La riemissione del provvedimento amministrativo
di Carlo Emanuele Gallo
Sommario: 1. La ragione della disposizione. – 2. Le criticità del testo normativo. – 3. Proposte per una corretta interpretazione.
1. La ragione della disposizione.
L’individuazione degli effetti della sentenza di annullamento del giudice amministrativo in relazione, da un lato, alla pretesa vantata dal ricorrente risultato vittorioso e, dall’altro, alle esigenze di continuità dell’azione amministrativa, anche tenuto conto degli interessi dei controinteressati, ha provocato da sempre riflessioni in letteratura ed interventi del giudice amministrativo. Rispondono a questa esigenza sia i tentativi di delimitare gli effetti temporali delle pronunzie di annullamento sia le previsioni normative che consentono di provvedere, prima dell’annullamento, vuoi alla convalida dell’atto annullabile vuoi alla individuazione di ostacoli sostanziali alla pronunzia di annullamento.
L’orientamento più risalente anche in giurisprudenza era nel senso che l’annullamento di un provvedimento per vizi del procedimento doveva comportare la ripresa del procedimento a partire dal primo atto annullato o se si vuole dall’ultimo atto ritenuto legittimo; l’annullamento aveva così un effetto da macchina del tempo, cioè un effetto retroattivo anche all’interno del procedimento, che dev’essere necessariamente ripreso dal primo atto annullato o dall’ultimo atto valido e ricondotto innanzi nel rispetto delle regole che ne garantiscono la legittimità. Corollario di questa imposizione era che tutto quanto non era pregiudicato dall’annullamento giurisdizionale doveva essere mantenuto integro, salva la possibilità di intervento in via di autotutela ma, ovviamente, sulla base dei presupposti specifici di esercizio di questo potere. Questa impostazione è stata nel tempo superata dalla giurisprudenza a fronte di specifiche esigenze (rimanendo peraltro inalterata nella gran generalità dei casi)[1]: e così, per esempio, in materia di procedimenti per l’aggiudicazione dei contratti della pubblica amministrazione si è detto, ma con orientamento non consolidato, che, una volta conosciute le offerte da parte della commissione aggiudicatrice, l’annullamento dell’aggiudicazione da parte del giudice amministrativo oppure in autotutela non consentiva un rinnovato esame delle medesime da parte della stessa commissione, essendo venuta meno ormai la segretezza delle offerte. Occorreva perciò procedere con una commissione rinnovata[2]. Più di recente, con riferimento alle procedure concorsuali di assunzione, e segnatamente con riferimento alle procedure relative all’assunzione di professori universitari o alla acquisizione dell’abilitazione scientifica nazionale, la giurisprudenza ha spesso affermato che l’illegittimità nel contenuto del giudizio della commissione esaminatrice comporta la necessità che la nuova valutazione del candidato sia effettuata da un’altra commissione per garantire l’imparzialità di valutazione non più assicurata dal fatto che la commissione aveva già espresso in precedenza il suo giudizio, se non addirittura la rinnovazione della procedura[3].
Queste deviazioni dall’impostazione più classica del procedimento, inteso come sequenza di atti e operazioni articolata in fasi logicamente preordinate e l’una all’altra susseguenti, che non poteva consentire degli effetti rinnovatori dell’annullamento che non tenessero conto di questa sequenza, possono essere giustificate sulla base della considerazione che il procedimento è anche il luogo nel quale si contemperano gli interessi, contemperamento rispetto al quale è servente la sequenza articolata in fasi, cosicché se il contemperamento è meglio raggiungibile attraverso un’articolazione rinnovata anche di fasi diverse e con cadenze temporali nuove tutto ciò può essere accettato purché sia espressione di un prudente apprezzamento discrezionale. In altre parole, anche la sequenza procedimentale risponde a quella valutazione contemperata delle varie esigenze in gioco che è tipica dell’attività dell’amministrazione allorché non debba semplicemente porre in essere degli adempimenti tassativamente prescritti dal legislatore in modo vincolato.
Si inserisce in quest’ottica l’art. 21 decies della legge 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dall’art. 12, primo comma, lett. 1 bis del decreto legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito in legge 11 settembre 2020, n. 120 (la disposizione è stata inserita in sede di conversione, durante l’esame in Senato), perché consente all’amministrazione, letteralmente dopo l’annullamento giurisdizionale passato in giudicato di un suo provvedimento, di intervenire adottando nuovamente gli atti dai quali discende l’illegittimità del provvedimento finale, con la salvezza di tutto quanto altrimenti effettuato nel procedimento e cioè attraverso un intervento che, può dirsi, sostituisce soltanto le tesserine del mosaico procedimentale senza richiedere una rinnovazione integrale del percorso.
Il fatto è, come si vedrà, però, che, al solito, la disposizione non è così chiara e perciò insorgono problemi interpretativi che richiedono un’attenta considerazione.
2. Le criticità del testo normativo.
Come si verifica assai spesso soprattutto nella normazione più recente, le criticità del testo normativo sono numerose.
La prima è la stessa terminologia utilizzata, poiché l’espressione “riemissione” riferita a un provvedimento non corrisponde alla terminologia classica e più rigorosa, che allorché fa riferimento a provvedimenti monocratici utilizza il termine emanazione (consacrato anche a livello costituzionale dall’art. 87 Cost. con riferimento al Presidente della Repubblica) e per quanto concerne i provvedimenti degli organi collegiali utilizza il termine approvazione o deliberazione[4]. Emissione è una espressione atecnica che probabilmente è stata utilizzata dal legislatore del 2020, a voler pensare bene, per ricomprendere nella medesima appunto tutti i tipi di provvedimenti, senza impegnarsi in distinzioni terminologiche. In quest’ottica la scelta può essere accettata.
La disposizione, poi, è formulata in termini così articolati e complessi da renderne difficile la stessa lettura: si tratta, infatti, di una possibilità che letteralmente è ammessa soltanto nel caso di annullamento di un provvedimento finale in virtù di una sentenza passata in giudicato, in conseguenza di vizi inerenti ad uno a più atti emessi nel corso di un procedimento e soltanto nel caso di un procedimento di autorizzazione o di valutazione di impatto ambientale. Nella determinazione dei presupposti e dei limiti applicativi della riemissione vi è l’eco delle discussioni che sono state effettuate in passato in letteratura e in giurisprudenza in ordine ai limiti della convalida e alla possibilità di rinnovazione del procedimento con riferimento alla tipologia dei provvedimenti[5]. Si è detto infatti da taluno che la convalida non era possibile nei confronti di provvedimenti già annullati[6] ma soltanto di provvedimenti ancora esistenti ed annullabili e che la convalida non era possibile con riferimento a tutti i vizi ma soltanto ai vizi endoprocedimentali[7]; si è detto anche che l’esercizio del potere di rinnovazione è conseguente alla necessità di riconoscere la pretesa avanzata dal soggetto ricorrente, cosicché è possibile con riferimento a quei provvedimenti che siano adottati ad istanza di parte.
In realtà, così come è scritta, la nuova disposizione sembra creare molti problemi forse più di quanti non ne risolva: sembra infatti da un lato ammettere la convalida anche con riferimento ai provvedimenti annullati, ma dall’altro limitarla a delle ipotesi applicative molto contenute, e cioè al fatto che si tratti di provvedimenti di autorizzazione o di valutazione di impatto ambientale e non di altri provvedimenti anche ampliativi e per di più soltanto con riferimento a vizi esclusivamente procedimentali.
La scelta effettuata da un lato costituisce pertanto una specificazione di altre disposizioni inserite nella legge n. 241 del 1990 che non sono richiamate nel nuovo art. 21 decies, con inevitabili problemi di coordinamento[8], e dall’altro introduce delle distinzioni che sono forse giustificabili ma che comunque costituiscono possibili ipotesi di disparità di trattamento o di illogicità della disposizione.
Se l’esigenza è quella di salvaguardare l’attività amministrativa già svolta e di perseguire il pubblico interesse nel rispetto delle esigenze dei cittadini coinvolti è preferibile effettuare delle scelte di sistema chiare, che abbiano la generalità massima predicabile.
Alle medesime critiche soggiace il modulo procedimentale previsto dalla disposizione in esame, che ha una tempistica generale riconducibile all’art. 2 della legge n. 241 del 1990 laddove richiama il termine di trenta giorni per l’emanazione del provvedimento finale ma ha delle tempistiche diverse laddove individua il termine assegnato all’amministrazione competente per l’adozione del provvedimento finale, che è stabilito in quindici giorni, termine che di per sé non trova riferimento nella legge n. 241 del 1990 se non in modo indiretto in relazione all’intervento sostitutivo disciplinato all’art. 2, comma 9 ter, nel testo inserito dal decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5, sul punto non modificato dal d.l. 31 maggio 2021, n. 77, convertito in legge 29 luglio 2021, n. 108.
L’introduzione di termini sempre nuovi e diversi non può che aumentare la complessità del sistema, che negli ultimi tempi sta crescendo a dismisura come è già stato sottolineato con riferimento al settore processuale[9].
3. Proposte per una corretta interpretazione.
Riscontrata la finalità della disposizione introdotta all’art. 21 decies, le regole interpretative da seguire per risolvere le difficoltà e le antinomie risultano evidenti. Dovendosi far prevalere la ragion d’essere della disposizione rispetto alle espressioni letterali, ne discende innanzitutto che non vi è ragione di limitare la possibilità di riemissione del provvedimento soltanto all’ipotesi di annullamento in sede giurisdizionale con pronunzia passata in giudicato; la possibilità di riemissione del provvedimento, infatti, è una possibilità che sussiste anche dopo una pronunzia di annullamento non passata in giudicato ed anche dopo una pronunzia di autotutela della stessa pubblica amministrazione o anche nell’ipotesi in cui l’amministrazione intenda adottare un provvedimento di convalida prima dell’annullamento del provvedimento.
Per quanto concerne la sentenza non passata in giudicato, la conclusione raggiunta è giustificata dalla considerazione che la sentenza non passata in giudicato, a’ sensi del Codice del processo amministrativo, ha comunque una immediata efficacia caducante, cosicché la medesima pone all’amministrazione il problema di un provvedimento che non può più essere eseguito e che può richiedere la necessità di un immediato intervento per ovviare alla stasi dell’attività amministrativa ovvero per ovviare alla interruzione dell’attività del privato destinatario del provvedimento per il medesimo favorevole. La pronunzia del giudice, ancorché non passata in giudicato, legittima un intervento dell’amministrazione, che può far venire meno l’interesse a ricorrere o la materia del contendere, e che dev’essere ovviamente giustificato sulla base delle esigenze che l’amministrazione ritiene di esporre per legittimare il suo intervento. Attendere il passaggio in giudicato della sentenza può avere un senso soltanto se l’amministrazione ritiene di dovere impugnare la sentenza sfavorevole o se la situazione è talmente incerta che l’adeguamento alla pronunzia del giudice non ancora incontestabile può apparire imprudente o inopportuno.
La riemissione del provvedimento è da ritenere possibile anche nel caso in cui il provvedimento originario sia stato eliminato in sede di autotutela, poiché il provvedimento di autotutela, ferma restando la provenienza dell’autorità amministrativa e la differenza di presupposti, ha lo stesso effetto sul provvedimento eliminato della sentenza del giudice amministrativo: anche in questo caso, l’amministrazione dovrà valutare l’opportunità di intervenire salvaguardando il provvedimento finale nonostante i vizi riscontrati. Va considerato peraltro che l’intervento in sede di riemissione del provvedimento, che è sostanzialmente un intervento di convalida, sia pure a posteriori rispetto all’annullamento, è legittimato dalla idoneità del provvedimento finale a soddisfare un pubblico interesse, idoneità che di per sé non è eliminata dal fatto che si siano verificati dei vizi nel corso del procedimento e che detti vizi siano stati considerati esistenti e sufficienti per l’annullamento. Occorrerà infatti considerare se rimangano o meno corrette le valutazioni discrezionali che l’amministrazione ha compiuto allorché ha scelto quel tipo di soluzione per il problema amministrativo che aveva di fronte.
Non vi è poi ragione per escludere che questa speciale possibilità di convalida possa essere adottata anche con riferimento a provvedimenti non ancora annullati, poiché quello che può essere effettuato una volta che l’annullamento sia stato pronunciato a maggior ragione può essere effettuato allorché l’annullamento non vi è ancora, in quanto in questo modo si evita l’effetto caducatorio, che comporta l’interruzione della esecuzione del provvedimento e perciò dell’attività pubblica e privata connessa, e si raggiunge la soluzione del problema di legittimità. Le valutazioni che l’amministrazione deve compiere in questa fattispecie non sono diverse da quelle occorrenti nelle altre in punto pubblico interesse mentre ovviamente lo sono per quanto concerne l’accertamento dell’esistenza della illegittimità, che l’amministrazione deve effettuare autonomamente, come in tutte le ipotesi di autotutela, non potendo fondarsi su una pronunzia del giudice o su un precedente provvedimento di annullamento d’ufficio.
Non è ragionevole ritenere che un potere di questo tipo possa essere esercitato soltanto con riferimento ai provvedimenti di autorizzazione o di valutazione di impatto ambientale. Va premesso che non vi è una particolare somiglianza tra i provvedimenti di autorizzazione e le valutazioni di impatto ambientale: i provvedimenti di autorizzazione sono normalmente espressione di una vera e propria discrezionalità amministrativa, ancorché in parte molto di frequente predeterminata da atti di programmazione o di pianificazione mentre la valutazione di impatto ambientale è normalmente espressione di discrezionalità tecnica, cioè connotata da considerazioni rispetto alle quali le scelte discrezionali in senso proprio sono assenti. Volendo ricondurre la norma alla ragionevolezza, dovrebbe dirsi perciò che la medesima è applicabile a tutte le ipotesi in cui il potere esercitato è un potere amministrativo discrezionale o un potere connotato da discrezionalità tecnica. Se è così, però, evidentemente occorre far riferimento a categorie di carattere generale diverse, per evitare che vi possano essere disparità di trattamento ingiustificate: non si comprende perché sia soltanto l’ambito della discrezionalità a legittimare o meno la riemissione del provvedimento, quasi che vi possa essere una differenza per esempio nella riadozione di una concessione rispetto ad un’autorizzazione o nella riadozione di un provvedimento di valutazione di impatto ambientale rispetto a un provvedimento vincolato; non si comprende perché questa possibilità sussista soltanto con riferimento a determinati provvedimenti ampliativi della sfera del privato e non a tutti o perché non valga anche per tutti i tipi di provvedimento, dal momento che le regole dell’azione amministrativa sono uniformi.
Esigenze di parità di trattamento e di armonia di sistema impongono a questo punto di dire che con riferimento ad ogni tipo di provvedimento adottato al termine di un procedimento può essere utilizzato l’istituto della riemissione, anche perché nella legge n. 241 del 1990 dovrebbero essere disciplinati istituti di carattere generale. Del resto, in giurisprudenza, una conclusione molto simile è stata raggiunta con riferimento all’art. 21 octies e dai poteri amministrativi ivi previsti, oltre che ai poteri attribuiti al giudice amministrativo, per evitare che disposizioni specifiche ed incisive come quelle ivi richiamate possano essere riferite soltanto all’uno o all’altro tipo di provvedimento ingenerando incertezze e disparità non giustificabili.
Il problema che ancora si pone è che cosa significhi l’espressione contenuta nell’art. 21 decies circa i “vizi inerenti ad atti endoprocedimentali”: una lettura restrittiva porterebbe a ritenere che si debba trattare soltanto di vizi di violazione di legge, e cioè di quei vizi di carattere giuridico formale che possono colpire gli atti endoprocedimentali. Una conclusione di questo genere però sarebbe scarsamente giustificabile tenuto conto delle ipotesi alle quali letteralmente l’art. 21 decies fa riferimento, e cioè sia alle autorizzazioni che soprattutto alle valutazioni di impatto ambientale. Con riferimento alle prime, infatti, i vizi che possono verificarsi sono molto spesso più vizi di sostanza, e cioè di interpretazione delle norme legislative, regolamentari o di pianificazioni che vizi meramente di procedura e rispetto alle seconde il riferimento più evidente è a vizi relativi all’intervento di organi tecnici e consultivi o ad accertamenti tecnici, piuttosto che a semplici problemi di conduzione formale del procedimento. Considerazioni in termini di discrezionalità amministrativa o di discrezionalità tecnica sono quelle che di solito conducono alla eliminazione, mediante annullamento, di autorizzazioni o di valutazioni di impatto ambientale: se è possibile una riemissione del provvedimento in questi casi ciò significa che il riferimento non è a vizi meramente giuridico formali ma viceversa a vizi sostanziali. Applicando questo criterio interpretativo ne discende che in generale è ritenuta possibile dal legislatore che ha dettato l’art. 21 decies la riemanazione del provvedimento con l’eliminazione dei vizi anche sostanziali che si sono verificati nel corso del procedimento, sempre che ovviamente detti vizi siano eliminabili a posteriori.
Vi saranno senz’altro dei vizi sostanziali ineliminabili, mentre ve ne saranno degli altri che possono essere superati. Fra i primi, evidentemente, vi sarà il travisamento dei fatti, mentre invece tra i secondi potrebbe esservi l’erronea valutazione dei presupposti se si tratta soltanto di un’erronea valutazione di presupposti incontestabili perché correttamente individuati[10].
La disposizione così interpretata è per l’appunto una disposizione di carattere generale[11], che consente all’amministrazione di porre rimedio a ogni tipo di vizio nel quale sia incorsa durante il procedimento, tanto prima che dopo la sentenza di annullamento del giudice, con l’effetto vantaggioso di evitare di dovere ripercorrere tutto un procedimento anche in quelle tappe che non hanno creato alcun problema né sono affette da alcun vizio e che sono perciò scontate, e la ripetizione delle quali si rivela soltanto una ingiustificata perdita di tempo. L’amministrazione dovrà rinnovare, può dirsi in modo chirurgico, soltanto quegli atti o quelle operazioni nelle quali è incorsa in un vizio. Questi atti rinnovati si inseriranno nel procedimento già celebrato, colmandone le deficienze e le lacune o sanandone in senso proprio i vizi cioè correggendo gli aspetti giuridicamente scorretti, con effetto retroattivo[12]. Il vantaggio dal punto di vista del pubblico interesse è evidente senza che vi sia un danno per cittadino ricorrente vittorioso o per il cittadino beneficiario in senso proprio o anche per i controinteressati, poiché tutti costoro hanno interesse ad un corretto esercizio dell’attività amministrativa non ad un annullamento purchessia in relazione alle conseguenze di fatto o impreviste o eventuali dell’annullamento stesso.
Le considerazioni che si sono svolte conducono a valutare se fra gli atti che possano essere acquisiti successivamente non vi possano essere anche i pareri: come è noto, con riferimento ai pareri l’orientamento della giurisprudenza amministrativa è sempre stato molto restrittivo e anche l’Adunanza plenaria ha ribadito che addirittura l’assenza di un parere obbligatorio significa non esercizio del potere[13]. Secondo quest’orientamento, perciò, l’art. 21 decies non sarebbe utilizzabile nel caso in cui il parere non sia stato acquisito. Va osservato, però che, ferme le criticità della pronunzia dell’Adunanza plenaria con riferimento al problema dell’assorbimento dei motivi in relazione alla mancata acquisizione di un parere, la dizione ampia dell’art. 21 decies non consente di escludere la possibilità di acquisire un parere ora per allora: il parere infatti è un atto procedimentale[14]. In questo caso, però, è ancor più evidente che l’intervento ora per allora del parere che dovrà essere richiesto e non è stato richiesto non è detto affatto che possa condurre alla convalida dell’atto originariamente illegittimo e cioè alla sua riemissione. Se il parere è sfavorevole, non è possibile il suo inserimento nel procedimento perché occorrerà a questo punto che il procedimento successivo al parere venga celebrato tenendo conto del medesimo, il che può comportare un esito finale diverso e che comunque comporta l’adozione di un atto che non è identico all’atto originariamente adottato. Ma si tratta di una conseguenza che può verificarsi con riferimento a tutti i casi in cui viene ipotizzata la riemissione: non è mai detto che, individuati dei vizi procedimentali, il provvedimento finale possa essere lo stesso che è stato adottato in presenza dei vizi stessi. La possibilità di riemanazione non significa inevitabile riemanazione dello stesso atto.
Il vantaggio che ottiene l’attività amministrativa in presenza di questa norma è quello di evitare un rifacimento di fasi procedimentali in termini di atti e operazioni allorché questo rifacimento appare inutile; nel caso in cui invece il rifacimento sia utile il rifacimento dev’essere inevitabilmente effettuato.
Le opinioni qui esposte sono state parzialmente accolte da una recente sentenza del T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 26 maggio 2021, n. 3496, che ha affermato che la riemissione del provvedimento prevista dall’art. 21 decies, pur letteralmente riferita soltanto all’ipotesi di annullamento dell’atto autorizzatorio in sede giurisdizionale, “può ritenersi espressione di un principio semplificatorio” che consente l’applicazione della disposizione in vista dell’obiettivo della massima efficienza anche nel caso in cui vi sia stato un intervento in sede di autotutela amministrativa, e cioè ogni qualvolta siano stati caducati degli atti endoprocedimentali, con il risultato di ottenere “la salvezza dell’attività antecedente non viziata e la prosecuzione dell’iter teso all’emanazione del provvedimento finale, mediante il rifacimento del solo tratto di azione amministrativa viziato”.
La pronunzia del T.A.R. Campania è stata impugnata avanti il Consiglio di Stato, ma il Consiglio di Stato con l’ordinanza della IV Sezione 16 luglio 2021, n. 3919, pur pronunziandosi in sede cautelare, ha affermato che l’appello, che contrastava questa posizione del T.A.R. Campania, “non appare assistito da sufficiente fumus boni juris in relazione alla puntuale motivazione della sentenza gravata”.
Il che significa che il Consiglio di Stato condivide l’impostazione per dir così estensiva sostenuta dal T.A.R. Campania e che nelle considerazioni sopra svolte l’innovazione legislativa è stata portata ad un corretto completamento argomentativo e funzionale, che ne dimostra l’utilità.
[1] Che la rinnovazione debba interessare soltanto le fasi viziate è ribadito da T.A.R. Veneto, Sez. I, 1° aprile 2019, n. 389, che richiama Cons. Stato, Sez. IV, 17 febbraio 2014, n. 748 ed altre conformi.
[2] Come è noto, quest’orientamento ha dato luogo ad una reazione del legislatore, prima nell’art. 84 del Codice dei Contratti del 2006, poi nell’art. 77 del Codice dei Contratti del 2016, che hanno imposto la riconvocazione della medesima commissione, ai quali si è adeguata l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza 26 luglio 2012, n. 30: in tema, R. COLAGRANDE – C. FANASCA, Commissioni di gara, in Trattato sui contratti pubblici, diretto da M. A. SANDULLI e R. DE NICTOLIS, vol. III, Milano, Giuffrè, 2019, p. 418 ss.. Ma rimangono contrasti in giurisprudenza: cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 7 giugno 2021, n. 1861, Cons. Stato, Sez. III, 7 aprile 2021, n. 2819.
[3] Per tutte, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 5 aprile 2019, n. 4500; 5 ottobre 2017, n. 10064.
[4] Di riemissione si parla a proposito dei titoli di spesa: C. Conti, Sez. Controllo, 5 luglio 1996, n. 97.
[5] Un’accurata trattazione è svolta da A. G. PIETROSANTI, La convalida del provvedimento amministrativo, in Principi e regole dell’azione amministrativa, a cura di M. A. SANDULLI, Milano, Giuffè, 2020, p. 501 ss..
[6] T.A.R. Veneto, Sez. II, 24 luglio 2017, n. 735; F. COSTANTINO, Commento all’art. 21 nonies, in L’azione amministrativa, a cura di A. ROMANO, Torino, Giappichelli, 2016, p. 899 e 905.
[7] C. DEODATO, Commento all’art. 21 nonies, in Codice dell’azione amministrativa, a cura di M. A. SNDULLI, Milano, Giuffrè, 2017, p. 1200 ss.
[8] Si consideri, ad esempio, che R. VILLATA – M. RAMAJOLI, Il provvedimento amministrativo, Torino, Giappichelli, 2006, p. 618 – 619 segnalano che dopo l’art. 21 octies la convalida per gli atti vincolati non è più necessaria.
[9] In questi termini, con riferimento al nuovo art. 72 bis del Codice del processo amministrativo, R. DE NICTOLIS, Tra (dis)proporzionalità e (in)efficienza, un nuovo giudizio immediato (art. 72 bis c.p.a.) per la giustizia amministrativa, in Giustizia insieme, 23 settembre 2021.
[10] Questo è l’approdo della giurisprudenza in tema di convalida, essendo ormai ammessa anche la convalida per difetto di motivazione purché gli elementi della medesima emergano dal procedimento, trattandosi perciò di un vizio del discorso giustificativo e non della funzione: Cons. Stato, Sez. VI, 27 aprile 2021, n. 3385; Sez. VI, 9 marzo 2021, n. 2001; T.A.R. Piemonte, Sez. II, 4 febbraio 2021, n. 122; Cons. Stato, Sez. III, 22 ottobre 2020, n. 6377.
[11] Come la convalida è un istituto di carattere generale: Cons. Stato, Sez. VI, 27 aprile 2021, n. 3385.
[12] Così, F. Costantino, op. cit., p. 902 e, in giurisprudenza, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 1° settembre 2020, n. 3716.
[13] Il riferimento è alla sentenza 22 aprile 2015, n. 5.
[14] Ammettono l’acquisizione in sanatoria di un parere sia pure in ipotesi specifiche R. VILLATA – M. RAMAJOLI, op. cit., p. 618 – 619.