GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    L’adozione di maggiorenni  e la tutela dei legami familiari di fatto. (Nota a Corte di Cassazione 3/04/2020, n. 7667 e a Corte d’appello di Roma 5/06/2020 n. 2637)

    Ladozione di maggiorenni  e la tutela dei legami familiari di fatto. (Nota a Corte di Cassazione 3/04/2020, n. 7667 e a Corte d’appello di Roma 5/06/2020 n. 2637) 

    di Maria Giulia D’Ettore e Rita Russo  

    Sommario: 1. L’adozione di maggiorenne: l’evoluzione dell’istituto - 2. I recenti interventi della Corte di cassazione e della Corte d’appello di Roma - 3. Il giudice nazionale e la  interpretazione  dei testi normativi  alla luce della Costituzione e della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo - 4. Considerazioni conclusive.  

    1. Ladozione di maggiorenne: l’evoluzione dell’istituto

    Nel solco di una giurisprudenza nazionale e sovranazionale che intende dare risposta ad istanze di tutela della vita privata e familiare, in linea con un evidente mutamento della società civile ed un sempre crescente numero di nuclei familiari “allargati”, due recenti pronunce della Corte d’appello e della Corte di Cassazione ridisegnano i confini dell’istituto dell’adozione dei maggiorenni.

    La tradizionale qualificazione in senso decisamente patrimoniale dell’adozione dei maggiorenni, concepita, nell’impianto del codice, quale strumento per dare un discendente, e quindi un erede, a chi, al contrario, non ne aveva, cede il passo ad esigenze solidaristiche ed alla necessità di dare veste giuridica a legami familiari nuovi, altrimenti non regolarizzabili [1].

    Da istituto volto a realizzare non tanto l’interesse economico e morale dell’adottando, quanto quello dell’adottante alla perpetuazione della discendenza, in assenza di una filiazione biologica, l’adozione di maggiorenne diviene uno strumento di consolidamento di relazioni affettive familiari di fatto, consolidatesi nel tempo, anche per il tramite di un’interpretazione estensiva dell’art. 291 c.c.

    Nella sua formulazione letterale, l’art 291 c.c. consente l’adozione di maggiorenni alle persone che non abbiano discendenti legittimi (o legittimati[2]), che abbiano compiuto gli anni trentacinque e che superino di almeno di diciotto anni l’età di coloro che essi intendono adottare.

    In presenza delle condizioni di legge, l’adozione di maggiorenni, a differenza di quanto previsto per le forme di adozione dei minori, non determina l’insorgere di un rapporto civile tra l’adottante e la famiglia dell’adottato, né tra adottato e parenti dell’adottante[3] e non interrompe il legame tra l’adottato e la propria famiglia d’origine, nei confronti della quale l’adottato conserva tutti i diritti e gli obblighi.

    L’adottato, oltre ad assumerne il cognome che si antepone al proprio, acquista poi i diritti successori di figlio nei confronti dell’adottante, secondo quanto previsto dal libro II del codice civile, mentre l’adottante non acquista alcun diritto successorio nei confronti dell’adottato.

    Sebbene all’adozione non consegua alcun obbligo di mantenimento, l’adottante e l’adottato sono reciprocamente tenuti alla prestazione alimentare.

    In questo quadro normativo si è assistito, nel tempo, ad una vera e propria riscrittura dell’art 291 c.c. e ad un progressivo ampliamento delle ipotesi concrete in cui, secondo la giurisprudenza, è consentita l’adozione di maggiorenne, con tutto ciò che ne consegue quanto a reciproci diritti ed obblighi delle parti.

    Dapprima, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art 291 c.c. nella parte in cui non consente l’adozione di un maggiorenne anche da parte di chi abbia figli legittimi o legittimati maggiorenni e consenzienti all’adozione, ritenendo dunque non ostativa all’adozione l’esistenza di figli, in presenza dell’ulteriore requisito, non previsto dalla legge, del consenso di costoro[4].  

    In seguito, la Corte Costituzionale ha ulteriormente temperato il divieto di adozione, ritenendo non ostativa la presenza di figli maggiorenni interdetti, dei quali non sia possibile acquisire il consenso[5].

    Al fine di rimediare alla inevitabile disparità di trattamento che l’art 291 c.c. poneva tra figli legittimi e figli  (allora denominati)  naturali, poiché l’eventuale presenza di figli naturali non era ostativa all’adozione, la Corte Costituzionale[6] ha poi dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione nella parte in cui non prevede che l’adozione di maggiorenni non possa essere pronunciata in presenza di figli naturali dell’adottante minorenni o, se maggiorenni, non consenzienti[7].

    Anche la giurisprudenza della Corte di cassazione ha contribuito ad ampliare la portata applicativa dell’art 291 c.c., ritenendo superabile l’impedimento alla richiesta di adozione determinato dalla presenza di figli minori, seppur questi siano ex lege incapaci di esprimere un valido consenso.

    Dapprima, ha ritenuto applicabile l’istituto in caso di adozione della prole del coniuge dell’adottante, laddove uno dei due figli del coniuge sia minore e l’altro sia divenuto di recente maggiorenne, nell’ottica di consentire ad entrambi, in quanto provenienti dalla stessa famiglia, il diritto di inserirsi nel nucleo familiare del quale fa parte il comune genitore, consentendo, in queste ipotesi, una ragionevole riduzione del divario minimo di età tra adottante ed adottato[8].

    In seguito, ha ritenuto che possa essere adottato il figlio maggiorenne del coniuge, che già appartenga, insieme al proprio genitore naturale ed ai fratelli minorenni “ex uno latere” al contesto materiale ed affettivo della famiglia del richiedente, fermo restando il potere-dovere del giudice di procedere all’audizione dei minori e del loro curatore speciale [9].

    In queste ipotesi il giudice, tenuto a valutare in forza dell’art 312 c.c. non soltanto la sussistenza di tutte le condizioni di legge ma anche la convenienza dell’adozione per l’adottato, deve verificare se “l’interesse dell’adottato trovi effettiva e concreta realizzazione nel costituendo vincolo familiare, vale a dire nella comunione di intenti […] di tutti i membri del nucleo domestico e, soprattutto, dei figli dell’adottante”.

    Nella giurisprudenza della Corte di cassazione assume dunque rilevanza centrale l’interesse dell’adottato di vedersi assicurato un legame stabile all’interno di una famiglia allargata, della quale egli si riconosce e nella quale è riconosciuto come parte integrante da tutti i membri, compresi i minori.    

    2. I recenti interventi della Corte di cassazione e della Corte d’appello di Roma

    E’ proprio nel quadro di questa evoluzione giurisprudenziale che si pongono le due pronunce in commento.

    Il caso vagliato dalla Corte di cassazione (sent.n.7667/2020) riguarda una donna, rimasta orfana di padre, che sin dall’età di dodici anni era vissuta con la madre ed il compagno di lei, che l’aveva cresciuta come una figlia propria. Pur a fronte di un legame consolidato (30 anni), in difetto del requisito della differenza di età previsto dall’art 291 c.c., la Corte d’appello di Bologna aveva ritenuto sussistente un impedimento all’adozione.

    La Corte di cassazione ha preliminarmente disatteso la sollecitazione a sollevare la questione  di legittimità costituzionale dell’art 291 c.c. in relazione agli artt. 2, 3, 10 e 30 Cost., tenuto conto della giurisprudenza della Corte Costituzionale[10] che aveva già ritenuto infondata la questione della disparità di disciplina tra l’adozione dei minori e dei maggiorenni, sul presupposto della diversità strutturale dei due istituti, poiché, mentre la prima ha come essenziale obiettivo l’interesse del minore ad un ambiente familiare stabile ed armonioso, nel quale possa svilupparsi la sua personalità, di contro la seconda non determina necessariamente l’instaurarsi o il permanere di una convivenza familiare.

    Tuttavia, la Suprema Corte evidenzia, in linea con i precedenti citati, come l’istituto dell’adozione dei maggiorenni abbia progressivamente perso la funzione originaria di assicurare all’adottante la continuità della casata e del patrimonio, per assumere una nuova valenza solidaristica che, seppur distinta da quella dell’adozione dei minori, è comunque meritevole di tutela, in quanto finalizzata a garantire riconoscimento giuridico alla relazione sociale, affettiva ed identitaria e alla storia personale di adottante ed adottato, così consentendo la formazione di “famiglie” tra soggetti già legati da vincoli personali, morali e civili.

    In questo senso, la Corte ritiene consentita un’interpretazione dell’art 291 c.c. costituzionalmente conforme agli art 2, 3 e 30 Cost., ma anche all’art 10 Cost. in relazione all’art 8 CEDU, all’art 7 della Carta Europea dei diritti fondamentali e dell’art  16 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo.

    L’art 8 CEDU impone, infatti, allo Stato obblighi positivi di tutela effettiva della “vita privata e familiare”, secondo la nozione ampia elaborata dalla giurisprudenza delle Corti sovranazionali, comprensiva di ogni espressione della personalità e dignità della persona, rispetto alla quale il limite della differenza di età rappresenta “un’indebita anacronistica ingerenza dello Stato nell’assetto familiare”.

    Il giudice di merito è pertanto chiamato ad adeguarsi alla rivisitazione storico-sistematica dell’istituto, formatasi nel diritto vivente e ad adoperarsi al fine di fornire riconoscimento a situazioni familiari consolidatesi nel tempo e fondate su una comprovata affectio familiaris, come nel caso sottoposto alla Corte, in cui emergeva un legame padre-figlia dell’adottanda con l’adottato, a prescindere dalla differenza di età tra i due richiesta dalla legge.   Secondo la Suprema Corte l’interpretazione conforme al dettato costituzionale ed alla normativa sovranazionale giustifica  la deroga  al limite di età previsto dall’art 291 c.c. anche se, stando al dettato normativo, il requisito della differenza d’età sembrerebbe imperativo, e quindi superabile solo tramite un intervento della Corte costituzionale, peraltro esplicitamente richiesto dai ricorrenti.  La Corte di legittimità ritiene però non necessario questo passaggio  ritenendo, nel caso di specie, di  operare una interpretazione costituzionalmente orientata, volta a rendere compatibile l’art. 291 c.c. con l’art 2 Cost., perché diversamente si impedirebbe, pur a fronte di una formazione sociale di fatto consolidatasi nel tempo, all’adottato di esercitare appieno i suoi inalienabili diritti, e con l’art 3 Cost., dovendosi rimuovere l’irragionevole disparità di trattamento con l’adottante che presenti una differenza di età marginalmente inferiore al tetto legale e questo proprio perché la ratio dell’istituto, alla luce dell’evoluzione sociale, è diversa da quella che aveva ispirato il legislatore.

    La Corte d’appello di Roma, invece, con la sentenza n.2637/2020 affronta il diverso profilo della compatibilità tra adozione di maggiorenne e presenza di figli minori dell’adottante; il caso riguarda una coppia di coniugi, genitori adottivi dal 2013 di due minori, che hanno domandato di adottare una giovane donna, nata nel 1997 in Bielorussia e già presente nel contesto familiare sin da bambina, poiché ospitata dalla famiglia per alcuni periodi dell’anno nell’ambito di programmi solidaristici di sostegno ed ospitalità di bambini bielorussi e successivamente trasferitasi, una volta raggiunta la maggiore età, presso il nucleo familiare, con regolare presenza sul territorio italiano in forza di un permesso di soggiorno per motivi di studio. Il Tribunale di Frosinone aveva ritenuto ostativa all’adozione la presenza nel nucleo familiare dei due figli minori.

    La Corte d’appello richiama i precedenti arresti in materia della Corte di cassazione ed in particolare quello sopra esaminato, ed evidenzia la necessità di dare riconoscimento formale ad un lungo legame di affetto tra adottanti e adottata e tra questa ed i figli minori della coppia, che si caratterizza per una condivisione di vita prescindente da vincoli di consanguineità, ritenendo giustificata, seppur in un diverso caso, la deroga all’art 291 c.c.

    Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte, dall’istruttoria svolta (osservazioni del Servizio Sociale, ascolto giudiziale dei minori e consenso prestato dal curatore speciale dei minori) è emersa l’esistenza di un rapporto di condivisione ed affetto tra tutti i membri del nucleo familiare interessato: l’adottanda, infatti, ha fatto ingresso nella famiglia ancor prima dei due minori, cresciuti con la sua costante presenza come una sorella maggiore, cosicché non soltanto vi è tra gli adottanti e l’adottanda un legame assimilabile ad un autentico rapporto di filiazione, ma anche un rapporto tra adottanda e minore assimilabile ad un rapporto fraterno.

    Anche in questo caso, il rigido disposto dell’art 291 c.c. è superato per il tramite di un’interpretazione funzionale alla tutela dell’unità familiare, garantita dall’art 30 Cost. e dall’art 8 CEDU: l’adozione non risponde ad una mera esigenza patrimoniale dei soli adottanti, né ad una pura convenienza economica dell’adottata di conseguire i benefici successori di figlia, ma assurge a strumento di tutela dell’interesse morale e giuridico di tutti i componenti del nucleo, adottanti, adottata e minori, di veder riconosciuta quella formazione sociale nella quale essi si identificano come autentica “famiglia”.  

    3. Il giudice nazionale e l’interpretazione  dei testi normativi  alla luce della Costituzione e della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo

    Le sentenze in esame costituiscono un esempio piuttosto evidente di come stia cambiando l’approccio del giudice alla lettura dei testi normativi.

    In particolare, ciò vale per quei settori, come il diritto di famiglia, ove i cambiamenti del costume sono veloci e sono stati, negli ultimi tempi, anche in qualche misura rivoluzionari, generando una forte richiesta di  produzione normativa ad hoc  cui il legislatore non riesce   -o in qualche caso non vuole - dare risposte tempestive e complete. Ciononostante, l’istanza sociale esiste e viene rivolta al giudice, che non può limitarsi ad un non liquet, ma è tenuto a dare una risposta, a maggior ragione qualora si tratti di diritti fondamentali. 

    In ciò si evidenzia la dimensione fattuale del diritto, laddove per fattualità del diritto si intende quella “enorme virulenza dei fatti, che hanno la vigorìa di condizionare il diritto e di plasmarlo[11].

    Ecco quindi il ricorso ad istituti che, nati per finalità ormai poco attuali, vengono ripensati e rivisti per rispondere ad esigenze nuove: come  nel caso della adozione di maggiorenni, chiamata a rispondere non più alla esigenza di trasmettere il patrimonio e il nome familiare ma  alle esigenze di tutela della famiglie ricomposte o ricostituite,  e in qualche caso anche a dare veste giuridica a legami che altrimenti non potrebbero mantenersi.

    In questi casi il giudice è chiamato ad  applicare la legge secondo una interpretazione orientata, oltre che dalla logica e dalla individuazione della ratio legis, anche dai principi e dai valori. La presenza di una pluralità di principi, dati da più Carte dei valori, comporta infatti l’esigenza del bilanciamento, che è operato in primo luogo dalla Corte costituzionale, ma anche dal giudice comune[12].

    Nella difficile opera di bilanciamento tra i valori il giudice deve da un lato attuare pienamente la sua funzione, dall’altro deve fare attenzione a non travalicarla, sostituendosi al legislatore o alla Corte Costituzionale. E’ quindi necessario trovare il punto di equilibrio nel dialogo con la Corte costituzionale, considerando che più volte la Consulta ha rimarcato il dovere del giudice di rendere l’interpretazione costituzionalmente conforme e che la declaratoria di incostituzionalità è l’extrema ratio, cui ricorrere solamente laddove sia impossibile trarre dalla disposizione, della cui costituzionalità si dubita, una norma conforme a Costituzione.

    Il giudice nazionale però, nella sua opera interpretativa, dialoga non solo con la Corte Costituzionale ma anche con le Corti sovranazionali ed in particolare con la Corte europea dei diritti dell’Uomo, interprete  di quella Convenzione dei diritti dell’Uomo   cui più volte ricorre la giurisprudenza di merito e di legittimità al fine di assicurare il massimo livello di tutela possibile alle situazioni in concreto prospettate.   Infine, il giudice deve necessariamente dialogare con la Corte di giustizia della Unione europea, perché non può sottarsi al dovere di applicare il diritto europeo, anche disapplicando la norma interna, nei termini in cui la Corte europea lo interpretata.    Si manifesta in questi termini il fenomeno dell’interpretazione conforme,  che si presenta, oggi, in tre forme: interpretazione conforme a Costituzione, interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea, e interpretazione conforme a Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.

    Ciò vale in particolare per la Corte di cassazione quando, nell’esercizio della sua funzione nomofilattica, produce il diritto vivente. Si è parlato, in questi termini, di un cambio di prospettiva della funzione nomofilattica  che diviene una sorta di “mutazione genetica”  della Corte di cassazione,  che  deve garantire (anche) l’uniforme interpretazione della legge come reinterpretata alla luce della CEDU, dei trattati internazionali e del diritto di matrice UE[13].

    Così, nella magmatica materia del diritto di famiglia e nell’esame della istanze di tutela dei nuovi diritti, il principio costituzionale di tutela delle formazioni sociali  solidaristiche  si legge anche alla luce della giurisprudenza della Corte EDU, ove   è stata elaborata una nozione di «vita familiare», tutelata dall’art. 8 della Convenzione,  più ampia di quella tradizionale, inserendovi anche i legami familiari di fatto e attribuendo agli Stati contraenti la facoltà di differenziare, in relazione ai diversi modelli della stessa, le varie forme di tutela.  Si è detto ad esempio che anche la filiazione adottiva costituisce «vita familiare» ai sensi dell’art. 8; che l’art. 8 è applicabile allorquando esista un legame familiare anche solo di fatto; persino la «vita familiare progettata» non è stata completamente esclusa dall’ambito di applicazione dell’articolo 8. Si delinea così una nozione di legame familiare in cui rileva, in primo luogo, la presenza di un vincolo giuridicamente formalizzato o persino l’aspirazione a stabilire una famiglia, purché si accompagni ad una chiara base giuridica o ad un legame di consanguineità. Inoltre, la Corte riconosce che può essere tutelata la vita familiare di fatto pur in assenza di un legame biologico o di un chiaro fondamento normativo, purché sussistano  però  legami personali genuini[14].

    E’ comprensibile allora che l’interprete vada alla ricerca di un mezzo di tutela di quei legami di fatto che si presentato solidi e solidaristicamente connotati, cercando nella compagine del diritto interno quelle norme che,  mediante l’interpretazione conforme, possono applicarsi alla fattispecie e soddisfare la richiesta di costituzione del vincolo giuridico.  

    4. Considerazioni conclusive

    Muoviamo adesso dall’assunto che ogni norma ha una sua ratio e cioè una finalità, e che a diverse finalità corrispondono istituti giuridici differenti.

    Ciò posto, dire che l’adozione dei maggiorenni oggi “ha perso la sua originaria natura di strumento volto a tutelare l'adottante per assumere una valenza solidaristica che, seppure distinta da quella inerente all'adozione di minori, non è immeritevole di tutela” significa forse che accanto all’adozione speciale (di minorenni) e all’adozione dei maggiorenni  tradizionale, entrambi istituti di diritto positivo, si è affiancato un terzo istituto di creazione pretoria che serve a ratificare i legami familiari di fatto? E in tal caso qual è la sua massima capacità espansiva?

    La domanda non è peregrina perché è da chiedersi se questo ipotetico “terzo istituto” può servire a ratificare legami familiari di fatto asimmetrici, ma non negli stessi termini in cui è asimmetrico, in natura, il legame tra genitori e figli.

    Si pensi ad esempio ad una persona adulta, possibilmente sola che, per fini caritevoli, accolga nella sua casa un migrante, anch’egli adulto sebbene di età inferiore, che si crei un vincolo solidaristico, e che, dopo un congruo tempo  di convivenza,  questa debba interrompersi perché al migrante viene rigettata la richiesta di premesso di soggiorno. Se si è creato un legame personale solidaristico di tipo familiare, non connotato però da affettività di coppia, potrebbe in ipotesi essere tutelato tramite adozione, malgrado la differenza d’età non lo consenta? 

    Quelle che sembrano questioni pragmatiche di rilievo statistico minimo rendono evidente che la questione coinvolge ben altri e più alti interrogativi, sui quali sia la giurisprudenza che la dottrina si interrogano e cioè quale sia il limite per il giudice nella interpretazione conforme alla Costituzione e alle altre Carte dei valori. E’ tutt’ora considerato un punto fermo, infatti, che la lettera della legge non possa essere travalicata attraverso l’interpretazione, al punto di pervenire ad una vera e propria “disapplicazione” del testo normativo[15]. Il dovere di ricercare un’interpretazione incontra dei limiti, tesi a garantire il soddisfacimento di due esigenze: da una parte, la distinzione di ruoli e funzioni tra giurisdizione comune e giurisdizione costituzionale e, dall’altra, la fondamentale esigenza di certezza del diritto, che, in un sistema, quale il nostro, ove non vige il principio dello stare decisis, può essere garantita appieno solamente da pronunce aventi effetti erga omnes[16].

    La posta è alta, perché l’esistenza di precedenti giurisprudenziali contraddittori, in particolare se essi riguardano la portata di un diritto fondamentale o le limitazioni che lo caratterizzano, potrebbe condurre a risultati imprevedibili o arbitrari e, in ultima analisi, conseguire l’effetto paradossale di privare gli interessati di una protezione  veramente efficace ed effettiva dei loro diritti.

     

    [1] Per un approfondimento v. A. GIUSTI, L'adozione di persone maggiori di età, in BONILINI, Trattato di diritto di famiglia, Torino, 2016.

    [2] Nella formulazione ante unificazione dello status di figlio, realizzata dalla l. 219/2012.

    [3] Sono fatto salve le eccezioni di legge con riferimento, ad esempio, agli impedimenti matrimoniali (art. 87 c.c.).

    [4] Corte Cost., 19.05.1988 n. 557.

    [5] Corte Cost., 20.07.1992 n. 345.

    [6] Corte Cost., 20.07.2004 n. 245.

    [7] La questione è oggi superata, attesa l’unificazione dello status di figlio ad opera della l. 219/2012, ma comunque rilevante, poiché il disposto dell’art. 291 c.c. non è stato adeguato e reca ancora riferimento ai figli “legittimi”.

    [8]  Cass. 14.01.1999 n. 354.

    [9] Cass. 03.02. 2006  n. 2426.

    [10] Corte Cost., 15.3.1993 n.  89 e Corte Cost. 17.11.2000 n. 500.    

    [11] P. GROSSI, Sulla odierna fattualità del diritto in Giustizia civile on line, 2014,n.1.

    [12] v. R. CONTI, L'interpretazione conforme e il giudice dai tre cappelli, in La Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo, Roma, 2011.

    [13]  R. CONTI, Il mutamento del ruolo della Corte di cassazione fra unità della giurisdizione e unità delle

    Interpretazioni, in Consulta on line, 2015, f.III, 7 dicembre 2015.

    [14]   v. le seguenti sentenze della Corte EDU:  5.6.2014, I.S. c. Germania; 27.4. 2010,  Moretti e Benedetti c. Italia; 4.7.2014, D. e altri c. Belgio; 27.1.2015 e Grande Camera 24.1.2017  entrambe nel caso Paradiso e Campanelli c. Italia; 15.09.2011,  Schneider c.  Germania.    

    [15] M. RUOTOLO, Quando il giudice deve “fare da sé”, in Questione giustizia, 22 ottobre 2018.

    [16]  Si veda F. DELÙ, L’interpretazione conforme e i suoi limiti,  https://www.gruppodipisa.it

     

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