GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Il rilievo della questione pregiudiziale europea fra processo e giurisdizione (nota a Cass., S.U., 30 ottobre 2020, n. 24107) di Paolo Biavati

    Il rilievo della questione pregiudiziale europea fra processo e giurisdizione (nota a Cass., S.U., 30 ottobre 2020, n. 24107)*

    di Paolo Biavati  

    Sommario: 1. Il caso - 2. Il rilievo della questione pregiudiziale europea come elemento del processo - 3. Quale tutela contro la ribellione del giudice nazionale di ultima istanza? - 4. Lo scenario: l’europeismo come campo di battaglia fra le alte corti? 

    1. Il caso

    Una società di capitali ricorre al Tar Piemonte contro un’informativa interdittiva antimafia della prefettura di Torino. Il ricorso viene respinto e la società presenta appello dinanzi al Consiglio di Stato. I giudici di Palazzo Spada rigettano l’impugnazione e, in motivazione, escludono nel caso di specie la sussistenza dei presupposti per sollevare la questione di illegittimità costituzionale della normazione antimafia, ovvero per il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.

    Contro la decisione del Consiglio di Stato la società propone ricorso in Cassazione, ai sensi degli artt. 111, comma 8°, cost. e 362, comma 1°, c.p.c., asserendo che il mancato rinvio a Lussemburgo è frutto di un percorso logico errato e – qui sta il punto – che in questo modo la suprema magistratura amministrativa ha violato il limite esterno alla sua giurisdizione, per avere invaso la sfera decisionale attribuita in via esclusiva ai giudici del Kirchberg, in base all’art. 267, comma 3°, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

    Con l’ordinanza in commento, le Sezioni unite dichiarano inammissibile il ricorso.  

    2. Il rilievo della questione pregiudiziale europea come elemento del processo

    Il cuore della vicenda sta nella natura del rapporto che si instaura fra giudice nazionale di ultima istanza e Corte di giustizia in sede di rinvio pregiudiziale.

    La tesi fatta propria dal ricorrente mette in luce con forza il carattere obbligatorio, per il giudice interno contro le cui decisioni non vi sia un ulteriore livello di controllo, di effettuare il rinvio pregiudiziale tutte le volte che, in assenza di un pacifico orientamento giurisprudenziale di Lussemburgo, sussista una questione di interpretazione del diritto (ovvero di validità di un atto compiuto dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi) dell’Unione, rilevante nel caso concreto. Investire o no la Corte di giustizia significa ammetterla o no ad esercitare la sua funzione giurisdizionale dichiarativa: il giudice interno, quando omette di procedere al rinvio, pur essendovi tenuto, invade abusivamente – nell’ottica di questa prospettiva – la giurisdizione della corte del Plateau Kirchberg. Ne segue che il Consiglio di Stato avrebbe travalicato i limiti della propria giurisdizione, esponendo quindi la relativa sentenza alla ricorribilità in Cassazione, a norma dell’ultimo comma dell’art. 111 cost.

    Le Sezioni unite rimarcano, invece, che la decisione sulla necessità o no del rinvio pregiudiziale rientra nel potere giurisdizionale del giudice italiano: la questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia – così si esprimono – “costituisce elemento processuale interno al processo, senza che essa risulti suscettibile di divenire oggetto di autonoma valutazione nell’ambito del sindacato di cui all’art. 111, comma 8°, cost.”.

    Se l’afflato europeistico della tesi del ricorrente attira simpatia, resta pur vero che, a mio avviso, la pronuncia delle Sezioni unite merita piena adesione.

    E’ certo superfluo ricordare che, in base ai trattati e al modo in cui è stato ripartito l’esercizio della giurisdizione, ogni giudice nazionale è applicatore (anzi, è il primo applicatore) del diritto dell’Unione e che solo al giudice nazionale spetta valutare se sussistano le condizioni per investire della questione interpretativa la Corte di giustizia[1].

    L’equilibrio politico disegnato dai trattati si fonda sul presupposto della leale cooperazione fra giudici nazionali e Corte di giustizia, mettendo pienamente in conto il rischio che i primi omettano di richiedere l’interpretazione di Lussemburgo, pure quando vi sono tenuti. L’inosservanza dell’obbligo del rinvio non ha una sanzione diretta, almeno con effetti sul singolo caso, e i singoli non possono rivolgersi direttamente al Kirchberg. Tutto questo ha una logica: la supremazia del diritto dell’Unione non si attua mediante la supremazia delle corti europee rispetto ai giudici nazionali, ma solo attraverso la disponibilità ad un dialogo reciproco.

    Mi permetto di sottolineare il fattore della reciprocità. Se, da un lato, si assiste a violazioni del dovere di rinvio da parte dei giudici nazionali, si nota, dall’altro lato, la costruzione in via pretoria, da parte della Corte, di un fitto sistema di limiti alla ricevibilità dei quesiti: limiti che non si trovano nei trattati e che, sotto varie forme (dalla mancanza di chiarezza del quesito, alla sua irrilevanza rispetto al caso concreto, alla natura fittizia della controversia) narrano di una politica di selezione dei casi, per cui il Kirchberg decide, senza appello, se e quando e a chi rispondere[2].  

    Intendo rimarcare che il sistema delinea la netta autonomia delle giurisdizioni e basa il suo funzionamento su di una paritaria relazione di lealtà: relazione che, ripeto, non va vista solo per stigmatizzare i giudici interni che non si rivolgono a Lussemburgo, ma anche per stigmatizzare Lussemburgo quando (specie su materie politicamente delicate) non risponde alle richieste di chiarimento dei giudici nazionali.

    Immaginare qualcosa di diverso significa immaginare una struttura dell’Unione europea lontana da quella che è. Il disegno dei trattati, su questo aspetto, non si discosta nell’essenziale dalla primitiva forma delle Comunità: non si è mai voluto forzare la sovranità nazionale fino al punto di sanzionare direttamente il mancato utilizzo dello strumento del rinvio. Un giorno, forse, un supremo giudice europeo potrà rivedere le decisioni nazionali che abbiano violato il diritto dell’Unione: ma oggi non è così.

    Rinviare o no a Lussemburgo significa decidere una questione di diritto, nel rispetto delle modalità processuali di ogni singolo Stato membro. Il giudice di ultima istanza può sbagliare: non solo quando non rinvia, laddove dovrebbe, ma anche quando commette un errore in diritto. Nell’uno come nell’altro caso, esercita il suo potere di decidere la controversia, e cioè la sua (ed esclusivamente sua) giurisdizione.

    Ancora. Tutte le volte che il giudice a quo è tenuto a sospendere il processo, in attesa che una causa o una questione pregiudiziale sia decisa da un diverso organo giudiziario competente, mantiene sempre la giurisdizione sulla causa pregiudicata. Così avviene per la pregiudiziale penale, per quella costituzionale e, naturalmente, anche per quella europea. Una volta che l’antecedente logico-giuridico abbia avuto soluzione, il giudice riprende (salvo il rispetto dell’impulso di parte) la conduzione del processo pregiudicato, la cui cognizione non è mai passata al giudice della pregiudiziale. Del resto, la giurisdizione rimane in capo al giudice a quo anche se questi (in tesi, sbagliando) non si avveda o comunque non rilevi la situazione di pregiudizialità[3].   

    Ne segue che il mancato rinvio alla Corte di giustizia nel caso che ci occupa, anche ammesso che costituisse una violazione del diritto dell’Unione, non comportava in alcun modo una sottrazione di giurisdizione a scapito della Corte di giustizia, perché la giurisdizione sulla vicenda dell’interdittiva antimafia spettava dall’origine e rimaneva in capo agli organi della giustizia amministrativa italiana. La sentenza del Consiglio di Stato, dunque, non poteva dunque essere fatta oggetto di un’impugnazione in Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione. Inammissibile, pertanto, il ricorso e ineccepibile l’ordinanza delle Sezioni unite.     

    3. Quale tutela contro la ribellione del giudice nazionale di ultima istanza?

    Se, dunque, la soluzione offerta al caso deve essere condivisa, resta aperto il tema, di quale tutela accordare al cittadino europeo, che faccia valere in giudizio una situazione soggettiva protetta dal diritto dell’Unione, che la veda disattesa dai tribunali di merito e che, infine, veda sfumare le possibilità di difesa perché la corte di ultima istanza si rifiuta, motivandolo o no, di sottoporre la questione pregiudiziale interpretativa alla Corte di giustizia.

    Il punto è molto importante. Come ho più volte sostenuto, la possibilità per la parte di ottenere giustizia suppone la corretta applicazione del diritto dell’Unione. Di fronte alle resistenze dei giudici del proprio ordinamento, la parte può sollecitarli a rivolgersi a Lussemburgo, sapendo che, sia pure a prezzo della trafila delle impugnazioni, potrà giungere dinanzi alla corte di ultima istanza, che dovrà finalmente sottoporre alla Corte di giustizia la questione pregiudiziale[4]. Il rifiuto del giudice interno di ultima istanza spezza questo percorso ed espone la parte ad una grave privazione di tutela.

    Con questa premessa, comunque si voglia guardare al problema, occorre rispondere francamente che una tutela piena e diretta non esiste.

    Certo, la giurisprudenza di Lussemburgo insegna che una costante applicazione di norme interne in contrasto con il diritto dell’Unione espone lo Stato membro ad un giudizio di inadempimento ai trattati, seppure l’attività censurata provenga non dagli organi legislativi o amministrativi, ma da quelli giudiziari, che, nello stato di diritto, sono per definizione indipendenti. Prendendo le mosse da questa eventuale condanna, le parti processuali che sono risultate (ingiustamente) soccombenti nei processi interni potranno agire con una domanda risarcitoria a carico dello Stato. In sé, però, quei processi sono e restano persi[5].

    Sul piano risarcitorio, si colloca ora (e tanto più dopo la legge n. 18 del 27 febbraio 2015) l’azione proponibile contro lo Stato per la responsabilità del giudice che abbia consapevolmente e palesemente violato il diritto dell’Unione, anche omettendo un rinvio pregiudiziale doveroso. Al netto della difficoltà di individuare un’ipotesi di responsabilità quando la decisione è collegiale, è comunque del tutto evidente che neppure per questa via si perviene ad una tutela equivalente a quella (in ipotesi, illegittimamente) negata.

    Se, quindi, il sistema appare inadeguato, sotto il duplice profilo di una più intensa applicazione del diritto dell’Unione e di un’efficace protezione dei diritti individuali, mi pare che si debba prendere atto che questa imperfezione è conseguenza, come dicevo più sopra, dell’altrettanto imperfetto livello di integrazione europea. Né le originarie Comunità, né l’attuale Unione sono uno stato federale e, per il momento, il rispetto di talune sfere di discrezionalità nazionale rappresenta il prezzo politico da pagare per non alterare equilibri, la cui fragilità è sotto gli occhi di tutti.

    Detto in altre parole. Ponendo l’obbligo di rinvio a carico dei giudici di ultima istanza, ma non sanzionandone in modo diretto l’inosservanza, i trattati hanno costruito una sorta di test sul grado di assorbimento del diritto europeo all’interno dei sistemi nazionali, accettando che il livello di cooperazione crescesse progressivamente, così come di fatto è accaduto, senza forzare la mano. Certo, in questo modo le sbavature sono inevitabili, ma occorre valutare realisticamente lo stato dell’arte. 

    4. Lo scenario: l’europeismo come campo di battaglia fra le alte corti?

    Occorre, infine, collocare l’ordinanza qui commentata nello scenario, quanto mai attuale, della verifica in sede europea della correttezza della posizione ermeneutica che restringe il controllo impugnatorio della Cassazione nei confronti dei Consiglio di Stato e della Corte dei Conti per i soli motivi inerenti alla giurisdizione, non includendo nell’ambito applicativo dell’art. 111, comma 8°, cost., anche le ipotesi di manifesta violazione del diritto dell’Unione europea[6].

    L’ordinanza delle Sezioni unite n. 19598 del 18 settembre 2020 è nota ed è stata resa già oggetto di articolati commenti, ai quali rimando[7]. Mi limito ad osservare che l’ordinanza qui esaminata vi fa riferimento, per notare che quella presa di posizione e il relativo rinvio a Lussemburgo non contrasta con la soluzione offerta al caso deciso.

    Mi sembra chiaro, però, che in un diverso contesto culturale nessun avveduto difensore avrebbe potuto ipotizzare un ricorso in Cassazione contro una sentenza del Consiglio di Stato, individuando il “motivo attinente alla giurisdizione” nel mancato rinvio di una questione alla Corte di giustizia. Il ricorso, seppure dichiarato inammissibile, è parso plausibile perché il dibattito in corso si estende ad una possibile rivisitazione dell’equilibrio costituzionale fra il giudice ordinario e i giudici speciali, sullo sfondo, se non della giurisdizione unica, quanto meno di un riconoscimento di più ampi poteri alla Corte di Cassazione. La stessa (a mio avviso, criticabile) proposta di legge per l’istituzione del c.d. Tribunale dei conflitti rientra appieno in questa fase di riflessione[8].   

    Senza uscire dall’ambito del commento all’ordinanza n. 24107 del 2020, qualche osservazione su questo scenario non può mancare.

    È interessante notare come la prospettiva, intorno alla quale ruota il dibattito, vede la Corte di Cassazione porsi come supremo garante interno dell’applicazione e, previo rinvio a Lussemburgo, dell’interpretazione del diritto dell’Unione. Ora, l’esigenza di rispettare l’art. 267 Tfue incombe su tutti gli organi giurisdizionali di ultima istanza, allo stesso modo della corretta applicazione del diritto positivo interno. L’eventuale ricollocazione delle scelte sul rinvio pregiudiziale, dal piano del processo a quello dell’esercizio della giurisdizione, non darebbe, di per sé, nessuna maggiore garanzia. La lealtà europeista non dipende dalle competenze astratte di questo o di quell’organo, ma dalla sensibilità dei singoli magistrati che li compongono. Se è vero che negli anni più recenti la Cassazione ha svolto in modo egregio il compito di dialogare con la Corte di giustizia, così non è sempre stato.

    Le statistiche della Corte di giustizia ci dicono, a chiari numeri, che dall’inizio dell’avventura comunitaria a tutto il 2019, i giudici italiani hanno proposto 1205 rinvii pregiudiziali. Di questi, 1205 provengono da giudici di merito, 4 dalla Corte costituzionale, 204 dal Consiglio di Stato e “soltanto” 170 dalla Corte di Cassazione. Il mio “soltanto” intende dire che, a volgersi indietro, ci si accorge che Palazzo Spada, almeno quantitativamente, ha dialogato con Lussemburgo più di piazza Cavour.     

    Se, poi, si guarda alla percentuale di rinvii pregiudiziali effettuati dalle corti di ultima istanza rispetto al totale, risulta (per limitarsi ai paesi di più antica militanza europea) che le alte corti italiane raggiungono il 23,87%, quelle belghe il 25,78%, quelle francesi il 27,56% e quelle tedesche il 32,41%[9]

    La dura franchezza dei numeri mi dice che, dietro all’elegante questione giuridica, nulla assicura che assegnare alla Cassazione l’ultima parola sui rinvii pregiudiziali porterebbe un incremento del dialogo con la Corte di giustizia. 

    Quanto all’equilibrio costituzionale italiano, il mio parere è che, in prospettiva, la giurisdizione unica sia preferibile: è lo stesso impatto del diritto europeo, che non distingue fra diverse tipologie di posizioni soggettive e assegna ai giudici di Lussemburgo il compito di decidere, con le medesime norme processuali, diverse tipologie di controversie, a spingere in questa direzione, rendendo ormai non più razionale la struttura interna. Si tratta, però, di una prospettiva lontana, per la quale i tempi non sembrano ancora maturi[10].

    Non vi è dubbio, al contempo, che si assista a una sorta di deriva dei continenti: vi sono segnali che manifestano una qualche insoddisfazione per l’assetto attuale e la vicenda sottostante all’ordinanza qui commentata ne è un esempio.

    Ora, è necessario evitare che la valorizzazione del diritto dell’Unione diventi, forse al di là delle intenzioni, non tanto il vero obiettivo di questo confronto, ma piuttosto il terreno su cui si combatte un’altra battaglia, che tende in qualche modo ad attenuare, se non a superare, l’equivalenza costituzionale fra i distinti plessi giurisdizionali.   

    Per tutte queste ragioni, l’ordinanza n. 24017 del 2020 è più importante di quanto non appaia ad un primo sguardo. Le Sezioni unite, con una serena e lineare motivazione, riconducendo correttamente al profilo processuale la decisione circa l’effettuazione o no del rinvio pregiudiziale, rispettano l’autonomia del Consiglio di Stato, si mantengono all’interno della ripartizione di funzioni voluta dalla Costituzione ed evitano controproducenti fughe in avanti, in un momento in cui occorre essere europeisti, ma con i piedi per terra.

    * Ndr sull'argomento su questa Rivista Quel pasticciaccio brutto di piazza Cavour, piazza del Quirinale e piazza Capodiferro (la questione di giurisdizione) di Fabio Francariouida alla lettura dell’ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 19598 del 2020. di Maria Alessandra SANDULLIIl Golem europeo e i «motivi inerenti alla giurisdizione» (Nota a Cass., Sez. un., ord. 18 settembre 2020, n. 19598) Giuseppe Tropea

    [1] Si veda l’ampia monografia di RAITI, La collaborazione giudiziaria nell’esperienza del rinvio pregiudiziale comunitario, Milano, 2003, specie p. 235 ss.

    [2] Sulle forme di controllo della Corte di giustizia sulla ricevibilità dei quesiti pregiudiziali, v. D’ALESSANDRO, Il procedimento pregiudiziale interpretativo dinanzi alla Corte di giustizia, Torino, 2012, p. 101 ss.; RAITI, op. cit., p. 9 ss.; in lingua tedesca, MALFERRARI, Zurückweisung von Vorabentscheidungsersuchen durch den EuGH, Baden-Baden, 2003.

    [3] Sul tema della pregiudizialità, v. per tutti ZUCCONI GALLI FONSECA, Pregiudizialità e rinvio (contributo allo studio dei limiti soggettivi dell’accertamento), Bologna, 2011.

    [4] Ho utilizzato, in questo senso e con le opportune precisazioni, l’espressione “domanda pregiudiziale”, impiegata peraltro dall’art. 94 del regolamento di procedura della Corte di giustizia. V. in proposito, BIAVATI, Diritto processuale dell’Unione europea, 5° ed., Milano, 2015, p. 412 ss. La mia impostazione non è condivisa dalla maggior parte della dottrina, che, peraltro, mi pare si limiti ad uno sguardo prettamente formale del fenomeno: v. ad es. D’ALESSANDRO, op. cit., p. 17 ss. 

    Sull’art. 94 del regolamento della Corte, v. GRASSO, sub art. 94, in AMALFITANO-CONDINANZI-IANNUCCELLI, Le regole del processo dinanzi al giudice dell’Unione europea, Napoli, 2017, p. 586 ss.

    [5] Si veda la giurisprudenza inaugurata dalla Corte di giustizia con la sentenza Köbler (30settembre 2003, in causa C-224/01), su cui v. fra gli altri SCODITTI, “Francovich” presa sul serio: la responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario derivante da provvedimento giurisdizionale, in Foro it., IV, 2004, c. 4 ss.; RASIA, Il controllo della Commissione europea sull’interpretazione del diritto comunitario da parte delle corti supreme degli Stati membri, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, p. 1025 ss.; adde, si vis, BIAVATI, Inadempimento degli Stati membri al diritto comunitario per fatto del giudice supremo: alla prova la nozione europea di giudicato, in Int’l Lis, 2005, n. 2, p. 62-66.

    [6] Il tema dei limiti della ricorribilità in Cassazione delle sentenze del Consiglio di Stato è stato affrontato di recente in numerosi ed ampi contributi. Ne ricordo alcuni: ZINGALES, Pubblica amministrazione e limiti alla giurisdizione tra principi costituzionali e strumenti processuali, Milano, 2007; PANZAROLA, Il controllo della Corte di cassazione sui limiti della giurisdizione del giudice amministrativo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, p. 587 ss.; POLICE-CHIRICO, I “soli motivi inerenti alla giurisdizione” nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Il processo, 2019, p. 113 ss.

    [7] V. per tutti CARRATTA-COSTANTINO-RUFFINI, Limiti esterni e giurisdizione: il contrasto fra Sezioni Unite e Corte Costituzionale arriva alla Corte UE. Note a prima lettura di Cass. SS. UU. 18 settembre 2020, n. 19598, in www.questionegiustizia.it; M. LIPARI, Il sindacato della Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato per i soli motivi inerenti alla giurisdizione tra l’art. 111, co. 8, della Costituzione e il diritto dell’Unione Europea: la parola alla Corte di Giustizia, in www.giustiziainsieme.it.

    [8] Su cui v. per tutti TRAVI, Considerazioni sulla proposta di legge per l’istituzione del Tribunale dei conflitti, in www.questionegiustizia.it, 2019.

    [9] Le statistiche della Corte di giustizia sono agevolmente consultabili sul sito istituzionale www.curia.europa.eu.

    [10] Si veda la recente messa a punto di DEL ROSSO, Unità della giurisdizione e prosecuzione del processo. Contributo allo studio della translatio iudicii, Napoli, 2020. Fra i moltissimi contributi su questo argomento, ricordo quello di VERDE, Giurisdizione e giurisdizioni (un tema caro a Franco Cipriani), in Il giusto proc. civ., 2020, p. 17 ss.


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