionale, che spetta, sulla base della comparazione fra la norma europea e la disposizione nazionale, di valutare se sia o meno possibile procedere ad una tale interpretazione, rimanendo entro i confini indicati dalla CGUE.

C) Il terzo rimedio in caso di contrasto del diritto nazionale con quello dell’Unione è la possibilità, per l’individuo, di chiedere allo Stato il risarcimento del danno causato dalla violazione del secondo da parte del primo.

Tale rimedio fu enunciato dalla sentenza Francovich[73], come “inerente al sistema del Trattato”[74]: secondo tale sentenza “sarebbe messa a repentaglio la piena efficacia delle norme comunitarie e sarebbe infirmata la tutela dei diritti da esse riconosciuti se i singoli non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento ove i loro diritti siano lesi da una violazione del diritto comunitario”. La sentenza subordinava la possibilità di invocare tale rimedio a tre condizioni: (i) la direttiva ha il fine di attribuire dei diritti agli individui; (ii) il contenuto del diritto è sufficientemente preciso e (iii) vi è un nesso di causalità fra la non attuazione della direttiva e il danno causato[75].

Questo rimedio, avendo una connotazione fortemente sanzionatoria, in quanto espone gli Stati inadempienti a diffuse rivendicazioni pecuniarie, risultò subito particolarmente inviso a questi ultimi. Forse per questo, con la sentenza Brasserie du Pecheur e Factortame[76], modificando la lista delle tre condizioni affermata da Francovich, la Corte introduce, dichiarando di ispirarsi anche al regime della responsabilità delle istituzioni comunitarie, il concetto di “violazione sufficientemente caratterizzata”, rivedendo la lista delle tre condizioni enunciate da Francovich. Per poter invocare il risarcimento del danno occorre infatti, secondo questa sentenza, che: (i) la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli, (ii) si tratti di violazione sufficientemente caratterizzata e (iii) esista un nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi[77].

La sentenza precisa in proposito che, per valutare se la violazione è, appunto, sufficientemente caratterizzata, “fra gli elementi che il giudice competente può eventualmente prendere in considerazione, vanno sottolineati il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, l’ampiezza del potere discrezionale che tale norma riserva alle autorità nazionali o comunitarie, il carattere intenzionale o involontario della trasgressione commessa o del danno causato, la scusabilità o l’inescusabilità di un eventuale errore di diritto, la circostanza che i comportamenti adottati da un’istituzione comunitaria abbiano potuto concorrere all’omissione, all'adozione o al mantenimento in vigore di provvedimenti o di prassi nazionali contrari al diritto comunitario”[78]. In ogni caso, aggiunge la Corte, una violazione è manifesta e grave quando continua nonostante la Corte stessa si sia già pronunciata sull’illegittimità del comportamento in questione[79].

In realtà questa giurisprudenza solleva molti interrogativi. Cosa significa scusabilità dell’errore di diritto? La responsabilità dello Stato è soggettiva od oggettiva? Essa sembra variare, in modo inversamente proporzionale, rispetto al margine di discrezionalità di cui gode lo Stato: se quest’ultimo non esiste, la violazione è di per sé sufficientemente caratterizzata[80] e la responsabilità tende ad essere oggettiva, mentre in caso contrario, anche se la Corte precisa che non si tratta di cercare la “colpa” dello Stato membro[81], occorrere valutare, al fine di accertare la sufficiente caratterizzazione della violazione e, di conseguenza, la responsabilità, anche elementi soggettivi, appunto in funzione di detto margine. Ad esempio, nella sentenza British Telecom[82], la Corte ha valutato la sussistenza della “buona fede” dello Stato, in quanto era stato indotto in errore da un comportamento della Commissione.

È evidente, e questo è il limite del terzo rimedio, che far dipendere il risarcimento del danno da una violazione caratterizzata da elementi soggettivi crea incertezza in capo agli individui titolari della pretesa, i quali non sono nella posizione di poter valutare simili elementi.

La Corte ha più recentemente cercato di ricondurre il rimedio del risarcimento del danno ad una logica più oggettiva, sottolineando che il principio della responsabilità extracontrattuale dello Stato per i danni causati ai singoli da violazioni del diritto dell’Unione ad esso imputabili inerisce al sistema dei Trattati, mira a garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione e l’effettiva tutela dei diritti che i singoli ne derivano ed è valido per qualsiasi caso di violazione di tale diritto da parte di uno Stato membro, indipendentemente dall’autorità pubblica responsabile di tale violazione[83]. In ogni caso, nella sentenza Dillenkofer[84], la Corte ha chiarito che l’assenza di trasposizione equivale automaticamente ad una violazione caratterizzata. Il risarcimento del danno copre sia i casi in cui i le disposizioni dell’Unione non possono essere invocate in situazioni verticali perché non sono sufficientemente chiare, precise o incondizionate (era appunto il caso Francovich), sia, come poi confermato dalla sentenza Faccini Dori[85], i casi in cui una direttiva, pur dotata di tutti i citati requisiti, venga invocata a livello orizzontale.

Anche a causa della loro progressiva stratificazione, le relazioni fra i tre rimedi sin qui illustrati non erano inizialmente molto chiare. Si tendeva però a ritenere che il risarcimento del danno fosse il rimedio ultimo, da utilizzare solo ove non fosse possibile invocare né l’interpretazione conforme, né l’effetto diretto. La successione logica con cui applicare i tre rimedi sembrava dunque inizialmente coincidere con l’ordine cronologico secondo il quale essi erano stati enunciati dalla Corte. Nelle sue conclusioni sul caso Brasserie du Pecheur, l’Avvocato generale Tesauro qualificava “l’azione risarcitoria come l’ultima spiaggia lasciata al singolo, cioè la via da utilizzare quando non gli sia possibile pervenire altrimenti ad un risultato utile, neppure mediante l’interpretazione delle norme nazionali in materia, da parte del giudice nazionale, in modo conforme alle norme comunitarie di cui si tratta”[86].

Con la sentenza Dominguez[87], una vera e propria summa di tutta la teoria dell’effetto diretto, venne formalizzata invece una diversa una gerarchia fra i tre rimedi: il giudice deve innanzitutto verificare la possibilità di eliminare le disarmonie fra ordinamento nazionale e norme dell’Unione procedendo ad un’interpretazione conforme; in caso ciò non sia possibile deve disapplicare la norma nazionale, garantendo l’effetto diretto di quella europea; e solo ove nemmeno questo sia possibile, verificare la possibilità  di procedere al risarcimento del danno.

La sentenza Dominguez sembrava aver concluso il tormentato percorso giurisprudenziale e la complessa costruzione teorica che questo aveva prodotto pareva aver trovato un equilibrio stabile e coerente. Un equilibrio sul quale la nuova sentenza Popławski, pur non mettendo formalmente in discussione nessuna delle precedenti sentenze della Corte, suscita nuovi interrogativi.

4. La disapplicazione coincide con la diretta efficacia? Effetti di esclusione ed effetti di sostituzione

Come emerge dall’analisi sin qui effettuata, ogni volta che la Corte di Giustizia ha aggiunto un nuovo tassello alla propria teoria degli effetti diretti, si sono aperti nuovi problemi teorici, che hanno a loro volta richiesto l’adozione di ulteriori sentenze per risolverli. Per le ragioni che cercherò di esporre, sembra probabile che questo si verificherà anche dopo l’emissione della seconda sentenza Popławski.

In effetti questa sentenza, anche se non appare di per sé contraddire i precedenti della Corte, che anzi cita abbondantemente, solleva questioni molto rilevanti: vi è coincidenza fra effetti diretti e disapplicazione? O, meglio, esiste un rapporto di corrispondenza biunivoca fra gli stessi? E ancora: il primato esiste anche senza effetti diretti?

Il problema è che la sentenza sembra desumere, in via generale, dall’obbligo, che incombe al giudice nazionale in caso non sia possibile l’interpretazione conforme, di disapplicare qualsiasi disposizione nazionale contraria a una disposizione del diritto dell’Unione che abbia effetto diretto nella controversia di cui è investito, la conseguenza che “una disposizione del diritto dell’Unione che sia priva di effetto diretto non può essere fatta valere, in quanto tale, nell’ambito di una controversia rientrante nel diritto dell’Unione, al fine di escludere l’applicazione di una disposizione di diritto nazionale ad essa contraria”[88].

Ora, se è indubbiamente incontestabile che l’obbligo sopra ricordato sussiste, occorre chiedersi se da questo possa desumersi, a contrario, un generale divieto per il giudice di prendere in considerazione “in quanto tale”, ovvero in assenza del supporto di norme nazionali, gli effetti, in particolare gli effetti ostativi, della norma dell’Unione.

La sentenza Popławski, non limitandosi a trattare degli effetti delle decisioni quadro, si spinge ad affrontare anche quelli delle direttive, specificando che “l’invocazione di una disposizione di una direttiva che non sia sufficientemente chiara, precisa e incondizionata da vedersi riconoscere un effetto diretto non può condurre, sulla sola base del diritto dell’Unione, alla disapplicazione di una disposizione nazionale ad opera di un giudice di uno Stato membro”[89]. A dire il vero, i precedenti[90] che la sentenza riporta a sostegno di questa affermazione sono assai meno categorici, limitandosi la maggior parte di essi a sottolineare l’obbligo per il giudice di procedere alla disapplicazione in determinate situazioni.

In tal modo, la sentenza sembra equiparare disapplicazione e diretta efficacia. Anche se, i due concetti, vengono non di rado assimilati o utilizzati fungibilmente dalla dottrina, si deve rilevare che l’efficacia diretta è concettualmente distinta dalla disapplicazione. I due concetti sono stati enunciati dalla Corte in periodi diversi e, almeno inizialmente, in un contesto concettuale assai diverso, in quanto la sentenza Simmenthal era riferita al primato. Come si è visto, mentre l’efficacia diretta è una possibile caratteristica delle norme dell’Unione, la disapplicazione è uno fra i vari rimedi a disposizione dei giudici nazionali.

Inoltre, occorre ricordare la distinzione, sopra richiamata, fra invocabilità di esclusione ed invocabilità di sostituzione[91], a cui peraltro fa riferimento anche l’Avvocato generale Campos Sánchez-Bordona, nelle sue conclusioni nella sentenza in esame[92]. Egli afferma infatti che la sentenza Link Logistik (su cui si tornerà fra breve) “conforta la tesi secondo la quale l’efficacia diretta dev’essere distinta dall’effetto di esclusione delle direttive”[93].

Come si è già accennato, la disapplicazione comporta normalmente due passaggi logici: l’esclusione della norma nazionale incompatibile e la sostituzione di quest’ultima con la norma europea. Il secondo passaggio, che concretizza l’efficacia diretta, presuppone il primo, che esprime il primato, ma non viceversa.

Una simile ricostruzione forse può sembrare bizzarra, in quanto implica che i due passaggi logici della stessa operazione (la disapplicazione) siano fondati su due principi diversi: il primato e gli effetti diretti. Tuttavia si potrebbe rispondere che mentre tutte le norme dell’Unione godono del primato e dunque possono dare luogo all’effetto di esclusione, solo alcune godono di effetti diretti e possono dare luogo anche all’effetto di sostituzione.

Una norma dotata di effetti diretti è in grado di produrre direttamente i propri effetti giuridici, anche in mancanza di attuazione, se supera i due passaggi sopracitati. In altre parole, a seconda della “forza” della norma europea (ovvero un grado di chiarezza precisione e autosufficienza), della sua natura e del contesto in cui viene invocata, la disapplicazione può comportare solo un effetto di esclusione della norma nazionale, o anche la sostituzione della stessa. Mentre il primo passaggio avviene in forza del primato, in questa seconda ipotesi la disapplicazione deriva dalla somma dei principi del primato e degli effetti diretti[94].

Se dunque nel caso di una disposizione priva di effetti diretti è certamente corretto escludere l’effetto di sostituzione, ci si può chiedere se questo valga necessariamente anche per l’effetto di esclusione. La logica sembrerebbe suggerire una risposta negativa: l’effetto diretto presuppone il primato, ma non viceversa e la forza del secondo può esercitarsi anche ove non vi siano le condizioni per invocare il primo.

Mentre l’effetto di sostituzione necessita sicuramente di norme chiare, precise ed incondizionate, in quello di esclusione la norma dell’Unione, pur non avendo le caratteristiche sufficienti per produrre direttamente i propri effetti giuridici nell’ordinamento nazionale, potrebbe comunque, in virtù del primato, avere in certi casi forza sufficiente per opporsi all’applicazione di norme nazionali incompatibili. L’effetto di esclusione, per chiarire meglio, si potrebbe anche definire “ostativo”, o “di opponibilità”.

Per tornare al rapporto concettuale fra diretta efficacia e disapplicazione, si dovrebbe dunque distinguere fra una disapplicazione per sostituzione, che in effetti, pur concettualmente distinta può essere sovrapposta alla diretta efficacia, in quanto il loro perimetro applicativo coincide, ed una disapplicazione “ostativa”, basata sull’effetto di esclusione. Anche se ovviamente si possono usare per i due concetti “etichette” diverse[95], possiamo dire, per maggiore chiarezza che, a seconda che ci si ponga nell’ottica dell’individuo o in quella del giudice, all’invocabilità di sostituzione e all’invocabilità di esclusione corrispondono una “disapplicazione per sostituzione” ed una “disapplicazione per esclusione”.

Se la Corte constata che il diritto dell’Unione “osta” ad una certa legislazione nazionale, si può creare, in virtù del primato, un effetto preclusivo all’applicazione di quella legislazione, di cui il giudice deve tenere conto e di cui l’individuo può indirettamente beneficiare. Poiché una norma dell’Unione può creare un’obbligazione chiara e precisa per gli Stati, senza per ciò attribuire dei diritti o degli obblighi agli individui, questi ultimi potrebbero, in certe situazioni, avere interesse ad invocare contro lo Stato una disposizione dell’Unione, al fine di opporsi all’applicazione del diritto nazionale incompatibile con detta disposizione, giovandosi della modifica della situazione normativa causata appunto dalla disapplicazione.

In questo senso, dunque, anche una norma priva di effetti diretti potrebbe, in taluni casi, essere utilmente fatta valere in giudizio. Al riguardo la stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia offre alcuni esempi.

Innanzitutto, nella sentenza Link Logistic[96] nonostante il fatto che nel caso di specie la norma di una direttiva non poteva né avere efficacia diretta, e nemmeno era possibile l’interpretazione conforme (in quanto essa si sarebbe posta contra legem), la Corte ha affermato che, “il giudice nazionale ha l’obbligo di applicare integralmente il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che questo attribuisce ai singoli, eventualmente disapplicando ogni disposizione nazionale la cui applicazione, date le circostanze di specie, conduca ad un risultato contrario al diritto dell’Unione”[97].

Inoltre, un individuo potrebbe invocare una direttiva, anche se questa non è abbastanza precisa o incondizionata per produrre un effetto di sostituzione, al fine di opporsi ad una norma di uno Stato membro che ecceda il margine di discrezionalità lasciatogli dalla direttiva stessa[98]. La Corte di Giustizia si era pronunciata in tal senso già a partire dalla sentenza Kraaijeveld e a.[99] e, da ultimo, nella sentenza WWF[100] ha sottolineato che “sarebbe incompatibile con l’effetto vincolante che l’art. 189 del Trattato CE (divenuto art. 249 CE) riconosce alla direttiva l’escludere, in linea di principio, che l’obbligo da essa imposto possa esser fatto valere dalle persone interessate” e che “l’effetto utile dell’atto sarebbe attenuato se ai cittadini comunitari fosse precluso di valersene in giudizio ed ai giudici nazionali di prenderlo in considerazione in quanto elemento del diritto comunitario allo scopo di accertare se il legislatore nazionale, nell’esercizio della facoltà riservatagli quanto alla forma ed ai mezzi per l’attuazione della direttiva, sia rimasto entro i limiti di discrezionalità tracciati dalla direttiva stessa”.

Infine, nella recentissima sentenza Sportingbet PLC[101] la Corte, confermando quanto aveva già enunciato nella sentenza CIA Security e in altre[102], ha affermato che la violazione dell’obbligo prescritto dalle direttive che impongono di notificare regole tecniche è “sanzionato dall’inapplicabilità di tali regole, cosicché esse non possono essere opposte ai singoli”. Di conseguenza. “questi ultimi possono avvalersene dinanzi al giudice nazionale, cui compete la disapplicazione di una regola tecnica nazionale che non sia stata notificata conformemente alla direttiva”.

5. Una formula generale?

Alla luce di quanto sopra, può rimanere in dubbio se la sentenza Popławski, attinente ad una decisione quadro, abbia veramente inteso rimettere in discussione, in via generale, la giurisprudenza in materia di direttive da ultimo citata. Peraltro, anche la giurisprudenza successiva lascia permanere tale dubbio. Diverse pronunce della Corte successive alla sentenza Popławski riprendono i punti di quest’ultima, collegando, in maniera apparentemente biunivoca, disapplicazione ed effetto diretto. Tuttavia, la maggior parte di esse[103] lo fa solo al fine di sottolineare l’obbligo di disapplicazione di norme nazionali perché, nel caso di specie, quelle dell’Unione possono essere ritenute dotate di effetti diretti: in questi casi il ricorso alla “formula Popławski” non ha dunque alcun impatto sul problema dell’effetto di esclusione. Al momento soltanto una sentenza su una decisione quadro[104] ed un’altra relativa ad accordi-quadro[105] hanno ripreso la “formula Popławski”, per negare la disapplicazione.

Quali sarebbero i rischi in caso di consolidamento di una negazione generalizzata dell’invocabilità di esclusione per le norme prive di effetti diretti? Nel caso di una decisione quadro, o di una direttiva priva di effetti diretti, qualunque norma nazionale (anteriore o posteriore) a queste apertamente contraria, di fatto bloccherebbe sia l’interpretazione conforme che la disapplicazione e quindi, di conseguenza, anche il primato di quegli atti.

L’avvocato generale Campos Sánchez-Bordona ha messo bene in luce, con riferimento alla decisione quadro 2002/584, questo rischio, affermando che negare che essa possa produrre un effetto di esclusione del diritto nazionale contrario “equivarrebbe puramente e semplicemente a consentire l’erronea attuazione da parte degli Stati membri di un motivo di non esecuzione del MAE e a pregiudicare l’esigenza di applicazione uniforme delle decisioni quadro all’interno dell’Unione, nonché i principi di fiducia e di riconoscimento reciproci”[106].

Certo, in assenza di interpretazione conforme e di disapplicazione, rimarrebbe sempre la “sanzione indiretta” del risarcimento del danno; quest’ultima però, come si è visto sopra, non solo è, in generale, possibile soltanto a determinate condizioni, ma, nel caso delle decisioni quadro, risulta ancor più difficile da invocare. In una situazione come quella della causa Popławski, ad esempio, manca un soggetto danneggiato che avrebbe interesse a promuovere un a simile azione (a meno che non si consideri tale lo Stato di emissione, ma il danno sarebbe comunque difficile da quantificare), visto che il sig. Popławski era ben contento di non venire consegnato in Polonia. Non resterebbe allora che il ricorso in infrazione contro lo Stato inadempiente, ma si tratta di un rimedio completamente precluso agli individui e poco adatto a modularsi sulle diverse situazioni che può creare un’attuazione non corretta o incompleta.

Alcuni autori[107] sottolineano il rischio che, se si priva il giudice dello strumento della disapplicazione per esclusione, questi sarà spinto in molti casi a forzare la lettera della norma nazionale, per poter pervenire ad un’interpretazione conforme.

In effetti, la soluzione cui giunge, nel caso di specie, la stessa sentenza Popławski, può essere un esempio in questo senso: dopo aver constatato l’impossibilità, evocata dal giudice di rinvio, di procedere all’interpretazione conforme ed aver escluso la disapplicazione a causa della mancanza di effetti diretti della decisione quadro, la Corte conclude che il giudice olandese deve comunque disapplicare l’interpretazione del Ministro, in quanto l’interpretazione di quest’ultimo della legge nazionale non è conforme alla decisione quadro. Ora, a meno che non si voglia circoscrivere la contrarietà alla sola legge in senso formale (dunque nel caso di specie non alle decisioni di un Ministro), una simile soluzione sembra spingere il giudice ad una interpretazione contra legem, in contraddizione con il corollario indiscusso e sonoramente riaffermato dalla stessa sentenza[108].

Sebbene alcuni Autori[109] valutino positivamente il fatto che la Corte abbia finora evitato di tracciare distinzioni nette, riducendo in sostanza la teoria dell’effetto diretto a una questione di giustiziabilità della norma di fronte al giudice (che poi, sulla base del contenuto di detta norma, procede alla disapplicazione per sostituzione o solo per esclusione), sembra opportuno che la Corte chiarisca il dubbio, suscitato dalla formulazione generale della sentenza Popławski, che l’assenza di effetti diretti possa precludere l’invocabilità di esclusione, e la conseguente disapplicazione.

In proposito, la dottrina suggerisce diverse soluzioni. Alcuni Autori auspicano che la Corte limiti la portata della sentenza alle decisioni quadro, in virtù della loro particolare natura, mentre altri propongono che la Corte affermi la dissociazione tra diretta efficacia ed effetto di esclusione[110]. Altri ancora[111], infine, suggeriscono che la Corte, in una prossima sentenza, precisi che il fatto che il giudice nazionale non sia tenuto a disapplicare le norme interne in assenza di effetti diretti di quelle dell’Unione non significa che egli non ne abbia la facoltà. Forse la via più semplice sarebbe quella che la Corte prendesse chiaramente posizione sull’invocabilità di esclusione in assenza di effetti diretti.

6. Invocabilità di esclusione ed effetti orizzontali

Una questione ancor più delicata, la cui risposta è pure condizionata dall’accettazione o meno della distinzione fra effetti di esclusione e di sostituzione, è se l’effetto di esclusione possa o meno essere invocato anche in controversie orizzontali, soprattutto ove si tratti di direttive.

La sentenza Popławski, afferma giustamente che una disposizione priva di effetti diretti non può creare obblighi per il singolo[112], il che costituisce un principio consolidato: la sentenza Faccini Dori aveva affermato che “estendere l’invocabilità di una disposizione di una direttiva non trasposta, o trasposta erroneamente, all’ambito dei rapporti tra singoli equivarrebbe a riconoscere all’Unione europea il potere di istituire con effetto immediato obblighi a carico di questi ultimi, mentre tale competenza le spetta solo laddove le sia attribuito il potere di adottare regolamenti”[113].

Nella sentenza Wells[114], la Corte ha esaminato una situazione triangolare, in cui un privato chiedeva allo Stato di annullare una concessione, attribuita ad un altro privato, in violazione della direttiva che impone la valutazione di impatto ambientale. La Corte traccia una distinzione[115]. Da un lato il principio della certezza del diritto osta a che le direttive possano creare obblighi a carico dei singoli, quindi “un singolo non può far valere una direttiva nei confronti di uno Stato membro, qualora si tratti di un obbligo pubblico direttamente connesso all'attuazione di un altro obbligo che incombe ad un terzo”. Dall’altro però “mere ripercussioni negative sui diritti di terzi, anche se certe, non giustificano che si rifiuti ad un singolo di far valere le disposizioni di una direttiva nei confronti dello Stato”. Nella causa principale, l’obbligo per lo Stato di garantire una valutazione dell'impatto ambientale non era direttamente connesso all’esecuzione di un qualsiasi obbligo che incombeva al concessionario. La Corte chiarisce che lo svantaggio che deriva per quest’ultimo dall’applicazione della direttiva non costituisce un effetto verticale rovesciato.

Ma anche al di là delle situazioni “triangolari”, la dottrina sottolinea che vi possono essere casi in cui l’effetto di esclusione può avvantaggiare gli individui, non a causa dell’applicazione della direttiva, ma per la “sparizione”[116] di obblighi loro imposti dalla norma nazionale, la cui applicabilità è preclusa dalla direttiva stessa. In un rapporto orizzontale la “sparizione” potrebbe dunque comportare solo indirettamente uno svantaggio per un individuo, il quale non potrebbe comunque invocare contro un altro individuo il contenuto (non attuato) della direttiva stessa.

In quest’ottica, la disapplicazione per esclusione non costituisce di per sé nessun obbligo in capo ad un individuo, ma impedirebbe semplicemente l’applicazione di una norma nazionale, avvantaggiando una delle due parti in causa[117]. Si tratterebbe dunque soltanto di un effetto indiretto, analogo a quello che può produrre l’interpretazione conforme, come ad esempio nel caso Marleasing.

A sostegno della possibilità di invocare l’effetto di esclusione in una lite fra privati[118], potrebbero citarsi sentenze come CIA Security International[119], o Unilever Italia[120], in cui la Corte aveva chiarito che l’inapplicabilità di una regola tecnica non notificata conformemente alla Commissione “può essere fatta valere in una controversia tra singoli…perché, se è vero, che una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti…la direttiva 83/189 non definisce in alcun modo il contenuto sostanziale della norma giuridica sulla base della quale il giudice nazionale deve risolvere la controversia dinanzi ad esso pendente. Essa non crea né diritti né obblighi per i singoli”[121]. Del resto nella già citata sentenza Wells[122], la Corte, dopo aver ricordato che “il principio della certezza del diritto osta a che le direttive possano creare obblighi a carico dei singoli. Nei confronti di questi ultimi, le disposizioni di una direttiva possono generare solo diritti”, aveva affermato che “mere ripercussioni negative sui diritti di terzi, anche se certe, non giustificano che si rifiuti ad un singolo di far valere le disposizioni di una direttiva nei confronti dello Stato membro interessato”.

Nella sentenza David Smith[123] la Corte è tornata sulle sentenze CIA Security e Unilever, riscontrando però che la fattispecie in causa non era assimilabile a quelle esaminate dalle stesse. Secondo la Corte infatti quelle sentenze “avevano ad oggetto una situazione particolare”, vale a dire quello dell’adozione di regole tecniche nazionali in violazione degli obblighi procedurali di notifica”, nella quale la direttiva, non creava né diritti né obblighi per i singoli, e non definiva il contenuto sostanziale della norma giuridica sulla base della quale il giudice nazionale doveva risolvere la controversia. Viceversa, la direttiva oggetto del procedimento principale “enuncia il contenuto sostanziale di una norma giuridica e, di conseguenza, rientra nel campo di applicazione della giurisprudenza relativa alla mancanza di invocabilità, tra singoli, di una direttiva non trasposta o trasposta non correttamente.”

La sentenza David Smith, da un lato, costituisce una conferma indiretta della giurisprudenza sopra citata, ma dall’altro evidenzia quanto siano ristretti i margini in cui la disapplicazione per esclusione potrebbe operare nelle controversie orizzontali.

7. I compiti dei giudici nazionali dopo Popławski

Occorre in conclusione chiedersi quale sia, allo stato attuale, il comportamento che il giudice nazionale deve tenere quando si trovi di fronte ad una disposizione dell’Unione, non attuata o comunque in conflitto con quelle del proprio ordinamento ed, in particolare, in quali casi egli dovrebbe effettuare un rinvio alla Corte di Giustizia.

Il giudice dovrà percorrere, in successione, le tappe del ragionamento, applicando i relativi rimedi, secondo quanto affermato dalla sentenza Dominguez e ribadito in Popławski. Il primo rimedio in ordine logico, vale a dire l’interpretazione conforme, è principalmente nelle sue mani: se ha dubbi sul significato della norma europea, potrà (o dovrà se in ultima istanza) certamente rinviare alla Corte di Giustizia, ma è il giudice nazionale – e non la Corte – che può valutare sino a che punto la legge del suo paese possa essere interpretata in conformità con la norma dell’Unione. Nel fare questo dovrà comunque ricordare che il diritto dell’Unione non gli chiede affatto – al contrario lo esclude espressamente – di effettuare un’interpretazione contra legem.

Ove il giudice ritenga che l’interpretazione conforme non sia praticabile, dovrà verificare la possibilità di procedere al secondo rimedio, disapplicando il diritto nazionale. In questo secondo passaggio, un rinvio pregiudiziale alla Corte può essere utile per aiutarlo a valutare se, e in che misura, la norma dell’Unione (ad esempio nel caso di una direttiva) sia sufficientemente chiara precisa e incondizionata perché essa possa avere effetti diretti: in caso affermativo, il giudice procederà alla disapplicazione per sostituzione.

A dire il vero, nonostante l’ordine logico enunciato dalla Corte, fra i due rimedi vi è di fatto una certa continuità. Paradossalmente, infatti, più la norma è chiara, precisa e incondizionata, più l’interpretazione conforme diventa difficile e più diventa, invece, praticabile la disapplicazione. Attribuire al giudice nazionale il potere di valutare la possibilità di ricorrere all’interpretazione conforme, modellando la norma nazionale su quella europea è anche un modo per lasciargli la scelta dello strumento meno invasivo e più idoneo per assicurare gli effetti della norma dell’Unione nel proprio ordinamento.

Ma cosa deve fare il giudice se la norma dell’Unione non può nemmeno avere effetti diretti? Se la Corte dichiara che il diritto dell’Unione si oppone (“osta”) all’applicazione di una certa norma, il giudice nazionale, come si è visto, potrebbe trovarsi a valutare un effetto di esclusione. In effetti (e in attesa di maggiori chiarimenti da parte della CGUE), anche se può non essere facile, il giudice dovrebbe cercare, nel caso concreto, di conciliare le affermazioni della sentenza Popławski con la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia secondo la quale il principio di leale cooperazione (di cui all’art. 4.3 TUE) obbliga gli Stati membri e tutte le autorità nazionali, inclusi i giudici, a rimuovere le conseguenze illecite della violazione del diritto dell’Unione, adottando tutti i provvedimenti necessari[124]. Come è stato rilevato[125], il rifiuto, da parte del giudice, di garantire a norme vincolanti dell’Unione lo stesso effetto che viene riconosciuto alle norme nazionali, costituirebbe anche una violazione del principio di equivalenza.

Quanto infine al rimedio residuale del risarcimento del danno, la Corte riconosce che la sua applicazione spetta al giudice nazionale[126], il quale dovrà ovviamente rispettare i principi generali di effettività e di equivalenza. Il giudice dovrebbe essere in grado di applicarlo autonomamente, anche se, in caso di dubbio, potrà chiedere conforto alla Corte di giustizia. Se da un lato egli è mieux placé, rispetto alla Corte, per apprezzare l’esistenza ed entità del danno ed il nesso di causalità, dall’altro, la valutazione della sufficiente caratterizzazione della violazione può, come si è visto sopra, essere tutt’altro che evidente ed è su tale aspetto che un rinvio alla Corte può essere necessario.

Con specifico riferimento all’ordinamento italiano, ci si potrebbe infine chiedere in che modo si inserisca, nello schema teorico sin qui delineato, la delicata questione della c.d. “doppia pregiudizialità”, che, a seguito di alcune ben note pronunce della Corte Costituzionale, ha acceso uno sconfinato dibattito dottrinale[127]. In quali dei passaggi di tale schema si può inserire utilmente, anche dal punto di vista del diritto dell’Unione europea, l’intervento della Consulta? La Corte Costituzionale sembra riconoscere, in generale, che il proprio ruolo può venire in gioco quando la norma dell’Unione è priva di effetti diretti[128], il che peraltro conferma quanto già era stato accennato nella sentenza Granital[129].

Ora, in tali situazioni, come si è visto, il primo step per il giudice è quello di verificare la possibilità di procedere ad un’interpretazione delle norme nazionali conforme a quelle dell’Unione e quando ciò non sia possibile, rimane aperta la questione se, in taluni casi, il giudice possa o meno trarre le conseguenze di effetti ostativi della norma dell’Unione che possano portare alla soluzione del caso concreto. Ma in ogni caso, quando l’interpretazione conforme si porrebbe chiaramente contra legem, anziché procedere ad una simile interpretazione, il giudice dovrebbe chiedere lumi alla propria Corte costituzionale, in quanto si porrebbe un problema di delimitazione delle competenze fra potere giudiziario e potere legislativo il quale potrebbe richiedere una dichiarazione di incostituzionalità della norma italiana, per violazione degli articoli 11 e 117 Cost.[130] Un rinvio alla Corte di Giustizia in questi casi potrebbe essere utile solo per chiarire la portata ed il significato della norma dell’Unione ed avrebbe dunque un oggetto diverso dal rinvio incidentale di costituzionalità. Ove poi l’applicazione di nessuno di tali rimedi possa scongiurare un danno per l’individuo, quest’ultimo potrà sempre chiederne il risarcimento.

La sentenza Popławski accenna indirettamente a questi problemi di coordinamento interni agli ordinamenti degli Stati membri, senza però ovviamente poter essa stessa offrire la soluzione, quando sottolinea ripetutamente[131], per la verità utilizzando una formula non inedita[132], che il giudice di uno Stato membro non è tenuto “sulla sola base del diritto dell’Unione” a disapplicare una norma del suo ordinamento contraria a tale diritto[133]. Può però ricordarsi che, qualunque sia il suo grado di chiarezza e precisione, una direttiva deve essere attuata e, in caso contrario, la conseguenza potrebbe essere un ricorso di infrazione contro lo Stato e che il coinvolgimento “ulteriore” delle autorità nazionali potrebbe essere un mezzo per scongiurare tale conseguenza.

Un discorso particolare va fatto infine per la Carta dei diritti fondamentali, che, in quanto spesso sostanzialmente sovrapponibile alla Costituzione, sembra essere al centro delle preoccupazioni della Consulta[134]. In proposito va ricordato che, se da un lato l’interprete unico della Carta stessa è la Corte di Giustizia, la quale sola può definire gli effetti, dall’altro diverse disposizioni della stessa fanno riferimento a norme e prassi nazionali[135], delle quali ovviamente l’interprete ultimo è la Corte Costituzionale.

L’analisi sin qui svolta mostra quanto il principio degli effetti diretti e tutti i corollari che assieme al primo costituiscono la teoria degli effetti diretti, necessitano della collaborazione fra i giudici nazionali e la Corte di Giustizia. Questa collaborazione non solo è indispensabile per mettere in atto quotidianamente questa teoria, ma ha anche contribuito, nel tempo, attraverso lo strumento del rinvio pregiudiziale, a modellare, precisare e, talvolta, a ridefinire la stessa.


*Il presente lavoro esprime opinioni strettamente personali e non attribuibili alla Corte.

[1] Sentenza del 24 giugno 2019, Popławski, C‑573/17, EU:C:2019:530. 

[2] Cfr. P. Beauvais, M. Benlolo Carabot, Infléchissement ou bouleversement ? Vers une redéfinition des rapports entre primauté et effet direct, RTDE, 2 (2020), pp. 427-437; A. Bailleux, C. Rizcallah, Chroniques. Les droits fondamentaux dans l'ordre juridique de l'Union européenne, J.D.E., 9 (2019), no. 263, pp. 369-377, H. Cassagnabère e. a., Chronique de jurisprudence de la CJUE, A.J.D.A, 28 (2019), p. 164 ; L. Coutron, Invocabilité du droit de l’Union européenne : une doctrine enfin assumée par la Cour de justice dans l’arrêt Popławski, RTDE., 2 (2020), pp. 274-279; L. Krämer, L’interprétation conforme : la Cour de justice et la doctrine sur l’effet direct, R.D.U.E., 3 (2019), pp. 59-67 ; F. Lafarge, E. Neframi, M. Mangenot, Chronique de l’administration européenne [1], Revue française d'administration publique, Vol. 171, no. 3 (2019), pp. 831-860; E. Neframi, Quelques Réflexions Sur Le Retour Du Principe De Primauté : A Propos Des Arrêts Popławski (C‑573/17) Et A.K. (C-585/18, C-624/18 Et C-625/18), in J-C. Barbato, S. Barbou des Places, M. Dubuy, A. Moine (dir), Transformations et résilience de l'Etat, Mélanges en l'honneur de Jean-Denis Mouton, Paris, Pedone (2020), pp. 463-476.

[3] Secondo A. Rigaux et D. Simon, L’arrêt Popławski 2 : accroc limité ou ébranlement général dans la mise en oeuvre de la primauté par le juge national ?, Europe (octobre 2019), Étude, p. 5, la sentenza mette in discussione il primato e l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione, e lascia il giudice nazionale in una situazione di impotenza. Per osservazioni critiche sulla sentenza v. anche L. Krämer, L’interprétation conforme : la Cour de justice et la doctrine sur l’effet direct, R.D.U.E., 3 (2019), pp. 59-67; D. Dero-Bugny, Note sous CJUE, GC, 24 juin 2019, Popławski, C-573/17, Journal du droit international (Clunet), 2 (2020), pp. 717-720.

[4] Così C. Blumann, Les droits fondamentaux, nouvel horizon du droit de l’Union européenne?, R.D.U.E., 1 (2020), pp. 145-168, in particolare p.164.

[5] Su cui v. infra, nota 54.

[6] Sentenza del 29 giugno 2017, Popławski, C‑579/15, EU:C:2017:503.

[7] Tale effetto era infatti espressamente escluso dall’articolo 34, paragrafo 2, lettera b), UE, nella versione anteriore al Trattato di Lisbona.

[8] Ibid., punto 32.

[9] Ibid., punto 33.

[10] Ibid., punto 35 e ss.

[11] Nel caso di specie, per poter applicare la decisione quadro, entrata in vigore dopo i fatti della causa, si sarebbe dovuto equipararla ad una convenzione internazionale.

[12] Sentenza del 29 giugno 2017, Popławski, C‑579/15, EU:C:2017:503.

[13] Conclusioni dell'avvocato generale Campos Sánchez-Bordona nella causa Popławski, C‑573/17, EU:C:2018:957, p.104.

[14] Ibid., punto 105.

[15] Sentenza del 24 giugno 2019, Popławski, C‑573/17, EU:C:2019:530, punto 57.

[16] Ibid., punto 58.

[17] Ibid., punto 59.

[18] Ibid., punto 62.

[19] Ai sensi dell’articolo 9 del protocollo (n. 36) sulle disposizioni transitorie, allegato ai trattati, gli effetti giuridici degli atti delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione adottati in base al Trattato UE prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona sono mantenuti finché tali atti non saranno stati abrogati, annullati o modificati in applicazione dei trattati

[20] Ibid., punto 64

[21] Una teoria che, come rileva M. Bobek, Van Gend en Loos +50: the Changing Social Context of Direct Effect, in 50ème anniversaire de l’arrêt Van Gend en Loos: 1963-2013: actes du colloque, Luxembourg, 13 maggio 2013, ha ancora molti aspetti da chiarire.

[22] Sentenza del 5 febbraio 1963, van Gend & Loos, 26/62, EU:C:1963:1

Sul tema la letteratura è sconfinata. Occorre però citare, in particolare, i vari contributi contenuti in 50ème anniversaire de l’arrêt Van Gend en Loos: 1963-2013: actes du colloque, Luxembourg, 13 maggio 2013, https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2013-12/qd30136442ac_002.pdf

[23] Com’è noto, secondo la sentenza Van Gend &Loos, “Il Trattato non è un accordo che crea “obblighi reciproci fra gli Stati contraenti”.” Quindi l’articolo 12 TCEE può essere invocato direttamente dal singolo davanti al giudice nazionale perché contiene un divieto “chiaro e incondizionato”, per sua natura “perfettamente atto a produrre direttamente degli effetti sui rapporti giuridici intercorrenti fra gli Stati membri ed i loro amministrati” Si trattava infatti di un obbligo non di fare, bensì di non fare, e, in quanto tale, non subordinato all’emanazione di un provvedimento di diritto interno

[24] Sentenza del 15 luglio 1964, Costa c. ENEL, 6/64, EU:C:1964:66, pp. 1144-5.

[25] Sentenza del 5 aprile 1979, Ratti, 148/78, EU:C:1979:110, punto 23

[26] Di diversa opinione è D. Gallo, op. cit. p. 9, il quale ritiene che se una norma è incondizionata allora è necessariamente anche chiara e precisa.

[27] Sentenza del 1° luglio 2010, Gassmayr, C‑194/08, EU:C:2010:386, punto 45

[28] Sentenza del 17 dicembre 1970, SACE, 33/70, EU:C:1970:118. Con tale sentenza l’effetto diretto fu dapprima esteso a direttive scadute e non attuate, in combinato disposto con alcuni articoli del Trattato

[29] Sentenza del 4 dicembre 1974, Van Duyn, 41/74, EU:C:1974:133, p.12 V. anche sentenza del 23 febbraio 1994, Comitato di coordinamento per la difesa della cava e a., C‑236/92, EU:C:1994:60, punto 9

[30] Tali atti, secondo la definizione, oggi contenuta nell’art 288 TFUE, creano per gli Stati obblighi di risultando, lasciando loro per la scelta dei mezzi un margine di discrezionalità, più o meno elevato a seconda del contenuto della singola direttiva.

[31] Sul punto v. H. Cassagnabère e. a., Chronique de jurisprudence de la CJUE, A.J.D.A, 28 (2019), p. 164.

[32] Fra le numerosissime critiche forse la più nota è quella di P.,Pescatore, The Doctrine of “Direct Effect”: An Infant Disease of Community Law, in EL Rev. 1983, p. 155 ss. Rilievi critici sono peraltro stati mossi da esponenti della Corte: v. S. Prechal, Does Direct Effect Still Matter?, in CML Rev. 2000, p. 1047 ss. ; T. Von Danwitz, Effets juridiques des directives selon la jurisprudence récente de la Cour de justice - Effet anticipé, antérieur à l’expiration du délai de transposition, interprétation conforme aux directives, primauté et application “combinée” avec les principes généraux du droit, in RTD Eur. 2007, p. 575 ss.

[33] V. sentenze dell'8 ottobre 1987, Kolpinghuis Nijmegen, 80/86, EU:C:1987:431 e del 26 settembre 1996, Arcaro, C‑168/95, EU:C:1996:363; del 14 luglio 1994, Faccini Dori, C‑91/92, EU:C:1994:292, punto 20; del 7 marzo 1996, El Corte Inglés, C‑192/94, EU:C:1996:88, punto 15; del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a., C‑397/01 – C‑403/01, EU:C:2004:584., p. 108; nonché sentenza del 19 gennaio 2010, Kücükdeveci, C‑555/07, EU:C:2010:21, punto 46; del 3 maggio 2005, Berlusconi e a., C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, EU:C:2005:270, del 10 ottobre 2017, Farrell, C‑413/15, EU:C:2017:745 e dell'8 ottobre 2020, Subdelegación del Gobierno en Toledo (Conseguenze della sentenza Zaizoune), C‑568/19, EU:C:2020:807.

[34] Sentenza del 26 febbraio 1986, Marshall, 152/84, EU:C:1986:84.

[35] V. sentenza del 22 giugno 1989, Costanzo, 103/88, EU:C:1989:256, punti 30 e 31.

[36] Sentenza del 12 luglio 1990, Foster e a., C‑188/89, EU:C:1990:313.

[37] V. sentenza del 10 ottobre 2017, Farrell, C‑413/15, EU:C:2017:745 e da ultimo sentenza del 24 novembre 2011, Asociación Nacional de Establecimientos Financieros de Crédito, C‑468/10 e C‑469/10, EU:C:2011:777, punto 51 “per costante giurisprudenza della Corte, in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, tali disposizioni possono essere invocate dai singoli dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, ove quest’ultimo non abbia recepito nei termini tale direttiva nel diritto interno o non l’abbia recepita correttamente (v. sentenza 3 marzo 2011, causa C‑203/10, Auto Nikolovi, Racc. pag. I-1083, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).”

[38] Sentenza del 26 febbraio 1986, Marshall, 152/84, EU:C:1986:84.

[39] V. ad esempio A. Arnull, The Direct Effect Of Directives: Grasping The Nettle, ICLQ 1986, p. 939 e ss.

[40] Sentenza del 14 luglio 1994, Faccini Dori, C‑91/92, EU:C:1994:292.

[41] V. sentenza del 5 febbraio 1963, van Gend & Loos, 26/62, EU:C:1963:1, punti 1 e 23: “gli individui possono avere diritti come contropartita di precisi obblighi imposti agli Stati membri”.

[42] La Corte ha, ad esempio, precisato che hanno effetti diretti orizzontali le norme sull’abolizione dei dazi doganali (v. sentenze del 5 febbraio 1963, van Gend & Loos, 26/62, EU:C:1963:1 e del 17 dicembre 1970, SACE, 33/70, EU:C:1970:118), l’art. 157 TFUE (ex 119) (sentenza dell'8 aprile 1976, Defrenne, 43/75, EU:C:1976:56), l’art. 45 TFUE (sentenza del 12 dicembre 1974, Walrave e Koch, 36/74, EU:C:1974:140), e l’art. 325 TFUE (sentenza dell'8 settembre 2015, Taricco e a., C‑105/14, EU:C:2015:555).

[43] Sentenza del 15 gennaio 2014, Association de médiation sociale, C‑176/12, EU:C:2014:2 (l’art. 27 della Carta non ha effetto diretto). Sono invece stati riconosciuti gli effetti diretti agli artt. 7 e 8 (sentenza del 13 maggio 2014, Google Spain e Google, C‑131/12, EU:C:2014:317), dell’art. 21 in combinazione con l’art. 49 (sentenza del 6 ottobre 2016, Procura della Repubblica, C‑218/15, EU:C:2016:748), dell’art. 31.2 (sentenza del 6 novembre 2018, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften, C‑684/16, EU:C:2018:874) e dell’art. 50 (sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate e a., C‑537/16, EU:C:2018:193). Sul tema v. L. S. Rossi, Il valore giuridico dei valori. L’Articolo 2 TUE: relazioni con altre disposizioni del diritto primario dell'UE e rimedi giurisdizionali, Federalismi.it, 19 (2020)

[44] A partire dalla sentenza del 6 ottobre 1970, Grad, 9/70, EU:C:1879:78, punto 5; più recentemente, nella sentenza del 7 giugno 2007, Carp, C-80/06, EU:C:2007:327, punti 20 e 21, la Corte ha chiarito invece che, per le stesse ragioni fatte valere rispetto alle direttive, le decisioni non possono avere effetti diretti orizzontali.

[45] Sentenza del 22 novembre 2005, Mangold, C‑144/04, EU:C:2005:709

[46] Sentenze del 30 settembre 1987, Demirel, 12/86, EU:C:1987:400 e del 12 aprile 2005, Simutenkov, C‑265/03, EU:C:2005:213. Le disposizioni contenute in tali accordi sono direttamente efficaci qualora tenuto conto del tenore letterale delle loro disposizioni, nonché dell'oggetto e della natura dell'accordo, emerga un obbligo chiaro e preciso la cui esecuzione ed i cui effetti non siano subordinati all'adozione di alcun atto ulteriore. Al requisito della chiarezza, completezza e non condizionalità si aggiunge quindi la necessità di considerare i termini, l’oggetto e la natura dell’accordo medesimo

[47] Si v. già R. H. Lauwaars, Lawfulness and Legal Force of Community Decisions. European Aspects, Leiden, 1973, p. 14 e D. Gallo, Effetto diretto del diritto dell’Unione europea e disapplicazione, oggi, Osservatorio sulle fonti, 3 (2019), p.1 e ss; per una ricognizione delle posizioni dottrinali sul punto si v., per il dibattito italiano, F. Capelli, Le direttive comunitarie, Milano, 1983, pp. 261-9 e, più in generale, S. Prechal, Directives in EC Law, Oxford 2006, p. 227-9.

[48] In tal senso anche J.-V. Louis, Les règlements de la Communauté Économique Européenne, Bruxelles, 1969, pp. 249-256; sul punto si v. anche J.A. Winter, Direct applicability and direct effect – Two distinct and different concepts in Community Law, CML Rev. 1972, 425-438. Naturalmente nel caso in cui un regolamento nasca volutamente come incompleto, lasciando agli Stati un potere discrezionale per attuare norme di integrazione, tale integrazione costituisce un obbligo di attuazione e, in mancanza della stessa si applicherebbe, per i relativi aspetti, la teoria degli effetti diretti. Lo stesso vale per quelle disposizioni dei regolamenti che, pur essendo sufficientemente precise, richiedano, per essere applicate, l’adozione di misure di esecuzione da parte degli Stati membri; tali disposizioni sono condizionate e dunque non possono conferire diritti che i singoli possano azionare di fronte ai giudici nazionali, ma restano fonte di obblighi per gli Stati membri e pongono dunque il tema della loro possibile invocabilità di esclusione, sulla base del primato (sulla quale si v. il paragrafo 6); sul punto si v. le sentenze dell’11 gennaio 2001, Monte Arcosu, C-403/98, EU:C:2001:6, punti 26-29 e del 14 aprile 2011, Vlaamse Dierenartsenvereniging e Janssens, C‑42/10, C‑45/10 e C‑57/10, EU:C:2011:253, punti 48-50.

[49] Sentenza del 9 marzo 1978, Simmenthal, 106/77, EU:C:1978:49; per una riflessione approfondita sulla genesi e la ricezione di tale sentenza si v. AA.VV., Il primato del diritto comunitario e i giudici italiani, Milano, 1978.

[50] Corte Costituzionale, sentenza n. 232 del 1975.

[51] La prima sentenza Simmenthal riguardava, nello specifico, la violazione degli artt. 30 e seguenti del trattato CEE, del regolamento n. 14/64/CEE, nonché del regolamento n. 805/68/CEE (Regolamento del Consiglio 27 giugno 1968, n. 805, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni bovine (GU n. L 148, pag. 24), sulla cui violazione la Corte si era peraltro già pronunciata nella prima sentenza Simmenthal del 15 dicembre 1976 (35/76, EU:C:1976:180).

[52] Sentenza del 9 marzo 1978, Simmenthal, cit., punti14-15.

[53] Ibid., punto 17.

[54] Ibid., punto 21.

[55] V.Y. Galmot e J-C. Bonichot, La Cour de justice des Communautés européennes et la transposition des directives en droit national, Revue française de droit administratif, 4(1), janvier-février 1988, pp. 1-23, p. 16 e successivamente T. Dal Farra, L'invocabilité des directives communautaires devant le juge national de la légalité, RTD eur., 28 (4), octobre-décembre 1992, p. 631; P. Manin, De l'utilisation des directives communautaires par les personnes physiques ou morales, AJDA, 20 avril 1994, p. 259; G. Isaac, Droit communautaire général, Masson, 1994; D. Simon, La directive européenne, Dalloz, 1997 e Id., Le système juridique communautaire, 2e éd., PUF, 1998 e più recentemente da O. Dubos, L'invocabilité d'exclusion des directives : une autonomie enfin conquise, RFDA 2003, p. 568.

[56] M. Lenz, D. S. Tynes e L. Young, Horizontal what? Back to basics, EL Rev. 2000, p. 509¸T. Tridimas, Blackwhite and shades of grey :Horizontality of the directives revisited, YEL 2002, p. 327 ss.; P. V. Figueroa Regueiro, Invocability of Substitution and Invocability of Exclusion: Bringing Legal Realism to the Current Developments of the Case-Law of “Horizontal” Direct Effect of Directives, Jean Monnet Working Paper ,7 (2002), https://jeanmonnetprogram.org/archive/papers/02/020701.pdf.; K. Lenaerts e T. Corthaut, Of birds and hedges: the role of primacy in invoking norms of EU law, EL Rev. 2006, p. 287; richiamano tale dicotomia senza farla propria anche M. Dougan, When worlds collide! Competing visions of the relationship between direct effect and supremacy, CML Rev. 2007, pp. 931-963, p. 933; A. Dashwood, From Van Duyn to Mangold via Marshall: Reducing Direct Effect to Absurdity?, Cambridge Yearbook of European Legal Studies, 2007, pp. 81-109, p. 100 e ss. e più recentemente M. Dougan, Primacy and the Remedy of Disapplication, CML Rev. 2019, pp. 1459.

[57] Sentenze C.E., 12 novembre 2015, Société Metro Holding (n°367256) e C.E., 31 maggio 2016, Jacob (n°396881)

[58] Così H. Cassagnabère e. a., Chronique de jurisprudence de la CJUE, A.J.D.A, 28 (2019), p. 164

[59] Su tale principio v., recentemente V. Piccone, Primato e pregiudizialità. Il ruolo dell’interpretazione conforme, in Ferrero-Iannone, Il rinvio pregiudiziale, 2020, p.325 ss 

[60] Sentenze del 10 aprile 1984, von Colson e Kamann, 14/83, EU:C:1984:153 e del 13 novembre 1990, Marleasing, C‑106/89, EU:C:1990:395. V. anche sentenza del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a., C‑397/01 – C‑403/01, EU:C:2004:584

[61]  V. sentenza del 16 giugno 2005, Pupino C‑105/03, EU:C:2005:386, punto 42

[62] Sentenze del 25 febbraio 1999, Carbonari e a., C‑131/97, EU:C:1999:98; del 14 luglio 1994, Faccini Dori, C‑91/92, EU:C:1994:292; del 27 giugno 2000, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, C‑240/98 – C‑244/98, EU:C:2000:346 e del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a., C‑397/01 – C‑403/01, EU:C:2004:584

[63] Sentenza del 19 novembre 2009, Sturgeon e a., C‑402/07 e C‑432/07, EU:C:2009:716

[64] Sentenza del 13 dicembre 1989, Grimaldi, C‑322/88, EU:C:1989:646

[65] Sentenza del 16 giugno 2005, Pupino, C‑105/03, EU:C:2005:386

[66] Sentenza del 19 aprile 2016, DI, C‑441/14, EU:C:2016:278

[67] Sentenze del 19 dicembre 2013, Koushkaki, C‑84/12, EU:C:2013:862 e del 29 giugno 2017, Popławski, C‑579/15, EU:C:2017:503

[68] Sentenze del 5 ottobre 2010, Elchinov, C‑173/09, EU:C:2010:581; del 20 ottobre 2011, Interedil, C‑396/09, EU:C:2011:671; del 5 aprile 2016, PFE, C‑689/13, EU:C:2016:199 e del 20 dicembre 2017, Global Starnet, C‑322/16, EU:C:2017:985

[69] Sentenza del 4 luglio 2006, Adeneler e a., C‑212/04, EU:C:2006:443

[70] Sentenza del 16 giugno 2005, Pupino, C‑105/03, EU:C:2005:386, punti 45-47

[71] V. sentenza del 29 giugno 2017, Popławski, C‑579/15, EU:C:2017:503, punto 32 e sentenza dell’8 novembre 2016, Ognyanov, C‑554/14, EU:C:2016:835, punti da 62 a 64.

[72] Sentenze del 15 aprile 2008, Impact, C‑268/06, EU:C:2008:223, punto 100 e del 28 luglio 2016, JZ, C‑294/16 PPU, EU:C:2016:610, punto 33 e giurisprudenza ivi citata.

[73] Sentenza del 19 novembre 1991, Francovich e a., C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428.

[74] Ibid., punto 35.

[75] Sentenza del 19 novembre 1991, Francovich e a., C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428

[76] Sentenza del 5 marzo 1996, Brasserie du pêcheur e Factortame, C‑46/93 e C‑48/93, EU:C:1996:79

[77] Ibid., punto 51.

[78] Ibid., punto 56.

[79] Ibid., punto 57.

[80] In tal senso v. sentenze del 23 maggio 1996, Hedley Lomas, C‑5/94, EU:C:1996:205, punto 28; del 2 aprile 1998, Norbrook Laboratories, C‑127/95, EU:C:1998:151, punto 109; del 4 luglio 2000, Haim, C‑424/97, EU:C:2000:357, punto 38 e del 28 giugno 2001, Larsy, C‑118/00, EU:C:2001:368.

[81] Ibid., punto 78.

[82] Sentenza del 26 marzo 1996, British Telecommunications, C‑392/93, EU:C:1996:131, punto 42

[83] Sentenza del 19 dicembre 2019, Deutsche Umwelthilfe, C‑752/18, EU:C:2019:1114, in sostanza punti 54 e 55

[84] Sentenza dell’8 ottobre 1996, Dillenkofer e a., C‑178/94, C‑179/94 e C‑188/94 – C‑190/94, EU:C:1996:375

[85] Sentenza del 14 luglio 1994, Faccini Dori, C‑91/92, EU:C:1994:292

[86] Conclusioni dell'avvocato generale Tesauro nelle cause riunite Brasserie du pêcheur e Factortame, C‑46/93 e C‑48/93, EU:C:1995:407, punto 104.

[87] Sentenza del 24 gennaio 2012, Dominguez, C‑282/10, EU:C:2012:33.

[88] Sentenza del 24 giugno 2019, Popławski, C‑573/17, EU:C:2019:530, punti 61 e 62.

[89] Ibid., punto 64.

[90] Allo stesso punto 64 vengono citate le sentenze del 24 gennaio 2012, Dominguez, C‑282/10, EU:C:2012:33, punto 41; del 6 marzo 2014, Napoli, C‑595/12, EU:C:2014:128, punto 50 del 25 giugno 2015, Indėlių ir investicijų draudimas e Nemaniūnas, C‑671/13, EU:C:2015:418, punto 60, nonché del 16 luglio 2015, Larentia + Minerva e Marenave Schiffahrt, C‑108/14 e C‑109/14, EU:C:2015:496, punti 51 e 52.

[91] V. supra.

[92]Conclusioni dell'avvocato generale Campos Sánchez-Bordona nella causa Popławski, C‑573/17, EU:C:2018:957, punti 115-117. Tale distinzione per la verità era già stata menzionata nelle conclusioni dell'avvocato generale Léger nella causa Linster, C‑287/98, EU:C:2000:3.

[93] Conclusioni dell'avvocato generale Campos Sánchez-Bordona nella causa Popławski, cit., punto 117.

[94] Così, in sostanza, D. Simon e A. Rigaux, L’arrêt Marshall II et l’effet direct des directives: une solution d’espèce à une question de principe?, Europe, 1993, p. 1; D. Simon, La directive europeéenne, Parigi, 1997, pp. 95-6; S. Amadeo, Norme comunitarie, posizioni giuridiche soggettive e giudizi interni, Milano, 2002; R. Mastroianni, G. Strozzi, Diritto dell’Unione europea. Parte istituzionale, 2016, pp. 311-2; G. Di Federico, Il recepimento delle direttive nella giurisprudenza della Corte di giustizia, in G. Di Federico, C. Odone (a cura di), Il recepimento delle direttive nell’Unione europea nella prospettiva delle regioni italiane. Modelli e soluzioni, Napoli, 2010, p. 55; contra, con diverse motivazioni riassumibili in sostanza nel fatto di ritenere il primato una regola di conflitto giustiziabile per il solo tramite dell’effetto diretto della norma di diritto dell’UE invocata dal singolo, si v., tra gli altri, P. Pescatore, The doctrine of ‘Direct effect’: an Infant Disease of Community Law, ELRev. 1983 (2015), 135-153, p. 149; R. Kovar, La contribution de la Cour de justice à l’édification de l’ordre juridique communautaire, in A Cassese, R. Dehousse e J.H.H. Weiler (a cura di), Recueil des cours de l’Académie de droit européen, Martinus Nijhoff, 1995, 15-122, pp. 63-5; S. Prechal, Directives in EC Law, Oxford 2006, pp. 94 e, quanto alla manualistica, G. Tesauro, Diritto dell’Unione europea, Padova, 2012, p. 190; L. Daniele, Diritto dell’Unione europea, Milano, 2020, pp. 273 e 328 e M. Bobek, The Effects of EU Law in the National Legal System, in C. Barnard e S. Peers (a cura di), European Union Law, Oxford, 2020, pp. 160 e 175; D. Gallo, op. cit., p. 241-7 e 355-60, invece, ammette, sulla base della giurisprudenza della Corte, la possibilità di far discendere la disapplicazione per esclusione dal solo principio del primato, condizionandola però ad un accentramento di tale rimedio in capo alla Corte costituzionale, previo eventuale rinvio alla Corte di giustizia.

[95] D. Gallo, op cit., parla di effetto soggettivo per la sostituzione ed effetto oggettivo per l’esclusione. Suggestiva l’immagine dello scudo e della spada utilizzati da B. De Witte, The Continuous Significance of Van Gend en Loos, in Poiares Maduro – Azoulai (eds.), The Past and Future of EU Law: The Classics of EU Law Revisited on the 50th Anniversary of the Rome Treaty, Oxford, 2010, p. 12.

[96] Sentenza del 4 ottobre 2018, Dooel Uvoz-Izvoz Skopje Link Logistic N&, C‑384/17, ECLI:EU:C:2018:810 punti 55 ss.

[97] Ibid., punto 61.

[98] Sul punto v. T. Tridimas, Black white and shades of grey :Horizontality of the directives revisited, YEL 2002, p. 327 ss.

[99] Sentenza del 24 ottobre 1996, Kraaijeveld e a., C‑72/95, EU:C:1996:404

[100] Sentenza del 16 settembre 1999, WWF e a., C‑435/97, EU:C:1999:418, punti 69-71

[101] Sentenza del 22 ottobre 2020, Sportingbet e Internet Opportunity Entertainment, C‑275/19, EU:C:2020:856, punti 53 e 54.

[102] Sentenza del 30 aprile 1996, C-194/94, CIA Security International SA c. Signalson SA e Securitel SPRL., ECLI:EU:C:199 172, punto 54; v. anche la sentenza del 26 settembre 2000, C-443/98, Unilever Italia SpA contro Central Food SpA., ECLI:EU:C:2000:496, punti 49-50 e più recentemente la sentenza del 27 ottobre 2016, James Elliott Construction, C-613/14, EU:C:2016:821, punto 64. Sul tema v. P. V. Figueroa Regueiro, Invocability of Substitution and Invocability of Exclusion, cit. In CIA Security e Unilever, a differenza di Kraaijeveld, le norme in causa erano provviste dei caratteri di precisione e incondizionalità, ma si trattava di una controversia orizzontale.

[103] Sentenze dell'11 luglio 2019, A, C‑716/17, EU:C:2019:598, punto 38; del 29 luglio 2019, Torubarov, C‑556/17, EU:C:2019:626; del 19 novembre 2019, A. K. e a. (Indipendenza della sezione disciplinare della Corte suprema), C‑585/18, C‑624/18 e C‑625/18, EU:C:2019:982, punti 73 e 161; del 19 dicembre 2019, Deutsche Umwelthilfe, C‑752/18, EU:C:2019:1114, punto 42; del 14 maggio 2020, Staatsanwaltschaft Offenburg, C‑615/18, EU:C:2020:376, punti 68 e 69; del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság, C‑924/19 PPU et C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367, punto 139;  del 2 aprile 2020, CRPNPAC e Vueling Airlines, C‑370/17 e C‑37/18, EU:C:2020:260, punto 74; sentenza del 30 settembre 2020, B., C‑233/19, EU:C:2020:757, punto 54; del 6 ottobre 2020, La Quadrature du Net e a., C‑511/18, C‑512/18 e C‑520/18, EU:C:2020:791, punto 215

[104] Sentenza del 4 marzo 2020, Bank BGŻ BNP Paribas, C‑183/18, EU:C:2020:153

[105] Sentenza del 19 marzo 2020, Sánchez Ruiz e a., C‑103/18 e C‑429/18, EU:C:2020:219

[106]Conclusioni dell'avvocato generale Campos Sánchez-Bordona nella causa Popławski, C‑573/17, EU:C:2018:957, punto 116

[107]V. D. Dero-Bugny, nelle osservazioni alla sentenza in esame contenute in F. Picod, Jurisprudence de la CJUE 2019, Bruxelles, Bruylant, 2020, p.77 ss.

[108] In tal senso v. H. Cassagnabère e. a., Chronique de jurisprudence de la CJUE, A.J.D.A. 2019, p. 164.

[109] B. De Witte, Direct Effect, Primacy and the Nature of the Legal Order , in G. De Burca e P. Craig (a cura di), The Evolution of EU Law, Oxford, 2011, 323-362, pp. 311-3.

[110] H. Cassagnabère e. a., Chronique de jurisprudence de la CJUE, A.J.D.A, 28 (2019), p. 164.

[111] A. Rigaux et D. Simon, L’arrêt Popławski 2 : accroc limité ou ébranlement général dans la mise en oeuvre de la primauté par le juge national ?, Europe (octobre 2019), Étude, p. 5. Fra l’altro autori rilevano che una soluzione contraria metterebbe in discussione anche l’invocabilità preventiva, enunciata dalla sentenza del 29 luglio 2019, Inter-Environnement Wallonie e Bond Beter Leefmilieu Vlaanderen, C‑411/17, EU:C:2019:622 per disapplicare norme nazionali adottate dopo l’approvazione di una direttiva ma prima della sua data di scadenza, che potrebbero pregiudicarne seriamente il risultato.

[112] Sentenza del 24 giugno 2019, Popławski, C‑573/17, EU:C:2019:530, punti 65 e 66

[113] Sentenza del 14 luglio 1994, Faccini Dori, C‑91/92, EU:C:1994:292, punto 24

[114] Sentenza dell'11 settembre 2003, Walcher, C‑201/01, EU:C:2003:450. Sul tema v. K. Lenaerts , T. Corthaut, Of birds and hedges: the role of primacy in invoking norms of EU law, EL Rev. 2006, p.287 ss

[115] Ibid., punti 56-58

[116] Usa questo termine P. V. Figueroa Regueiro, Invocability of Substitution and Invocability of Exclusion: Bringing Legal Realism to the Current Developments of the Case-Law of “Horizontal” Direct Effect of Directives, Jean Monnet Working Paper ,7 (2002), https://jeanmonnetprogram.org/archive/papers/02/020701.pdf.

[117] In questi casi parte della dottrina riconduce il vantaggio per il singolo al principio dell’estoppel, in connessione con quello del primato, principio già chiamato in causa più in generale da P. Pescatore, L’effet des directives communautaires. Une tentative dc démythification, Parigi, 1980, p. 176, per fondare la pretesa del singolo de “s’opposer judiciairement à l’application de dispositions nationales contraires à une directive communautaire” (priva di effetto diretto); nel senso di rinvenire nell’effetto di estoppel derivante dal primato la fonte dell’invocabilità di esclusione anche F. Capelli, Le direttive comunitarie, Milano, 1983, pp. 448-451, che sottolinea come la “direttiva fungerebbe nei confronti del singolo non come fonte di diritti, ma bensì come “scriminante” o “esimente”, in grado di realizzare la presenza sanzionatoria [...] che lo Stato intendesse far valere nei confronti del singolo”.

[118] In tal senso anche K. Lackhoff e H. Nyssens, Direct effect of Directives in triangular situations, EL Rev. 1998, 23(5), pp. 397-413, p. 406 e ss. e M. Dougan, When worlds collide! Competing visions of the relationship between direct effect and supremacy, CMLRev, 2007, pp. 931-963, pp. 936, 949 e 960-2.

[119] Sentenza del 30 aprile 1996, CIA Security International, C‑194/94, EU:C:1996:172.

[120] Sentenza del 26 settembre 2000, Unilever, C‑443/98, EU:C:2000:496.

[121] Ibid., punti 49-51.

[122] Sentenza del 7 gennaio 2004, Wells, C‑201/02, EU:C:2004:12, punti 56-57.

[123] Sentenza del 7 agosto 2018, Smith, C‑122/17, EU:C:2018:631, punti 52-54.

[124] V. da ultimo sentenza del 29 luglio 2019, Inter-Environnement Wallonie e Bond Beter Leefmilieu Vlaanderen, C‑411/17, EU:C:2019:622, punto 170.

[125] K. Lenaerts , T. Corthaut, Of birds and hedges: the role of primacy in invoking norms of EU law, ELR 2006, p. 287 ss.

[126] V. da ultimo sentenza del 16 luglio 2020, Presidenza del Consiglio dei Ministri, C‑129/19, EU:C:2020:566, punti 58-61.

[127] Sulla sentenza n. 269 del 2017, si v., oltre ai numerosissimi commenti raccolti da https://www.giurcost.org/decisioni/2017/0269s-17.html, A. Barbera, La Carta dei diritti: per un dialogo fra la Corte italiana e la Corte di giustizia, Quaderni costituzionali, 1/2018, pp. 149-172 e R. Mastroianni, Da Taricco a Bolognesi, passando per la ceramica Sant'Agostino: il difficile cammino verso una nuova sistemazione del rapporto tra Carte e Corti, Osservatorio sulle fonti, 1/2018, pp. 1-36; sull’evoluzione della successiva giurisprudenza costituzionale, dalla sentenza n. 20 del 2019 all’ordinanza n. 182 del 2010, si cfr. invece, senza pretesa di esaustività, D. Gallo, Effetto diretto del diritto dell’Unione europea e disapplicazione, oggi, Osservatorio sulle fonti, 3/2019, pp. 2-42; F. Spitaleri, Doppia pregiudizialità e concorso di rimedi per la tutela dei diritti fondamentali, Il diritto dell’Unione europea, 4/2019, p. 729; P. Mori, La Corte costituzionale e la Carta dei diritti fondamentali dell’UE: dalla sentenza 269/2017 all’ordinanza 117/2019. Un rapporto in mutazione?, I Post di AISDUE, 3 settembre 2019, p. 55; V. Piccone, Diritti fondamentali e tutele nel difficile “crossroad” fra le Corti, Federalismi.it, 10/2019; A. Ruggeri, Ancora un passo avanti della Consulta lungo la via del “dialogo” con le Corti europee e i giudici nazionali (a margine di Corte cost. n. 117 del 2019), Consulta Online, 2/2019, 242-8; A. Ruggeri, Forme e limiti del primato del diritto eurounitario, dal punto di vista della giurisprudenza costituzionale: profili teorico-ricostruttivi e implicazioni istituzionali, I Post di AISDUE, 31 ottobre 2019; G. Scaccia, Alla ricerca del difficile equilibrio fra applicazione diretta della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e sindacato accentrato di legittimità costituzionale, Giurisprudenza costituzionale, 3/2019, pp. 1428-1437; D. Tega, Tra incidente di costituzionalità e rinvio pregiudiziale: lavori in corso, Quaderni costituzionali, 3/2019, pp. 615-643; F. Viganò, La tutela dei diritti fondamentali della persona tra corti europee e giudici nazionali, Quaderni costituzionali, 2/2019, pp. 481-502; S. Catalano, Rinvio pregiudiziale nei casi di doppia pregiudizialità. Osservazioni a margine dell’opportuna scelta compiuta con l’ordinanza n. 117 del 2019 della Corte costituzionale, Osservatorio AIC, 4/2019; A. Anzon Demmig, Applicazioni virtuose della nuova “dottrina” sulla “doppia pregiudizialità” in tema di diritti fondamentali (in margine alle decisioni nn. 112 e 117/2019), Osservatorio AIC, 6/2019, pp. 179-192; N. Lupo, Con quattro pronunce dei primi mesi del 2019 la Corte costituzionale completa il suo rientro nel sistema “a rete” di tutela dei diritti in Europa, Federalismi.it, 13/2019; C. Amalfitano, Il rapporto tra rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia e rimessione alla Consulta e tra disapplicazione e rimessione alla luce della giurisprudenza “comunitaria” e costituzionale, Rivista AIC, 1/2020, pp. 296-321; A. Cardone, Dalla doppia pregiudizialità al parametro di costituzionalità: il nuovo ruolo della giustizia costituzionale accentrata nel contesto dell’integrazione europea, Osservatorio sulle fonti, 1/2020, p. 13; D. Tega, Il superamento del “modello Granital”. Le questioni in materia di diritti fondamentali tra incidente di costituzionalità e rinvio pregiudiziale, in Liber Amicorum Pasquale Costanzo, Consulta Online, 27 gennaio 2020; R. Conti, Giudice comune e diritti protetti dalla Carta UE: questo matrimonio s’ha da fare o no? A proposito di Corte cost. n. 20/2019, in G. Palmisano (a cura di), Il diritto internazionale ed europeo nei giudizi interni, Napoli, 2020, pp. 517-545; F. Donati, I principi del primato e dell’effetto diretto del diritto dell’Unione in un sistema di tutele concorrenti dei diritti fondamentali, in Federalismi.it, 12/2020; C. Padula, Uno sviluppo nella saga della “doppia pregiudiziale”? Requisiti di residenza prolungata, edilizia residenziale pubblica e possibilità di disapplicazione della legge, Consulta Online, 1/2020; R. Mastroianni, Sui rapporti tra Carte e Corti: nuovi sviluppi nella ricerca di un sistema rapido ed efficace di tutela dei diritti fondamentali, European Papers, 1/2020, pp. 493-522; C. Caruso, F. Medico, A. Morrone (a cura di), Granital Revisited? L’integrazione europea attraverso il diritto giursprudenziale, Bologna, 2020; N. Lazzerini, Dual Preliminarity Within the Scope of the EU Charter of Fundamental Rights in the Light of Order 182/2020 of the Italian Constitutional Court, European Papers, 25 novembre 2020, pp. 1-14.

[128] In tal senso si v. già Corte costituzionale, sentenza n. 269 del 2017, par. 5.1 e giurisprudenza citata.

[129] Corte costituzionale, sentenza n. 170 del 1984, parr. 5 e 6.

[130] Qualora la disposizione di diritto dell’Unione sia priva di effetto diretto e la norma nazionale in conflitto non si presti ad un’interpretazione conforme, il giudice comune potrebbe così ottenere una pronuncia con effetto erga omnes che rimuova dall’ordinamento la norma nazionale in conflitto con quella dell’UE. A tal proposito, va sottolineato che, in base alla più recente giurisprudenza costituzionale (si v. la sentenza n. 20 del 2019, par. 2.1, così come precisata dalle sentenze nn. 63 del 2019, par. 4.3 e 112 del 2019, par. 7 e le ordinanze nn. 117 del 2019, par. 2 e 182 del 2020, par. 3.1; sull’evoluzione di tale giurisprudenza si cfr., tra gli altri, R. Mastroianni, Sui rapporti tra Carte e Corti: nuovi sviluppi nella ricerca di un sistema rapido ed efficace di tutela dei diritti fondamentali, European Papers, 1/2020, pp. 493-522 e, per una lettura di segno diverso, G. Scaccia, Alla ricerca del difficile equilibrio fra applicazione diretta della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e sindacato accentrato di legittimità costituzionale. In margine all’ordinanza della Corte costituzionale n. 117 del 2019, Osservatorio AIC, 6/2019, p. 171 ss.), questo percorso parrebbe poter applicarsi anche alle norme dei trattati o della Carta dei diritti fondamentali corrispondenti nella sostanza a diritti costituzionalmente tutelati, nonché alle norme di diritto derivato che specificano o concretizzano tali diritti, nella misura in cui queste ultime costituiscono l’“elemento di attrazione” delle corrispondenti disposizioni della Carta (sul punto si v. L.S. Rossi, La relazione fra Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e direttive nelle controversie orizzontali, Federalismi.it, 10/2019, p. 8 ss.). Si potrebbe valorizzare, in tal modo, il margine di apprezzamento che tale giurisprudenza costituzionale pare riconoscere al giudice comune, fermo restando, però, l’obbligo per quest’ultimo di dare a entrambe le categorie di norme immediata applicazione – con effetto di sostituzione – qualora dette norme siano sufficientemente precise e incondizionate, previo un eventuale rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di giustizia per verificarne la portata e gli effetti.

[131] Sentenza del 24 giugno 2019, Popławski, C‑573/17, EU:C:2019:530, punti 63, 64, 68, 71

[132] V. ad esempio la sentenza del 24 gennaio 2012, Dominguez, C‑282/10, EU:C:2012:33, punto 41

[133] Secondo L. Coutron, nelle osservazioni alla sentenza in esame contenute in F. Picod, Jurisprudence de la CJUE 2019, Bruxelles, Bruylant, 2020, p. 260, il senso di questo passaggio è di “habiliter les autorités nationales à retenir une lecture de leur Constitution de nature à cautionner une plus large invocabilité du droit de l’Union”. A ben guardare, le autorità nazionali non hanno bisogno, per fare questo, di essere abilitate dalla Corte di Giustizia. Quest’ultima si limita a chiarire, utilizzando una formula che non è nemmeno nuova che se i giudici intendono disapplicare il diritto nazionale dovranno cercare un altro fondamento.

[134] Sul punto si v. supra, nota 130.

[135] In proposito si rinvia a L.S.Rossi Stesso valore Stesso valore giuridico dei Trattati”? Rango, primato ed effetti diretti della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea, Il Diritto dell’Unione europea, 2/2016, pp. 329-356.

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