Gli effetti della pandemia su diseguglianza e crescita economica
Intervista di Franco Caroleo a Giuseppe Arbia
Giuseppe Arbia (professore di Statistica economica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma) nel 2016 ha scritto un saggio intitolato “Diseguaglianza, redistribuzione e crescita”, in cui ha trattato la questione della diseguaglianza nella distribuzione dei redditi e il suo rapporto con la crescita economica.
Il tema è tornato di estrema attualità ora che la pandemia sembra aprire nuovi scenari di diseguaglianza economica, tutti ancora da decifrare.
Seguendo un approccio empirico-induttivo, basato il più possibile su dati obiettivi, l’intervista ripercorre gli effetti economici della pandemia e in particolare le sue conseguenze negative sulla diseguaglianza dei redditi e sulla crescita economica.
Quali potrebbero essere le misure da adottare per contenerne gli effetti negativi?
Professore, quali sono gli effetti economici più rilevanti provocati dalla pandemia e dalle misure di contenimento adottate nei diversi paesi? Che tipo di dati abbiamo a disposizione attualmente e come vanno esaminati?
L’esplosione dell’epidemia del virus Sar-Cov-2 ha procurato un immediato danno all’economia e sollevato importanti preoccupazioni relative all’impatto economico nel medio e lungo periodo. Sull’argomento non c’è concordanza di opinioni. A me piace fondare le mie osservazioni su elementi obiettivi e, purtroppo, i dati empirici affidabili sui quali fondare conclusioni rigorose non sono molti. Parlando del nostro paese, tuttavia, è proprio di qualche giorno fa un interessante rapporto dell’Ufficio Studi dell’Unioncamere (https://www.lavoce.info/archives/71202/nuove-imprese-chiuse-dalla-pandemia/), basato sui dati mensili relativi alle iscrizioni e le cancellazioni dal registro delle imprese delle Camere di Commercio, il quale ci può fornire un’idea abbastanza precisa dell’impatto che sta avendo la pandemia sul processo di nascita e morte delle imprese. Dai dati presentati nel rapporto si evince come nel primo trimestre del 2020 (mesi nei quali la pandemia ha iniziato a diffondersi) il numero delle iscrizioni abbia registrato un picco negativo col valore minimo nel mese di Aprile (con un -65,5 % rispetto all’Aprile del 2019). Tale calo persiste anche nel secondo trimestre (quando il tendenziale delle iscrizioni scede a -37,1 % rispetto all’anno precedente), per poi tornare ai livelli degli anni precedenti nel terzo trimestre quando la situazione dell’epidemia sembrava tornata sotto controllo (vedi la Figura 1). Questi dati quantificano un aspetto importante della crescita economica mostrando un indicatore che sembra reagire molto rapidamente agli stimoli negativi. Il valore minimo, invero, corrisponde al mese di Aprile proprio quando si era al picco dell’epidemia (raggiunto il 19 Aprile), ma anche nel lockdown più rigido (che si protrasse fino al 4 Maggio). Resta quindi aperta la questione se queste performances negative debbano essere ascritte interamente all’epidemia in sè, come sostengono alcuni, o se, invece, le misure di lockdown che si sono rese nessarie per fare fronte alla stessa ne abbiamo accentuato le dinamiche come sostengono altri. E su questo che si incentra il dibattito di chi si esprime a sostegno delle misure di contenimento e chi, temendo dure ripercussioni sulle imprese, ne invoca al contrario un alleggerimento.
Fig. 1
Figura 1: “Iscrizioni totali” e “Cessazioni non di ufficio” registrate Dalle Camere di Commercio in Italia da Gennaio 2019 a Ottobre 2020. Fonte: Rinaldi A. (2020) Nuove imprese “chiuse” dalla pandemia, La voce.info, 9 dicembre 2020.
Le chiusure via via disposte in questo periodo possono portare ad un beneficio economico sul lungo periodo? O ha ragione chi sostiene che queste chiusure non fanno che accentuare la crisi in atto?
Questa sua domanda mi permette di chiarire un aspetto ulteriore rispetto a quanto detto precedentemente. A fronte di un evidente calo dell’attività economica, non è facile distinguere in questi mesi drammatici quanto esso sia dovuto all’epidemia in sé ed ai costi economici (oltre che umani!) ad essa connessi, e quanto, invece, vada ad aggiungersi ad essa come effetto di misure di contenimento giudicate da taluni eccessive e non giustificate. Nelle settimane precedenti alla decisione di imporre un nuovo blocco totale durante le feste natalizie, si è in effetti assistito a dure proteste da parte di produttori ed esercenti i quali chiedevano maggiore libertà di azione vedendo in pericolo la propria attività.
Mentre è difficile dare una risposta conclusiva a riguardo, una possibilità è quella di guardare al passato ed esaminare gli effetti economici degli interventi di contenimento durante la grande pandemia influenzale del 1918. In effetti, sotto numerosi aspetti, vi sono evidenti analogie con la situazione attuale: gli interventi restrittivi attuati nel 1918, sebbene meno estensivi, somigliano infatti, alle misure usate per ridurre l’attuale diffusione del COVID-19 (chiusura di scuole, teatri e chiese, divieto di assembramenti, quarantena per i casi sospetti e riduzione delle ore lavorative). Un recente lavoro condotto da studiosi dell’MIT di Boston e della Federal Reserve [1] ha confrontato le performances economiche di due gruppi di città statunitensi sottoposti a due diversi regimi di lockdown negli anni di diffusione della influenza spagnola: molto severo il primo, più lasco il secondo in ragione dei differenti modi di fronteggiare l’epidemia da parte dei diversi governi locali negli Stati Uniti.
Significativo il titolo stesso del lavoro: «Le pandemie deprimono l’economia, non gli interventi di sanità pubblica».
L’esame dei dati empirici dell’epoca mostrano, in effetti, come gli interventi finalizzati a contenere la pandemia non siano stati in contrasto con le esigenze economiche. Nel breve periodo, infatti, i danni alle attività furono simili nelle città con lockdown severo ed in quelle con lockdown meno severo. Le informazioni storiche disponibili relative ai danni subiti dalle aziende indicano che le città che hanno appiattito la curva dei contagi con lockdown drastici non hanno subito maggiori danni nelle attività locali. Ma ancora più sorprendentemente lo studio mostra come nel medio periodo le città con misure di contenimento più severe crebbero addirittura più velocemente delle altre. Mentre è evidente come non si possano estendere tout court questi risultati all’epidemia in corso (data anche la diversa incidenza della influenza spagnola sulle classi di età lavorative) tuttavia i risultati evidenziano come non sia possibile una conclusione scontata sulla relazione tra contenimento della trasmissione e danni all’economia. Limitare maggiormente le attività oggi potrebbe addirittura condurre ad un’uscita più rapida e efficace dall’emergenza limitando innanzitutto le perdite umane e limitando nel tempo i costi connessi con la gestione sanitaria costituendo in tal modo un trampolino di lancio per la successiva ripartenza. E’ in fondo quanto ci ha mostrato in questi mesi, ad esempio, la Cina, la quale, pur avendo imposto restrizioni anche molto dure, sembra essersi già rilanciata dal punto di vista economico.
Si può già scorgere un’incidenza anche in termini di diseguaglianze economiche? Se sì, quali sono i soggetti più colpiti? Si intravede un nuovo divario o si allargano i divari pre-esistenti?
La ripresa ci sarà e sarà ingente, ma purtroppo è facile prevedere che quando essa finalmente arriverà le diseguaglianze economiche nel nostro paese (ed anche tra paesi) si saranno acuite.
Nuovi divari tra le imprese e gli individui si manifesteranno. Infatti, alcune imprese trarranno un immediato beneficio dalla situazione attuale (ad esempio quelle del comparto delle tecnologie della informazione o quelle del mercato delle consegne a domicilio), altre sono già state e ancor più saranno in grado di trasformarsi rapidamente per adattarsi al nuovo scenario economico che va formandosi e quindi capaci di cogliere le nuove opportunità che esso offrirà. Altre, infine, non saranno nella condizione di reinventarsi nel breve periodo e già oggi sono in sofferenza. Il punto è dunque accompagnare con misure adeguate chi è in difficoltà ora, e che potrebbe perdersi lungo la strada, per aiutarlo a farsi trovare pronto alla ripresa.
Va sottolineato come ciò sia non solo necessario per un’ovvia solidarietà verso chi è maggiormente in difficoltà, ma anche per prepararsi al meglio come sistema economico alla fase di ripresa che verrà.
In effetti, la relazione tra diseguaglianza e crescita è molto complessa. Ad essa ho dedicato alcuni anni fa un saggio esaminando varie evidenze empiriche a riguardo [2]. I dati empirici, in effetti, mostrano come elevati livelli di crescita del reddito siano spesso associati ad una diseguaglianza elevata. Questa evidenza empirica porta taluni ad affermare che un’elevata diseguaglianza non sia incompatibile con la crescita economica. Invece, questa interpretazione è errata: non si può pensare che le due grandezze possano convivere a lungo in quanto il meccanismo di causa-effetto è proprio di segno opposto. Un’elevata diseguaglianza tende (per varie ragioni che sarebbe troppo lungo discutere in questa sede) a rallentare la crescita e, in assenza di adeguati interventi redistributivi, può innestare una spirale la quale può condurre all’implosione del sistema economico.
Se l’allargamento delle diseguaglianze costituisce un fattore che frena l’economia, cosa ci aspetta al termine della pandemia? Un percorso di riduzione delle disuguaglianze da dove dovrebbe partire?
Innanzitutto, va premesso che trattando di diseguaglianza economica, come per una malattia, è meglio prevenire che curare. Il nostro paese già da anni sta sperimentando una crescita della diseguaglianza economica il cui indice dal 2000 ad oggi è cresciuto da 29 a 33.4[3]. Occorrerebbe dunque mettere in atto da subito provvedimenti che contrastino tale aumento, il quale inevitabilmente sarà esacerbato dalla pandemia, attraverso sostegni economici alle attività in crisi. Le risorse ad oggi non ci mancano dato il cospicuo contributo fornito dall’Unione Europea. Tali interventi di sostegno dovrebbero essere però mirati a quelle attività economiche che maggiormente stanno soffrendo delle conseguenze negative della pandemia. Al fine di graduare in modo razionale gli interventi, occorrerà quindi trovare numeri ed evidenze oggettive per l’individuazione dei settori economici maggiormente colpiti, quali ad esempio i dati sulle iscrizioni e le cancellazioni dal registro delle imprese delle Camere di Commercio di cui parlavo prima. Tali interventi, per quanto possibile, dovrebbero essere erogati non a fondo perduto, ma, al contrario, essere utilizzati per aiutare la necessaria riconversione delle attività in ragione del nuovo scenario economico che si formerà al termine dell’emergenza. Ciò premesso, le misure per contrastare gli effetti negativi sulla crescita dovuti all’inevitabile accresciuta diseguaglianza economica che osserveremo al termine della pandemia nel nostro paese sono note, purché si sia disposti ad attenderne con pazienza gli effetti. Esse potrebbero riguardare, ad esempio, una maggiore progressività delle imposte (che ad oggi si arrestano alla soglia massima dei 75000 euro) prevedendo ulteriori scaglioni di reddito oltre quelli attuali con aliquote crescenti il cui gettito andrebbe a consentire una contemporanea revisione verso il basso delle aliquote inferiori. Inoltre, si potrebbe introdurre una progressività anche nell’imposta di successione attualmente caratterizzata da aliquote molto basse e non progressivamente legate all’ammontare del patrimonio ereditario come avviene invece in molti paesi come, ad esempio, negli Stati Uniti, in Olanda, in Germania, in Francia, in Spagna e nel Regno Unito per nominarne solo alcuni. Contrariamente all’imposta sul reddito da lavoro e sul reddito da capitale, tra l’altro, l’imposta di successione implicherebbe un incremento del gettito senza rischiare di introdurre effetti negativi né sui consumi né sugli investimenti. Il gettito addizionale derivante dall’introduzione di una maggiore progressività nell’imposta sui redditi e sulle successioni potrebbe essere utilizzato in parte, come detto, per la riduzione delle aliquote dell’imposta sui redditi più bassi, ed in parte per l’incremento dell’investimento pubblico soprattutto in capitale umano e ricerca scientifica i quali, rappresentano i due motori principali della crescita. Tali misure, sarebbero di sicuro beneficio per l’economia, contrastando al tempo stesso l’accresciuta diseguaglianza che ne frenerebbe la crescita. Come abbiamo già detto, non è solo per una solidarietà sociale che tali interventi dovranno essere predisposti al fine di sostenere gli individui ed i settori maggiormente colpiti dalla pandemia, ma anche per un sostegno alla crescita nel medio-lungo periodo della quale beneficerebbero tutti, anche quei settori meno penalizzati dalla attuale emergenza sanitaria.
[1] Sergio Correia, Stephan Luck, and Emil Verner. Pandemics Depress the Economy, Public Health Interventions Do Not: Evidence from the 1918. June 5, 2020
[2] Arbia, G. (2016) Diseguaglianza redistribuzione e crescita, Le Nuove Bussole, Vita e Pensiero
[3] Si fa qui riverimento all’indice di diseguaglianza di Gini. Si veda Arbia, G. (2016) op. cit.