GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    In tema di  sostituzione del difensore d’ufficio, Sentenza n.3594/2018 della Corte di appello di Venezia.

        1. Superando iniziali incertezze (Sez. 4, n. 2545 del 21/02/1996, Rv. 204582), si è da tempo consolidato l’indirizzo secondo il quale per assicurare la continuità dell'assistenza tecnico-giuridica e garantire la concreta e efficace tutela dei diritti dell'imputato, vale il principio dell'immutabilità del difensore fino all'eventuale dispensa dall'incarico (Sez. 2, n. 3832 del 06/06/1997, Rv. 208081; Sez. 1, n. 3534 del 11/05/1999, Rv. 214303; Sez. 1, n. 3304 del 5/06/1998, Rv. 211298), poi esteso anche al difensore di ufficio (Sez. 1, n. 1616 del 2/12/2004, dep. 2005, Rv. 230651; Sez. 3, n. 24334 del 11/05/2004, Rv. 228974).

        2. L’art. 97, comma 5, cod. proc. pen. prevede che “il difensore di ufficio ha l’obbligo di prestare il patrocinio e può essere sostituito solo per giustificato motivo” e l’art. 30, comma 3, disp. att. cod. proc. pen. gli richiede di avvisare immediatamente l’autorità giudiziaria se si trova nella impossibilità di adempiere l’incarico.

        L’inosservanza o la violazione 97, comma 5, cod. proc. pen., mancando una espressa previsione di legge, ordinariamente non produce nullità (Sez. 3, n. 3659 del 14/11/2017, dep. 2018, Rv. 27257701; Sez. 6, n. 17554 del 26/04/2006, Rv. 234507) a meno che non si sia verificata una concreta lesione del diritto di difesa (Sez. 4, n. 1245 del 23/11/2017, dep. 2018, Rv. 2719370; Sez. 2, n. 48238 del 20/11/2003, Rv. 227083).

        3. La sentenza n.3594/2018 della Seconda sezione penale della Corte di appello di Venezia   ha affrontato la questione della richiesta del difensore d’ufficio di essere sostituito ex art. 97 comma 5, cod. proc. pen. per l’intenzione – conclusosi il giudizio di primo grado – di fare causa all’assistito per ottenere il compenso pertinente.

        Il difensore ha richiamato l’art. 34 del nuovo codice deontologico forense, che prevede l’obbligo dell’avvocato di rinunciare, prima di agire giudizialmente nei confronti del cliente o della parte assistita per il pagamento delle proprie prestazioni professionali, a tutti gli incarichi ricevuti e che la violazione di questo dovere comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.

        La norma si riferisce alle difese fiduciarie, ma il Consiglio nazionale forense in un parere espresso il 14/07/2011 ha valutato che la lesione del diritto del difensore d’ufficio a essere retribuito “impedisce di ritenere che sussista, in carico al medesimo il contrastante dovere di tollerare di non essere retribuito”, con la conseguenza che “detta eventualità potrà essere da lui ritenuta quel giustificato motivo che, ex art. 97, comma 5, cod. proc. pen. consente di instare per la sostituzione”.

        4. Invece, la Corte di appello ha ritenuto di dare priorità al principio di immutabilità della difesa anche d’ufficio in tutto il procedimento, richiamando le norme costituzionali, europee e processuali dalle quali si evince il carattere di munus publicum della difesa d’ufficio e osservando - in particolare - che per il difensore di ufficio vale la stessa immutabilità del difensore di fiducia: infatti,  la nomina di un suo sostituto (comma 4) non fa venire meno il suo  munus  per cui può riprendere immediatamente il suo ruolo al cessare della situazione contingente dalla quale è derivata la sua sostituzione.

        Inoltre, ha considerato che è previsto che la liquidazione al difensore sia effettuata al termine di ogni fase processuale e, comunque, all’atto della cessazione dell’incarico (art. 83, comma 2, d.P.R. 115/2002), rilevando che la norma impedisce  al giudice di liquidare il compenso prima di tale momento ma non gli vieta di provvedervi successivamente, per cui è da escludere che il difensore che ha assistito un cliente in primo grado abbia l’onere di avviare le procedure esecutiva nei confronti del cliente immediatamente dopo la conclusione del primo grado per non perdere la possibilità di essere retribuito dallo Stato.  

        5. La Corte ha escluso, in ogni caso, che una interpretazione del giustificato motivo per la sostituzione del difensore di ufficio sulla base di una norma di carattere deontologico possa consentire una deroga al principio della immutabilità (anche) del difensore d’ufficio, derogabile solo nel caso in cui questi non abbia svolto alcuna attività per il proprio assistito.  

        In realtà non c’è dubbio che una norma contenuta in un codice deontologico non possa derogare a una norma scaturente da fonte primaria (a meno che la stessa fonte primaria espressamente non lo preveda).

        Il punto è se la situazione prospettata dal difensore di ufficio sia un giustificato motivo di sostituzione ex art. 97, comma 5, cod. proc. pen.

        La Corte di appello ha osservato che ammetterlo comporterebbe che il difensore possa provocare la sua sostituzione scegliendo il momento in cui chiedere la propria retribuzione, così vanificando il principio della immutabilità della difesa.

        Su queste basi, ha concluso che la diffida a adempiere inoltrata al proprio assistito dal difensore di ufficio non può costituire giustificato motivo per la sostituzione ex art. 97, comma 5, cod. proc. pen..

        6. Questa soluzione può risultare frustrante per le motivazioni professionali di un difensore di ufficio non retribuito. D’altra parte pone una regola chiara e, come tale, idonea a orientare le prassi. Sarebbe utile una ricognizione della giurisprudenza di merito in materia.


    A.C


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