GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Scelte tragiche e Covid-19

     Scelte tragiche e Covid-19

                                                       Roberto Giovanni Conti 

    Intervista a Luigi Ferrajoli, Emerito di Filosofia del diritto, Università di Roma Tre

    Antonio Ruggeri, Emerito di Diritto costituzionale, Università di Messina

    Luciano Eusebi, Ordinario di Diritto penale, Università Cattolica di Milano

    Giorgio Trizzino, medico, parlamentare

     

    1.Le domande. 2. La scelta del tema. 3. Le risposte. 4. Le conclusioni.

     1. Le domande

    1. Le notizie drammatiche in questi tempi veicolate dalle autorità coinvolte e dai mass media hanno fortemente insistito sul fatto che la maggiore pericolosità del Covid-19 coinvolge le persone in età avanzata, al punto da diffondere le notizie circa i decessi sempre collegate all’età anagrafica avanzata.

    Rispetto all’emergenza di una terapia intensiva tra pazienti di diversa età affetti  da gravi patologie respiratorie, la scelta rimessa al sanitario o all’equipe  che si dovesse trovare a non potere soddisfare contemporaneamente le urgenze di diversi pazienti gravi deve seguire delle regole deontologiche, sanitarie ed etiche. Queste scelte sono condizionate dall’età del paziente, dalla gravità delle sue condizioni, dalle prospettive di successo dell’intervento sanitario.  Qual è la sua opinione?

    2. In questo periodo si è spesso tornato a riflettere sul rapporto fra scienza e diritto. Il tema della prima domanda può secondo Lei essere affrontato dando prevalenza alle regole tecniche della medicina o della scienza e in che misura espone il soggetto chiamato a scegliere a responsabilità di natura giuridica o etica?

    3. Dal punto di vista filosofico la decisione di posporre l’intervento sanitario in un caso di impossibilità di fare fronte a diversi interventi è governata secondo Lei da un’etica dei diritti? La scelta tragica fra diversi diritti che non possono trovare tutti contemporanea soddisfazione merita un esame comparativo di tipo soggettivo ovvero una prospettiva più ampia? In altri termini, la scelta va fatta unicamente orientando l’indagine sul profilo del singolo paziente e dei tempi di ricovero o deve coinvolgere anche una prospettiva solidaristica che guarda alla società, al beneficio che essa potrebbe avere in relazione alle scelte adottate dal sanitario?

    4. Nell’ipotesi in cui il diritto alla assistenza sanitaria venisse limitato secondo criteri di priorità dal legislatore, riterrebbe opportuno anche riconoscere e garantire ai sanitari   un diritto alla obiezione di coscienza come normativamente previsto, ad esempio, nei casi di sperimentazione animale, procreazione medicalmente assistita e interruzione volontaria di gravidanza? Ed in caso di mancato riconoscimento normativo di un diritto di “obiezione” quali scenari pensa si aprirebbero in concreto negli ospedali italiani?

     2.La scelta del tema

    Roberto Giovanni Conti

    L’emergenza nazionale ed internazionale prodotta dal Covid-19 sta ponendo interrogativi bioetici e biogiuridici di grande spessore. Giustizia Insieme intende offrire al suo pubblico di lettori delle riflessioni su alcuni dii questi interrogativi, coinvolgendo filosofi del diritto, giuristi bioeticisti e medici.



     

     

    3. Le risposte

    1. Le notizie drammatiche in questi tempi veicolate dalle autorità coinvolte e dai mass media hanno fortemente insistito sul fatto che la maggiore pericolosità del Covid-19 coinvolge le persone in età avanzata, al punto da diffondere le notizie circa i decessi sempre collegate all’età anagrafica avanzata.

    Rispetto all’emergenza di una terapia intensiva tra pazienti di diversa età affetti  da gravi patologie respiratorie, la scelta rimessa al sanitario o all’equipe  che si dovesse trovare a non potere soddisfare contemporaneamente le urgenze di diversi pazienti gravi deve seguire delle regole deontologiche, sanitarie ed etiche. Queste scelte sono condizionate dall’età del paziente, dalla gravità delle sue condizioni, dalle prospettive di successo dell’intervento sanitario.  Qual è la sua opinione?

     Luciano Eusebi

    Ritengo innanzitutto che la drammaticità della situazione – scrivo da una delle zone lombarde più tremendamente colpite – non debba giustificare soluzioni semplificatorie, che possano far pensare, o aprire la strada, a comportamenti di selezione a priori tra categorie di malati. La vicenda del coronavirus non deve davvero essere utilizzata per dare una parvenza di eticità, anche per il futuro, a prospettive di questo genere. I medici in prima linea hanno continuato a ripetere, in questi giorni, che le valutazioni di futilità o comunque di proporzionatezza circa l’utilizzo delle risorse sanitarie disponibili sono riferite, caso per caso, all’insieme delle condizioni di salute di una data persona, e non a un solo fattore (per esempio l’età) da solo discriminante. E proprio in questo senso hanno cercato di dilatare al massimo, anche nei modi più impensabili, le risorse disponibili, soprattutto con riguardo alle postazioni di terapia intensiva e semintensiva: senza che in alcun momento si sia ceduto a considerare tali risorse come un presupposto dato, rispetto al quale vi fosse, asetticamente, da operare una selezione.

    Semmai, si tratta di trarre da tutto questo qualche insegnamento per il futuro (una gran bella parola, che eravamo troppo abituati a dare per scontata). È necessario tornare a valorizzare lo Stato sociale, anche rispetto all’enfasi su certi diritti solo individuali, che rischiano di volatilizzarsi come neve al sole di fronte a difficoltà del tipo di quella attuale, che si possono affrontare soltanto “insieme”. Ed è necessario tornare a riflettere, altresì, sul rapporto tra Stato sociale e mercato: è inaudito il fatto per cui stiamo rischiando di rimanere – addirittura – senza personale sanitario in prima linea nella battaglia contro il coronavirus perché in Italia nessuna impresa aveva interesse a produrre mascherine e camici per uso medico, che invece sarebbero necessari per tutti i cittadini (in Cina sono stati utilizzati con successo da tutti i cittadini). E ciò vale, almeno in parte, anche per i respiratori. Che lo Stato si occupi di tutelare, in primis, la sicurezza delle persone non vuol dire essere contro il mercato, ma contro l’esasperazione delle sue logiche. Abbiamo le scorte di gas e di petrolio, ma ci siamo accorti di non avere risorse banali ma essenziali per fini sanitari, nonostante la qualità del nostro impagabile Sistema Sanitario Nazionale.

    E allora bisogna dire che, per scongiurare ogni tentazione di rottamazione futura dei soggetti deboli (in altre parole, la Caporetto dell’art. 2 della Costituzione), dobbiamo accettare l’idea che le risorse prioritarie devono essere destinate alla tutela delle persone, piuttosto che all’incentivazione dei consumi voluttuari. Del resto, anche produrre respiratori genera PIL. Ciò, tuttavia, rimanda a un nodo di fondo: dobbiamo accettare di essere più poveri, dal punto di vista dei beni di consumo, per essere più ricchi, dal punto di vista della tutela delle condizioni di vita (dalla sanità, al lavoro, all’istruzione, alle pensioni).

    Ma c’è un altro punto, che forse proprio il giurista può meglio intendere. Da sempre, insegnando diritto penale, cerco di far capire come la giustizia non si identifichi con dinamiche di corrispettività, secondo le quali a un giudizio negativo nei confronti dell’altro sarebbe logico rispondere in modo altrettanto negativo. Le dinamiche di competizione tra Stati e tra sistemi socio-economici stanno portandoci alla distruzione: e non solo perché da tre quarti di secolo disponiamo degli strumenti capaci di por fine alla storia dell’umanità. Quando vedo volteggiare sopra la mia casa, perché vivo nelle vicinanze di uno dei più importanti aeroporti militari italiani, un F15 o qualcosa di simile, non posso non pensare, in questi giorni, a quanti posti di terapia intensiva corrisponda (non fate il conto, rimarreste esterrefatti) il suo costo. Eppure non possiamo, da soli, rinunciare alla difesa. E allora c’è la necessità di un movimento dal basso tra tutti i popoli il quale porti a dire ai Governi che non ce ne importa più nulla delle logiche di competizione, le quali sottraggono risorse indispensabili per il bene delle persone e dei popoli, perché ormai avvertiamo ciò che papa Francesco e il grande iman di al-Azhar hanno definito, insieme, come il senso di una fratellanza universale.

     

    Luigi Ferrajoli

    Siamo di fronte a un tipico caso di scelte tragiche. Considero peraltro inaccettabile assumere l’età del paziente come criterio di scelta in tali decisioni. Un simile criterio contraddice il principio del valore e della dignità della persona in quanto tale, quali che siano le sue caratteristiche personali. Il solo criterio accettabile, a me pare, è quello rappresentato dalle prospettive di successo dell’intervento sanitario. È poi evidente che un simile criterio favorirebbe – di solito, ma non sempre – le persone più giovani: ma non in quanto più giovani, bensì per le maggiori probabilità di guarigione che su di loro avrebbe l’intervento.

     

     

    Antonio Ruggeri

    Desidero fare una duplice premessa prima di rispondere al quesito che ci è stato posto.

    La prima si richiama alla magistrale lezione teorica schmittiana, secondo cui ogni valore costituzionale tende – come si sa – alla propria tirannica affermazione: i conflitti tra i valori fanno, dunque, parte delle quotidiane esperienze giuridiche, in ispecie di quelle che si svolgono presso le aule in cui si amministra la giustizia, comune o costituzionale che sia. Si dà un canone fondamentale, diciamo pure una sorta di “metavalore”, che presiede alle dinamiche dei valori quali prendono forma in occasione del loro “bilanciamento”, ed è quello della ricerca – non di rado assai impegnativa e sofferta – del punto ottimale di sintesi e di appagamento dei valori stessi, ovverosia, in buona sostanza, dei beni della vita evocati dai casi; il che, poi, equivale alla ricerca dell’affermazione magis ut valeat della Costituzione nel suo insieme, quale tavola dei valori fondamentali di una comunità politicamente organizzata e delle regole di articolazione dei poteri al servizio degli stessi. Insomma (e più semplicemente), si tratta di puntare ad un esito del “bilanciamento” stesso che comporti il minor costo possibile per i valori nel loro fare “sistema” o – il che è praticamente lo stesso – che porti a fissare il più in alto possibile il punto di sintesi degli stessi.

    Deve, poi, essere chiaro che “bilanciare” non è – ahimè – molte volte dare congiunta e paritaria soddisfazione ai beni suddetti (ed è, perciò, che reputo giusto riportare tra virgolette il termine); purtroppo, molte volte i casi della vita obbligano, infatti, a scelte dolorose, talora tragiche, che inducono a mettere da canto – sia pure solo per un caso – un bene per far posto ad un altro, giudicato meritevole di prioritaria protezione, fermo restando che in casi oggettivamente diversi la soluzione può presentarsi parimenti diversa. Un giudizio, poi, che fatalmente risente dell’ideologico (o, più largamente, culturale) preorientamento di chi lo compie e che, nondimeno, richiede pur sempre di andare soggetto al sindacato secondo ragionevolezza, qui intesa in una delle sue più dense, genuine e qualificanti espressioni, vale a dire quale congruità, a un tempo, rispetto alla situazione di fatto vista nel suo complesso ed alla tavola dei valori, essa pure riguardata nel suo insieme, per il modo con cui i valori stessi fanno – come si diceva – “sistema”. Ragionevole, insomma, è ogni soluzione che comporti il minore stress possibile per la Costituzione e gli interessi da questa protetti, dai casi della vita portati ad entrare in reciproco conflitto.

    La seconda premessa riguarda il “posto” che è da riconoscere alle situazioni di emergenza nelle operazioni di “bilanciamento”. Non mi soffermo qui, non essendovene la necessità, sul problema definitorio di ciò che propriamente può dirsi “emergenza”, quali ne sono i confini concettuali e gli indici esteriori idonei a darne un sia pur relativamente sicuro riscontro. Considero, infatti, fuori discussione che la condizione del tempo presente rientri a pieno titolo in tale categoria[1].

    Desidero, nondimeno, fare al riguardo una precisazione[2]. Non so se la diffusione del virus che ci affligge avrebbe potuto essere arginata con l’adozione di misure ancora più tempestive ed incisive di quelle draconiane e assolutamente inusuali poste in essere; so, però, che alcune emergenze, in ambito sanitario come pure in altri campi, avrebbero potuto essere evitate o, quanto meno, contenute nei loro effetti devastanti sol che si fossero adottati per tempo i necessari provvedimenti. Vi sono emergenze, quali quelle conseguenti ai terremoti, che risultano ad oggi imprevedibili ed altre invece, quali quelle riportabili al dissesto dei territori o alle malattie trasmesse dagli animali agli uomini (le c.d. zoonosi), dovute alla insipienza degli uomini stessi[3]. Ho più volte deplorato il modo di pensare e di operare di chi, muovendo dall’assunto che la situazione di fatto è quella che è, rinvengono in essa la giustificazione a “copertura” di misure straordinarie e gravosissime poi adottate per farvi fronte. Se, per fare ora solo il primo esempio che viene in mente, lo svolgimento dei processi (perlomeno di alcuni) continua a protrarsi troppo a lungo, non è di certo colpa di un evento della natura improvviso ed irreparabile ma di regole farraginose e della mancanza di strutture, mezzi, personale adeguati al bisogno complessivo e viepiù imponente dell’amministrazione della giustizia. E se – venendo al tema che oggi ci occupa – il numero dei posti-letto in terapia intensiva in tutta Italia è assai limitato, di sicuro inadeguato a far fronte ad un’emergenza sanitaria ingravescente, non lo si deve di sicuro ad un fatto naturale avverso bensì ad una politica sanitaria colpevolmente non lungimirante.

    Invece, il sillogismo che sovente si fa è il seguente: a) premesso che la situazione è quella che è, b) si giustifica l’adozione di misure extra ordinem, alle quali poi c) i giudici (e, segnatamente, quello costituzionale) sono obbligati – lo vogliano o no – ad offrire il loro benevolo e generoso avallo, considerando pertanto abilitata la disciplina positiva prodotta per contrastare l’emergenza a derogare, anche in modo vistoso, ai disposti della Carta costituzionale.

    Se n’è avuta conferma in occasione di vicende pregresse, nel corso delle quali la giurisprudenza costituzionale ha avallato misure legislative pure riconosciute come abnormi (o, come le si è pudicamente definite, “insolite”[4]), premurandosi nondimeno di precisare che esse rinvenivano giustificazione unicamente nella sofferta congiuntura che aveva portato alla loro adozione e che, pertanto, sarebbe stato irragionevole il loro mantenimento una volta cessata l’emergenza stessa.

    Ricordo solo, al riguardo, il caso emblematico della disciplina varata per contrastare il terrorismo rosso, fatta salva da una nota pronunzia della Consulta, la n. 15 del 1982, con la quale in particolare è stata mandata assolta una disciplina positiva che prolungava per un tempo insopportabile lo stato di detenzione in carcere per persone sospette di appartenere alle BR sol perché v’era il fondato timore che, non riuscendosi a celebrare i processi per tempo e liberate per scadenza dei termini, esse potessero darsi alla macchia e tornare a prendere per bersaglio cittadini incolpevoli.

    Insomma, ciò che – a dire del giudice delle leggi – è ragionevole (e, anzi e per ciò stesso, imposto) prima può divenire irragionevole poi[5].

    Venendo a ciò che è qui di specifico interesse, le pratiche mediche sono assai di frequente obbligate a misurarsi con situazioni di emergenza, per far fronte alle quali gli operatori sono chiamati a scelte, alle volte bisognose di essere adottate in un lasso temporale ristretto, gravide di valenze per la vita stesse delle persone affidate alla cura dei sanitari, scelte che devono ispirarsi alle indicazioni date dal codice deontologico alla cui osservanza i sanitari stessi sono tenuti[6] (qui la questione si intreccia con quella evocata dal quesito immediatamente seguente e, dunque, la riprenderò con maggiore svolgimento di qui ad un momento).

    Riguardata la questione alla luce della premessa sopra fissata, la ricerca della soluzione meno gravosa per la Costituzione e i suoi valori dispone di alcuni punti di riferimento ai quali far capo. E così, il “bilanciamento” tra diritti costituzionalmente protetti va fatto avendo costantemente presenti i valori fondamentali della vita e della dignità della persona umana. Quest’ultima, anzi, secondo una sua felice rappresentazione teorica[7], è la “bilancia” stessa su cui si dispongono i beni della vita in campo al fine della loro reciproca ponderazione, ovverosia – come si è tentato di argomentare altrove[8] – è un valore “supercostituzionale”, da cui ogni altro valore trae luce, alimento, giustificazione.

    Il punctum crucis è, però, che fare quando si è in presenza non già di un conflitto tra valori diversi, di cui si facciano portatori soggetti parimenti diversi, bensì di un conflitto di un valore con… se stesso, che si appunti sul capo di più persone[9].

    Qui, la scelta si fa tragica perché idonea a risolversi nell’atroce locuzione mors tua vita mea.

    Soccorre, tuttavia, al riguardo il dovere di solidarietà nel suo fare tutt’uno con quello di fedeltà alla Repubblica[10]. L’uno spinge vigorosamente nel senso di perseguire una soluzione che, portandosi oltre l’interesse individuale, risulti la meno gravosa possibile per l’intera collettività; l’altro, in situazioni di autentica crisi ordinamentale, induce ad optare per una soluzione che metta al riparo la continuità del gruppo sociale, assicurandone la trasmissione – per quanto possibile, integra – nel tempo.

    Spetta alla scienza ed agli operatori che alle sue indicazioni fanno richiamo suggerire i percorsi da battere al fine di pervenire, sia pure in modo assai sofferto, alla meta illuminata dai doveri suddetti, essi pure al tirar delle somme riportabili al “metavalore” della sopravvivenza della specie e della identità assiologicamente qualificata di una comunità organizzata.

    La “medicina delle catastrofi” offre alcune indicazioni al riguardo, nella tristissima congiuntura che stiamo vivendo riprese da alcune Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili, formulate dalla Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI) il 6 marzo scorso[11]. Il punto centrale è dato – a me pare – dal non esclusivo ed assorbente rilievo che è da assegnare al criterio first come, first served. In condizioni di assoluta eccezionalità, è infatti giocoforza privilegiare – si dice – il criterio della “maggior speranza di vita”, peraltro soggetto a costante verifica, nell’intento del conseguimento del massimo beneficio per il maggior numero possibile di persone[12]. Ciò che appunto induce – troviamo scritto nelle Raccomandazioni in parola – ad una “quotidiana rivalutazione dell’appropriatezza, degli obiettivi di cura e della proporzionalità delle cure”. I sanitari sono, dunque, abilitati, “in uno scenario di afflusso eccezionalmente elevato di pazienti” a non posticipare una decisione di “desistenza terapeutica” e di “rimodulazione delle cure da intensive a palliative”.

    In larga misura, peraltro, si tratta di criteri da tempo invalsi nella cultura biomedica[13], oggi nondimeno bisognosi di essere riconsiderati alla luce degli sviluppi della scienza e della tecnologia.

    È fondamentale, ad ogni buon conto, non perdere mai di vista che le persone non sono cose e che in nessun caso si giustifica lo svilimento della loro dignità per effetto della disumanizzazione delle pratiche giuridiche e mediche.

    Giorgio Trizzino

    Non si tratta, per l’appunto, di avere un’opinione sul tema quanto di seguire delle linee guida. La prassi prevede una scelta che  è figlia di un’analisi che passa per  tre fasi: 

    La prima fase è quella della ventilazione non invasiva, che si chiama Niv.  

    Il secondo passo prevede un parere sanitario che si basa su  una comparazione tra fattori ed in particolare l’età in relazione al  quadro clinico generale del paziente.

    L’ultimo passo merita una breve premessa, quella indotta dal Covid 19, infatti, è una polmonite interstiziale molto aggressiva che impatta tanto sull’ossigenazione del sangue.  La ventilazione non invasiva, quindi,  è solo una fase di passaggio.  Ad un certo punto, quindi è necessario  ventilare meccanicamente e quelli su cui si sceglie di proseguire vengono tutti intubati e pronati. A questo punto, dunque, in base al numero di pazienti gravi, è necessaria una scelta che si basa sull’analisi  della capacità del paziente di guarire. In sostanza si guarda alla speranza di vita.

     

     

     

    2. In questo periodo si è spesso tornato a riflettere sul rapporto fra scienza e diritto. Il tema della prima domanda può secondo Lei essere affrontato dando prevalenza alle regole tecniche della medicina o della scienza e in che misura espone il soggetto chiamato a scegliere a responsabilità di natura giuridica o etica?

     Luciano Eusebi

    La scienza si sostanzia nell’acquisizione di conoscenze e dunque, di per sé, non indica scelte. Le scelte dipendono sempre da valutazioni di carattere razionale ed etico. Ma simili valutazioni non potrebbero essere tali se non tenessero conto dei dati scientifici. Vaccinare i bambini contro certe malattie costituisce una scelta razionale ed etica, ma questa conclusione si fonda proprio sulla considerazione scrupolosa dei dati scientifici. Talora il diritto recepisce e formalizza certe scelte che appaiono incontrovertibili, anche per ragioni organizzative. Ma sarebbe un’illusione pericolosa pensare che il diritto possa e debba dirimere, al di là dei principi di fondo, ogni caso concreto: sono troppe le variabili in gioco. Tanto che non a caso le stesse linee guida, e le norme di buona pratica clinica, cui sono chiamati ad attenersi i medici costituiscono pur sempre meri criteri orientativi, e purché le raccomandazioni in esse previste, come precisa la legge Gelli-Bianco, «risultino adeguate alle specificità del caso concreto». Del resto, il primo caso italiano di contagio da coronavirus è stato individuato, purtroppo in ritardo, proprio perché una dottoressa ha ritenuto di dover «adeguare» la lettura delle linee guida alle condizioni di polmonite particolarmente gravi del paziente interessato. Il diritto descrive dei binari di principio, e la medicina attraverso quei summenzionati criteri, come pure attraverso lo stesso codice di deontologia medica (nonché attraverso i codici afferenti alle altre professioni sanitarie), orienta alle scelte più appropriate circa i diversi contesti patologici, ricostruiti alla luce delle conoscenze scientifiche. Non riterrei utili contrapposizioni. Né tantomeno una giuridicizzazione sistematica dell’attività medica.

    Luigi Ferrajoli

    È chiaro che la risposta data alla domanda che precede può essere fornita con cognizione di causa soltanto sulla base di valutazioni di tipo medico. Chi è chiamato a simili scelte è ovviamente un medico: lo stesso medico cui compete la valutazione sulle maggiori probabilità di successo del suo intervento e che non mi pare, perciò, che possa essere esposto, per una simile valutazione e per la conseguente decisione, a responsabilità di tipo morale o giuridico, se non – come in qualsiasi altro intervento medico – per imperizia o negligenza, l’una e l’altra ingiustificate.

      Antonio Ruggeri

    Il rapporto tra scienza e diritto in genere (e, per ciò che di mia specifica competenza, diritto costituzionale in ispecie) è estremamente complesso, non facile da rappresentare con la necessaria sintesi nello spazio ristretto di cui oggi disponiamo. In breve (e sia pure col costo di una eccessiva schematizzazione), a me pare che tra i termini della relazione in parola si dia (e debba costantemente darsi) mutuo soccorso ed alimento. Per un verso, infatti, le disposizioni normative, con particolare riferimento a quelle concernenti i diritti direttamente interessati dallo sviluppo scientifico e tecnologico (potremmo dire: i diritti scientificamente sensibili), richiedono di essere intese e fatte valere alla luce delle indicazioni venute dalla scienza. Per un altro verso, però, quest’ultima non può restare impermeabile alle indicazioni venute dai principi espressivi dell’etica pubblica repubblicana, nei quali nel modo più immediato e fedele si rispecchiano i valori fondamentali dell’ordinamento.

    È interessante fermare un attimo l’attenzione sul punto, chiarendo il senso complessivo delle affermazioni appena fatte, avvalendomi allo scopo del richiamo agli esiti di alcune recenti pronunzie del giudice costituzionale in tema di esperienze d’inizio-vita.

    Sappiamo che la legge 40 del 2004 è stata, in buona sostanza, riscritta in alcuni punti di particolare rilievo, attingendo proprio agli esiti fin qui raggiunti dallo sviluppo scientifico e tecnologico[14]. Ancora non molto tempo addietro, poi, la Consulta ha avuto modo di precisare (e il punto è di speciale interesse ai nostri fini) che, laddove la scienza non abbia ancora raggiunto al proprio interno la necessaria stabilità e i più larghi e convinti consensi, la Costituzione è, in buona sostanza, obbligata a restare “muta”, vale a dire non offra essa pure, di conseguenza, sicure indicazioni agli operatori di diritto (v., part. sent. n. 84 del 2016, in relazione alla vessata questione riguardante la eventuale destinazione degli embrioni crioconservati alla ricerca scientifica). La Corte, insomma, rigetta la questione per inammissibilità, allo stesso tempo però – e il punto ha suscitato un vespaio di discussioni – rimettendosi al discrezionale apprezzamento del legislatore in ordine alla scelta giudicata più opportuna, con la conseguenza che il divieto riguardante gli embrioni in parola, quale stabilito dalla legge 40, non è, ad avviso del giudice costituzionale, in sé e per sé irragionevole. Altri divieti, poi, della legge suddetta sono stati fatti salvi, quale quello che impedisce alle coppie composte da persone dello stesso sesso di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita – sent. n. 221 del 2019 –, sempre in nome del rispetto della discrezionalità del legislatore, malgrado qui – com’è chiaro – la scienza e la tecnologia non rimangano silenti, a conferma del fatto che il ruolo da queste ultime giocato non è comunque assorbente e sempre risolutivo. Non indugio, poi, qui, al fine di non portarmi troppo oltre l’hortus conclusus in cui questa riflessione è tenuta a stare, sui casi, il più eclatante dei quali si è di recente avuto con Cappato[15], in cui invece la Corte non si è fatta scrupolo di menomare la discrezionalità del legislatore, fino al punto di azzerarla del tutto, facendo luogo ad una scrittura “a rime libere” (e non già “obbligate”, secondo la fortunata metafora crisafulliana) della disciplina sin dall’origine mancante[16]. Se ne ha, dunque, una eloquente testimonianza dell’uso alquanto disinvolto fattosi della categoria della “discrezionalità”, dilatata ovvero contratta a fisarmonica secondo congiunturali convenienze e, per ciò stesso, una testimonianza altresì della connotazione marcatamente politica dei giudizi di volta in volta emessi dal giudice delle leggi[17], non casualmente emersa in modo prepotente in talune esperienze processuali nel corso delle quali si è assistito ad un vistoso scostamento da parte del giudice nei riguardi dei canoni relativi all’esercizio delle sue funzioni[18]. La qual cosa, poi, come si è tentato di argomentare altrove, comporta fatalmente uno stato di sofferenza per la “giurisdizionalità” della giurisdizione, sia costituzionale e sia pure, a ruota, comune, chiamata a dare seguito alle pronunzie della Consulta.

    Tornando all’insegnamento venutoci dalla 84 del 2016, al tirar delle somme, come si vede, la Costituzione talvolta non “parla” e, però, ci dice la Consulta, in sua vece “parla” e può parlare la legge le cui previsioni, prive in tesi di un parametro superiore “eloquente”, rimangono – a quanto pare – devolute ad un sindacato di ragionevolezza allo stato puro che, nondimeno, la Consulta pilatescamente si astiene dal fare[19].

    Ciò che, nondimeno, ai fini della riflessione che vado facendo maggiormente importa, è il riconoscimento che la Consulta fa del debito culturale gravante sulla Costituzione e i suoi interpreti nei riguardi della scienza, dalle cui risultanze quella e questi costantemente si alimentano. Allo stesso tempo, però, la scienza non può, in alcun caso o modo, menomare o mettere a rischio la dignità della persona, non può – come dicevo – disumanizzarla e, per ciò stesso, disumanizzarsi[20].

    Ciò posto, venendo specificamente al cuore del quesito postoci, gli operatori sanitari possono trovarsi obbligati – come dicevo già in relazione alla domanda precedente – a far luogo a scelte dolorose, che interpellano allo stesso tempo la scienza e la coscienza di chi le compie. Alle volte, le sollecitazioni che vengono dalla prima sono abbastanza chiare e ferme nell’orientamento dato a coloro cui si indirizzano, altre volte invece il quadro è confuso ed appannato, quale ad es. si ha ogni qual volta non sia agevole stabilire le probabilità di successo del trattamento medico in relazione alle condizioni complessive del paziente. È proprio in questi frangenti che il peso gravante sulla coscienza di chi comunque una scelta deve compiere si fa insopportabile, lasciando un segno che potrebbe poi non venire mai meno. In ogni caso, occorre produrre ogni sforzo per far convergere ed incanalare assieme gli svolgimenti della scienza e le pratiche ad essi conseguenti per riportarli comunque entro il solco tracciato dai principi dell’etica pubblica enunciati nella Carta costituzionale, salvaguardando a un tempo la dignità delle persone, specie appunto di quelle maggiormente vulnerabili ed esposte, e restando pur sempre fedeli ai doveri di solidarietà e di fedeltà alla Repubblica nel loro fare “sistema”.

     Giorgio Trizzino

    Credo che nel caso di specie, così come in tutti i casi di grave emergenza sanitaria, scienza e diritto debbano legarsi inscindibilmente. Il tema della scelta  non può che fondarsi su linee guide e prassi che tutti i sanitari debbono seguire pedissequamente e che si fondano su principi generali che negli anni si sono consolidati sulla scorta di regole scientifiche orientate a principi bioetici. La scelta, come è normale che sia,  non è orientata sulla scorta di un giudizio di valore sull’individuo. Sono scelte effettuate, come già detto, su basi scientifiche orientate alle principali indicazioni bioetiche. E’ chiaro che scegliere può essere moralmente devastante e sono questi i casi in cui il ruolo del medico assurge a livelli di responsabilità che poche altre professioni hanno. Per questo motivo i nostri medici vanno supportati ed incoraggiati cercando, per quanto possibile, di scaricarli anche dal pensiero di eventuali responsabilità.

     3. Dal punto di vista filosofico la decisione di posporre l’intervento sanitario in un caso di impossibilità di fare fronte a diversi interventi è governata secondo Lei da un’etica dei diritti? La scelta tragica fra diversi diritti che non possono trovare tutti contemporanea soddisfazione merita un esame comparativo di tipo soggettivo ovvero una prospettiva più ampia? In altri termini, la scelta va fatta unicamente orientando l’indagine sul profilo del singolo paziente e dei tempi di ricovero o deve coinvolgere anche una prospettiva solidaristica che guarda alla società, al beneficio che essa potrebbe avere in relazione alle scelte adottate dal sanitario?

     Luciano Eusebi

    Ancora una volta, penserei, si tratta di operare valutazioni di proporzionalità circa le esigenze terapeutiche e i rischi connessi a ciascuno stato patologico, in rapporto alle condizioni dei singoli malati. Senza escludere il rilievo di alcuna condizione personale. E, in effetti, anche nei nostri ospedali lombardi più oberati si è continuato a prestare assistenza in questi giorni – pure attraverso le terapie intensive – anche in favore di chi corresse rischi gravi diversi da quelli derivanti dal coronavirus. La tentazione di un certo semplificare giuridicistico (ma non sarebbe espressione di un buon diritto) potrebbe condurre a immaginare che in determinate situazioni si tratti di operare scelte radicalmente alternative: o una cosa o l’altra. Invece si tratta di coltivare la difficile strada dell’ “et-et”, secondo quelle pur impegnative valutazioni di cui s’è detto. Sicuramente, in ogni caso, tutte le volte in cui nella storia s’è immaginato di poter sacrificare a priori, per un supposto bene sociale, singoli individui le conseguenze sono risultate tragiche. Piuttosto, mi sia consentito ripeterlo, dovremo pensare a non ritrovarci più, in futuro, in una penuria nient’affatto inevitabile delle risorse (il che, peraltro, dovrebbe valere, nel quadro di un’effettiva assunzione globale delle responsabilità, anche rispetto ai paesi poveri del mondo).

      Luigi Ferrajoli

    Il solo criterio e il solo obiettivo morale cui devono informarsi le scelte del medico sono rappresentati dal salvataggio della vita del singolo malato. Considerazioni sociali di altro genere non devono trovare spazio in simili scelte e dilemmi.

     Antonio Ruggeri

    Credo di aver già implicitamente risposto a questa domanda ma può tornare utile ancora una rapida precisazione. L’idea che si possa (e si debba) “bilanciare” una vita umana con altre vite è, francamente, ripugnante ed insopportabile. Ogni volta che una vita si spegne, l’intera umanità ne esce impoverita senza rimedio; e, quando ciò avviene, i medici cui, in ultima istanza, è demandata la scelta ne risultano comunque sconfitti, anche se grazie al loro operato altre vite sono state risparmiate e recuperate a beneficio dell’intera collettività. Insomma, a conti fatti, la soluzione risulta giustificata dalla “logica” stringente e per vero soffocante del male minore o, per dir meglio in termini costituzionalmente significativi, appare “coperta” dal “metaprincipio” della massimizzazione della tutela nel suo fare tutt’uno con i doveri di solidarietà e di fedeltà alla Repubblica. Non saprei però dire, non essendo un operatore sanitario e non riuscendo a mettermi nei suoi panni, se ciò possa valere a sgravare la coscienza del peso opprimente che viene dalla consapevolezza di aver abbandonato anche una sola vita umana al proprio crudele destino.

     

     

    Giorgio Trizzino

    La domanda è posta bene in quanto si parla di scelta tragica…è ovvio che preferire una vita ad un’altra comporti in sé una enorme carica di emotività e di responsabilità. Di certo, dunque, è una scelta di ampio respiro che guarda alla società ed ai suoi bisogni nonché alle sue prospettive. Credo che in questo caso la scelta prettamente sanitaria sia molto vicina a quella sociale…preferire infatti quadri clinici migliori comporta un risparmio di tempo e di risorse ed è normale che anche la giovane età del paziente incida, sia in considerazione di temi prettamente scientifici che in considerazione di risultanze prettamente sociali. 

     

    4. Nell’ipotesi in cui il diritto alla assistenza sanitaria venisse limitato secondo criteri di priorità dal legislatore, riterrebbe opportuno anche riconoscere e garantire ai sanitari   un diritto alla obiezione di coscienza come normativamente previsto, ad esempio, nei casi di sperimentazione animale, procreazione medicalmente assistita e interruzione volontaria di gravidanza? Ed in caso di mancato riconoscimento normativo di un diritto di “obiezione” quali scenari pensa si aprirebbero in concreto negli ospedali italiani?

     

    Luciano Eusebi

    Non credo che si tratti di una strada auspicabile, perché la medicina possiede già criteriologie di intervento applicabili anche a contesti difficili. Del resto la tutela della popolazione rispetto al diffondersi del coronavirus si fa assumendo tutte le strategie necessarie, anche le più rigorose, per evitare ulteriori contagi, e non decidendo di non curare più, senza distinzione, altri malati. E anche a tal proposito, bisogna evitare messaggi fuorvianti. Resta comunque, in effetti, il principio liberale fondamentale per cui, nel momento in cui il diritto ritiene di autorizzare comportamenti positivi, quali ne siano le ragioni, che abbiano per conseguenza la lesione di uno dei diritti inviolabili dell’uomo, come la vita, non può imporre un tale comportamento al singolo individuo.  

     

     Luigi Ferrajoli

    Nell’ipotesi, spero inverosimile, che il legislatore dettasse criteri di scelta di natura diversa da quello qui sostenuto dell’uguale valore delle persone e della sola valutazione medica in ordine alle maggiori possibilità di successo dell’intervento, sarebbero, a mio parere, non soltanto giustificate, ma doverose, l’obiezione di coscienza del medico e, prima ancora, una denuncia di incostituzionalità di una simile norma di legge per violazione dell’articolo 3, 1° comma della nostra Costituzione secondo cui tutti hanno “pari dignità sociale” senza distinzioni di alcun genere

     Antonio Ruggeri

    Trovo forzato, se posso esprimermi con franchezza, l’accostamento tra le scelte tragiche alle quali possono trovarsi (e temo che già oggi si trovino) chiamati a far luogo gli operatori sanitari in conseguenza dell’emergenza del coronavirus (o altre analoghe) e le vicende relative alla sperimentazione animale o alla procreazione medicalmente assistita ed all’interruzione della gravidanza (ma allora – e perché no? – anche a quelle di fine-vita[21]). In questi ultimi casi, infatti, non si dà una vera e propria emergenza, le strutture sono in grado di funzionare e non v’è motivo di non mettere al riparo la coscienza degli operatori stessi da scelte per essa laceranti. Nel caso invece di carenza dei posti-letto rispetto al flusso imponente dei pazienti che ne avrebbero necessità, la scelta va purtroppo fatta e riguarda non soltanto il singolo operatore ma la stessa struttura di appartenenza. E vengo così alla prima parte del quesito postoci. L’ordine delle priorità non può essere in modo praticamente insindacabile stabilito dal legislatore. Dico così, dal momento che non riesco a prefigurarmi lo scenario di un eventuale sindacato di costituzionalità su norme di legge adottate per far fronte ad una ingravescente emergenza, con i tempi allo scopo richiesti e gli effetti propri delle pronunzie emesse in chiusura del giudizio. Sarebbe – per fare un esempio altrettanto clamoroso – come immaginare un controllo di costituzionalità sulla legge o altro atto con cui le Camere deliberino lo stato di guerra (se, ad es., ricorrano le condizioni al riguardo stabilite nella Carta costituzionale, nel mentre il nemico c’invade o invia missili distruttivi sul nostro territorio).

    A me pare, insomma, che qui più che altrove, proprio perché le scelte da prendere riguardano diritti scientificamente sensibili, fino a coinvolgere la stessa vita umana, ci si debba rimettere al prudente apprezzamento degli operatori idoneo a manifestarsi nella cornice di indicazioni essenziali conformi, a un tempo, alla scienza ed all’etica costituzionale. Non mi sembra, poi, praticabile un diritto di obiezione di coscienza del singolo medico, che nel caso della messa a disposizione dei posti-letto di terapia intensiva non vedo come possa esprimersi. Se, poniamo il caso, un posto è già occupato e si tratta di scegliere se liberarlo o no a beneficio di un altro paziente, facendo valere il (supposto) diritto in parola, il medico in buona sostanza si laverebbe le mani (ma non pure – credo – la coscienza), portando al risultato di lasciare il posto a chi già lo occupa. Detto altrimenti, la scelta è comunque posta in essere (nell’esempio appena fatto, in applicazione del criterio first come, first served), non v’è dunque una “non scelta”.

    In conclusione, a me pare che le Raccomandazioni di etica clinica, sopra richiamate, forniscano già ai medici, unitamente alle altre indicazioni risultanti dal codice deontologico dell’ordine di categoria, le necessarie indicazioni di base; di lì in avanti, poi, sta all’intelligenza ed alla sensibilità di chi opera sul campo adottare i comportamenti ad esse conseguenti.

    Voglio chiudere con una nota di ottimismo, malgrado la spinosa congiuntura del tempo presente, esprimendo l’auspicio, ed anzi la ferma convinzione, che già oggi ed ancora di più nel prossimo futuro la stragrande maggioranza dei medici e del personale che li assiste facciano e faranno quanto è in loro potere per portarci fuori dal tunnel, sempre che sorretti dal necessario senso civico e del bene comune dell’intero consorzio civile, chiamato ad una collettiva prova di responsabilità, a mia memoria, senza precedenti. L’emergenza del coronavirus è, forse, l’occasione giusta per dimostrare tutti assieme che siamo e vogliamo restare comunità animata da spirito di reciproco servizio, all’insegna di quei doveri di solidarietà e di fedeltà alla Repubblica che soli possono traghettarci oltre la sfortunata congiuntura presente[22].

     Giorgio Trizzino

    È difficile rispondere ad una simile domanda e di certo bisogna considerare che gli esempi da voi riportati riguardano sfere un po’ diverse rispetto ad uno stato emergenziale paragonabile ad una guerra. 

    Credo che la valutazione vada fatta in questo senso e di certo non è facile rispondere in poche righe… Credo sia un argomento troppo complesso che merita riflessioni ed approfondimenti di un certo livello.

    È vero però allo stesso tempo che è difficile fare delle reali previsioni circa la portata di questa epidemia che ormai sembra avere tutte le caratteristiche di una pandemia e che può essere combattuta solo con l’aiuto dei nostri medici. Credo sia il caso di concentrarci sul complesso scenario cui già i nostri ospedali sono sottoposti.

      4. Le conclusioni

    Roberto Giovanni Conti

    Tempi bui quelli che stiamo vivendo che, tuttavia, non possono far recedere dalla necessità di riflettere sull’emergenza, fotografare quanto sta accadendo per poi riservare magari ad un futuro (si spera) migliore i frutti (se ve ne sono) e le macerie che sembrano già evidenti.

    Le risposte qui raccolte  hanno assunto il sapore della tragicità delle domande e offrono lo spaccato del costituzionalista, dell’accademico penalista, del medico e del filosofo del diritto.

    Riflessioni importanti, profonde e sicuramente tali da costituire una guida sul tema che Giustizia insieme ha inteso affrontare.

    Dietro al tema, tuttavia, rimangono le persone, e la consapevolezza della vulnerabilità estrema nella quale esse si trovano quando il sistema Paese è chiamato ad offrire loro protezione e assistenza.

    La premessa è che il Paese deve oggi più che mai la sua vita al personale sanitario.

    Di questo tributo in termini di sacrifici, di abnegazione, di senso del dovere e di solidarietà ci siamo costantemente nutriti in questi giorni e dovremo continuare a nutrirci nei mesi a venire, consapevoli che il sistema sanitario ha rappresentato e deve comunque rappresentare la spina dorsale del Paese. Magari questo aiuterà a riflettere di più sulle spinte che in questi anni hanno condotto, sul piano giudiziario, ad accelerare sulla leva risarcitoria avendo di mira il diritto alla salute. Leve sulle quali, onestamente, il mondo sanitario ha reiteratamente insistito senza incontrare, anche nel mondo giudiziario, interlocutori capaci di raccogliere il messaggio.

    Non può né deve essere questa la sede per rileggere criticamente il passato, fortemente caratterizzato da logiche rivolte alla protezione del malato in nome della salvaguardia del diritto alla salute rispetto alla posizione del sanitario che lo ha in cura, ma semmai  di sollecitare una riflessione aggiuntiva e più partecipata e dialogata sui temi che ruotano attorno alla salute delle persone, soprattutto di quelle più vulnerabili, forti dell’esperienza in questi frangenti maturata.

    Detto questo, il paradosso al quale assistiamo si nutre di fotogrammi distonici.

    Per un verso, un Paese impegnato commendevolmente, con le sue massime autorità istituzionali, al senso di responsabilità dei nipoti e dei figli affinché si adottino comportamenti idonei a salvaguardare la salute degli anziani e dei beni preziosi che essi custodiscono. Un altro Paese, tuttavia che, per mezzo di chi è chiamato, in un certo dato momento della vita, a decidere sul se sia possibile o meno praticare una terapia (i medici, appunto), sembra in certi momenti avere parimenti il “bisogno” e la “necessità” di posporre quella vulnerabilità di fronte ad altri valori concorrenti, di pari o prevalente valore.

    Ora, dietro tutto questo cosa governa le scelte, chi le governa, sulla base di quali protocolli, con il coinvolgimento di chi, del medico-anestesista del reparto dell’ospedale, dell’intera equipe, dei congiunti o del paziente stesso, dei comitati etici?  Quale formalizzazione è prevista per le attività che determinano l’ingresso o il non ingresso nelle terapie intensive?

    La logica emergenziale che ci è stata fornita dagli organi di informazione fa pensare che tutto questo non sia accaduto per protocolli che alla base abbiano avuto il supporto scientifico delle diverse branche sanitarie coinvolte, ma sia stato necessariamente governato, appunto, dall’emergenza.

    La mia generazione non ha vissuto il periodo della guerra ma, semmai, quello della riflessione in vitro su certi argomenti scottanti e tragici per lo più del passato e comunque mai di “massa”, presi al più come parametro ipotetico e astratto sul quale misurare un’elaborazione teorica, una riflessione, una scelta astratta.

    Oggi, alla diffusione dei bollettini della Protezione civile, questa stessa generazione si stringe sulla sedia e rimane attonita, vive a contatto – spesso solo a distanza e più spesso virtuale per le notizie diffuse sui media o sui social – con una realtà che registra un numero imponente di medici infettarsi o addirittura perdere la vita nell’esercizio della professione e che ha visto e vede i medici costretti ad adottare scelte appunto tragiche, rivolte ad aprire o chiudere le porte della vita a malati che non possono contemporaneamente accedere a cure  destinate a rappresentare una chance di sopravvivenza per il paziente.

    Una generazione che sconta dunque la propria impreparazione emotiva rispetto a tali vicende.

    Nulla di paragonabile, certo, alla realtà crudele che avvolge chi opera nei reparti di terapia intensiva, lapidariamente descritta dal primario della medicina d’urgenza dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII Roberto Cosentini quando ha qualche giorno addietro dichiarato che “anche non potere aiutare tutti, uccide”.

    Proprio in una logica di sostegno  rispetto a queste scelte tragiche si sono inserite le “raccomandazioni della SIAARTI, nelle quali si sono individuati, da parte dell’organismo rappresentativo degli anestesisti-rianimatori, dei criteri della massima utilità, da mediare in relazione  alla presenza di altre malattie pregresse dei malati ed all’età anagrafica.

    Sul significato di tali Raccomandazioni si stanno confrontando i medici e gli studiosi, fornendo letture non omogene, come emerge da alcuni documenti (nota del Comitato tecnico Scientifico COVID 19 istituito presso la Regione Veneto del 13.3.2020; M.Balistreri, Gli anestesisti e la legge del mare: “Prima le donne e i bambini”, in Quotidiano sanità, 15.3.2020; M. Cozzoli, A chi dare la precedenza? Riflessioni etiche sulle Raccomandazioni della Siaarti, in Quotidiano sanità, 19.3.2020; M. Mori, Le Raccomandazioni degli anestesisti e la fine dell’eguaglianza ippocratica; F. Anelli, Coronavirus. Fnomceo sul documento anestesisti: “Nostra guida resta Codice deontologico. Non dobbiamo metterci nelle condizioni di applicare questi inaccettabili triage di guerra”; in Quotidiano sanita, 8 marzo 2020, Coronavirus. Geriatri: “No a Rupe Tarpea, la soluzione non è sacrificare gli anziani”; in Quotidiano sanita, 8 marzo 2020).

    Vi  è poi stato chi ha apertamente criticato il documento anzidetto arrivando a sostenere che i criteri di massima utilità stilati dalla SIAARTI “con difficoltà si conciliano con il modello personalista sul quale si fonda la Costituzione italiana, che assume la salute come un diritto fondamentale della persona e ambito inviolabile della dignità umana” (C. Di Costanzo, V. Zagrebelsky, L’accesso alle cure intensive fra emergenza virale e legittimità delle decisioni allocative, contributo al Forum su Diritto, diritti ed emergenza ai tempi del Coronavirus, in BioLaw Journal, 2/2020, 16 marzo 2020).

    L’attuale contesto impedisce di potere giudicare o valutare criticamente ciò che sta accadendo oggi negli ospedali di frontiera. Di fronte ad una scelta dilemmatica che avvantaggia l’un  individuo a scapito dell’altro non si può, in verità, né si deve ragionare in termini di responsabilità di chi adotta la scelta, se è vero che la condotta di chi agisce  tende inevitabilmente a sacrificare un interesse a vantaggio di altro interesse di pari valore, semmai ponendosi un problema nel futuro del quale lo Stato dovrebbe farsi carico in via di indennizzo per le scarse risorse destinate al servizio sanitario (decisioni di primo grado, seguendo la bipartizione operata da Guido Calabresi e Philip Bobbitt nel loro Scelte tragiche, Milano, 2006, 11 ss.) che hanno condizionato la decisione di secondo grado del medico /equipe-cfr., sul punto, P. Tincani, I dilemmi morali e le scelte tragiche, in Non è giusto! Dilemmi morali e senso della giustizia  nelle rappresentazioni degli adolescenti, a cura di  P. Ronfani, Urbino, 2007, 55-.

     Invece questo contesto ad imporre di fare memoria su queste tragiche vicende  e di interrogarsi, quando verrà il momento- pur sperando che non si debba più vivere esperienze simili a questa –  su come hanno agiti i singoli operatori sanitari nell’emergenza in una prospettiva di costruzione di protocolli condivisi che, seguendo una prospettiva multidimensionale e multidisciplinare, aperta a raccogliere le indicazioni delle diverse branche di specialisti medico sanitari coinvolti ma anche del corpo dei giuristi e bioeticisti al fine di  individuare a priori ed in via generale i parametri da considerare – criterio utilitarista, criterio cronologico (c.d. first come, first served, G. Calabresi e P. Bobbitt, Scelte tragiche, cit., 39) criterio casuale (c.d. lottery- G. Calabresi e P. Bobbitt, Scelte tragiche, cit., 38 ss.), o criterio terapeutico terapeutico correlato alle maggiori probabilità di successo dell’intervento medico o della maggiore speranza di vita – e le priorità che devono eventualmente governare tali criteri pur nella necessaria valutazione delle concrete condizioni del paziente, non potendosi comunque sottovalutare il ruolo del consenso del suddetto al compimento o al non compimento del trattamento medico prospettato come necessario dai sanitari. Ciò in vista  dell’identificazione dei criteri di accesso alla terapia non più condizionati dalla situazione emergenziale o, malauguratamente, da fattori non omogenei  rispetto alle diverse strutture sanitarie  che la fragilità delle persone coinvolte non merita.

    Merita in ogni caso oggi sottolineare il sacrificio di quelle persone estremamente vulnerabili e fragili  che hanno donato la loro vita per il benessere degli altri più fortunati.

    Quelle persone (e i loro cari) che sono arrivate a sirene spiegate nelle aree di emergenza con la speranza di essere affidate alle cure dei medici, che pensavano di incontrare i loro salvatori e che, invece, hanno trovato al momento del triage una risposta implacabile, probabilmente non immaginata e quasi sicuramente non voluta.

    Una risposta che probabilmente ha lasciato impietriti i loro cari, già tormentati dalle prevedibili angosce collegate alla paura del contagio e tenuti a sopportare nella tragicità del momento il peso di una notizia ancora più insopportabile da accettare per le motivazioni che l’hanno resa tale.

    Insieme al sistema sanitario quei morti sono gli eroi di questo tempo, i sacrificati del terzo millennio che se ne sono andati e se ne vanno silenziosamente, dando la mano e lasciando il testimone a chi è più fortunato.

     La logica dell’età anagrafica correlata alla spes di vita è sicuramente rispettabile, ma non pare possa fare recedere dalla necessità di regimentare il futuro in modo più attento proprio grazie al sacrificio dei molti che non ce l’hanno fatta ed alla cui memoria andranno dedicati i passi successivi che la scienza medica e gli operatori del diritto faranno insieme.

    Ma siamo sicuri che l’assenza di indicazioni non possa indurre a scelte tragiche con diverso orizzonte? Pensiamo alla scelta tragica fra due pazienti entrambi afflitti dal virus e che veda coinvolti un medico che potrebbe salvare tante vite ed un altro anziano, sia esso o meno anziano, ma comunque  “non utile” alla società. Interrogativi tremendi. Il rango e la fonte delle raccomandazioni SIAARTE, se sicuramente contribuisce a sgravare il medico dal peso della scelta (v. C. Baldi, Il medico rianimatore: “È un’emergenza e dobbiamo scegliere i criteri per le cure in terapia intensiva”), è dunque altrettanto appagante per chi la subisce?

    Questo non può e non deve essere il luogo della verifica a posteriori delle scelte tragiche, quanto quello della riflessione pro futuro, rispetto alla quale non ci si potrà accontentare di un documento proveniente da una categoria degli operatori sanitari per regolamentare, in condizioni diverse da quelle hanno originato le Raccomandazioni di cui si è detto, il fine vite delle persone più fragili. Occorrerà un coinvolgimento più ampio di diverse categorie di medici, di giuristi e di bioeticisti, come hanno opportunamente suggerito Caterina Di Costanzo e  Vladimiro Zagrebelsky nel loro recente L’accesso alle cure intensive fra emergenza virale e legittimità delle decisioni allocative, ricordato in nota da Antonio Ruggeri.

    Sembra davvero che “fare memoria” dei singoli casi accaduti in questi frangenti aiuterà a capire in che direzione si sono orientate le scelte, quali condizioni di salute e di età hanno preso in considerazione, se le stesse si sono verificate in condizioni di contemporanea presenza di malati ovvero sono state effettuate con filtri effettuati a monte. Anche la formalizzazione di ciò che è accaduto in relazione alla peculiarità delle situazioni potrà essere di estremo aiuto per il futuro, proprio al fine di ponderare riflessioni e decisioni migliori, allocazioni di risorse più maggiormente orientata alla salvaguardia delle persone.

    Sottolineare una particolare cura e attenzione su questi aspetti, anche di natura formale,  non vuol dire ribaltare su quei medici che si trovano ad operare in condizioni di carenza di presidi da offrire a tutti coloro che vengono accolti in una struttura sanitaria ulteriori adempimenti, ma solamente dare un senso alla dignità di quei pazienti che non hanno potuto fruire delle terapie. 

    Una dignità che, dunque, richiede di soffermarsi anche sui particolari, sui minimi particolari che  accompagnano un malato in fin di vita. Basti pensare alla solitudine di chi muore o è sul punto di morire, alla solitudine di chi, parente,  accompagna ma par di capire fino ad un certo punto il proprio caro in ragione delle esigenze di contenimento e diffusione dei contagi, alla solitudine dei lutti vissuti in isolamento, all’isolamento nel momento della decisione su quale terapia praticare a quel malato.

    Occorre, forse, fermarsi un attimo e pensare.

    E questo rallentamento che prioritariamente concerne coloro che guardano ab externo ciò che sta accadendo, impone il tentativo di ricollocare le vicende, o meglio ogni singola, nel paradigma normativo adeguato.

    Occorre, così ritornare alla legge sulle relazioni di cura fra medico e paziente a quella necessità di presidiare la tutela della vita e della dignità sulla quale il legislatore  edificò le  disposizioni a tutela dell’autodeterminazione e, per quel che qui più importa, del consenso.

    Disposizioni alle quali venne opportunamente affiancato un quadro normativo che si occupa, anche,  delle situazioni di emergenza.

    L’art.1, c.7 della legge n.219/2017 così dispone: Nelle situazioni di emergenza o di urgenza il medico e i componenti dell’equipe sanitaria assicurano le cure necessarie, nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla

    Si tratta, dunque, di una previsione che si innesta in un articolo dedicato al consenso informato che anche per le situazioni di emergenza fissa dei paletti insopprimibili a presidio delle persone, ma che lascia altresì al sanitario la possibilità di prescinderne “ove le circostanze” non consentano di recepire  quella volontà.

    Ecco allora l’esigenza di mettere in chiaro che il bene della vita in gioco ogni volta ed in modo ovviamente cangiante per quanto risulti diversa la singola vicenda proprio in ragione di quella carnalità dei fatti sulla quale ritorna spesso in modo illuminante Paolo Grossi impone una straordinaria attenzione su ciò che accade a chi è talmente fragile e solo da non potere pretendere nulla.

    Basti riflettere sul fatto che se un ospedale ha inteso fissare al proprio interno una direttiva che guarda a certi criteri in sede di triage, le conseguenze che derivano da quella scelta bloccano in radice la possibilità di  tentare un dirottamento del paziente su altre strutture che magari hanno a disposizione i presidi capaci di offrire una chance di vita al paziente. In altri termini i canali della solidarietà tra strutture mediche dislocate in ambiti territoriali diversi delle quali pure si è sentito parlare potrebbero essere attivate solo se, a monte, vi sia una direttiva che impone comunque di salvaguardare la vita del paziente, al di là della speranza di vita o dell’età anagrafica.

    Ora viene da chiedersi quanto le strutture sanitarie abbiano fatto fino a ieri per formare ed informare i medici sui contenuti della legge che si è appena ricordata, quanto quella legge  sia stata praticata ed attuata negli ospedali.

    Ed in questa prospettiva anche le Raccomandazioni SIAARTI qui più volte ricordate in alcuni punti non sembrano affatto brillare per chiarezza quanto al ruolo dei malati ed al loro coinvolgimento nelle scelte terapeutiche.

    Un altro punto di riflessione che dovrà necessariamente aprirsi è quello della comparazione fra i diversi Paesi chiamati a fronteggiare l’emergenza coronavirus, in Europa e nel mondo.

    Il dopo richiederà uno studio dei casi, un’analisi di ciò che si è fatto, delle modalità di reazione, della comparazione sulle scelte tragiche volta per volta adottate.

    Ed occorrerà, ancora una volta, chiedersi se la vita possa valere di più o di meno in un Paese della nostra Europa a seconda della nazione in cui quella vita è in gioco.

    Occorrerà dunque chiedersi se l’allocazione delle risorse in ambito sanitario debba essere lasciata integralmente alle scelte dei singoli Stati ovvero se occorra ragionare su standard minimali comuni a livello europeo.

    Insomma occorrerà riflettere, prepararsi, essere attenti a raccogliere tutte le sollecitazioni che la tragicità del momento richiede, in nome dei valori rappresentati dalle radici comuni e dalla fratellanza che a livello europeo devono rimanere comuni.

    Ecco che, al tirare delle somme, ci si accorge del valore incommensurabile di quelle vite interrotte dal coronavirus e dalle scelte tragiche subite.

     Quelle persone che non ci sono più danno quindi il senso dell’essere uomo, offrendo ancorché inconsapevolmente e spesso senza essere state interpellate la loro vita, il cui valore non può dirsi recessivo in alcun modo rispetto a quello del più giovane e/o meno grave e perciò fortunato in quanto titolare di un’aspettativa di vita superiore, avendo  anzi  dimostrato, tragicamente, di valere molto di più, per chi ce l’ha fatta al loro posto e per l’intera comunità.

    Sulle loro vite occorrerà dunque fare memoria per un futuro più attento ai bilanciamenti delle risorse, come hanno sottolineato gli intervistati, più rispettoso dell’esistenza umana, fine e confine – come ha ricordato Marco Dell’Utri nel suo splendido saggio apparso su questa Rivista (Saepe in periculis Note in tema di persona e comunità ) – di ogni intervento normativo e di ogni applicazione giudiziaria di un comando che va ineludibilmente plasmato in modo da salvaguardare i beni ed i valori fondamentali della persona.

     

    [1] Cfr. in tema, i non coincidenti punti di vista di V. Baldini, Emergenza sanitaria e Stato di prevenzione, in Dir. fond. (www.dirittifondamentali.it), 1/2020, 27 febbraio 2020, 590 ss., e, dello stesso, pure ivi, Lo Stato costituzionale di diritto all’epoca del coronavirus, 10 marzo 2020, 683 ss., e, ora, Emergenza sanitaria nazionale e potere di ordinanza regionale. Tra problema di riconoscibilità’ dell’atto di giudizio e differenziazione territoriale delle tutele costituzionali, 20 marzo 2020, e A. Candido, Poteri normativi del Governo e libertà di circolazione al tempo del COVID-19, in Forum di Quad. cost. (www.forumcostituzionale.it), 10 marzo 2020, nondimeno espressi non già con riguardo allo stato di fatto quanto in relazione al modo con cui è stato ad oggi fronteggiato; inoltre, C. Buzzacchi, Coronavirus e territori: il regionalismo differenziato coincide con la “zona gialla”, in La Costituzione.info (www.laCostituzione.info), 2 marzo 2020; G.L. Gatta, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, in Sistema penale (www.sistemapenale.it), 16 marzo 2020; F. Petrini, Emergenza epidemiologica Covid19, decretazione d’urgenza e costituzione in senso materiale, in Nomos (www.nomos-leattualitaneldiritto.it), 1/2020 e, pure ivi, G. Stegher, In considerazione dell’emergenza sanitaria: Governo e Parlamento al banco di prova del Covid-19; G. Di Gaspare, Effetto domino del coronavirus. 6 proposte di contrasto ad impatto immediato, in La Costituzione info (www.laCostituzione.info), 16 marzo 2020; e ancora P. Pasquino, IL coronavirus contro il Parlamento, in La Costituzione info (www.laCostituzione.info), 17 marzo 2020; B. Caravita, L’Italia ai tempi del coronavirus: rileggendo la Costituzione italiana, Editoriale, in Federalismi (www.federalismi.it), 6/2020, 18 marzo 2020 e nella stessa Rivista, gli interventi che sono nell’Osservatorio emergenza Covid-19; I. Massa Pinto, La tremendissima lezione del Covid-19 (anche) ai giuristi, e F. Gianfilippi, Le disposizioni emergenziali del DL 17 marzo 2020 n. 18 per contenere il rischio di diffusione dell’epidemia di COVID19 nel contesto penitenziario, entrambi in Giustizia insieme (www.giustiziainsieme.it), 18 marzo 2020; F. Balaguer Callejón, Solidarietà dimenticata: il fallimento della narrazione pubblica sul coronavirus, in La Costituzione info (www.laCostituzione.info), 20 marzo 2020, e, pure ivi, P. Carrozzino, Il sistema delle fonti alla prova dell’emergenza sanitaria da Covid-19; M. Dell’Utri, Saepe in periculis. Note in tema di persona e comunità, in Giustizia insieme (www.giustiziainsieme.it), 22 marzo 2020. Infine, i numerosi contributi al Forum su Diritto, diritti ed emergenza ai tempi del Coronavirus, destinato al fasc. 2/2020 di BioLaw Journal (www.biodiritto.org), e gli altri al Forum su La gestione dell’emergenza sanitaria tra Stato, Regioni ed enti locali, in Dir. reg. (www.dirittiregionali.it), 1/2020, e, per i profili di diritto eurounitario, F. Casolari, Prime considerazioni sull’azione dell’Unione ai tempi del Coronavirus, in Eurojus (www.rivista,eurojus.it), 1/2020, 2 marzo 2020, 95 ss., e, pure ivi, C. Sanna, Il COVID-19 ferma i trasferimenti Dublino da e per l’Italia.

    [2] La si può vedere, ora, anche nel mio Il coronavirus contagia anche le categorie costituzionali e ne mette a dura prova la capacità di tenuta, in Dir. reg. (www.dirittiregionali.it), 1/2020, 21 marzo 2020, 368 ss., spec. 371.

    [3] Con riguardo a queste ultime, v., ora, la succinta ma densa riflessione di M. Carducci, Il corpo “malato” del Sovrano, in La Costituzione info (www.laCostituzione.info), 19 marzo 2020.

    [4] Così, nella decisione subito di seguito richiamata.

    [5] Così, con riguardo al caso odierno, anche G. Azzariti, Le misure sono costituzionali a patto che siano a tempo determinato, in La Repubblica, 8 marzo 2020.

    [6] Sul rilievo del codice in parola e sui suoi possibili conflitti con le discipline legislative in vigore, v., ora, E. Pulice, Riflessioni sulle dimensioni della normatività: etica, deontologia e diritto. Il ruolo della deontologia in prospettiva comparata, in BioLaw Journal (www.biodiritto.org), 1/2020, 173 ss.

    [7] G. Silvestri, Considerazioni sul valore costituzionale della dignità della persona, in AIC (www.associazionedeicostituzionalisti.it), 14 marzo 2008.

    [8] A. Ruggeri - A. Spadaro, Dignità dell’uomo e giurisprudenza costituzionale (prime notazioni), in Pol. dir., 1991, 343 ss.

    [9] Se ne tratta nel mio Fonti, norme, criteri ordinatori. Lezioni5, Giappichelli, Torino 2009, 45 ss., dal quale, volendo, possono aversi maggiori ragguagli.

    [10] Sul primo, v., almeno, F. Giuffrè, La solidarietà nell’ordinamento costituzionale, Giuffrè, Milano 2002, e, dello stesso, I doveri di solidarietà sociale, in AA.VV., I doveri costituzionali: la prospettiva del giudice delle leggi, a cura di R. Balduzzi - M. Cavino - E. Grosso - J. Luther, Giappichelli, Torino 2007, 3 ss., nonché, ora, Alle radici dell’ordinamento: la solidarietà tra identità e integrazione, in Riv. AIC (www.rivistaaic.it), 3/2019, 4 settembre 2019, 555 ss.; V. Tondi della Mura, La solidarietà fra etica ed estetica. Tracce per una ricerca, in Riv. AIC (www.rivistaaic.it), 00/2010, 2 luglio 2010; A. Spadaro, in più scritti, tra i quali L’amore dei lontani: universalità e intergenerazionalità dei diritti fondamentali fra ragionevolezza e globalizzazione, in Forum di Quad. cost. (www.forumcostituzionale.it); Dai diritti “individuali” ai doveri “globali”. La giustizia distributiva internazionale nell’età della globalizzazione, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, e I diritti sociali di fronte alla crisi (necessità di un nuovo “modello sociale europeo”: più sobrio, solidale e sostenibile), in Riv. AIC (www.rivistaaic.it), 4/2011, 6 dicembre 2011; S. Rodotà, Solidarietà. Un’utopia necessaria, Laterza, Roma-Bari 2014; A. Morelli, I principi costituzionali relativi ai doveri inderogabili di solidarietà, in AA.VV., Principi costituzionali, a cura di L. Ventura e A. Morelli, Giuffrè, Milano 2015, 305 ss., e dello stesso, Solidarietà, diritti sociali e immigrazione nello Stato sociale, in Consulta OnLine (www.giurcost.org), 3/2018, 24 ottobre 2018, 533 ss.; L. Carlassare, Solidarietà: un progetto politico, in Costituzionalismo (www.costituzionalismo.it), 1/2016; F. Polacchini, Doveri costituzionali e principio di solidarietà, Bononia University Press, Bologna 2016; A. Apostoli, Il consolidamento della democrazia attraverso la promozione della solidarietà sociale all’interno della comunità, in Costituzionalismo (www.costituzionalismo.it), 1/2016, 20 aprile 2016, 1 ss., e, della stessa, pure ivi, La dignità sociale come orizzonte della uguaglianza nell’ordinamento costituzionale, 3/2019, 4 dicembre 2019; D. Porena, Il principio di sostenibilità. Contributo allo studio di un programma costituzionale di solidarietà intergenerazionale, Giappichelli, Torino 2017; G.L. Conti, Il pendolo della solidarietà nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in AA.VV., Ricordando Alessandro Pizzorusso. Il pendolo della Corte. Le oscillazioni della Corte costituzionale tra l’anima ‘politica’ e quella ‘giurisdizionale’, a cura di R. Romboli, Giappichelli, Torino 2017, 463 ss.; G. Bascherini, La doverosa solidarietà costituzionale e la relazione tra libertà e responsabilità, in Dir. pubbl., 2/2018, 245 ss.; J. Ansuátegui Roig, Solidariedad, deberes y Constitución: algunos apuntes conceptuales, in Dir. cost., 2/2019, Doveri costituzionali, a cura di A. Morelli, 11 ss.; con specifica attenzione ai bisogni delle generazioni future, A. Saitta, Dal bilancio quale “bene pubblico” alla “responsabilità costituzionale democratica” e “intergenerazionale”, in Giur. cost., 1/2019, 216 ss., spec. 223 ss., nonché, per le questioni di biodiritto, M. Tomasi, Genetica e Costituzione. Esercizi di eguaglianza solidarietà e responsabilità, Editoriale Scientifica, Napoli 2019. Quanto, poi, al secondo dovere, dopo i noti studi G. Lombardi e L. Ventura, per tutti, A. Morelli, I paradossi della fedeltà alla Repubblica, Giuffrè, Milano 2013, e, più di recente, G.M. Salerno, La fedeltà alla Repubblica: alla ricerca dei caratteri essenziali, in Dir. cost., 2/2019, 85 ss.

    [11] Su alcune questioni riguardanti la natura delle Raccomandazioni in parola e sul significato di alcune loro espressioni, v., part., C. di Costanzo - V. Zagrebelsky, L’accesso alle cure intensive fra emergenza virale e legittimità delle decisioni allocative, contributo al Forum su Diritto, diritti ed emergenza ai tempi del Coronavirus, cit., in BioLaw Journal, 2/2020, 16 marzo 2020.

    [12] Da notizie di stampa ho notizia che l’assessorato alla sanità della Regione Piemonte si accinge ad inviare alle direzioni sanitarie un “documento vincolante” avente ad oggetto l’ordine delle priorità nella gestione dei posti di terapia intensiva ove ciò si renda necessario (A. Mondo - A. Rossi, Emergenza coronavirus, la Regione: “Un codice blu per regolare le terapie intensive”, in La Stampa, 12 marzo 2020). Sono inoltre venuto in possesso di una nota del Direttore Generale dell’Area Sanità e Sociale della Regione Veneto del 13 marzo 2020, prot. 120693, che richiama alla osservanza delle Raccomandazioni suddette.

    [13] V., per tutti, T.L. Beauchamp - J.F. Childress, Princìpi di etica biomedica, ed. it. a cura di F. Demartis, ed. Le Lettere, Firenze 1999, 363 ss., spec. 377, con riguardo al carattere relativo della regola first come, first served, e C. Petrini, Triage in public health emergencies: ethical issues, in Intern. Emerg. Med., 5/2010, 137 ss.

    [14] In tema, per tutti, i numerosi ed approfonditi studi di S. Agosta, tra i quali, ora, Procreazione medicalmente assistita e dignità dell’embrione, Aracne, Roma 2020.

    [15] In generale, sulle vicende di fine-vita, nella ormai incontenibile letteratura, richiamo qui solo i noti studi di R.G. Conti, Scelte di vita o di morte: il giudice è garante della dignità umana? Relazione di cura, DAT e «congedo dalla vita» dopo la l. 2019/2017, Aracne, Roma 2019; G. Razzano, La legge n. 219/2017 su consenso informato e DAT fra libertà di cura e rischio di innesti eutanasici, Giappichelli, Torino 2019 e, della stessa, ora, Nessun diritto di assistenza al suicidio e priorità per le cure palliative, ma la Corte costituzionale crea una deroga all’inviolabilità della vita e chiama «terapia» l’aiuto al suicidio, in Dir. fond. (www.dirittifondamentali.it), 1/2020, 3 marzo 2020, 640 ss. Infine, S. Agosta, Disposizioni di trattamento e dignità del paziente, Aracne, Roma 2020, e lett. ivi, cui adde i contributi che sono ora in BioLaw Journal (www.biodiritto.org), 1/2020.

    [16] Così, nel mio Rimosso senza indugio il limite della discrezionalità del legislatore, la Consulta dà alla luce la preannunziata regolazione del suicidio assistito (a prima lettura di Corte cost. n. 242 del 2019), in Giustizia insieme (www.giustiziainsieme.it), 27 novembre 2019. V., inoltre, ora, F. Politi, La sentenza n. 242 del 2019 ovvero della rarefazione del parametro costituzionale e della fine delle “rime obbligate”? Un giudizio di ragionevolezza in una questione di costituzionalità eticamente (molto) sensibile, in Dir. fond. (www.dirittifondamentali.it), 1/2010, 6 marzo 2020, 661 ss., e, nella stessa Rivista, con diverso orientamento, A. Morelli, La voce del silenzio. La decisione della Corte sull’aiuto al suicidio e il «perdurare dell’inerzia legislativa», 11 marzo 2020, 746 ss., nonché N. Colaianni, La causa di giustificazione dell’aiuto al suicidio (rectius: dell’assistenza nel morire), in Quad. dir. pol. eccl., 3/2019, 591 ss., e, pure ivi, A. Licastro, L’epilogo giudiziario della vicenda Cappato e il ruolo «sussidiario» del legislatore nella disciplina delle questioni «eticamente sensibili», 609 ss. Notazioni di vario segno, infine, nei contributi che sono in BioLaw Journal (www.biodiritto.org), 1/2020.

    [17] Questo trend è rilevato da molti con non celata preoccupazione (riferimenti in C. Drigo, Giustizia costituzionale e political question doctrine. Paradigma statunitense e spunti comparatistici, Bononia University Press, Bologna 2012; R. Basile, Anima giurisdizionale e anima politica del giudice delle leggi nell’evoluzione del processo costituzionale, Giuffrè, Milano 2017; AA.VV., Ricordando Alessandro Pizzorusso. Il pendolo della Corte. Le oscillazioni della Corte costituzionale tra l’anima ‘politica’ e quella ‘giurisdizionale’, cit.; G. Bisogni, La ‘politicità’ del giudizio sulle leggi. Tra le origini costituenti e il dibattito giusteorico contemporaneo, Giappichelli, Torino 2017; M. Raveraira, Il giudizio sulle leggi: la Corte costituzionale sempre più in bilico tra giurisdizione e politica, in Lo Stato, 11/2018, 123 ss.; A. Morrone, Suprematismo giudiziario. Su sconfinamenti e legittimazione politica della Corte costituzionale, in Quad. cost., 2/2019, 251 ss., sul cui pensiero, criticamente, v. R. Bin, Sul ruolo della Corte costituzionale. Riflessioni in margine ad un recente scritto di Andrea Morrone, in Quad. cost., 4/2019, 757 ss., e, nella stessa Rivista, E. Cheli, Corte costituzionale e potere politico. Riflessioni in margine ad un recente scritto di Andrea Morrone, 777 ss.).

    [18] Su di che, v., part., R. Romboli, che ne ha trattato a più riprese (ad es., in Il diritto processuale costituzionale: una riflessione sul significato e sul valore delle regole processuali nel modello di giustizia costituzionale previsto e realizzato in Italia, in Studi in onore di F. Modugno, IV, Editoriale Scientifica, Napoli 2011, 2995 ss.; Natura incidentale del giudizio costituzionale e tutela dei diritti: in margine alla sentenza n. 10 del 2015, in Quad. cost., 3/2015, 607 ss., e Le oscillazioni della Corte costituzionale tra l’anima “politica” e quella “giurisdizionale”. Una tavola rotonda per ricordare Alessandro Pizzorusso ad un anno dalla sua scomparsa, in AA.VV., Ricordando Alessandro Pizzorusso. Il pendolo della Corte. Le oscillazioni della Corte costituzionale tra l’anima ‘politica’ e quella ‘giurisdizionale’, cit., 10 ss.); inoltre, R. Pinardi, La Corte e il suo processo: alcune preoccupate riflessioni su un tema di rinnovato interesse, in Giur. cost., 3/2019, 1897 ss., e R. Di Maria, Brevi considerazioni sul rapporto fra tutela sostanziale dei diritti (fondamentali) e rispetto delle forme processuali: la Corte costituzionale e gli “animali fantastici”. The final cut, in Consulta OnLine (www.giurcost.org), 1/2020, 7 gennaio 2020, 1 ss.

    [19] Maggiori ragguagli critici sulla questione, volendo, nel mio Questioni di costituzionalità inammissibili per mancanza di consenso tra gli scienziati (a margine di Corte cost. n. 84 del 2016, in tema di divieto di utilizzo di embrioni crioconservati a finalità di ricerca), in BioLaw Journal (www.biodiritto.org), 2/2016, 245 ss.; cfr., poi, ora, S. Agosta, Procreazione medicalmente assistita e dignità dell’embrione, cit., spec. 70 ss. e 215 ss.; inoltre, ex plurimis, A. Spadaro, Il “concepito”: questo sconosciuto…, in BioLaw Journal (www.biodiritto.org), Special issue, 2/2019, 429 ss.

    [20] Cocente è il ricordo degli esperimenti compiuti dai nazisti su persone svilite ad oggetti in una stagione segnata da collettiva follia e cecità distruttive.

    [21] Una vigorosa sottolineatura dell’obiezione di coscienza con riguardo a queste ultime vicende può ora vedersi in G. Razzano, Nessun diritto di assistenza al suicidio e priorità per le cure palliative, ma la Corte costituzionale crea una deroga all’inviolabilità della vita e chiama «terapia» l’aiuto al suicidio, cit., 645 ss.

    [22] Se n’è avuta una emblematica, incoraggiante testimonianza dalla disponibilità generosamente offerta da quasi ottomila medici alla richiesta di trecento unità da destinare alle zone maggiormente colpite dal virus: una testimonianza davvero illuminante a riguardo alle formidabili risorse di cui non la sola corporazione medica ma l’intero corpo sociale dispone, alle quali poter attingere a beneficio dell’intera collettività.

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