I tribunali d'Italia
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Reggio Calabria. Tribunale di un’altra Italia

Reggio Calabria. Tribunale di un’altra Italia

di Federica Brugnara, Stefania Ciervo, Andreina Mazzariello.

Sommario: 1.La carica dei 19.- 2.Tre Giudici da tre città diverse: motivazioni ed aspettative. 3.Il Tribunale di Reggio Calabria.

1.La carica dei 19

Era il 7 febbraio 2017 quando in 19, sui 311 M.O.T. vincitori dell’ultimo concorso, scegliemmo i posti che erano stati riservati al Tribunale di Reggio Calabria alla luce dell’ampliamento della pianta organica appena intervenuto.

Eravamo perlopiù sconosciuti l’uno all’altro e di origini molto diverse, seppur la parte preponderante fosse napoletana. I tre posti di P.M. sono stati scelti da una pugliese, un napoletano e un siciliano; alla sezione del dibattimento sono invece giunti tre giudici campani, un siciliano, due calabresi, una trentina e una veneta; la sezione del riesame è stata coperta da cinque ragazzi di origine campana e, infine, la sezione civile da due ragazze campane e una romana.

Le premesse per creare un gruppo coeso e per condividere tutte le esperienze che ci attendevano (“nella buona e nella cattiva sorte”, finché trasferimento non ci separi!) erano già insite nella scelta del nome del gruppo whatsapp che ci avrebbe poi rappresentato e unito: “Reggio dal bel panorama”. Era evidente che tutti noi eravamo animati da pensieri positivi ed aspettative elevate. Che D’Annunzio avesse realmente detto, come alcuni studiosi sostengono, che il lungomare di Reggio Calabria è “il più bel chilometro d’Italia” poco importava, per noi lo sarebbe certamente diventato.

2.Tre Giudici da tre città diverse: motivazioni ed aspettative.

A Reggio Calabria…..dal Tribunale di Trento

Avevo vinto anche il concorso speciale riservato alla Provincia Autonoma di Bolzano e il tribunale di Bolzano risultava appetibile per vari motivi: mi avrebbe consentito di vivere in una realtà vicino a casa, di abitare in una città ricca di servizi e sempre ai primi posti nelle classifiche relative alla qualità della vita, di svolgere la professione di magistrato in un contesto particolare come quello bilingue, caratterizzato anche dalla complessità scaturita dalle vicende storiche di quella provincia.

Eppure sentivo la necessità di allontanarmi dai luoghi in cui ero cresciuta e di immergermi in una esperienza nuova e stimolante e arricchente sul piano professionale.

Per questo, al momento della scelta, dopo aver espresso l’opzione per il concorso ordinario, tra le varie alternative, quella di Reggio Calabria risaltava ai miei occhi con particolare luce.

Era innanzitutto la realtà più lontana da quella in cui avevo vissuto, sia dal punto di vista chilometrico, sia da quello culturale, paesaggistico e climatico.

Proprio la palese diversità rispetto a ciò a cui ero abituata rendeva Reggio Calabria carica di forza attrattiva. Io che ero sempre stata chiusa dalla imponenza delle montagne, dalle vette avvolgenti, protettive e allo stesso tempo impervie, guardavo con estrema fascinazione l’apertura del mare e l’imprevedibilità dei suoi movimenti. Peraltro, come avrei scoperto solo dopo la mia prima visita a Reggio Calabria (fatta - con un po’ di incoscienza - solo dopo averla scelta come sede) la Calabria è anche ricca di paesaggi montani ed aspri, come suggerisce icasticamente l’Aspromonte.

E poi sapevo che, nonostante la lontananza e le difficoltà che immaginavo avrei vissuto (nostalgia di casa, carico di lavoro, complessità dei processi, realtà sociale lontana dalla mia), avrei potuto contare sulla presenza di tanti colleghi giovani come me.

Era poi l’occasione per cimentarmi con processi impegnativi e per affrontare nuove questioni processuali. Venendo da una realtà giudiziaria più piccola, quale quella di Trento, dove avevo svolto il tirocinio, non avevo mai avuto l’occasione di imbattermi in un maxi processo né ero mai entrata in contatto con un fenomeno così pervicace come quello mafioso.

In ultima analisi la realtà sociale e processuale di Reggio Calabria mi induceva a ritenere che la tutela della legalità fosse maggiormente avvertita e che il ruolo del magistrato dovesse certamente essere più attivo e dinamico.

…e dal Tribunale di Milano.

La sera in cui sono uscite le sedi, io e la mia migliore amica abbiamo studiato fino a notte, davanti a una buona bottiglia di vino, quale avrebbe potuto essere il nostro futuro, nella consapevolezza che avremmo deciso in base alla funzione: lei pubblico ministero ed io giudice penale.

Reggio Calabria è stata fin da subito la mia seconda scelta: un Tribunale distrettuale, con un numero impressionante di posti per giudicante (la maggior parte destinati al penale) e un’esperienza che mi si presentava fin da subito elettrizzante.

Come dicevo, all’inizio si trattava di una seconda scelta, perché i contra non erano di poco conto: è una città molto lontana geograficamente e culturalmente da quelle in cui avevo vissuto (Pavia e Milano) e mal collegata; ero quindi consapevole che mi avrebbe richiesto un forte atto di coraggio.

La curiosità mi aveva spinto a visitare Reggio Calabria prima della scelta: la città in sé non mi era dispiaciuta, il lungomare offriva una vista suggestiva, ma il Tribunale (soprattutto se comparato a quello milanese dove avevo svolto il tirocinio) mi aveva impressionata: una struttura interna fatiscente, cumuli di fascicoli impilati a terra per interi corridoi, volti di giovani colleghi in cui si intravedevano un lontano entusiasmo e i segni di una stanchezza infinita.  A questo quadro si aggiungevano i consigli di colleghi più anziani, smentiti da poche voci fuori dal coro, che mi dicevano: “vai ovunque ma non in Calabria”.

Eppure, più ci pensavo e più mi sentivo affascinata e motivata dall’opportunità di dare il mio piccolo contributo in una terra di frontiera e di lotta contro la criminalità organizzata. Ho pensato che il lavoro non mi spaventava e che anzi, idealmente, valeva tutto il sacrificio che avrebbe comportato per la mia vita; ho creduto che con il nostro arrivo le cose sarebbero cambiate, che avremmo dato un po’ di respiro ad una sede sofferente e in forte carenza di organico e che nei nostri volti sarebbe rimasto solo il grande entusiasmo di partenza. Così, complice un po’ il destino che ha completamente eliminato la possibilità di raggiungere la sede nordica prescelta, sono arrivata a Reggio Calabria con un furgoncino e un po’ di parenti al seguito. Ero felice ed emozionata, ma decisamente ingenua.

… e dal Tribunale di Napoli.

La scelta di iniziare il mio percorso professionale come giudice del Tribunale di Reggio Calabria giunge all’esito di quello che si può definire un vero e proprio turismo giudiziario: nella settimana che ha preceduto il giorno della fatidica “scelta della sede” all’hotel Ergife a Roma insieme ad alcuni colleghi, oltre che amici con cui ho condiviso anni di studi, abbiamo intrapreso un viaggio on the road tra i tribunali che avrebbero potuto essere le nostre possibili alternative, per cui, in pochi giorni e con l’entusiasmo di chi sta per realizzare un sogno, abbiamo attraversato l’Italia partendo da Napoli (la nostra sede d’origine) arrivando a Milano per poi proseguire verso Varese, passando per Brescia per poi arrivare a Vicenza, a Verona e infine a Reggio Calabria.

Era tutto perfettamente in ordine nei Tribunali efficientissimi del Nord, i Presidenti ci parlavano di statistiche e di obiettivi da raggiungere al fine di garantire una celere risposta di giustizia all’utenza; il tutto in un clima rigorosamente istituzionale.

Giunti a Reggio Calabria la prima cosa che mi ha colpito, e che si poneva in netto contrasto con le altre realtà giudiziarie (anche quella di provenienza), è stata la dimensione ridotta degli spazi e dell’organico: la sezione del dibattimento penale (quella a cui io sarei stata destinata) si componeva di soli sei giudici che si dividevano le uniche quattro stanze dislocate lungo il piccolo corridoio  del quinto piano del palazzo, che è quello dedicato al settore penale; la sezione del riesame (un vero e proprio “pronto soccorso” in un Tribunale distrettuale che, come quello di Reggio Calabria,  ha giurisdizione in un territorio di frontiera in termini di criminalità organizzata),  invece, contava ben quattro giudici, tutti di prima nomina. 

Il disorientamento iniziale ha, però, rapidamente lasciato il posto al senso di ammirazione nei confronti di quei colleghi che, pur nelle quotidiane difficoltà derivanti dalle evidenti inadeguatezze di risorse, prima umane e poi logistiche, lavoravano tutti uniti per uno scopo comune: cercare di far funzionare al meglio una non ben oleata macchina della giustizia. È ciò in un territorio che per le peculiarità socio-culturali che lo contraddistinguono aveva, ed ha, bisogno di giustizia.

È stato quello il momento in cui, pur non facendovi ancora parte, mi sono sentita coinvolta in un progetto che reputavo nobile e in cui già credevo; è stato quello il momento in cui ho pensato che il giuramento prestato qualche mese prima di “adempiere ai doveri del mio Ufficio...per il pubblico bene”, in quel posto avrebbe assunto un significato maggiore.  

Devono aver pensato lo stesso anche i miei amici. Sì, perché anche loro, pur potendo indirizzarsi verso Tribunali “meno impegnativi”, hanno fatto la mia stessa scelta, regalandomi il privilegio di affrontare con chi già avevo condiviso un impegnativo percorso di studi, un’altra sfida: quella di diventare giudici insieme, e di diventarlo in una delle realtà giuridiche più difficili del nostro paese.  

3. Il Tribunale di Reggio Calabria

L’arrivo a Reggio Calabria non poteva che avere su di noi un impatto forte ma entusiasmante sia dal punto di vista lavorativo che umano: fra noi colleghi si sono presto instaurati rapporti unici. Dopo i primi tempi, tutto sommato quasi spensierati, ci siamo resi conto di cosa volesse dire lavorare in un tribunale di frontiera, con poco personale amministrativo e con un numero di magistrati insufficiente rispetto al carico di lavoro. 

Dal momento della immissione in possesso a quello attuale sono trascorsi più di due anni e abbiamo dunque potuto vivere concretamente e con maggiore consapevolezza la realtà sociale e giudiziaria reggina.

Il tribunale si trova ai margini del centro cittadino di Reggio Calabria, ospitato in una struttura di proprietà del Comune, che ha nel tempo dimostrato la sua inadeguatezza, sia in termini di spazi che di limiti strutturali.

Con riferimento alla sezione del dibattimento, l’anno 2018 ha registrato 8.056 pendenze, mentre l’anno 2019 ne ha registrate sin qui 8.618. Numeri davvero impegnativi che scoraggerebbero chiunque.

A ciò si aggiunga che la sezione, ad eccezione della Presidente, è composta pressoché interamente da colleghi giovani (8 magistrati del concorso D.M. 18 gennaio 2016), oltre che da un magistrato con la seconda valutazione di professionalità. Da circa un anno la sezione si è giovata dell’esperienza di un magistrato con la quinta valutazione di cui tuttavia si è già deliberato il trasferimento ad altra sede.

Abbiamo dovuto far fronte non solo alle molte lacune ed inefficienze della città reggina a livello di servizi (sanitari, di trasporto, di infrastrutture ecc.), ma anche al carico di lavoro effettivamente molto pesante, complice anche il numero e la durata delle udienze. Ciascun magistrato della sezione si è trovato infatti a dover affrontare dalle dieci alle sedici udienze mensili, cui si sommano sistematicamente udienze straordinarie, tutte protratte fino a tarda sera (anche oltre le 22).  

Ed invero la sede di Reggio Calabria, come altre sedi meridionali, sconta non solo le costanti scoperture, ma anche l’elevata mobilità dei magistrati che si trasferiscono verso altre sedi giudiziarie dopo essersi legittimati. Spesso poi per i giovani magistrati si apre la temuta “botola” della Sezione GIP/GUP del Tribunale, atteso il possibile (e probabile) trasferimento d’ufficio, non appena maturato il requisito dei due anni di esercizio delle funzioni al dibattimento penale.

Il trasferimento ravvicinato e ripetuto dei magistrati, cui va aggiunta la scopertura parziale dell’organico, ha necessariamente comportato l’adozione di soluzioni organizzative improntate sempre all’emergenza, tese ad assicurare la definizione con priorità di numerosi processi di criminalità organizzata con imputati in custodia cautelare (attualmente 40) a discapito dei processi collegiali c.d. ordinari e di competenza del giudice monocratico (di cui 27 con imputati in misura cautelare custodiale).

La regressione dell’attività processuale a causa della perdita dell’istruzione probatoria per la necessaria rinnovazione degli atti per cambiamento del magistrato ha inoltre determinato che, considerato il periodo dal 2014 al 2019, il 32 % dei processi monocratici e il 13 % dei processi collegiali si sia concluso con una sentenza di non doversi procedere a causa dell’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

La realtà di Reggio Calabria è poi singolare anche per la celebrazione di processi non solo impegnativi, ma altresì caratterizzati da una istruttoria dibattimentale particolarmente gravosa. In particolare, si sta ora celebrando un maxi processo collegiale presieduto dalla Presidente di sezione, che ha avuto un forte richiamo mediatico a livello regionale e che prevede una quantità esorbitante di prove da acquisire (275 testimoni solo nella lista del P.M. e circa 10.000 intercettazioni in fase di trascrizione).

La maggior parte dei rimanenti processi di competenza collegiale, compresi anche i restanti maxiprocessi DDA (attualmente 21), è stata così affidata quasi interamente a collegi presieduti e composti da colleghi giovani del nostro concorso.

Reggio Calabria è impegnativa non solo per il clima giudiziario che si respira, bensì anche per la presenza di un ambiente sotterraneo difficile da comprendere e da interpretare. Risulta infatti complicato e delicato trovare il giusto equilibrio fra il mantenere un atteggiamento prudente nei confronti dell’esterno, alla luce delle conoscenze acquisite nei processi svolti e lette quotidianamente nella cronaca giudiziaria, e il rinchiudersi in una boccia di vetro impermeabile.

Tuttavia sarebbe scorretto guardare la Calabria sotto una luce totalmente negativa etichettandola tout court con la ‘ndrangheta. Abbiamo infatti sperimentato i valori dell’accoglienza, della solidarietà, del senso di sacrificio, della gioiosità e dell’apertura. E abbiamo avuto la conferma della bellezza paesaggistica che permea questa terra, aspra e accogliente allo stesso tempo, un ossimoro forte che tuttavia non può lasciare indifferenti.

È poi innegabile che abbiamo costruito dei rapporti splendidi di amicizia fra colleghi, con i quali vi è un costante e vivace confronto giuridico.  Non si può tralasciare inoltre il legame di affetto instaurato con il personale della cancelleria, fortificato anche dalla condivisa situazione di disagio quotidiano.

Abbiamo anche potuto contare sull’aiuto di alcuni dei colleghi reggini, con maggiore esperienza rispetto alla nostra, i quali ci hanno aiutato senza risparmiarsi in alcun modo.

Certo, proprio le condizioni lavorative e di vita, sulle quali ci siamo soffermate, comportano momenti di sconforto, stanchezza e frustrazione; nonostante tutto siamo convinte che questa esperienza ci restituirà un prezioso bagaglio professionale ed umano su cui potremo sempre contare.

 

 

 

 

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