Diritto UE
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Dove va l’Europa dei diritti dopo la sentenza del Tribunale costituzionale tedesco federale  sul quantitative easing? Di Giuseppe Tesauro

Dove va lEuropa dei diritti dopo la sentenza del Tribunale costituzionale tedesco federale sul quantitative easing  

Intervista di Roberto Conti a Giuseppe Tesauro  

Grandi reazioni e preoccupazioni ha fin qui suscitato la sentenza del Tribunale costituzionale tedesco federale del 5 maggio 2020 sul programma di acquisto di titoli di Stato della Banca Centrale europea.

Per valutare concretamente la portata della decisione, Giustizia Insieme ha chiesto al Prof.Giuseppe Tesauro, Presidente emerito della Corte costituzionale e già Avvocato generale presso la Corte di Giustizia dell’UE, la sua opinione sugli aspetti più controversi della pronunzia, anche al fine di verificarne l’effettiva portata e le possibili ricadute nel più ampio recinto del sistema dei rapporti fra diritto nazionale e diritto dell’Unione europea.

Le risposte  sembrano circoscrivere la portata della decisione e, soprattutto, i possibili effetti di sistema, anzi Tesauro auspicando che esca rafforzato il ruolo dell'Unione europea, in modo da orientarne l'azione, soprattutto dopo la crisi pandemica da Covid 19,  verso forme di maggiore tutela della salute dei suoi cittadini rispetto a fenomeni globali, fino al punto di attivare forme di cooperazione rafforzata tese regolare in modo armonico  le scelte di politica economica e  monetaria.

Insomma, una pronunzia, quella tedesca, che avrebbe utilizzato in modo poco accorto il principio di competenza sancito dall'art.5 del Trattato sull'Unione europea  e che non è assolutamente in grado di mettere in discussione gli equilibri raggiunti nel tempo dalle giurisdizioni nazionali e sovranazionali quanto ai rapporti fra ordinamento interno, diritto UE ed i suoi giudici, essendosi ormai diradate le nubi che Corte cost.n.269/2017 aveva addensato all'orizzonte per effetto delle più recenti pronunzie della Corte costituzionale rese nell'anno 2019.

Il rinvio pregiudiziale alla Corte UE rimane dunque salvo -e ben saldo- e con esso la capacità di dialogo e confronto fra le Corti, per nulla scalfito dalla vicenda concreta che ha visto il giudice costituzionale tedesco discostarsi dalle indicazioni in precedenza espresse dalla Corte di Giustizia dell'UE.

Certo, Tesauro non manca di sottolineare  come sul piano interno  sia ancora  insoddisfacente l'impossibilità di sperimentare il rimedio revocatorio per il caso di contrasto fra decisione del giudice nazionale e pronunzia della Corte di Giustizia alla luce dei principi espressi da Corte cost.n.6/2018, dimostrativi di una mai del tutto sopita diffidenza sul ruolo giurisdizionale pieno  Corte di Lussemburgo.

In definitiva, la prospettiva di Tesauro è quella di una lettura costruttiva e meno preoccupata della pronunzia tedesca rispetto a quanto si sia talvolta fatto, anzi dalla stessa potendosi ragionevolmente rilanciare un rinnovato assetto dell'ordine giuridico europeo: "il calcio" del tribunale tedesco riuscirà forse  ad aiutare a fare un passo avanti all’Europa!

Questo è l’auspicio che formula Tesauro sulla base di alcuni dati fattuali non marginali suscitati proprio dalla decisione del tribunale costituzionale tedesco, pur nella consapevolezza delle difficoltà che si porranno davanti a quanti- Istituzioni nazionali (politiche e giudiziarie) ed europee-  intenderanno perseguire la strada del dialogo e della cooperazione, soprattutto sul versante del significato dei principi di competenza e proporzionalità per i quali un supplemento di attenzione ed approfondimento sembra comunque necessario proprio per la centralità che tali canoni assumono rispetto ai rapporti fra Unione e  istituzioni nazionali. Difficoltà che, appunto, solo operatori non diffidenti rispetto alle opportunità che  offre l'UE ai Paesi membri potranno tentare di dissipare.

1.Presidente Tesauro, quali conseguenze può produrre la sentenza del Tribunale costituzionale tedesco federale del 5 maggio 2020 sul rapporto tra Costituzioni nazionali e Trattati UE ?  

Si tratta di un classico tema, di antica attenzione degli studiosi di diritto esterno (internazionale e dell’Unione) e poi di diritto interno, nonché degli operatori a vario titolo del diritto, in particolare i giudici, con ovvie differenze di attenzione, di sensibilità, di conoscenze e di memoria, i giudici con in più la responsabilità della definizione di casi concreti.

La risposta di chi ha vissuto da sempre e da varie angolazioni il tema, ma anche con il senno delle reazioni che si sono avute soprattutto in ambienti giuridici e politici tedeschi, potrebbe essere molto semplicemente limitata al vecchio detto “molto fumo e niente arrosto” o al titolo del film degli anni trenta “All’ovest niente di nuovo”. L’occasione va però colta, e ne sono grato al dott. Conti, sempre attento alle cose dell’Unione, che me la offre per qualche considerazione più generale alla quale il secondo senato del BVerG (Bundesverfassungsgericht) di Karlsruhe si è voluto esporre, non credo del tutto inconsapevolmente. La sentenza, in sintesi, non è un passaggio nuovo, tanto meno sorprendente, della giurisprudenza che in questi sessanta e più anni ha concretizzato il diritto comunitario, poi, secondo l’art. 2 del Trattato di Lisbona, “dell’Unione”: pone interrogativi tecnico-giuridici di qualche rilievo teorico e non solo, gli effetti apparentemente auspicati sarebbero, se realizzati, a dir poco inquietanti, quelli che effettivamente produrrà sembrano ragionevolmente molto modesti se non nulli o addirittura opposti a quelli voluti.

La sentenza appare anche a prima lettura inopportuna e in gran parte ultronea[1]. Inopportuna perché, anche a non voler considerare rilevante – e a ben guardare non lo è più di tanto - la crisi sanitaria e finanziaria dovuta alla pandemia di Covid 19, un Tribunale costituzionale, quale quello tedesco federale così come e più di altri, almeno per i motivi storici quanto alla ragion d’essere dell’Unione, dovrebbe sottrarsi a certe tentazioni ed evitare di alimentare il senso di sfiducia verso l’UE, così riuscendo a condividere la bandiera di taluni precisi ambienti politici non solo tedeschi e di taluni Paesi di recente democrazia. E’ invece quello che ha fatto, tentando di mettere in discussione alcuni principi-cardine dell’ordinamento giuridico dell’UE, quale il primato e il controllo esclusivo della Corte di giustizia sulla legittimità e quindi validità degli atti dell’Unione (TUE). La sentenza è in gran parte ultronea soprattutto perché il Tribunale costituzionale tedesco avrebbe facilmente potuto sottrarsi a questa tentazione, in quanto non aveva alcun motivo, che riguardasse la soluzione del caso sottopostogli, di inserire in un lungo obiter dictum il suo soggettivo  europensiero,  periodicamente emerso sui principi che regolano il rapporto tra il diritto dell’Unione europea e l’ordinamento tedesco.  Sotto tale profilo, si comprende la rinnovata eccitazione letteraria soprattutto dei simpatizzanti della retorica anti-Unione o sovranista, che, partendo dal modello Stato, si dolgono che di questo l’Unione non abbia tutti i connotati, a cominciare da una legge fondamentale qualificata anche nominalmente Costituzione, ignorando che l’Unione, così come è stata ed è voluta dagli Stati membri, non è uno Stato, né federale né similfederale, e che la sua legge fondamentale (questo del resto è il nomen anche della Costituzione tedesca) era il Trattato di Roma del 1957, oggi diviso tra Trattato dell’Unione europea e Trattato sul funzionamento dell’Unione europea: ben poco di diverso, se solo si considera che per eliminare il nomen dal progetto di Costituzione pomposamente preparato fu sufficiente premere il tasto “cancel” per quel nomen, lasciando tutto il resto invariato.

La sentenza del 5 maggio è comunque soprattutto tecnicamente errata, anzitutto sotto il profilo processuale. Invero, la questione di legittimità del PSPP (o Quantitative Easing) era stata definita dalla Corte di giustizia UE con la sentenza Weiss, ai sensi degli artt. 19.1 TUE e 267 TFUE, su rinvio pregiudiziale dello stesso BVerG, sentenza che aveva lasciato le misure controverse immuni da vizi. E il giudice di Karlsruhe, d’altra parte, si è ben guardato dal dichiarare apertamente l’invalidità delle misure controverse, ciò che sarebbe stato troppo, considerata la incontestata incompetenza de su rinvio pregiudiziale dello stesso BVerG. Quando si parla dei giudici nazionali come di giudici comuni del diritto dell’Unione, è pacifico infatti che si intende la competenza ad interpretare in prima lettura quelle norme, fatta salva la competenza centralizzata e definitiva della Corte di giustizia, alla quale comunque spetta anche, ad esclusione dei giudici nazionali, anche costituzionali, la competenza a verificare la validità delle norme e degli atti dell’’Unione. Il BVerG ha pertanto solo censurato la BCE per non aver motivato adeguatamente sulla proporzionalità delle misure rispetto agli obiettivi monetari perseguiti ed ai suoi effetti sulla politica economica: in breve, in gergo, un difetto di motivazione, normalmente possibile causa di illegittimità come in ogni latitudine, per giunta costruito addirittura come sanabile da un aggiustamento che la Banca centrale tedesca dovrebbe sollecitare e ottenere dalla BCE entro tre mesi, pena, secondo il BVerG,  la non vincolatività delle misure e della sentenza. Siamo di fronte ad un nuovo e singolare espediente pseudo-processuale, argomento ghiotto per gli studiosi di teoria generale del processo. È appena da sottolineare, poi, che l’invito alla Banca centrale tedesca contraddice vistosamente la tradizionale, vigorosa difesa tedesca dell’indipendenza di quella istituzione ed insieme della BCE. Ricordo in proposito che l’indipendenza della BCE fu la condizione della Germania perché fosse costituita. In breve, come è stato notato con qualche esagerazione, il BVerG ha lanciato un missile (secondo altri una bomba atomica), ma quale che sia l’“arma” utilizzata essa può essere disinnescata nei prossimi 3 mesi, per le solite vie non sempre trasparenti: sarebbe a dir poco singolare che la BCE, tanto meno la Corte di giustizia, accogliessero ufficialmente l’invito. 

Ancora sotto il profilo tecnico, c’è appena da osservare che gli Stati membri sono sicuramente i “signori dei trattati”, come ha insegnato nel Maastricht Urteil del 1993 lo stesso BVerG a chi non lo avesse saputo da sempre, quindi possono modificarli o  integrarli come e quando vogliono, chiaramente nel rispetto delle procedure previste. Nel caso in discorso, tuttavia, siamo molto vicini a quel tesoretto di principi supremi ben difficili da modificare o addirittura  immodificabili[2] (approfitto di avere buona memoria dei due pareri della Corte di giustizia sull’adesione alla CEDU) [3]. Ciò che tuttavia di sicuro gli Stati membri non possono legittimamente fare è, dopo aver attribuito, come hanno attribuito con una scelta politica consapevole nell’esercizio pieno della loro signoria, e mai  oggetto di proposte di revisione, al giudice dell’Unione la competenza esclusiva quanto al controllo giurisdizionale sulla legittimità degli atti dell’Unione (art. 164 del Trattato di Roma del 1957, art. 19 TUE con la riforma di Lisbona), pretendere poi di verificarne ogni giorno il buon esercizio sulla base dei parametri comunitari di legittimità anche se collegati nella sostanza a parametri nazionali, giuridici e di interesse, perfino economico. Non occorre scomodare troppe e sofisticate teorie giuridiche generali, basta già la norma di buon senso, oltre che di universale comprensione e applicazione, pacta sunt servanda. Ma di questo si era già parlato, anche se con una eccitazione mediatica molto più ridotta, quando il BVerG rese la sentenza Maastricht del 10 ottobre 1993, che giustamente non ha avuto seguito alcuno, neppure nella giurisprudenza tedesca. E lo stesso dicasi a proposito di altre esternazioni dell’europensiero del BVerG con le sentenze Lissabon (2009), MES (2014), OMT (2016), Unione bancaria (2019).

In conclusione, non ritengo che questa sentenza possa modificare lo stato del rapporto tra Costituzioni nazionali e Trattati dell’Unione. Il clamore suscitato dalla sentenza dello scorso 5 maggio, tra media e commenti di osservatori tuttologi non proprio addetti ai lavori, è dovuto soprattutto alla baruffa politico-elettorale in corso in Germania come in Italia e in qualche altro Paese membro, che fa della retorica anticomunitaria e del sovranismo un quadrupede da cavalcare, anche per una trasparente spinta di alcuni tuttologi al riposizionamento in vista di futuri probabili o possibili scenari (monsieurs s’amusent).

 

 2.La Corte costituzionale tedesca ha fondato parte del suo ragionamento sui principi di attribuzione e di proporzionalità fissati dall’art. 5 del Trattato UE. Qual è il Suo avviso in proposito?  

Il BVerG ha fatto un po’ di confusione tra i due principi. Il criterio della proporzionalità riguarda tutti gli atti dell’Unione e si sostanzia in un criterio di buon senso. L’atto deve essere di contenuto e portata adeguata alla realizzazione dell’obiettivo che si prefigge e non può essere sostituito da un atto meno restrittivo della libertà dei suoi destinatari o andare al di là di quanto è necessario per realizzare il suo obiettivo. Nella specie, il BVerG ha ritenuto che le misure varate dalla BCE producessero effetti economici oltre quelli monetari, dunque al di là del confine della competenza attribuitale dagli Stati membri, e ne ha dedotto una insufficiente motivazione sulla proporzionalità. Dubito molto che questo sia l’approccio corretto al principio di proporzionalità applicato al principio delle competenze di attribuzione. Quest’ultimo impone che l’Unione e le sue Istituzioni esercitino le competenze espressamente attribuite (salvo la clausola di flessibilità) dagli Stati membri e solo quelle. Se una Istituzione esercita una competenza che non gli è stata attribuita c’è una violazione del riparto di competenze tout court. Che le misure controverse della BCE producessero effetti di politica economica potrebbe configurarsi semmai come un’ipotesi di violazione del riparto di competenze, non della proporzionalità delle misure. Sarebbe come dire che il giudice che non rispetta i limiti della sua competenza funzionale o territoriale violasse il principio di proporzionalità. In altri termini, l’esorbitanza dei fisiologici limiti di attribuzione di competenze, normative o giurisdizionali, determina precisamente l’incompetenza. In ogni caso, non è questo il punto più dolente della sentenza.

 

 3.La sentenza del BVerG del 5 maggio 2020 quanto incide sui giudizi delle Corti costituzionali e della Corte di giustizia?  

La sentenza del 5 maggio è anche un passo falso in prospettiva. Infatti, è facile immaginarne le conseguenze se l’interpretazione definitiva e soprattutto la validità delle norme e degli atti dell’Unione fossero rimesse ai giudici nazionali, quale ne sia il rango: si realizzerebbe un caleidoscopio, una babele giurisprudenziale, in spregio all’obiettivo di uniformità centralizzata di interpretazione e applicazione delle norme sottoscritte nei Trattati dell’Unione, connotato insostituibile dello stesso sistema dell’Unione complessivamente considerato. Si ricorda appena che la nostra Corte costituzionale colse e superò, almeno sul piano pratico, criticità anche maggiore emersa con il caso Costa/ENEL, prima con la sentenza Fortini del 1973 e poi con la sentenza Granital del 1984. La tentazione di qualche giudice comune, ad esempio italiano, di profittare del dovere di disapplicazione o semplicemente del rinvio pregiudiziale per decidere della legittimità costituzionale e della incompatibilità comunitaria, e per questa seconda via ancora, indirettamente, della legittimità costituzionale, può essere forte e produrre rischi, ma non va sopravvalutata. In definitiva, ha riguardato una parte minima di giudici comuni, specie di merito, e in particolare, quanto alla sfera di applicazioni che da qualche parte si ritenne estesa alle posizioni puramente interne, ai primi vagiti della Carta europea dei diritti fondamentali elevata al rango dei Trattati. Basti pensare, in proposito, alle preoccupazioni che hanno indotto la nostra Corte costituzionale a inserire, non avendo colto al giusto le dimensioni trascurabili e temporanee del fenomeno, il noto e discusso obiter dictum posticcio nella sentenza 269/17[4], peraltro correttamente presto superato da alcune sentenze successive, poi oggi scimmiottato dal BVerG nella sentenza del 5 maggio scorso.

Non manca chi ha salutato con compiacimento questa sentenza come espressione della volontà della Germania di recuperare la parte di competenze normative delegata all’Unione europea ed alla deriva giurisprudenziale e della prassi che l’avrebbe sostanzialmente consolidata in maniera consistente. E addirittura si è scomodata la teoria dei controlimiti, che francamente non mi pare sia in questo caso da chiamare in causa. Come è noto, la teoria dei controlimiti ha lo scopo di sottrarre taluni principi nazionali (il c.d. nucleo duro dei principi supremi) alla prevalenza del diritto dell’Unione, così come succede per il diritto straniero la cui applicabilità sia impedita dall’ordine pubblico internazionale. In particolare, si tratta dei principi fondamentali dell’ordinamento e dei diritti inalienabili della persona. Tuttavia, chi conosce il meccanismo  internazionalprivatistico, sa bene che non è consentito mettere in discussione l’interpretazione della norma resa nel suo ordinamento, basta impedirne l’ingresso e l’applicazione nell’ordinamento del foro: è il principio di conformità. È questa la logica rispettosa che si ritrova nella sentenza 238/14 della Corte costituzionale, rispetto al rapporto tra il diritto interno e il diritto internazionale come interpretato in quell’ordinamento dalla Corte Internazionale di Giustizia.

Quanto ai precedenti dei casi Taricco e Melloni, neppure ne vedo il collegamento con la sentenza del BVerG. La prima è diventata l’occasione per una difesa, francamente non proprio necessaria, di una specifica patologia del nostro sistema Giustizia, che non è certo la prescrizione in sé bensì la combinazione con l’imbarazzante, indifendibile ma non certo inguaribile durata dei processi, oggetto vero della censura della Corte di giustizia come da tempo  di quella di Strasburgo. La Melloni aveva ad oggetto un preciso accordo a livello dell’Unione su un rigido e preciso standard di requisiti da tutti condivisi, per ciò stesso insuscettibili di modificazioni di maggiore o minore rigore per il riconoscimento di provvedimenti giudiziari. La sentenza del BVerG, per converso, richiama piuttosto una sua vecchia posizione che vorrebbe sindacare e all’occorrenza precludere l’applicazione in Germania di atti dell’Unione, comprese le sentenze della Corte di giustizia, che esso, con la sua interpretazione soggettiva, ritiene abbiano superato i poteri attribuiti con i Trattati dagli Stati membri (ultra vires). Come già sottolineato, violando il riparto di competenze quanto all’interpretazione e alla validità delle norme dell’Unione stabilito inderogabilmente dal TUE. Ricordo appena che il rinvio pregiudiziale di validità è obbligatorio finanche per il giudice non di ultimo grado quando ritenesse di sospendere d’urgenza un atto dell’Unione. Certo, nessuno è perfetto, ciò che vale per la Corte di giustizia UE, ma del pari perfino per il BVerG.

Quanto ai possibili effetti sulla giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana e della Corte di giustizia, francamente non riesco a vederne di un qualche rilievo. La Corte di giustizia ha risposto abbondantemente sul tema in sessant’anni di giurisprudenza ed anche recentemente.  Certo, occorrerebbero un po’ memoria e qualche conoscenza in più per coglierne al giusto il significato. La Corte costituzionale italiana ha avuto un momento di “amnesia” con la sentenza 269/17, come ricordato, che è presto stato superato dalle successive decisioni, in particolare dalla sentenza 63/19.

L’episodio tedesco, in definitiva, non va drammatizzato, costituendo un episodio infelice, come altri in passato, della normale dialettica del tanto apprezzato e necessario dialogo tra le Corti. Probabilmente, gli unici effetti della sentenza, a livello di UE, saranno quelli di indurre la BCE, la prossima volta, a spendere qualche parola in più sulle motivazioni alla base di future nuove misure di politica monetaria: e non sarebbe un male. La sentenza, d’altra parte, potrebbe sì rafforzare la posizione di taluni Paesi (penso soprattutto ai Paesi del Visegrad) e spingerli ad ignorare le sentenze della CGUE (alcuni segnali già sono stati lanciati), ma questo potrebbe anche inasprire la frusta, fino ad oggi un po’ blanda, della Commissione e della Corte sul rispetto della Rule of Law o della Comunità di diritto che dir si voglia: e anche questo non sarebbe un male.

In fatto, all’indomani della sentenza del 5 maggio, la Commissione ha formalmente dichiarato che prenderà in considerazione l’avvio di una procedura d’infrazione. Sebbene ritenga che questa sia una strada da non percorrere, perché credo sia opportuno spegnere i riflettori e far cadere nel dimenticatoio questa vicenda o comunque considerarla come un incidente di percorso del dialogo tra le Corti, in realtà ci sarebbe più di un motivo perché la Commissione possa dare avvio alla procedura, in quanto la sentenza: i) ha posto in discussione una competenza esclusiva della Corte di giustizia quanto alla validità degli atti UE e, come detto prima, i Trattati possono sì essere rivisti, ma nelle opportune sedi e non certo per mano di un giudice; ii) ha inciso sul ruolo della BCE e del SEBC che, ai sensi dell’art. 130 TFUE, nell’esercizio dei loro poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri attribuiti dai Trattati non possono sollecitare o accettare istruzioni né dalle istituzioni (organi e organismi), né dai governi degli Stati membri; iii) ha violato l’art. 267 TFUE, la sentenza pregiudiziale – com’è incontestato -  essendo  vincolante per il giudice nazionale, quale ne sia il rango.

       

4. Il dialogo fra le Corti come fattore di crescita o come elemento disgregante delle Costituzioni nazionali e dei Trattati?    

Non esageriamo ! Occorre ben altro per il verificarsi di un effetto del genere, se il dialogo manterrà forme e sostanza come per oltre mezzo secolo. Certo, qualche ritocco potrebbe migliorare ancor più il ruolo e l’efficacia del rinvio pregiudiziale sotto il profilo della tutela effettiva dei diritti. Si tratta anche o soprattutto di un fatto culturale. Ad esempio, va ancora ridotta la diffidenza di alcuni giudici nazionali, va osservata per intero la sentenza della Corte di giustizia quando lascia a questi ultimi di verificare certi profili di sua competenza, va ripensato il limite improprio costituito dalla revocazione ex art. 111 della Costituzione “per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”, fino a quando, in spregio a Simmenthal e seguenti, si escluderà dalla nozione di giurisdizione la Corte di giustizia (sentenza 6/18 della Corte Costituzionale). Per il resto, ripeto, ci vuole ben altro per rinunciare al dialogo e al rinvio pregiudiziale. Penso ai movimenti nati dopo la prima guerra mondiale in Germania e in Italia, non certo ad una decisione come quella del BVerG del 5 maggio scorso. Piuttosto, comincerei a pensare seriamente alla cooperazione rafforzata aut similia, “profittando” – perché no ? – anche dell’esperienza del coronavirus, quanto alle competenze effettive da attribuire finalmente all’Unione in materia di tutela della salute a dimensione ultranazionale e delle criticità provocate dalla separazione innaturale (c.d. “paradosso di Maastricht”) tra scelte di politica economica e scelte di politica monetaria. Né sarebbe superfluo riflettere su un percorso del processo decisionale più rapido per urgenze ed emergenze, pur rispettando i principi democratici e con essi le competenze del Parlamento europeo e del Consiglio. E tutto ciò a bocce quasi ferme.

Comunque la diversità di effetti rispetto a quelli auspicati dal giudice costituzionale tedesco si comincia già a vedere con chiarezza nelle esternazioni e nei comportamenti della BCE e della Corte di giustizia, del governo federale, della stessa Bundesbank e del chiacchiericcio sulla nomina dei prossimi giudici per Karlsruhe. Addirittura c’è stata una dichiarazione pubblica della Cancelliera sull’esigenza di consolidare e completare sul serio l’Unione Economica e Monetaria. Come sempre in passato, anche un calcio…può aiutare a fare un passo avanti.

                   

[1] Per un commento più articolato alla sentenza, G. Tesauro, P. De Pasquale, La BCE e la Corte di giustizia sul banco degli accusati del Tribunale costituzionale tedesco, in Osservatorio europeo DUE (dirittounioneeuropea.eu), 11 maggio 2020. Il testo integrale, della sentenza è disponibile in lingua in inglese su bundesverfassungsgericht.de - ECB decisions on the Public Sector Purchase Programme exceed EU competences, (2 BvR 859/15, 2 BvR 980/16, 2 BvR 2006/15, 2 BvR 1651/15).

[2] G. L. Tosato, Per un rilancio dell’Europa - Le ragioni della flessibilità, in Studi sull’integrazione europea, n. 1, 2007, p. 7 ss.

[3] Corte giust., parere 28 marzo 1996, 2/94; parere 18 dicembre 2014, 2/13. In dottrina, A. Tizzano, L’adesione dell’Unione alla CEDU ed il ruolo della Corte di giustizia, in AA.VV., Il Trattato di Lisbona: due anni d’applicazione. Atti della Giornata di studio in ricordo di Francesco Caruso, Napoli, 2013, p. 59 ss.

[4] L. Salvato, Quattro interrogativi preliminari al dibattito aperto dalla sentenza n. 269 del 2017, in forumcostituzionale.it, 18 dicembre 2017.

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