Bruno Capponi intervista Modestino Acone
Modestino Acone (classe 1936) è stato allievo del prof. Virgilio Andrioli. Ha concluso la sua carriera di professore ordinario di diritto processuale civile nell’Università di Napoli “Federico II” dopo aver insegnato nelle Università di Bari, Teramo e Salerno. Nella X Legislatura è stato Senatore (PSI) occupandosi delle più importanti riforme della giustizia civile: i “provvedimenti urgenti” (legge n. 353/1990) e il giudice di pace (legge n. 374/1991). È stato anche relatore della legge sul procedimento amministrativo e sostenitore del principio della risarcibilità dei danni da lesioni di interessi legittimi. Esercita da sempre la professione di Avvocato.
1. Caro Modestino, sei uno dei più “anziani” – passami il termine – allievi del prof. Virgilio Andrioli, tra i massimi processualisti dello scorso secolo. Hai anche tu l’impressione che i giovani conoscano e richiamino poco gli scritti di questo grande Maestro?
L’insegnamento di Virgilio Andrioli – al pari di quello del Suo maestro Giuseppe Chiovenda – è, a mio avviso, tuttora attuale, caratterizzato come è dalla concretezza delle soluzioni cui perviene, mai indulgenti verso costruzioni teoriche fini a se stesse. I giovani processualcivilisti che, come tu ritieni, citano poco i suoi scritti, molte volte si accorgono solo alla fine del loro indagare che Andrioli, senza strepito e con parole semplici, era pervenuto al medesimo risultato. Andrea Proto Pisani, nel suo ultimo lavoro, ha messo bene in evidenza questa straordinaria qualità del Suo insegnamento.
2. Nella X Legislatura, Ti sei impegnato in prima fila, da Senatore, a favore delle “riforme urgenti” del processo civile (oltre che del giudice di pace). Cosa ti sembra sia rimasto di quelle novità, e cosa invece ti sembra sia mancato già da allora?
La X° legislatura fu molto importante per la giustizia civile. Conferì veste legislativa ai risultati di due iniziative culturali. Quella dell’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile e quella di Magistratura Democratica. La prima rivoluzionava il processo di cognizione, con l’introduzione di un rigido sistema di preclusioni nel giudizio di cognizione di primo grado e in quello di appello, non più novum iudicium, e con l’istituzione del “giudice unico in primo grado”, pomo della discordia tra i tre valorosi autori della proposta di riforma. La seconda riscriveva l’intera tutela cautelare introducendo una disciplina uniforme valida per tutte le misure cautelari.
Solo chi, come me, è sufficientemente “anziano” può comprendere oggi quanto siano state rivoluzionarie queste elaborazioni culturali della dottrina e della magistratura per rendere al cittadino una giustizia più efficiente. Mi toccò il solo compito di “assemblarle” e sono orgoglioso di avere contribuito a farle divenire leggi dello Stato, nonostante la caparbia ed ingiustificabile opposizione degli avvocati, miopemente conservatori, che ne fecero ritardare, per ben cinque anni, l’entrata in vigore.
3. La questione della magistratura onoraria sta esplodendo. Qualche anno fa, hai presieduto una commissione ministeriale che ha prodotto un testo che non ha poi avuto seguito. Come pensi possa essere risolto il problema dell’inquadramento degli onorari e della loro convivenza con i magistrati togati?
La X legislatura fu importante anche sul versante dell’ordinamento giudiziario perché introdusse una nuova figura di giudice onorario – il giudice di pace –, ostinatamente ostacolato, anche questa volta, dall’avvocatura che, ricordo, indisse uno sciopero di ben sei mesi, ritardando, senza alcuna reale giustificazione, l’entrata in vigore della riforma, non considerando che, ad un asfittico “conciliatore”, che oramai amministrava la giustizia per uno sparuto numero di controversie, veniva contrapposta la figura di un nuovo giudice onorario, cui si attribuiva una significativa competenza, oltre che per valore, per materia. Mi toccò anche per il “giudice di pace” il compito di condurre al traguardo quanto la scienza giuridica aveva elaborato. Oggi il giudice di pace decide oltre il 30% delle controversie civili!! E gli avvocati non storcono più il naso; anzi affollano le aule di questo giudice tanto da loro contrastato.
Ti ringrazio per il ricordo del lavoro della Commissione Ministeriale che ebbi l’onore di presiedere. Il lavoro si concretizzò in un testo che, come tu hai detto, non ha avuto alcun seguito; è rimasto abbandonato, sotto una pila di inutili carte, in qualche scaffale degli uffici del Ministero. Il lavoro della Commissione fu continuamente turbato da questioni sindacali o parasindacali, pretendendosi da taluni dei componenti la Commissione la collocazione dei giudici di pace nello status, se non giuridico, perché impedito dalla norma costituzionale, in quello previdenziale dei giudici nominati per concorso; come si sa la legge prevedeva, invece, la retribuzione a cottimo in base al numero delle decisioni.
Nonostante il tempo trascorso le posizioni contrapposte sono pressappoco le stesse.
4. Avremmo bisogno di una Corte Suprema che pronuncia principi di diritto effettivamente vincolanti? E, nella situazione attuale, che vincolo vedi possa nascere dalle altalenanti giurisprudenze della Corte?
È impossibile che una Corte di legittimità, che pronunzia ogni anno più di trentamila decisioni – tra sentenze ed ordinanze –, possa assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge (art.65, 1 comma, ord. giud.).
La selezione all’ingresso dei ricorsi non è stata in grado di evitare che non vengano segnalati casi di identità di questioni. Sono sotto gli occhi di tutti i contrasti, presenti anche tra le decisioni delle sezioni unite.
Insomma, se i ricorsi sono tanti, è impossibile pretendere l’uniformità delle decisioni e, di conseguenza, principi di diritto effettivamente vincolanti.
5. Si ha quasi l’impressione che la Corte di cassazione abbia litigato col diritto processuale civile: che ne pensi delle nullità processuali e dello “specifico pregiudizio” che la parte, che ha interesse a denunziarle, dovrebbe dimostrare?
Dici bene che si tratta di un vero e proprio litigio con il diritto processuale civile. Se la nullità esiste in iure, va dichiarata. Altrimenti ci affidiamo a valutazioni che possono essere del tutto arbitrarie. E tanto basta per essere scettici.
6. Si parla poco, se non tra gli addetti ai lavori, dei danni che il Coronavirus ha arrecato all’amministrazione della giustizia civile. Cosa pensi al riguardo? Come vedi le udienze da remoto e le cartolari? È diritto emergenziale, o resterà qualcosa anche in futuro?
Il Coronavirus ha soltanto accertato una situazione già divenuta irreversibile. Del resto il progresso tecnologico ha invaso, da tempo, non soltanto gli uffici giudiziari e gli studi professionali, quanto, soprattutto, l’intera vita delle persone. Non si tornerà indietro anche dopo la pandemia ed è un bene per tutti. Gli avvocati si sono consapevolmente accorti solo adesso della rivoluzione già avvenuta.
Sotto questo aspetto la riforma del 1990, eliminando le udienze di mero rinvio ed introducendo le memorie ex 183 c.p.c., ha previsto lo svolgimento di gran parte del processo di cognizione fuori della presenza in udienza, facendo salve, in sostanza, le sole udienze di assunzione delle prove.
Agli studiosi del processo civile compete il compito di spiegare in che modo l’ “oralità”, la “concentrazione” e l’ “immediatezza” di chiovendiana memoria sono presenti nel contesto del processo tecnologico, senza mettere in pericolo il principio di fondo che il processo “deve attribuire all’attore che ha ragione tutto quello e proprio quello che ha diritto di ottenere”. Sono convinto che il processo telematico è perfettamente compatibile con questi principi.
7. Hai da sempre esercitato la professione forense, e anche se ti piace scherzare su te stesso definendoti “avvocato di provincia”, pochi possono dire di avere la tua esperienza dei giudizi civili. Guardando a ritroso nella tua professione, quali considerazioni ti suggerisce la situazione attuale?
Caro Bruno, sono l’ultimo dei discepoli di un Maestro che non esitava a difendere le cause anche in pretura. Del resto sai meglio di me che per una questione controversa la difficoltà non si misura sul valore economico della stessa. L’esperienza del c.d. “avvocato di provincia” non è di importanza inferiore rispetto a quella di qualsiasi altro avvocato, come è testimoniato dai numerosi casi concreti che approdano in Cassazione.
Mi chiedi quali considerazioni la situazione attuale suggerisce.
Ebbene, ti dirò schiettamente quello che penso. Abbiamo consentito che non vi fosse un serio sbarramento per il conseguimento dei titoli necessari per essere abilitati all’esercizio della professione forense, favorendo indirettamente l’esplosione del numero delle controversie. Ma non è solo questo il motivo che ha condotto alla situazione attuale. Si è privilegiata esclusivamente la soluzione delle controversie per decisione del giudice. Non si è curata, invece, quella che in altri Paesi è la soluzione a cui si tende prioritariamente: la conciliazione della lite.
Tutti i tentativi del legislatore si sono rivelati vani perché la cultura della conciliazione deve soprattutto albergare nei difensori delle parti, prima ancora che nelle parti stesse. Si tratta, a mio avviso, di un problema culturale e morale che investe il fondamento stesso della professione di avvocato.
Siamo perciò giunti al punto che la Comunità Europea, visti vani gli ammonimenti delle Corti di Giustizia e considerata, nonostante gli interventi legislativi in tema di definizione alternativa delle controversie, “catastrofica” la condizione della giustizia civile in Italia (che, peraltro, incide su una non insignificante porzione del pil), ha condizionato l’erogazione di una notevole quota del recovery fund all’efficacia ed alla sostenibilità della “riforma” della giustizia civile.
8. Secondo Te, chi studia il processo civile può non conoscere la dimensione pratica del processo?
A domanda categorica rispondo altrettanto categoricamente: no, il processo è (anche) tecnica. Se non la si conosce, è impossibile praticarlo.
9. Secondo Te, che caratteristiche dovrebbe avere chi, ora, si vuole impegnare nello studio del diritto processuale civile?
Domanda difficilissima. Il profilo del processualcivilista moderno è quello di chi, oltre alla materia processuale, non può prescindere da una conoscenza ulteriore imposta anche dall’accresciuto numero dei diritti giustiziabili. La specializzazione diviene una vera e propria necessità.
10. Per concludere: cosa pensi si dovrebbe fare per migliorare l’attuale situazione? La tutela civile dei diritti ti sembra una realtà, o un’aspirazione che tende a entrare nel mito?
Abbiamo esaurito tutti gli escamotages per ridurre la durata delle controversie civili che è poi il primo ostacolo da superare per realizzare una giustizia “giusta”. Non conosco cosa proporrà il nostro governo alla Comunità Europea e rabbrividisco al solo pensiero che possa trattarsi dell’ennesima “variazione sul tema”.
Se l’Italia vuole incidere sull’attuale realtà, deve agire su vari fronti introducendo: a) un esame rigoroso per l’ammissione al corso di laurea in giurisprudenza; b) un esame, altrettanto rigoroso, per l’ammissione al patrocinio; c) il rafforzamento della conciliazione obbligatoria; d) l’ulteriore ampliamento della competenza dei giudici di pace.
Aggiungi, caro Bruno, una seria riforma delle circoscrizioni giudiziarie - riforma di difficile attuazione, sino ad ora ostacolata dagli interessi dei potentes locali -, con l’accentramento dei tribunali nei capoluoghi di provincia, visto che il nostro Paese è fornito ormai di un sistema articolato e moderno di strade e di mezzi di comunicazione e tenuto conto che si va verso un processo sempre più affidato, nel suo svolgimento, alle comunicazioni telematiche sia delle parti che del giudice.
Tutto questo potrà non bastare nell’immediato, ma in un tempo che non oso stabilire consentirà di allineare l’Italia agli altri Paesi della Comunità Europea.