Breve nota a Sez. 3 n. 29613 del 2018
La Terza sezione della Corte di Cassazione è stata chiamata a verificare se abbia rilevanza penale la condotta di un soggetto straniero, posta in essere nella assoluta inconsapevolezza del suo disvalore e nella convinzione di ottemperare ad una prassi del paese di provenienza che considera il comportamento normale, approvandolo o, in alcuni casi imponendolo.
Il tema dei “reati culturalmente orientati” non è nuovo, e l’aumento dei flussi migratori verso il nostro paese di etnie dalle diverse abitudini rende la problematica di stringente attualità giuridica.
La complessa ed inevitabile sfida del multiculturalismo affida anche, e soprattutto, alla magistratura il delicato compito di verificare in che modo il rispetto delle altre culture e l’integrazione possano realizzarsi, in concreto, senza frizioni con i principi fondamentali della Carta Costituzionale.
Nel caso di specie gli imputati erano stati tratti in giudizio poiché, in violazione degli articoli 609 bis e 609 ter del codice penale, in più occasioni, abusando della loro qualità di genitori, costringevano il figlio minore, con violenza, ad abbassarsi i pantaloni e a compiere e subire atti sessuali (palpeggiamenti nelle parti intime e rapporti orali).
La tesi difensiva si fondava sull’assunto che le condotte incriminate, nella cultura degli imputati, fossero prive di disvalore, consentite e tollerate.
In entrambi i precedenti gradi di giudizio i giudici di merito erano pervenuti all’assoluzione, valorizzando la scriminante culturale.
I giudici di primo grado, infatti, avevano ritenuto che, sebbene sussistesse l’elemento oggettivo del reato per l’indubbia valenza sessuale degli atti compiuti, difettava la coscienza e volontà di compiere atti diretti alla concupiscenza sessuale.
Di contro, la Corte d’appello aveva ritenuto che gli atteggiamenti in contestazione fossero espressione di “compiacimento e di orgoglio del genitore nei confronti del figlio”, e non frutto di istinto sessuale, e, coerentemente ne avevano escluso anche la coscienza e volontà.
La Terza Sezione, disattendendo entrambe le ricostruzioni, pur richiamando i principi enunciati dalla Corte di legittimità in merito alla necessità di interpretare le fattispecie penali alla luce del continuo mutare dei valori della società, sempre più multietnica, ha ribadito che nessun sistema penale potrà mai adbicare, alla punizione di fatti che mettano in pericolo i beni di maggior rilievo in ragione del rispetto di tradizioni culturali e religiose del cittadino o dello straniero.
La Corte, quindi, sottolinea che la valutazione del rilievo penale dei cd. reati culturalmente orientati non può prescindere da un attento bilanciamento “ tra il diritto, sia pure irrinunciabile, del soggetto agente a non rinnegare le proprie tradizioni culturali, religiose ed i valori offesi dalla sua condotta”.
Inoltre, al fine di valutare l’incidenza della matrice culturale sulla consapevolezza dell’agente, si è evidenziata la necessità di tenere conto: 1) della natura religiosa o giuridica della norma culturale, in adesione alla quale è stato commesso il reato; 2) dell’intensità della forza vincolante della norma all’interno del gruppo culturale di riferimento; 3) del grado di inserimento dell’immigrato nella cultura e nel tessuto sociale del paese d’arrivo o del suo grado di perdurante adesione alla cultura d’origine, indipendentemente dal tempo di permanenza nel nuovo paese.
Applicando i principi di diritto nel caso di specie, la Corte ha escluso che la condotta posta in essere dagli imputati fosse priva di valenza penale.
Da un lato, infatti, si è accertato che essa solo asseritamente era conforme alle tradizioni del paese di provenienza (le risultanze processuali hanno portato ad escludere l’esistenza di una corrispondente norma di costume o religiosa e disvelato che la condotta era sanzionata anche dal codice penale del paese d’origine); dall’altro, in relazione all’elemento soggettivo del reato, si è esclusa la non consapevolezza degli imputati dell’illiceità delle azioni commesse alla luce della loro lunga permanenza in Italia e della loro compiuta integrazione nel contesto sociale del nostro paese.