GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Il dovere di astensione dei componenti dei Consigli Giudiziari. Le linee guida del CSM

    Il dovere di astensione dei componenti dei Consigli Giudiziari. Le linee guida del CSM

    di Chiara Gallo  

    Sommario: 1. L’istituto dell’astensione nei regolamenti dei consigli giudiziari - 2. L’obbligo di astensione dei consiglieri che abbiano adottato provvedimenti in valutazione. La posizione del componenti di diritto - 3. Le situazioni di potenziale conflitto di interesse - 4. Le soluzioni proposte nella delibera del CSM dell’11.3.2020 - 5. L’astensione dei componenti di diritto del Consiglio Direttivo della Corte di Cassazione - 6. Considerazioni finali.  

    1. L’istituto dell’astensione nei regolamenti dei consigli giudiziari

     Chi è stato o è tuttora componente dei consigli giudiziari si è trovato ad affrontare il tema dell’astensione dei consiglieri nei casi di pratiche in cui poteva profilarsi una situazione di conflitto di interesse.

    Se si  mettono a confronto le previsioni contenute nei regolamenti di tali organi ci si accorge che la materia dell’astensione è generalmente regolata seguendo i principi dettati dalla giurisprudenza amministrativa  in materia di conflitto di interesse dei componenti di un collegio amministrativo, ossia ritenendo sussistente un dovere di astensione nei casi in cui i componenti del consiglio giudiziario siano portatori di un interesse personale divergente da quello affidato alle cure dell’organo di cui fanno parte.  

    Il tema presenta risvolti differenti a seconda che il conflitto di interesse rilevi nelle pratiche che vedono il consigliere come soggetto personalmente destinatario degli effetti del  provvedimento rimesso all’organo di appartenenza - è il caso dei pareri per le valutazioni di professionalità o dei pareri di idoneità, delle pratiche di incompatibilità, di collocamento fuori ruolo o di autorizzazione ad incarichi extragiudiziari, di variazioni tabellari incidenti sulla posizione del singolo, quali ad esempio quelle relative ai trasferimenti interni, esoneri o riequilibrio dei carichi di lavoro - o nelle pratiche che interessano il consigliere come componente di un ufficio destinatario nel suo complesso del provvedimento in valutazione, come nel caso dei provvedimenti in materia tabellare, o, ancora, nelle pratiche relative a provvedimenti emessi da componenti del consiglio giudiziario in qualità di dirigenti degli uffici.

    Le previsioni regolamentari non forniscono soluzioni certe ed omogenee in relazione ai tre profili sopra indicati ed anzi spesso vedono una sovrapposizione di norme in materia di astensione e norme in materia di assegnazione degli affari, materia quest’ultima che risponde ad un’esigenza differente da quella di evitare situazioni di conflitto di interesse e che attiene alla tutela del principio di imparzialità dell’azione amministrativa attraverso l’adozione criteri di assegnazione trasparenti, predeterminati e tendenzialmente automatici.

    Troviamo quindi nei regolamenti norme che vietano l’assegnazione ai consiglieri di pratiche relative a loro stessi o a magistrati legati da rapporti familiari secondo le regole previste dagli artt. 18 e 19 O.G. in materia di incompatibilità o attraverso richiami alle norme in materia di astensione previste dall’art. 51 cpc, ma anche norme che vietano l’assegnazione ai consiglieri di affari che riguardano magistrati che svolgono le funzioni nello stesso settore. Nei primi casi, di regola, al divieto di assegnazione si affianca anche il divieto di partecipare alla discussione e alla deliberazione del parere.

    Nella prassi, inoltre, si assiste generalmente all’astensione dalla discussione e dalla deliberazione dei consiglieri che hanno partecipato a concorsi per incarichi direttivi o semidirettivi nelle pratiche relative ai pareri di idoneità di magistrati che hanno partecipato al medesimo concorso.

    In alcuni regolamenti si prevedono divieti di assegnazione di pratiche relative a provvedimenti che riguardano gli uffici di cui faccia parte il consigliere, quali proposte tabellari, progetti organizzativi, variazioni tabellari, provvedimenti di modifiche dei progetti organizzativi. In tali situazioni, essendo la situazione di conflitto di interesse indiretta e meramente eventuale non può tecnicamente configurarsi un obbligo di astensione. Ed infatti il divieto di assegnazione previsto dai regolamenti non è, in tali casi, seguito da previsioni di obblighi di astensione dalla discussione e dalla deliberazione del parere. In alcuni regolamenti si prevede comunque espressamente la facoltà di astensione.  

    2. L’obbligo di astensione dei consiglieri che abbiano adottato provvedimenti in valutazione. La posizione del componenti di diritto

    Quasi totalmente assente nei regolamenti è la previsione di un obbligo di astensione dei consiglieri che abbiano adottato o concorso ad adottare gli atti sottoposti alla valutazione dei consigli giudiziari, sebbene si tratti di situazioni in cui la coincidenza tra chi valuta e chi è valutato pone senza dubbio un problema di conflitto di interesse.

    Simili situazioni si verificano con grande frequenza soprattutto nei casi di provvedimenti organizzativi emessi dai membri di diritto del consiglio giudiziario, ossia il Presidente della Corte d’Appello e il Procuratore Generale, nella loro qualità di dirigenti dei rispettivi uffici. E può talvolta verificarsi anche nei casi di pratiche differenti, quali pareri di valutazioni di professionalità o pareri di idoneità nei quali i membri di diritti del consiglio giudiziario abbiano formulato i rapporti informativi previsti dalle norme di circolare.

    In assenza di specifiche norme regolamentari si profila una realtà assai variegata.

    Accade, in alcuni consigli giudiziari, che il Presidente della Corte d’Appello non partecipi alla trattazione di pratiche tabellari riguardanti il proprio ufficio in caso di osservazioni dei magistrati interessati, facendosi sostituire dal vicario, mentre in altri consigli giudiziari si registra la sistematica partecipazione dei membri di diritto alla discussione e alla votazione anche in relazione a pratiche che vedono in valutazione provvedimenti “problematici” da loro adottati in quanto dirigenti dei rispettivi uffici.

    Fino ad oggi la decisione di partecipare o meno alla trattazione di tali pratiche è stata, nella maggior parte dei casi, rimessa alla unilaterale decisione dei membri di diritto.

    In tutte le sedi di dibattito e confronto sul tema è costantemente emersa una forte resistenza da parte dei membri di diritto dei consigli giudiziari a teorizzare l’esistenza di un loro obbligo di astensione nei provvedimenti da loro adottati quali dirigenti dell’ufficio.

    Assai timide sono state le proposte e le aperture verso una regolamentazione della materia anche da parte di chi ha partecipato ai consigli giudiziari e degli esperti di ordinamento giudiziario.

    L’argomentazione più utilizzata a sostegno della tesi negativa è quella di carattere procedurale, che riguarda nello specifico i Presidenti di Corte d’Appello, e che si fonda sul contenuto delle norme in materia tabellare che attribuiscono al Presidente della Corte il potere di proposta tabellare per tutti gli uffici del distretto. Si osserva che ipotizzando un generale obbligo di astensione del Presidente in relazione a tali provvedimenti si paralizzerebbe di fatto l’attività dei consigli giudiziari escludendo la partecipazione del Presidente da una rilevante fetta di affari di competenza dell’organo, quali quelli rientranti nella la materia tabellare.

    Da parte di alcuni è stata anche negata in linea generale la sussistenza di un conflitto di interesse dei membri di diritto nella valutazione dei provvedimenti organizzativi da loro adottati attesa la loro natura e l’assenza di un interesse personale al loro esito favorevole.  

    3. Le situazioni di potenziale conflitto di interesse

    Il problema non può essere affrontato in astratto, senza tenere conto delle caratteristiche specifiche dei consigli giudiziari la cui composizione è stata disegnata dal legislatore prevedendo quali componenti necessari i due dirigenti degli uffici di secondo grado del distretto ai quali è anche affidato un potere di vigilanza sugli uffici di primo grado del medesimo distretto.

    Tale peculiare caratteristica dell’organo appare incompatibile con un generale obbligo di astensione su tutte le pratiche relative a provvedimenti emessi dai membri di diritto quali dirigenti degli uffici, ma non esclude che tale obbligo debba essere previsto nei casi in cui in concreto possa profilarsi una situazione di conflitto di interesse.

    L’esperienza concreta all’interno dei consigli giudiziari vede non di rado il profilarsi di situazioni in cui i provvedimenti adottati dai Presidenti di Corte o dei Procuratori Generali in qualità di dirigenti dei rispettivi uffici presentano profili controversi, a volte evidenziati nelle osservazioni nei magistrati dell’ufficio, altre volte rilevati dagli stessi componenti dei consigli giudiziari, che danno luogo ad ampie ed accese discussioni e che spesso richiedono lo svolgimento di attività istruttoria.

    In tali casi la partecipazione alla discussione degli autori del provvedimento crea un evidente vulnus al corretto funzionamento dell’organo e all’immagine di imparzialità della sua azione, impedendo il dispiegarsi di una dialettica scevra da condizionamenti. Ciò si verifica in modo evidente nei casi in cui l’autore del provvedimento intervenga nella discussione per controbattere alle argomentazioni proposte nelle osservazioni dei magistrati dell’ufficio, creando un paradossale “contraddittorio ad una sola voce”.

    Può inoltre accadere (ed è accaduto) che l’esercizio del diritto di voto del componente di diritto sia decisivo ai fini del parere positivo sul provvedimento o della decisione in merito all’attività istruttoria da espletarsi prima della delibera.

    In tali casi non può negarsi l’esistenza di una situazione concreta di conflitto di interesse del componente di diritto (o del consigliere dirigente dell’ufficio autore del provvedimento) in quanto portatore di un interesse personale rispetto all’esito della procedura.

    Interesse che non è solo quello generico a vedere confermata la bontà del proprio operato sotto il profilo dell’immagine pubblica di dirigente, ma è soprattutto quello specifico di evitare situazioni di potenziale criticità al momento della conferma quadriennale.

    Il Testo Unico sulla Dirigenza prevede infatti espressamente che ai fini della conferma dei dirigenti degli uffici sono oggetto di valutazione da parte del Consiglio Giudiziario e del Consiglio Superiore tutti i provvedimenti tabellari e in materia di organizzazione redatti dagli stessi avuto riguardo agli esiti della loro approvazione da parte del Consiglio Superiore.

    E’ dunque evidente l’interesse personale dei dirigenti che compongono il consiglio giudiziario ad un esito positivo delle procedure che interessano i provvedimenti organizzativi da loro adottati e di conseguenza deve ritenersi che, in tali casi, la loro partecipazione alla trattazione e alla decisione del consiglio giudiziario - che costituisce un importante tassello della procedura di approvazione - pregiudichi l’imparzialità dell’azione dell’organo.

    Analoga situazione di conflitto non si verifica invece nei casi in cui i provvedimenti provengano solo formalmente dal Presidente della Corte d’Appello e dunque siano al di fuori del perimetro valutativo della sua attività di dirigente.  

    4. Le soluzioni proposte nella delibera del CSM dell’11.3.2020

    L’intervento del Consiglio Superiore della Magistratura in materia di organizzazione dei consigli giudiziari del marzo 2020 ha consentito di stabilire alcuni importanti punti fermi in materia di astensione dei componenti di tali organi.

    La delibera n. 55 dell’11.3.2020, seguita ad un’attività di ricognizione dei regolamenti dei consigli giudiziari di tutti i distretti, è intervenuta sul tema generale dell’astensione ed ha fornito indicazioni per i casi specifici di conflitto dei componenti di diritto o dei componenti dirigenti che abbiano adottato gli atti in valutazione.

    La premessa da cui parte il Consiglio è che “pur in assenza di una normativa di settore, la giurisprudenza amministrativa ritiene pacificamente applicabili all’attività amministrativa gli istituiti dell’astensione e della ricusazione, che trovano un riconoscimento diretto nel dovere di imparzialità sancito nell’art. 97 Cost., recepito e sviluppato dalla L. n. 241/1990, dapprima nell’art. 1 e, successivamente, nell’art. 6 bis), nonché nelle norme settoriali, in particolare, negli artt. 51, co. I e II, e 52 c.p.c., che, sebbene valevoli in ambito processuale, costituiscono, comunque, espressione di principi generali”.

    Partendo da tali principi è stato osservato che il principio di imparzialità dell’azione amministrativa deve essere declinato in termini diversi dalla terzietà o neutralità che rileva nell’ambito dell’esercizio della funzione giurisdizionale, con la conseguenza che l’obbligo di astensione viene in rilevo in caso di rapporti, posizioni o situazioni che potrebbero influire sulla regolarità delle pubbliche funzioni, per un potenziale o effettivo conflitto tra l’interesse personale e l’interesse pubblico, ovvero per il pericolo di coincidenza di interessi tra il componente e le persone unite allo stesso da vincoli di parentela, affinità. In tali situazioni opera la presunzione che il componente del Consiglio Giudiziario non si determini alla decisione con la dovuta serenità.

    Sulla base di tali premesse viene auspicata l’introduzione in tutti i regolamenti di una disciplina specifica che individui i presupposti dell’obbligo di astensione sulla base dei principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa.

    Vengono fornite inoltre indicazioni sulla procedura da adottare in caso di astensione - indicazioni  generalmente non esplicitate nei regolamenti - ritenendosi preferibile la scelta di rimettere al Presidente del consiglio giudiziario la decisione sulle dichiarazioni dei componenti consiglio, per ragioni di simmetria con l’analoga competenza attribuita al dirigente dell’ufficio giudiziario in ordine alle astensioni dichiarate in ambito processuale.

    Nella delibera vengono poi prese specificamente in considerazione le situazioni di potenziale conflitto di interessi che sussistono nell’ipotesi in cui il componente abbia adottato l’atto da valutare e/o sia destinatario della decisione, tra cui quelle in cui, con frequenza, versano i componenti del consiglio giudiziario che siano titolari di incarichi direttivi, nonché i capi di Corte e, particolarmente, il Presidente del Consiglio giudiziario.

    Si premette che, poiché i regolamenti, generalmente, escludono che i capi di Corte siano relatori di pratiche, non si pone, in astratto, un problema di ‘incompatibilità’ nell’assegnazione degli affari. Nè ci sono dubbi sull’obbligo di astensione dei capi di Corte nei casi, numericamente contenuti, in cui gli stessi siano personalmente destinatari degli effetti della delibera del consiglio giudiziario (come, ad esempio, nel caso in cui chiedano l’autorizzazione allo svolgimento di un incarico extragiudiziario o debbano essere valutati), ricorrendo certamente una situazione di conflitto di interesse.

    Quanto alle ipotesi in cui in cui i dirigenti componenti dei consiglio giudiziario o i capi di Corte abbiano adottato atti oggetto di diretta valutazione da parte del consiglio, come quelli incidenti sull’organizzazione dei loro uffici, o che confluiscono nella fase endoprocedimentale di competenza del consiglio giudiziario (ad esempio quelli riguardanti le valutazioni di professionalità dei magistrati appartenenti alla Corte di Appello o alla Procura Generale) il Consiglio Superiore ritiene che non vi sia, in linea generale un obbligo di astensione, ma che tale obbligo sussista solo nelle ipotesi in cui si profili una situazione, anche solo potenziale, di conflitto di interessi come, ad esempio, nel caso in cui siano presentate osservazioni, ovvero siano poste in votazione proposte contrapposte.

    La soluzione che ad avviso del Consiglio Superiore realizza un giusto contemperamento tra l’esigenza di garantire la piena partecipazione alle attività del consiglio giudiziario e quella di evitare situazioni, reali o apparenti, di appannamento dell’imparzialità nelle decisioni, consiste nel prevedere norme regolamentari che delineino i presupposti per la configurazione di un obbligo di astensione collegati all’esistenza di un conflitto di interesse secondo lo schema che segue:

    - nelle pratiche in cui siano in valutazione atti, in specie di carattere organizzativo, da essi direttamente adottati i dirigenti o i capi di Corte hanno il dovere di astenersi;

    - nelle pratiche aventi ad oggetto atti da loro non direttamente adottati, ma rispetto ai quali hanno un potere di proposta, i dirigenti e capi di Corte non sono tenuti ad astenersi;

    - nelle altre pratiche in cui abbiano adottato un atto della fase endoprocedimentale di competenza del Consiglio giudiziario, i dirigenti e capi di Corte devono astenersi solo nel caso in cui si profili una situazione, anche solo potenziale, di conflitto di interessi.

    In sostanza il Consiglio ha ritenuto sussistente una presunzione assoluta di esistenza di conflitto di interesse nei casi di provvedimenti direttamente riferibili ai componenti di diritto o ai componenti dirigenti che sono suscettibili di valutazione nell’ambito delle procedure di conferma, e una presunzione relativa nei casi di altre pratiche, diverse da quelle oggetto di specifica valutazione per la loro conferma. E’ il caso, ad esempio, dei rapporti informativi redatti nell’ambito di procedure di valutazione di professionalità o di conferimento di incarichi direttivi o semidirettivi - dalla cui valutazione in consiglio giudiziario potrebbe discostarsi, esprimendo un parere di segno differente da quello del dirigente - che ad oggi non rientrano tra i provvedimenti previsti dal TU sulla Dirigenza tra quelli oggetto di valutazione in sede di conferma.

    Il Consiglio Superiore ha anche fornito indicazioni per la sostituzione dei membri di diritto in caso di astensione. Anche l’assenza di una specifica disciplina sulla sostituzione dei membri di diritto astenuti è, infatti, uno degli argomenti spesi a favore della generale insussistenza di un obbligo di astensione dei capi di Corte.

    La soluzione offerta dal Consiglio è aderente al dettato dell’art. 9, co. 3 ter, del D.Lgs. n. 25/2006 che prevede che, in caso di mancanza o di impedimento, “i membri di diritto del consiglio giudiziario sono sostituiti da chi ne esercita le funzioni”.

    Pertanto il membro di diritto che non possa partecipare alla trattazione di una pratica in conseguenza dell’astensione dovrà essere necessariamente sostituito dal magistrato che, in base alla normativa ordinamentale, subentra nelle attività dell’ufficio quando sussiste un suo impedimento allo svolgimento delle funzioni dirigenziali che gli sono attribuite.

    Si tratta di una soluzione idonea a preservare la funzionalità dell’organo e la regolarità della sua composizione evitando, al contempo, la partecipazione del componente portatore di un interesse personale all’esito della pratica.

    Nella delibera viene inoltre specificato che non possono ritenersi conformi all’art. 9, co. 3 ter, del D.Lvo 25/06 eventuali prassi che prevedono la partecipazione, in sostituzione dei capi di corte assenti, perché astenutisi o impediti, di magistrati appartenenti al loro ufficio, designati o delegati di volta in volta. Tale ultima indicazione, non limitata alle ipotesi di astensione, ma prevista in linea generale in caso di assenza dei membri di diritto, fornisce indicazioni di carattere generale sulle sostituzioni dei membri di diritto che, nella prassi di molti consigli giudiziari, sono state spesso gestite con delega anche a magistrati che non rivestono tabellarmente funzioni vicarie.  

    5. L’astensione dei componenti di diritto del Consiglio Direttivo della Corte di Cassazione

    Le linee guida del CSM si rivolgono espressamente ai Consigli Giudiziari e non anche al Consiglio Direttivo della Corte di Cassazione che presenta peculiarità rispetto agli altri organi di autogoverno locale, tra le quali l’assenza di un distretto di riferimento e la conseguente diretta riferibilità di tutti i provvedimenti organizzativi ai componenti di diritto dell’organo.

    Cionondimeno, i principi delineati nella delibera, dato il loro carattere generale, dovrebbero trovare applicazione, con i dovuti adattamenti, anche all’attività del Consiglio Direttivo, ad esempio attraverso previsioni, nel regolamento, di un obbligo di astensione non esteso a tutti i provvedimenti organizzativi adottati dai componenti di diritto, ma limitato a quelli di carattere problematico o oggetto di osservazioni e\o contrasti interni al consiglio.     

    6. Considerazioni finali

    Conclusivamente possiamo ritenere che le indicazioni contenute nella delibera del CSM costituiscano un importante punto di partenza per la discussione e la soluzione di problemi attuali e di forte incidenza sulla funzionalità e sulla credibilità del governo autonomo della magistratura.

    Pur non vincolando i destinatari, dotati di autonomia regolamentare, le linee guida hanno il pregio di fornire una soluzione conforme ai principi generali in materia di diritto amministrativo auspicata da molti che, nel tempo, hanno lavorato nei consigli giudiziari ed hanno toccato con mano le criticità derivanti dall’assenza di una disciplina organica in materia di astensione.

    Nei fatti la delibera di marzo 2020 è divenuta la base per una riflessione all’interno dei consigli giudiziari sulla conformità dei propri regolamenti a tali principi. Ad oggi alcuni consigli giudiziari hanno aggiornato le loro previsioni regolamentari, conformandosi alle indicazioni delle linee guida, altri hanno avviato un dibattito prima della scadenza del termine quadriennale e del rinnovo di ottobre 2020, predisponendo bozze di modifica da sottoporre come contributo al dibattito per i consiglieri neoeletti, altri ancora, invece, non hanno fino ad ora ritenuto di intervenire e di modificare le loro previsioni regolamentari.

    L’auspicio è che il dibattito prosegua alla ricerca di soluzioni sempre più aderenti al rispetto del principio di imparzialità che deve informare l’attività degli organi di autogoverno.

      

     

     

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