Interdittiva antimafia e controllo giudiziario (nota a Consiglio di Stato, sez. III, 11 gennaio 2021, n. 319)
di Renato Rolli e Martina Maggiolini
Sommario: 1. Premessa: la vicenda contenziosa- 2. Sul rapporto tra interdittiva e controllo giudiziario- 3. Considerazioni conclusive
1. Premessa: la vicenda contenziosa
La natura composita, e per certi versi ambigua, delle informative antimafia impone una costante attenzione della dottrina e della giurisprudenza, in quanto ogni intervento in materia, aggiunge una tessera al complesso mosaico che compone l’interdittiva medesima [1].
Da ultimo la pronuncia del Consiglio di Stato n. 319 del 2021, che qui si annota, chiarisce un particolare aspetto del procedimento prefettizio levigando questioni fondamentali alla determinazione dei confini e dei limiti del provvedimento interdittivo [2].
I Giudici di Palazzo Spada hanno reso la sentenza in oggetto, sulla riforma della pronuncia del Tar Campania che aveva rigettato tre distinti ricorsi e i relativi motivi aggiunti, proposti contro le informative prefettizie relative alla sussistenza delle “situazioni di cui all'art. 84, comma 4 e all'art. 91, comma 6 del D.Lgs. 6/9/2011 n° 159 e s.m.i.”, nonché contro i provvedimenti che, di conseguenza, hanno determinato la revoca o la risoluzione dei rapporti negoziali a valle [3].
Anche in appello, avverso la suddetta pronuncia, venivano proposti tre distinti ricorsi dalle società destinatarie dei provvedimenti prefettizi. Con ordinanze collegiali i giudizi venivano sospesi fino al decorso del termine di efficacia del controllo giudiziario ex art. 34-bis, comma 6, del d. lgs. n. 159 del 2011 disposto dall’ autorità giudiziaria competente [4].
Le società appellanti, all’esito del periodo di controllo giudiziario e dunque a seguito della cessazione della causa di sospensione, depositavano: istanze di fissazione di udienza, i provvedimenti con cui venivano successivamente iscritte nella c.d. white list, la sentenza di assoluzione del socio del 23 marzo 2020 ed i provvedimenti conclusivi della procedura di controllo giudiziario.
Preliminarmente i ricorsi in appello venivano riuniti, in quanto relativi alla medesima sentenza e poiché connessi, in quanto le tre società appellanti sono società di progetto per la realizzazione di specifiche opere che venivano attinte da informativa antimafia, a seguito dell’adozione di analogo provvedimento nei confronti della predetta s.p.a.
Le società appellanti sono tre società di progetto partecipate dalla “società madre” che, fino all’11 gennaio 2018, avevano come amministratore unico il socio che deteneva il 30% della capogruppo. Con i ricorsi di primo grado venivano dedotti sia motivi inerenti l’illegittimità, a monte dell’interdittiva adottata, sia con motivi autonomi, a loro volta concernenti l’alterità soggettiva di ciascuna società rispetto alla “società madre” e la pretesa autonomia oggettiva di ciascuna società di progetto.
Con la censura comune che qui più interessa, le appellanti contestano la sentenza gravata in relazione alla valutazione dell’automatica refluenza, sulle rispettive realtà aziendali, del pericolo di infiltrazione desunto dal collegamento societario con la società madre, sostenendo che la Prefettura di Caserta avrebbe dovuto dimostrare, mediante elementi concreti e non mere supposizioni, la perdurante influenza dell’ex amministratore sulle politiche ovvero sulle sorti delle aziende, e quindi la fittizietà ovvero il mero fine elusivo del suo allontanamento dall’azienda.
Invero, le ragioni delle appellanti (per cui in seguito all’arresto del socio non vi sarebbe stato alcun pericolo di infiltrazione mafiosa in ragione dell’abbandono da parte del predetto delle cariche sociali) non possono essere accolte per la rilevanza dei rapporti intrattenuti con lo stesso. È peraltro evidente che il detto arresto, e la sua sostituzione nelle cariche sociali, non ha operato una censura sul piano personale e familiare fra l’ex amministratore e le strutture aziendali interessate, ma risulta anzi una sorta di continuità che non legittima l’affermazione di una reale separazione delle fasi gestionali.
Nondimeno appare dirimente l’infondatezza della censura in esame, sul piano dei rapporti e dei collegamenti fra la capogruppo da un lato e le odierne appellanti dall’altro. L’alterità soggettiva, da queste affermata, è in realtà solo formale, perché nel caso delle società di progetto la connessione è molto più intensa, dal momento che la società viene costituita per il singolo affare quale mero strumento operativo della dante causa, totalmente dipendente al singolo affare della società “madre”.
Ragion per cui è necessario sottolineare che la società di progetto è subentrata automaticamente nel rapporto già facente capo all’aggiudicataria, sostituendola in tutti i rapporti con l’amministrazione utilizzatrice. Dunque il soggetto giuridico, pur se formalmente distinto, è sostanzialmente il medesimo ovvero il reale centro di imputazione degli interessi afferenti la vicenda negoziale.
In conclusione, le tre società appellanti hanno prodotto in giudizio i provvedimenti conclusivi del controllo giudiziario, nei quali viene accertata l’inesistenza, a quella data, di un rischio infiltrativo attuale. È chiaro però che dagli elementi rilevati in tale sede non è possibile inferire un giudizio prognostico diverso da quello contenuto nei provvedimenti interdittivi impugnati.
Del resto, posto che dal provvedimento favorevole, emanato all’esito del periodo di controllo giudiziario, che afferma l’inesistenza, a quella data, di elementi che possano far desumere l’esistenza di un rischio infiltrativo attuale, non può desumersi l’illegittimità dell’informativa antimafia resa in precedenza, il Consiglio di Stato riunendo i ricorsi li rigetta.
2. Sul rapporto tra interdittiva e controllo giudiziario
Come chiarito dal Collegio, dedurre dai provvedimenti favorevoli dell’autorità giudiziaria, emanati alla conclusione del periodo di controllo ex art. 34-bis, l’illegittimità dell’informativa resa in precedenza comporterebbe una violazione del perimetro normativo di riferimento [5].
La valutazione del giudice della prevenzione penale circa l’assenza di elementi che possano rilevare un contatto attuale dell’impresa a condizionamenti illeciti attiene ad un profilo diverso ed ulteriore rispetto alla ricognizione fondata sul principio del “più probabile che non” [6] su cui trova fondamento il provvedimento prefettizio.
Orbene sindacare la legittimità dell’interdittiva sulla base delle risultanze del successivo controllo giudiziario, finalizzato proprio ad un’amministrazione dell’impresa immune da probabili infiltrazioni criminali, appare scelta assai viziata e priva di una logica giuridica. In primo luogo gli elementi fattuali considerati nelle due diverse sedi sono differenti o comunque postposti; in secondo luogo è diversa la prospettiva d’indagine, id est l’individuazione dei parametri di accertamento e di valutazione dei legami con la criminalità organizzata [7].
Il giudice della prevenzione penale nella sua valutazione, infatti, si riferisce ad un controllo successivo all’adozione dell’interdittiva e dunque relativo a vicende sopravvenute rispetto alla determinazione prefettizia. Ed è la medesima ragione per cui non rilevano, in senso opposto, i provvedimenti prefettizi con cui è stata disposta l’iscrizione delle società appellanti nella white list [8].
Difatti il Collegio nel caso de quo è lapidario nel sostenere che se il giudice penale, in sede di cognizione piena, non ha ritenuto gli elementi di prova raccolti “elementi certi” per affermare la responsabilità a titolo di contiguità compiacente rilevante in termini di concorso esterno[9], ciò non comporta sic et simpliciter la conseguente non rilevanza dell’attività ai fini del provvedimento prefettizio che si fonda non su una piena dimostrazione bensì sul più ampio principio del “più probabile che non” che risulta nel caso de quo pienamente soddisfatto dato il complesso quadro indiziario[10].
Dunque, se la valutazione del Tribunale della prevenzione non vincola il giudice amministrativo chiamato a valutare la legittimità dell'informazione prefettizia, in egual modo la pronuncia di quest'ultimo non vincola il giudice penale che è chiamato a vagliare la natura occasionale ovvero stabile del pericolo di condizionamento, come stabilito dall'art. 34 bis comma 1, del d.lgs 159/2011, senza poter tuttavia mettere in discussione i presupposti del provvedimento interdittivo [11].
Dunque, il rapporto di reciproca autonomia tra gli ambiti di valutazione del Tribunale della prevenzione e del giudice amministrativo dovrebbe indurre a ritenere che il primo possa ammettere la misura del controllo giudiziario richiesto dall'impresa interessata in tutti i casi in cui gli elementi vagliati raggiungano la predetta occasionalità nonché ove si attestino ad un livello inferiore rispetto al valore-soglia. Per tale ragione al Tribunale della prevenzione è preclusa, invece, la facoltà di estendere il proprio ambito valutativo alla delibazione degli stessi presupposti per l'adozione del provvedimento prefettizio che è invece riservata al Giudice Amministrativo [12].
3. Considerazioni conclusive
Risulta allora evidente, a chiusa delle considerazioni sin qui svolte, come la valutazione del giudice della prevenzione penale circa l’assenza di elementi che lascino supporre una disponibilità attuale dell’impresa a condizionamenti illeciti[13] attiene ad un profilo diverso ed ulteriore rispetto alla ricognizione probabilistica del rischio di infiltrazione[14], la quale costituisce, invero, il presupposto del provvedimento prefettizio, atto che vede la sua genesi in un momento diacronicamente e cronologicamente ad esso successivo[15].
Per cui la pretesa di operare un sindacato di legittimità del provvedimento, alla luce delle risultanze del successivo controllo giudiziario[16], il cui fine ultimo e precipuo risulta essere un’amministrazione dell’impresa immune da eventuali infiltrazioni criminali, appare intervento viziato dalla molteplicità ed eterogeneità degli elementi fattuali, intrinseci ed estrinseci, che vengono in considerazione nelle due diverse sedi [17]. Ciò è avvalorato avendo ancor più riguardo alla prospettiva d’indagine, nonché all’individuazione dei parametri di accertamento e di valutazione dei legami con la criminalità organizzata [18].
Orbene, emerge come la valutazione finale del giudice della prevenzione penale si riferisca alla funzione tipica di tale istituto [19]: un controllo successivo all’adozione dell’interdittiva, avente riguardo alle sopravvenienze rispetto a tale provvedimento, per cui l’illegittimità non può certamente trovare in esso il suo fondamento [20].
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[1] si rinvia a M. Mazzamuto, Il salvataggio delle imprese tra controllo giudiziario volontario, interdittive prefettizie e giustizia amministrativa, Sistema penale, fascicolo III, 2020
[2] Si consenta il rinvio a R. Rolli, L’informativa antimafia come “frontiera avanzata” (Nota a sentenza Cons. Stato, Sez. III, n. 3641 dell’8 giugno 2020), in Questa rivista, 3 luglio 2020
[3] G. AMARELLI, L’onda lunga della sentenza De Tommaso: ore contate per l’interdittiva antimafia “generica” ex art. 84, co. 2., lett. d) ed e), d.lgs. n. 159/2011? in Riv. trim. penale contemp., 2017
[4] si rinvia a M. Mazzamuto, Pagamento di imprese colpite da interdittive antimafia e obbligatorietà delle misure anticorruzione, in Giurisprudenza Italiana, 2019
[5] S. MAZZARESE, A. AIELLO., Le misure di prevenzione antimafia. Interdisciplinarità e questioni di diritto penale, civile e amministrativo, Giuffrè Editore, Milano, 2010
[6] F. FRACCHIA - M. OCCHIENA, Il giudice amministrativo e l’inferenza logica: “più probabile che non” e “oltre”, “rilevante probabilità” e “oltre ogni ragionevole dubbio”. Paradigmi argomentativi e rilevanza dell’interesse pubblico”, il diritto dell’economia, si ritiene che in tale ipotesi la “giurisprudenza dovrebbe incaricarsi di verificare dall’interno e compiutamente la coerenza delle inferenze seguite dall’Amministrazione dell’Interno (…)”. Cons. Giust. amm. reg. sic., 31 dicembre 2019, n. 1104: “la regola causale del più probabile che non integra un criterio di giudizio di tipo empirico-induttivo, che ben può essere integrato da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (qual è quello mafioso) e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia da qualsiasi logica penalistica (...)”; Cons. St., Sez. III, 26 settembre 2017, n. 4483; Id., 28 giugno 2017, n. 3171, tutte in giustizia-amministrativa.it.
[7] M. Speciale, Interdittive antimafia tra vecchi confini e nuovi scenari, in giustizia-amministrativa, 2020
[8] P.M. Zerman, Lotta alle infiltrazioni nelle imprese, vanno valutati fatti concreti, in ilSole24 ore, 25 settembre 2019
[9] “Per espressa previsione normativa, il controllo giudiziario ex art. 34 bis d.lg. n. 159/2011 non costituisce un superamento dell'interdittiva ma « sospende », per la durata dello stesso, gli effetti dell'interdittiva senza eliminarli; non riabilita l'impresa ma, al contrario, presuppone la sussistenza e la permanenza del provvedimento interdittivo. Il controllo giudiziario è infatti strumento di autodepurazione dalle infiltrazioni criminali che consente all'impresa ammessa di continuare ad operare nei rapporti con la pubblica amministrazione. L'esigenza sottesa alla continuità aziendale, tuttavia, deve essere conciliata con l'interesse alla realizzazione dell'opera di pubblica rilevanza. Ciò impone, pertanto, la necessità di operare un giusto contemperamento degli interessi coinvolti. Necessità che è tanto più forte ed immanente in una fattispecie, come quella in esame, in cui la procedura di gara — al momento in cui è stata prima presentata e poi accolta l'istanza per la nomina di un amministratore giudiziario — si è già conclusa con l'individuazione definitiva del nuovo aggiudicatario. In tale situazione, non vi è spazio per ipotizzare che gli effetti della sospensione di cui all'articolo 34 bis, comma 7, del d.lg. n. 159/2011, debbano (o possano) retroagire fino a travolgere gli atti legittimamente adottati dall'amministrazione quale automatica e doverosa conseguenza dell'informativa interdittiva intervenuta a carico dell'originaria aggiudicataria. Un simile effetto, oltre a non risultare coerente con la ratio del nuovo istituto, risulta altresì in contrasto con lo stesso tenore letterale dalla norma che individua un limite temporale (compreso tra uno e tre anni) di durata e collega alla misura la mera sospensione degli effetti dell'interdittiva”. T.A.R. Reggio Calabria, (Calabria) sez. I, del 30 ottobre 2018, n.643
[10] Cfr. Corte costituzionale sentenza n. 57 del 2020
[11] Si consenta il rinvio a R. Rolli M. Maggiolini, Informativa antimafia e contraddittorio procedimentale (nota a Cons. St. sez. III, 10 agosto 2020, n. 4979), in questa rivista, 2020
[12] Cfr. T.A.R. Napoli, (Campania) sez. I, del 29 aprile 2020, n.1589
[13] Si consenta il rinvio a R. Rolli e M. Maggiolini, Interdittiva antimafia e questioni di legittimità costituzionale (nota a ord.za TAR - Reggio Calabria, 11 dicembre 2020, n. 732), in questa rivista, 2021
[14] “Ai fini dell'interdittiva antimafia, il giudizio relativo alla sussistenza dei pericoli di infiltrazione in una società non può essere modificato dal decreto di ammissione alla misura del controllo giudiziario, previsto dall'art. 34 -bis del D.Lgs. 159/2011; il controllo giudiziario che permette la prosecuzione dell'attività imprenditoriale non ha, infatti, effetti retroattivi, né costituisce un superamento dell'interdittiva, bensì ne rappresenta una conferma della sussistenza, in quanto viene adottato un regime in cui l'iniziativa imprenditoriale può essere ripresa per ragioni di libertà di iniziativa e di garanzia dei posti di lavoro, ma in un regime limitativo di assoggettamento a un controllo straordinario giudiziario”. T.A.R. Napoli, (Campania) sez. I, del 2 novembre 2018, n.6423
[15] v. M. Mazzamuto, Le interdittive prefettizie tra prevenzione antimafia e salvataggio delle imprese, Giurisprudenza italiana, 2018
[16] “Il giudizio amministrativo che abbia ad oggetto un'interdittiva antimafia e il procedimento penale finalizzato all'ottenimento dell'applicazione del controllo giudiziario, anche se legati da un rapporto di collegamento funzionale, si pongono su piani non coincidenti i quali comportano un sindacato di tipo differente”. T.A.R. Palermo, (Sicilia) sez. I, del 21 settembre 2020, n.1874
[17] v. M. Mazzamuto, L’agenzia nazionale per l’amministrazione e la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita’ organizzata, Diritto penale contemporaneo, 2015
[18] M. Mazzamuto, Interdittive prefettizie: rapporti tra privati, contagi e giusto procedimento, in Giurisprudenza italiana, 2020
[19] F.G. Scoca, Le interdittive antimafia e la razionalità, la ragionevolezza e la costituzionalità della lotta “anticipata” alla criminalità organizzata, in giustamm, 6, 2018
[20] C. Filicetti, Self cleaning e interdittiva antimafia (nota a Cons. St., Sez. III, 19 giugno 2020, n. 3945)