"Pensiero causale e pensare complesso". Il diritto penale di Salvatore Aleo
di Alessandro Centonze
Sommario: 1. Pensiero causale e pensare complesso e la crisi del diritto penale classico – 2. L’aggiornamento dei modelli di analisi della responsabilità penale del nostro ordinamento e l’inquadramento dei fenomeni criminali complessi – 3. Il modello causale nel sistema penale italiano e il diritto penale della complessità – 4. L’insufficienza del modello causale rispetto all’inquadramento dei fenomeni criminali concorsuali, collettivi e organizzati: l’analisi del molteplice – 5. Conclusioni.
1. Pensiero causale e pensare complesso e la crisi del diritto penale classico
La recente pubblicazione di Pensiero causale e pensare complesso[1] di Salvatore Aleo, presso la Casa editrice Pacini di Pisa, ci offre lo spunto per riflettere sul tentativo portato avanti con successo nell’ultimo ventennio da questo Autore sulla crisi del diritto penale classico e sulle soluzioni perseguibili per adeguare i modelli provenienti dall’esperienza giuridica del secolo scorso, ormai insufficienti a inquadrare i fenomeni criminali complessi, concorsuali, collettivi o organizzati che siano, che dominano il mondo contemporaneo.
Questo lavoro, infatti, giunge a completamento di una lunga riflessione sulla necessità di adattare gli strumenti della repressione penale ai problemi della complessità posti dal mondo post-moderno, che, con specifico riferimento al tema delle applicazioni causali nel sistema penale, ha prodotto alcuni mirabili risultati scientifici, tra i quali ci si limita a citare le monografie, Sistema penale e criminalità organizzata[2], pubblicata nel 1999, Causalità, complessità e funzione penale[3], pubblicata nel 2003, Dei giuristi e dintorni[4], 2014, Codificazione e decodificazione[5], 2019, con le quali il presente lavoro si pone in una sorta di percorso omogeneo. È, del resto, lo stesso Salvatore Aleo a chiarire il significato scientifico più profondo di questa sua ulteriore riflessione sulla causalità – che ha il suo antecedente diretto nel citato Causalità, complessità e funzione penale – quando afferma nella prefazione della sua opera: «Non ho cambiato idea rispetto allo scritto di diciassette anni fa e anzi ne riproduco formalmente alcuni passaggi […], ma spero di riuscire sia ad allargare l’orizzonte conoscitivo e semantico, sia ad approfondire alcuni ragionamenti […]»[6].
Lo sforzo, dichiarato e riuscito, di Salvatore Aleo, dunque, è quello di affrontare il problema dell’insufficienza del modello causale a inquadrare le dinamiche dei fenomeni criminali complessi, tipici dell’epoca post-moderna, con i quali, da anni, il nostro Autore si confronta.
2. L’aggiornamento dei modelli di analisi della responsabilità penale del nostro ordinamento e l’inquadramento dei fenomeni criminali complessi
Per risolvere il problema dell’aggiornamento dei modelli di analisi della responsabilità penale del nostro ordinamento, infatti, non si può che partire dalle impostazioni teoriche proprie delle scienze giuridiche – tanto citate, quanto poco studiate[7], soprattutto dai giuristi delle nuove generazioni –, che l’Autore scandaglia in alcuni passaggi espositivi veramente esemplari, da cui partire per elaborare un percorso di rivisitazione che, pur partendo dalle scienze criminali, si avvale di altre discipline scientifiche in funzione di supporto alla teoria e definizione della responsabilità personale nel diritto penale.
L’Autore, infatti, ritiene che soltanto un approccio di natura multifunzionale, che tenga conto delle caratteristiche di diffusione e pervasività sul territorio dei fenomeni criminali complessi o particolarmente complessi, ci può fare comprendere la loro dimensione intrinsecamente sociale, la loro capacità di inquinamento dell’apparato economico e istituzionale, le connotazioni di pericolosità proprie di tali fenomenologie; e per fare questo, muovendo dai fondamentali studi ottocenteschi della dottrina tedesca sulla causalità, sviluppa un percorso epistemologico, che passa attraverso i diversi ambiti scientifici nei quali le teorie causali sono state applicate, con un attenzione particolare alla filosofia della scienza, alla quale si dedica l’intero ottavo capitolo, intitolato “Modelli di spiegazione nella filosofia della scienza e nei diversi ambiti scientifici”.
Secondo l’Autore, infatti, soltanto prendendo coscienza della complessità e della pervasività delle fenomenologie criminali dell’epoca post-moderna è possibile comprendere come la relazione giuridica tra due o più eventi è sempre la conseguenza della concomitanza di una pluralità di fattori, i quali si pongono in rapporto tra loro in termini non facilmente riconducibili ai modelli di analisi di tipo causale, soprattutto se ci si riferisce a condotte illecite multiformi e plurisoggettive. L’insufficienza delle analisi di tipo causale pone, però, il problema della necessità di accelerare la ricerca di modelli nuovi e più aggiornati, ma soprattutto idonei a rappresentare fenomeni criminali complessi o organizzati che non sono facilmente riducibili all’interno degli schemi con i quali le teorie sulla causalità storicamente tentano di inquadrare tutte le condotte delittuose: tanto quelle semplici quanto quelle complesse, tanto quelle individuali quanto quelle plurime, tanto quelle collettive quanto quelle associative.
Senza considerare che l’approccio causale appare inadeguato anche sotto un diverso profilo, rappresentato dal fatto che il concetto di causalità riguarda la spiegazione di eventi che interferiscono con il corso degli accadimenti che può essere considerato come normale; mentre, tale approccio appare inadeguato a spiegare fenomeni sociali di particolare complessità, che possono essere determinati da una pluralità di cause concomitanti, tra loro eterogenee, ovvero da una pluralità di elementi funzionalmente rilevanti. Tali considerazioni, portate avanti con esemplare lucidità, spingono Salvatore Aleo, in un passaggio fondamentale del suo lavoro, ad affermare, che la «causalità è uno schema logico-conoscitivo espressione di una logica di tipo semplice, binaria, e formale, che presuppone la predefinizione astratta e generale delle tipologie entro cui possono essere ricondotti gli eventi considerati […]», da cui discende che è «impossibile la tipizzazione di tutte le situazioni che possono capitare nella realtà, e le nozioni giuridiche finiscono così per essere […] criteri di orientamento del giudizio, e della relativa argomentazione […]»[8].
D’altra parte, è proprio l’esigenza di una conoscenza concreta delle dinamiche che sottostanno ai fenomeni criminali complessi dell’epoca post-moderna a mettere in crisi i modelli di analisi causale, in considerazione del fatto che gli stessi, inevitabilmente, finiscono per decontestualizzare la condotta illecita dall’ambiente circostante all’agente e dalle relazioni interpersonali che influenzano le sue azioni, individuando, allo scopo di realizzare queste condizioni astratte, un normotipo criminoso nella realtà inesistente e sfalsando così il punto di osservazione necessario per la valutazione dell’illiceità dei comportamenti criminosi che si pretende di spiegare, ma che invece non si riescono a inquadrare. Il percorso attraverso il quale si sostanzia l’analisi causale, a ben vedere, punta a soddisfare l’esigenza di dimostrare, in modo semplicistico, che la condotta di un agente, in un contesto illecito, può essere ritenuta la causa di un determinato evento delittuoso soltanto se, in sua assenza, l’evento medesimo non si sarebbe verificato, prescindendo da qualsiasi valutazione sui modelli operativi concretizzati utilizzati; semplificazioni che portano a risultati fortemente distonici nel sistema penale, come nei casi dell’esposizione di moltitudini di persone all’azione di sostanze patogene[9], della causalità dell’omissione[10], su cui l’Autore si sofferma confrontandosi con alcuni capisaldi del pensiero giuridico contemporaneo[11].
Così, però, difficilmente si riescono a enucleare da un contesto illecito le condotte individuali che possono essere ritenute condizione indispensabile per la costituzione o il mantenimento in vita del milieu criminale, in considerazione del fatto che in un contesto concorsuale, collettivo o organizzato, nessuna condotta può essere, salvo casi eccezionali, ritenuta indispensabile, essendo al contrario necessario che si prendano in considerazione, in termini di funzionalità, le loro relazioni di reciproco affidamento e il programma criminoso nell’ambito del quale gli stessi devono essere necessariamente inquadrati e valutati[12].
3. Il modello causale nel sistema penale italiano e il diritto penale della complessità
Il modello causale, invero, così come prefigurato dal sistema penale italiano, non tiene in debito conto il fatto che nelle interazioni sociali e soprattutto nei comportamenti concorsuali o riferibili alle collettività, non necessariamente organizzate, il singolo agente agisce sempre in modo simultaneo ai membri del contesto di riferimento, concorrenti o associati che siano, con la conseguenza che è plausibile che lo stesso abbia a disposizione più di una causa che potrebbe dare luogo a un determinato effetto. Nella stessa direzione, appare altrettanto probabile che il suo comportamento sia influenzato dalle condotte degli altri soggetti che condividono il progetto concorsuale o operano all’interno della stessa collettività e sia orientato dalla consapevolezza e dalla volontà di contribuire con la sua condotta funzionale alla realizzazione di uno scopo più o meno condiviso[13].
Il pensiero espresso dall’Autore, in quest’opera straordinaria, appare allora chiaro: le impostazioni ermeneutiche di ispirazione causale sono inadeguate a ricostruire e a inquadrare i fenomeni criminali complessi, anche in considerazione del fatto che, in presenza di più condotte riconducibili a un unitario disegno criminale, che ad esempio può costituire un progetto concorsuale articolato o la concretizzazione di una vasta e ramificata struttura associativa, non sempre risulta agevole selezionare le cause determinanti nel processo volitivo di un singolo agente, senza stravolgere le regole del suo percorso intellettivo che non è, se non raramente, conoscibile, con tutte le conseguenze negative che ne derivano in termini di accertamento dell’elemento soggettivo del reato.
La dimensione sociale di un fenomeno criminale concorsuale, collettivo o organizzato, infatti, influisce in modo significativo sulla valutazione delle condotte individuali dei soggetti che vi contribuiscono e lo alimentano, attraverso comportamenti non facilmente riconducibili a modelli generali e astratti, per le quali risulta indispensabile la preventiva valutazione del progetto su cui si fonda l’esistenza stessa della collettività e del grado di affidamento soggettivo preventivo, che nella dimensione – come detto concorsuale, collettiva o organizzata – ciascuno degli aderenti fa sul ruolo e sulla disponibilità soggettiva degli altri individui.
Secondo Salvatore Aleo, in questi casi, per valutare l’effettivo grado di coinvolgimento, penalmente rilevante, di ciascuna condotta illecita, a prescindere dalla sua riconducibilità a un modello normativo canonizzato dal sistema penale, ci si deve porre nelle condizioni idonee a potere valutare ognuna di tali condotte alla luce degli obiettivi illeciti perseguiti[14].
Di questo percorso sono esemplare rappresentazione le conclusioni formulate dall’Autore in tema di organizzazioni criminali, laddove afferma che è necessario comprendere che ogni singolo aderente deve potere fare preventivamente affidamento sulle prestazioni degli altri affiliati, il cui vincolo rappresenta la risultante della reciprocità delle aspettative sulle prestazioni dei consociati, valutabile in termini funzionali, nella prospettiva della realizzazione di un progetto criminoso che viene perseguito grazie alle loro prestazioni coordinate. Il singolo agente, quindi, può essere considerato il responsabile di uno delitto riconducibile alla consorteria di riferimento nella sola misura in cui la sua condotta è funzionale alla realizzazione del progetto associativo, con la conseguenza che il suo contributo alla realizzazione di una tale attività delittuosa può anche risultare di modesta entità e risultare ugualmente sanzionabile.
Si tratta, ritiene Salvatore Aleo, di una conclusione inevitabile, se si considera che un sodalizio criminale si avvale sempre di contributi soggettivi che si pongono in rapporto di collegamento funzionale diretto rispetto al programma della collettività organizzata, di modo che ciascun comportamento è comprensibile soltanto in funzione degli scopi illeciti perseguiti dall’organizzazione e appare giustificabile soltanto in relazione al perseguimento degli obiettivi programmati[15].
4. L’insufficienza del modello causale rispetto all’inquadramento dei fenomeni criminali concorsuali, collettivi e organizzati: l’analisi del molteplice
Il problema, tuttavia, è che queste condotte illecite, secondo il modello causale classico, sono di difficile inquadramento dal punto di vista della legge penale, in considerazione del fatto che nessuno tra i comportamenti che si sono presi in esame fino a questo momento possono essere ritenuti condicio sine qua non dei comportamenti criminosi connotati da complessità, concorsuale, collettivi o organizzati che siano. In queste ipotesi, infatti, nessuna di queste condotte può essere ritenuta indispensabile per il perseguimento degli obiettivi illeciti sanzionati dalla norma penale, in ragione del fatto che generalmente tali condotte non sono mai necessarie alla concretizzazione delle finalità sanzionate dalla fattispecie penale; il che ripropone il problema del sincronismo tra realtà criminale e tipicità formale, non del tutto risolto dalla scienza penalistica italiana, salvo autorevoli eccezioni[16].
Queste peculiarità sistematiche, d’altra parte, non devono mai impedire di ricercare la prova dell’illiceità dei singoli comportamenti delittuosi, evitando i rischi di un’inammissibile semplificazione probatoria, di cui l’Autore è pienamente consapevole, giustificata dall’esistenza di condotte – come detto concorsuali, collettive o organizzate – pericolose e dalla loro astratta riconducibilità a un progetto criminoso più o meno complesso. Un’opzione metodologica di questo tenore, infatti, finirebbe per determinare un inammissibile ricorso a criteri oggettivi in tema di valutazione della responsabilità penale del singolo agente[17].
Il problema principale, allora, è quello di prendere atto dell’insufficienza delle impostazioni causali, ai fini dell’inquadramento delle condotte illecite connotate da complessità esecutiva – come quelle concorsuali, collettive o organizzate –, in considerazione del fatto che lo stesso non sempre risulta idoneo, soprattutto nelle ipotesi più complesse, a spiegare le dinamiche dei comportamenti soggettivi, ma, cosa ancora più problematica, non riesce a fornire un modello di imputazione e di conseguente attribuzione della responsabilità coerente con le sue premesse scientifiche, dando vita a soluzioni applicative che, a prescindere dalla fedeltà semantica alle nozioni tipiche della causalità, finiscono per ricorrere a parametri eterogenei e non condizionalistici.
In questa cornice, esemplari appaiono i richiami effettuati da Salvatore Aleo alla sfera di operatività delle organizzazioni criminali, esaminata attraverso una prospettiva che, richiamando la teoria generale dell’organizzazione[18], consenta di valutare tutte le relazioni funzionali, oggettive e soggettive, esistenti all’interno del consesso criminale e il grado di reciproco condizionamento dei singoli apporti individuali. Soltanto questo modello di analisi funzionale del comportamento criminoso consente di differenziare la responsabilità dell’affiliato per i singoli reati-fine rispetto a quella per l’appartenenza al sodalizio, distinguendo ogni apporto in relazione alla struttura e al programma consortile[19].
Questa posizione ermeneutica, del resto, mi sembra non dissimile dalla giurisprudenza di legittimità consolidatasi nel corso dell’ultimo quindicennio, che, al di là degli incondizionati richiami semantici al principio di causalità, sembra avere superato una visione rigida della causalità penale per descrivere i più complessi fenomeni di criminalità organizzata, imponendo modelli di analisi della responsabilità penale più flessibili. La Corte di cassazione, dunque, sembra avere preso atto delle implicazioni negative che l’applicazione incondizionata del modello causale, in assenza di un’analisi approfondita delle peculiarità sistematiche delle figure delittuose associative, comporta per la valutazione della responsabilità penale, anche in conseguenza della particolare complessità dei fenomeni criminali attraverso i quali si concretizzano le condotte consortili[20].
Non è, pertanto, possibile imporre modelli di analisi dei fenomeni associativi – soprattutto se particolarmente complessi – senza avere compreso le dinamiche interpersonali che connotano tali realtà criminali e le interazioni funzionali esistenti tra le varie componenti del sodalizio considerato. Questa, del resto, è la ragione che induce a ritenere necessario per la comprensione dei comportamenti delittuosi consortili un modello di analisi che tenga conto delle peculiarità sistematiche di tali figure criminose, nelle quali l’illiceità di una condotta di contiguità a una consorteria può essere valutato soltanto ex post e con le garanzie proprie del processo penale[21].
5. Conclusioni
Consiglio sinceramente a quanti avranno la possibilità di farlo di leggere l’illuminante Pensiero causale e pensare complesso di Salvatore Aleo, accostandosi al suo percorso scientifico, al contempo originale e convenzionale, che aiuterà il lettore a meglio comprendere la crisi irreversibile del diritto penale classico e i possibili rimedi per fare fronte a questo inarrestabile processo, dall’interno del sistema penale e con le garanzie proprie del nostro impianto costituzionale.
[1] S. Aleo, Pensiero causale e pensare complesso, Pacini, Pisa, 2020.
[2] S. Aleo, Sistema penale e criminalità organizzata, Giuffrè, Milano, 1999.
[3] S. Aleo, Causalità, complessità e funzione penale, Giuffrè, Milano, 2003.
[4] S. Aleo, Dei giuristi e dintorni, Giuffrè, Milano, 2014.
[5] S. Aleo, Codificazione e decodificazione, Giuffrè, Milano, 2019.
[6] Si veda S. Aleo, Pensiero causale e pensare complesso, cit., p. 7.
[7] Il riferimento effettuato nel testo riguarda soprattutto gli scritti fondamentali – e come detto sempre meno approfonditi dalle nuove leve di studiosi delle scienze criminali – di M. von Buri, Über kausalität und deren Verantwortung, J.M. Gebhardt’s Verlag, Leipzig, 1883; nonché di K. Engisch, Die Kausalität als Merkmal der strafrechtlichen Tatbestände, Mohr, Tübingen, 1931, ai quali l’Autore si riferisce diffusamente in diversi passaggi della sua esposizione.
[8] Si veda S. Aleo, Pensiero causale e pensare complesso, cit., p. 203.
[9] Si veda S. Aleo, op. ult. cit., pp. 195-197.
[10] Si veda S. Aleo, op. ult. cit., cit., pp. 197-199.
[11] Ci si riferisce soprattutto a M. Taruffo, La prova dei fatti giuridici. Nozioni generali, Giuffrè, Milano, 1992; F. Stella, Giustizia e modernità. La protezione dell’innocente e la tutela delle vittime, Giuffrè, Milano, 2001.
[12] Si tratta di posizione già espresse in S. Aleo, Causalità, complessità e funzione penale, cit., pp. 34 ss.
[13] Si tratta di posizione già espresse in S. Aleo, op. ult. cit., pp. 34 ss.
[14] Si veda S. Aleo, Pensiero causale e pensare complesso, cit., p. 219.
[15] Si veda S. Aleo, op. ult. cit., pp. 219-222.
[16] Queste posizioni, tra l’altro, risultano espresse in S. Aleo, Sistema penale e criminalità organizzata, cit., pp. 20-22, che, con particolare, riferimento alla sfera di operatività delle organizzazioni criminali nostrane, costituisce il più lucido intervento presente in materia.
[17] Si veda S. Aleo, Pensiero causale e pensare complesso, cit., p. 219-220.
[18] Per la quale si rinvia, soprattutto, a L. von Bertalanffy, Teoria generale dei sistemi (1969), trad. it., Mondadori, 2010.
[19] Si rinvia, ancora, a S. Aleo, Sistema penale e criminalità organizzata, cit., pp. 20-22.
[20] Si veda Cass. pen., Sez. un., 12 luglio 2005, Mannino, n. 33478, in C.E.D. Cass., n. 231671-01
[21] Si veda Cass. pen., Sez. un., 12 luglio 2005, Mannino, n. 33748, cit.