GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    La giustizia in animazione sospesa: la legislazione di emergenza nel processo civile (note a lettura immediata all’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020).

    La giustizia in animazione sospesa: la legislazione di emergenza nel processo civile 

    (note a lettura immediata all’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020) 

    di Franco De Stefano

     Sommario: 1. L’intervento normativo e la conferma delle due fasi. - 2. L’ambito di applicazione della fase uno. - 3. Le eccezioni. - 4. Uno sguardo alla fase due.

    1. L’intervento normativo e la conferma delle due fasi.

    L’epidemia dilaga: a situazione nuova ed eccezionale, nuova ed eccezionale sospensione, di portata ampia ed indifferenziata; un’autentica stasi dell’attività giudiziaria, almeno per il civile, che ricorda gli stati di animazione sospesa indotti farmacologicamente, con garanzia delle sole funzioni vitali, per evitare danni peggiori ed in attesa che facciano effetto le cure massicce poste in essere.

    È stato pubblicato, nella notte tra il 17 e il 18 marzo e con edizione straordinaria della Gazzetta, sul sito www.gazzettaufficiale.it il decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 (“Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19. (20G00034) (GU Serie Generale n.70 del 17-03-2020)”), il cui art. 83 interviene, riscrivendola (ed abrogando espressamente i corrispondenti artt. 1 e 2 del d.l. 11 del 2020, tuttora in attesa di conversione), sulla normativa emergenziale del precedente decreto legge n. 11 del 2020, per adeguarla al rapidissimo mutamento del quadro epidemiologico in atto.

    In estrema sintesi, le due fasi sono mantenute, ma la prima è prorogata fino al 15 aprile e la seconda fino al 30 giugno 2020.

    È confermata la ripartizione dell’immediato futuro in due fasi: la fase uno, di contrasto immediato al dilagare del contagio o di pronto od immediato intervento; la fase due, che modulerà un vero e proprio regime emergenziale o derogatorio, in deroga a quello ordinario, ma tendenzialmente durevole o comunque da modellarsi in ragione delle esigenze via via individuate e, così, in ragione pure dello sviluppo, purtroppo allo stato ancora imprevedibile per la vaghezza e lo stato delle stesse cognizioni scientifiche al riguardo, dell’epidemia e delle sue ricadute cumulative sulla vita di tutti i giorni.

    Prima di ogni altra cosa, si impone la necessità ed urgenza di prorogare il termine di sospensione originariamente fissato (al 22 marzo, ormai pericolosamente vicino) per la fase uno, con ogni evidenza non più funzionale ad un efficace contrasto dell’emergenza sanitaria dell’epidemia: ma si tratta di una sospensione sui generis, che, benché riferita testualmente ai soli termini processuali, comprende in concreto tutte le attività processuali tout court e quelle connesse, nel loro complesso.

    La nuova norma interviene dopo i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9 e dell’11 marzo 2020, che hanno esteso all’intero territorio nazionale il regime di contenimento rafforzato (o, come comunemente si dice, che hanno infine chiuso l’intero Paese) e, quindi, in un momento successivo all’instaurazione del regime di più stretta emergenza, in vigore con previsione almeno fino al 25 marzo[1]: e costituiscono una sorta di naturale evoluzione e di adeguamento dell’emergenza della giustizia a quella del Paese, a mano a mano che quest’ultima progredisce e si trasforma.

    La modifica si è resa necessaria non solo, quindi, per adeguare i tempi al mutato e più negativo quadro epidemiologico complessivo, ma anche per chiarire e rafforzare il regime della prima delle due fasi, quella di immediato intervento, mantenendo l’ottica di una differenziazione di periodi ispirata ad un ammirevole ottimismo della volontà ed alla conseguente fiducia nella possibilità di un sollecito recupero della normale attività anche nel settore del Giustizia.

    In primo luogo, il riferimento temporale muta e si dilata, in modo del resto inevitabile per l’imprevedibilità dell’evoluzione di un fenomeno epidemico senza precedenti nella Storia recente: se l’8 marzo si poteva prevedere che la fase acuta o di assorbimento dello sfondamento poteva fissarsi fino al 22 successivo e cioè a quindici giorni, oggi lo stato della diffusione del contagio ed i rilievi dell’efficacia delle misure di contenimento sono tali da rendere irrealistico quel termine e da imporre la protrazione di questo periodo di congelamento – una sorta di animazione sospesa con eccezione delle funzioni giudiziarie vitali, insomma un coma farmacologico indotto – per ora fino al 15 aprile (mercoledì dopo Pasqua).

    In secondo luogo, si adottano una serie di precisazioni, che la stessa relazione illustrativa riferisce indotte da un “fiorire di dubbi interpretativi e prassi applicative sostanzialmente elusive del contenuto della previsione o comunque non adeguatamente sensibili rispetto all’evidente dato teleologico della norma, costituito dalla duplice esigenza di sospendere tutte le attività processuali allo scopo di ridurre al minimo quelle forme di contatto personale che favoriscono il propagarsi dell’epidemia, da un lato, e di neutralizzare ogni effetto negativo che il massivo differimento delle attività processuali disposto al comma 1 avrebbe potuto dispiegare sulla tutela dei diritti per effetto del potenziale decorso dei termini processuali, dall’altro”.

    La necessaria attenzione al dato teleologico, anche in prevalenza su quello testuale o formale, era stata già posta in luce dai primi commenti, ma effettivamente svalutata in molti dei primi provvedimenti applicativi, incentrati su logiche ermeneutiche di stampo per lo più formalistico, assolutamente inadeguate all’eccezionalità della situazione[2].

    Una tale attenzione che non è mancata, almeno, nel provvedimento adottato dal Primo Presidente della Corte di cassazione, che, con decreto n. 36 del 13 marzo 2020, ha chiaramente disposto, per il settore civile, il rinvio a nuovo ruolo di tutte le udienze ed anche di tutte le adunanze camerali fissate nel periodo dal 23 marzo al 10 aprile 2020 [salve le eccezioni di cui alla lett. g) dell’art. 2, comma 2, del ripetuto decreto legge n. 11 del 2020, all’epoca vigente], in un momento in cui era ancora invariata la scadenza del primo periodo di emergenza acuta al 22 marzo, sul presupposto proprio che, per quelle, i termini di presentazione delle memorie difensive – e quindi per l’espletamento dell’attività processuale ancora riservata alla parte pure nel giudizio di legittimità – sarebbero andati a scadere nel periodo 9-22 marzo, nel quale, in base al comma 2 dell’art. 1 del richiamato d.l. 11 del 2020, sono sospesi i termini per il “compimento di qualsiasi atto”[3].

    Significativo è infine, benché ricognitivo pure in considerazione della sua posizione istituzionale, l’intervento del C.S.M., che, con sua delibera 11/03/2020 (trasmessa agli Uffici con nota 4511/2020), ha ribadito, per il settore civile, non solo e non tanto l’invito all’adozione dei rinvii con modalità telematiche, ma soprattutto, quanto alle modalità di celebrazione delle udienze, l’opportunità dell’adozione, per quanto possibile, delle modalità da remoto: le quali anzi si auspicano oggetto di particolare incentivazione quale modalità prioritaria di esercizio delle funzioni giudiziarie, salva l’assoluta impossibilità tecnica; e tanto da invitare il Ministero, la Scuola Superiore della Magistratura e la DGSIA (Direzione generale per i servizi informativi automatizzati, il cui Direttore ha già adottato alcuni provvedimenti, tra cui quello del 10/03/2020, di individuazione delle prime modalità operative) a predisporre urgenti corsi di e-learning sulle relative tecniche ed a fornire gli applicativi necessari, con la correlata attività di assistenza tecnica dedicata, “con effettività ed urgenza”.

    2. L’ambito di applicazione della fase uno.

    Prima di ogni altra cosa, si chiarisce che la sospensione generalizzata, dal 9 marzo a tutto il 15 aprile, di qualunque attività si riferisce a tutti i procedimenti civili e penali (ma pure tributari e della magistratura militare), introducendosi – ma solo al comma 3 – eccezioni sostanzialmente corrispondenti a quelle di cui alla lett. g) dell’art. 2 del d.l. 11 del 2020.

    Questa modifica vuole, nell’intenzione del legislatore di urgenza, rendere finalmente evidente il carattere sostanzialmente indifferenziato della sospensione prevista, da riferirsi cioè a tutti i procedimenti civili e penali e non certo ai soli procedimenti in cui sia stato disposto il rinvio dell’udienza; ma tende anche ad estendere la stasi, “considerata la straordinaria emergenza che l’aggravamento della situazione epidemica in atto sta producendo anche sulla funzionalità degli uffici”, oltre i confini della “pendenza” – in senso stretto – del procedimento.

    Si tratta di una figura nuova di sospensione, molto più ampia di quella tradizionale ed anche di quella tipica del regime feriale, che può definirsi assoluta ed assimilabile ad un’autentica stasi generalizzata del diritto di azione e di ogni suo ammennicolo processuale, con le sole eccezioni (ope legis e ope iudicis) in modo espresso previste, sia pure, almeno quanto alle seconde, coi relativi problemi di individuazione dell’ambito di applicazione indotti anche dalla necessità di un provvedimento del giudice almeno ricognitivo o dichiarativo della natura dell’affare. Insomma, non siamo in ferie: siamo davvero tutti fermi davanti all’emergenza, salve le sole poche eccezioni previste.

    La norma, con opportuna indicazione esemplificativa (co. 2, secondo periodo), specifica che “si intendono pertanto sospesi, per la stessa durata, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali”.

    Pertanto, la sospensione riguarda anche non solo i termini per l’impugnazione delle sentenze (benché già solamente in via ermeneutica, in effetti, ad essi potesse estendersi il concetto di pendenza, identificabile nell’intervallo segnato, da un lato, dall’atto introduttivo del giudizio o, per i procedimenti penali, dall’iscrizione della notizia di reato e, dall’altro, dalla definitività del provvedimento conclusivo del procedimento), ma pure quelli per l’instaurazione del giudizio o del procedimento e quindi per la formazione o la notificazione degli atti introduttivi del giudizio, “ove per il loro compimento sia previsto un termine”.

    Tanto consente di estendere la sospensione assoluta anche ai termini di proposizione di impugnazioni giudiziali di atti originariamente stragiudiziali; e di mantenere esclusi soltanto gli atti negoziali in senso stretto, oppure quelli che, per la loro stessa validità, possono essere compiuti anche in via stragiudiziale.

    La seconda delle modifiche sostanziali alla disciplina del d.l. 11 del 2020 riguarda i termini “a ritroso” ed il loro computo, opportunamente estendendola a quelli imposti non già solo con riferimento ad un’udienza, ma a tutti quelli relativi a qualunque tipo di attività processuale: con un meccanismo simile a quello previsto dal terzo comma dell’art. 164 cod. proc. civ., si prevede ora espressamente che, quando il termine è computato a ritroso e ricade in tutto o in parte nel periodo di sospensione, è differita l’udienza o l’attività da cui decorre il termine in modo da consentirne il rispetto, “in modo da far decorrere il suddetto termine ex novo ed integralmente al di fuori del periodo di sospensione”.

    Sono al riguardo prese in considerazione non solo le udienze, ma anche – se non per assimilazione ad essa, quanto meno in quanto riconducibili al concetto di “attività” processuale –  le altre forme di espletamento dell’attività processuale, tra cui le adunanze camerali, partecipate o meno non dovrebbe più rilevare, o le attività de plano: sicché, ove, ad esempio, per tutte queste siano previsti termini dilatori per l’invio di avvisi o simili comunicazioni da parte della cancelleria o della segreteria – o, per molti degli atti del processo civile, delle parti stesse in estrinsecazione del loro diritto di difesa – e tali termini cadano in un periodo compreso fino al 15 aprile 2020, le stesse udienze ed altre attività si intendono ope legis differite e quindi non solo legittimamente tenute pure in tempo successivo, ma illegittime se mantenute correlate al termine a ritroso in scadenza nel periodo di sospensione.

    Per la tassatività del tenore testuale il relativo provvedimento del Capo dell’Ufficio o del singolo magistrato dovrebbe intendersi meramente ricognitivo di tale fattispecie, da intendersi generalizzata e quindi da reputarsi ricorrente sempre o per default, se non diversamente previsto; ma un provvedimento esplicito diviene di decisiva importanza ai fini dell’individuazione della ricomprensione o meno della fattispecie nell’eccezione alla sospensione.

    Per udienze ed adunanze nessun problema pratico dovrebbe porsi, perché esse andranno poi rifissate, cosicché sarà dalla data rifissata che decorrerà, sempre a ritroso, il nuovo termine e fino alla rifissazione la parte potrà confidare sulla non decorrenza di termini a suo danno. Se è vero che nulla impedisce che, con lo stesso provvedimento, si identifichi fin d’ora anche una nuova data per l’udienza o l’adunanza rinviata, potrebbe invece apparire miglior partito, per il grande disorientamento tuttora imperante sull’effettività dei tempi di recupero di una minima funzionalità del sistema, comunque riservare ad una fase successiva, quanto meno di relativa stabilizzazione dell’emergenza, l’identificazione della nuova data.

    Qualche problema in più si può porre per le “attività” processuali, riguardo alle quali potrebbe predicarsi l’immediata ripresa del decorso del termine una volta scaduto il periodo di sospensione: anche in tal caso parrebbe opportuno un provvedimento ricognitivo del magistrato o, semmai, accingersi fin d’ora a valutare con maggiore larghezza di quella normalmente dovuta la nozione di causa non imputabile rilevante ai fini di future istanze di rimessioni in termini.

    Le altre modifiche sono più specificamente relative al settore penale: a partire dall’introduzione di una esplicita previsione di sospensione del corso della prescrizione per tutta la durata di quella dei termini, ma soprattutto quanto alla funzionalità delle corti di assise e di assise di appello e delle notificazioni in quel processo, con interventi anche fortemente innovativi; ad essi va doverosamente riservato un separato e dedicato approfondimento.

    Per espressa disposizione (comma 20 dell’art. 83 in commento), infine, la sospensione dei termini si estende, anch’essa per il periodo fino al 15 aprile 2020, a quelli per lo svolgimento di qualunque attività nei procedimenti di mediazione prevista dal d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, nei procedimenti di negoziazione assistita ai sensi del d.l. 12 settembre 2014, n. 132 (convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162), nonché in tutti i procedimenti di risoluzione stragiudiziale delle controversie regolati dalle disposizioni vigenti, quando i predetti procedimenti siano stati promossi entro il 9 marzo 2020 e costituiscono condizione di procedibilità della domanda giudiziale; il tutto con conseguente sospensione dei termini di durata massima dei medesimi procedimenti.

     3. Le eccezioni.

    Le eccezioni al regime di sospensione sono ora disciplinate dal comma 3 dell’art. 83 e, per il settore civile, dal n. 1) di detta disposizione.

    Il tenore testuale della norma conferma la prima impressione, già illustrata in sede di primissimo commento al d.l. 11 del 2020, sulla necessaria applicazione generalizzata della sospensione ad ogni attività giurisdizionale e di quelle ad essa connesse o ancillari o funzionali, tranne le sole eccezioni espressamente previste: la necessità di differire anche nel processo civile e penale tutte le attività che comunque implichino quelle forme di contatto personale che favoriscano il propagarsi dell’epidemia è di per sé idonea a giustificare la stasi indifferenziata di ogni attività diversa da quelle espressamente previste prima nella lett. g) del comma 2 del d.l. 11 del 2020 e, ora, dal comma 3 dell’art. 83 del d.l. in commento.

    Neppure potrebbe valere a giustificare l’incentivazione del mantenimento delle attività al di fuori dei locali degli uffici giudiziari la considerazione della possibilità di sfruttare le modalità da remoto. Infatti, al di fuori delle eccezioni espressamente previste e quindi delle sole attività espressamente menzionate come esenti dalla sospensione, tutte le altre devono fare i conti anche con il momento di forte perturbazione sociale ed economica che rientra nelle nozioni di comune esperienza ed integra un fatto nuovo, incolpevolmente esterno alla stessa previsione delle parti, di alterazione del normale andamento delle dinamiche processuali pure – se non a maggior ragione – nei settori in cui viene istituzionalmente sollecitato l’apporto o l’intervento dei terzi. È questo il caso delle liberazioni degli immobili pignorati e pure delle vendite giudiziarie, anche se operate esclusivamente da remoto, attesa la peculiare incertezza che caratterizza il mercato in questi momenti e l’inopportunità che il sistema giustizia contribuisca, senza tenere conto dell’eccezionalità della situazione, a sperequazioni o a disagi, magari producendo risultati incongrui perché imprevedibili e non rispondenti alle ordinarie dinamiche del mercato.

    Le difficoltà o incertezze interpretative della lettera della norma sulle eccezioni possono poi superarsi con opzioni ermeneutiche che privilegino la certezza e la chiarezza delle ricadute applicative, ispirate al risultato della stasi generalizzata quale regola ed all’eccezionalità e letteralità delle deroghe.

    Non dovrebbero sorgere particolari problemi quando queste siano descritte in modo univoco da parte del legislatore di urgenza: tanto accade col riferimento formale alla individuazione dell’oggetto ed è il caso dei procedimenti ai sensi degli artt. 281, 351 e 373 cod. proc. civ., ma anche dei procedimenti di convalida dei trattamenti sanitari obbligatori o delle interruzioni volontarie di gravidanza, o di quei particolari procedimenti di competenza del tribunale per i minorenni o del giudice tutelare in tema di capacità della persona, o ancora di quei procedimenti di convalida dell’espulsione, allontanamento e trattenimento di cittadini di paesi terzi e dell’Unione europea, oppure di protezione contro gli abusi familiari.

    Può auspicarsi invece che, ove manchino indicazioni univoche, sia il giudice a soccorrere le parti mediante la specificazione, per quanto possibile, dei termini entro i quali la singola udienza o adunanza o, all’interno o indipendentemente da essa, il singolo procedimento o affare sia da qualificarsi urgente: o con provvedimento generale, per udienze o adunanze o blocchi di procedimenti o affari, o, all’occorrenza, per un singolo affare. Se del caso, anche qui indicando il criterio generale, per il quale, in difetto di espresso riconoscimento dell’operatività della deroga, varrà la regola generale della sospensione.

    È il caso dei diritti fondamentali della persona e dei provvedimenti cautelari che li hanno ad oggetto: qui si impone una valutazione caso per caso, ma pur sempre riferita ad affidabili parametri costituzionali, soprattutto se corroborati da quelli sovranazionali; e, nonostante le diatribe insorte tra gli interpreti, è il caso pure delle cause relative ad alimenti o ad obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità, evidentemente di difficile generalizzazione[4].

    Il criterio guida può essere ricavato dalla seconda tipologia di eccezioni, quella definita ope iudicis, per la quale cioè è il giudice del caso singolo che rileva il rischio, da intendersi come elevata probabilità (sia pure, ovviamente, con prognosi postuma e quindi sulla base degli elementi a sua disposizione o forniti ad hoc da una delle parti interessate) di un grave pregiudizio per almeno una delle parti quale conseguenza di una trattazione ritardata ad oltre il periodo di differimento, da intendersi quello dell’emergenza generalizzata (e quindi quello fino al 22 marzo prima e, ora, fino al 15 aprile)

    Qui la valutazione è eminentemente casistica. Quale criterio guida può solo suggerirsi una valutazione attenta della gravità del pregiudizio, al fine di rendere adeguatamente flessibile la risposta di giustizia e riservarla ai casi di effettiva necessità di un suo conseguimento proprio durante il periodo di sospensione (con esposizione al rischio sia della controparte che dei lavoratori coinvolti nel servizio, tra cui giudici e cancellieri, ove non sia operativa o possibile, anche solo in concreto, una modalità di tenuta dell’udienza o adunanza da remoto o equivalente), attesa l’imperativa priorità del contenimento del contagio e quindi la tendenziale generalizzazione della stasi: in definitiva, anche la gravità del pregiudizio, tale da fondare l’esenzione dalla sospensione generalizzata, dovrebbe essere valutata alla stregua dell’eccezionalità del momento e dei valori costituzionali in gioco, soprattutto quello della salute della collettività e della funzionalità del sistema sanitario nazionale, solo a garantire l’indifferenziato accesso alle cure a tutti (senza distinzione nemmeno di effettiva e corretta contribuzione ai relativi costi con l’assolvimento puntuale dei propri obblighi fiscali).

    In attesa di una più compiuta disamina delle misure per il periodo di ricostruzione, cioè la fase due (successiva alla presente di massimo impatto emergenziale o di primo intervento), è ora espressamente prevista la possibilità di un’immediata applicazione delle misure alternative di celebrazione delle udienze, formalmente previste solo dal precedente art. 2, lett. f) ed h) ed ora dalle corrispondenti lettere del comma 7 dell’articolo in commento: ai sensi del co. 5 di quest’ultimo, nel periodo di sospensione dei termini e limitatamente all’attività non sospesa possono essere adottate, con una sorta di anticipazione, le misure del regime emergenziale di secondo livello tutte previste dal comma 7.

    Il successivo comma 8 prevede espressamente che, per il periodo di efficacia dei provvedimenti di cui ai commi 5 e 6 (quelli del secondo periodo, dal 16 aprile al 30 giugno) che precludano la presentazione della domanda giudiziale, è sospesa la decorrenza dei termini di prescrizione e decadenza dei diritti che possono essere esercitati esclusivamente mediante il compimento delle attività precluse dai provvedimenti medesimi. Ed è ribadita la sterilizzazione, ai fini del computo dei periodi rilevanti per la c.d. legge Pinto (legge 24 marzo 2001, n. 89), dei periodi di sospensione disposti con la norma eccezionale: non potranno cioè essere valutati a danno dello Stato nella determinazione della durata del procedimento giudiziario che abbia violato i limiti di durata ragionevole.

     4. Uno sguardo alla fase due.

    Insomma, cessato il periodo di sospensione generalizzata (ferme le eccezioni previste), viene consegnato ai dirigenti degli uffici giudiziari il compito e la responsabilità, previa interlocuzione con l’autorità sanitaria e l’avvocatura, di adottare misure organizzative, anche incidenti sulla trattazione dei procedimenti, caso per caso valutate necessarie sulla scorta delle emergenze epidemiologiche certificate nel territorio di riferimento.

    Devono confermarsi le perplessità suscitate dai rischi di una frammentazione così ampia degli interventi di vera e propria riprogettazione o ricostruzione post-emergenziale del sistema Giustizia: e certamente va respinta l’idea semplicistica che l’effetto parrebbe essere quella di affidare ad una pletora di ufficiali intermedi il compito di gestire alla bell’e meglio le ostilità, salvo il moderato coordinamento che l’intesa col presidente della corte d’appello potrebbe almeno tentare di instaurare.

    La necessaria diversificazione degli interventi ben potrebbe essere adottata appunto a livello almeno regionale per uniformità ed omogeneità coi centri decisionali in materia sanitaria, affidando un compito non solo di coordinamento, ma di diretta decisione dopo avere sentito i dirigenti dei singoli uffici, ai presidenti delle corti di appello (o i procuratori generali presso le medesime) aventi sede nel capoluogo di Regione (con l’eccezione della Valle d’Aosta, dove l’interlocuzione dovrebbe aver luogo necessariamente col presidente del tribunale di quel capoluogo, d’intesa col presidente della corte d’appello territorialmente competente ma avente sede, come è noto, in altra Regione e cioè a Torino; e fermo restando il carattere autocefalo della competenza di Corte suprema di Cassazione e Procura generale della Repubblica presso la stessa, semmai riconsiderandolo pure per il Tribunale superiore delle acque pubbliche, anch’esso giurisdizione superiore ma cui si imporrebbe un incongruo raccordo con la corte d’appello).

    Comunque, le misure affidate ai dirigenti degli uffici giudiziari, destinate ad operare in un periodo molto più ampio (e cioè, allo stato, fino al 30 giugno 2020), sono caratterizzate da una notevole elasticità, al fine di evitare, ove non indispensabile e non richiesto dalla condizione sanitaria contingente, l’interruzione dell’attività giudiziaria.

    All’adozione delle misure dovrà farsi precedere la valutazione delle emergenze epidemiologiche da parte dell’autorità sanitaria regionale e nazionale, il cui previo parere è obbligatorio, insieme a quello . Per tale motivo viene previsto che quest’ultima autorità, a livello regionale, debba essere sentita unitamente alla rappresentanza dell’avvocatura.

    I capi degli uffici – almeno auspicabilmente, su coordinamento dei Capi di corte – potranno, per il civile:

    a) limitare l’accesso del pubblico agli uffici giudiziari, garantendo comunque l’accesso alle persone che debbono svolgervi attività urgenti;

    b) limitare, sentito il dirigente amministrativo, l’orario di apertura al pubblico degli uffici anche in deroga a quanto disposto dall’articolo 162 della legge 23 ottobre 1960, n. 1196 ovvero, in via residuale e solo per gli uffici che non erogano servizi urgenti, la chiusura al pubblico;

    c) regolamentare l’accesso ai servizi, previa prenotazione, anche tramite mezzi di comunicazione telefonica o telematica, curando che la convocazione degli utenti sia scaglionata per orari fissi, nonché adottare ogni misura ritenuta necessaria per evitare forme di assembramento;

    d) adottare linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze;

    e) disporre la celebrazione a porte chiuse, ai sensi dell’articolo 472, comma 3, cod. proc. pen., di tutte le udienze penali pubbliche o di singole udienze e, ai sensi dell’articolo 128 cod. proc. civ., delle udienze civili pubbliche;

    f) prevedere lo svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia; a condizione che l’udienza si svolga in ogni caso avvenire con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e con l’effettiva partecipazione delle parti; e comunque prevedendosi che il giudice disponga - prima dell’udienza - la comunicazione ai procuratori delle parti ed al pubblico ministero, se è prevista la sua partecipazione, del giorno, dell’ora e della modalità di collegamento, per poi dare atto, all’udienza, a verbale delle modalità con cui si accerta dell’identità dei soggetti partecipanti e, ove trattasi di parti, della loro libera volontà, con operazioni tutte menzionate adeguatamente nel processo verbale;

    g) disporre il rinvio delle udienze a data successiva al 30 giugno 2020 nei procedimenti civili e penali, con le eccezioni indicate al comma 3;

    h) disporre lo svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, con successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice.

    I margini sono amplissimi e ancora indifferenziati. Al di là di pochi principi generali, riconducibili in buona sostanza all’effettività del diritto di difesa ed al principio di libertà ed idoneità delle forme (cardini da sempre del processo civile, nonostante le eccezioni e le tendenziali disapplicazioni), c’è spazio per una grande progettualità, auspicabilmente di intesa con le parti del processo, ma, in difetto o in attesa di quella, affidata all’iniziativa del singolo ufficio giudiziario.

    Una simile flessibilità, se ispirata dalla sincera tensione al recupero di funzionalità del sistema, sarebbe preziosa: e potrebbe estrinsecarsi già dal momento dell’avvio dell’attività non sospesa, con una cooperazione con le parti che non gravi sulle cancellerie, già oberate dalle difficoltà della presenza in loco dei dipendenti indispensabili, ad esempio ipotizzando uno scambio di atti in copie di cortesia in formato digitale negli uffici (non pochi: e comunque tra i quali la Cassazione) in cui non funziona ancora il PCT; o comunque incentivando, anche con adeguate sperimentazioni, l’uso delle piattaforme e degli applicativi già a disposizione o anche di altri da acquisire, se più agili e fruibili; superando di slancio, con interpretazioni ampie e comprensive, le difficoltà applicative al fine di rendere operative le condizioni di funzionamento delle attività giudiziarie.

    Molto dipenderà dalla disponibilità dei singoli e dei singoli capi degli uffici, visto che a ciascuno di questi loro è – per quanto forse non del tutto congruamente, come sopra notato – rimessa l’adozione delle misure organizzative; ma è importante che lo spirito sia quello di volere contribuire, anche di propria iniziativa e senza attendere alcun Godot o deus ex machina, fattivamente alla ricostruzione ed alla ripresa, nel tentativo di riconquistare una normalità riprogettata, su basi certamente nuove, perché esposte a circostanze ignote e senza precedenti, ma pur sempre una normalità, che ambisca a restituire alla Giustizia la sua funzione, di tutela dei diritti di tutti.

    Dopo questo secondo capitolo di questa saga dell’emergenza, occorrerà attendere i successivi … ma si vuol credere ancora condivisibile e forte l’auspicio che una sciagura come questa possa trasformarsi almeno in un’opportunità di modernizzazione ed in un’occasione di riscatto.

     

    [1] Art. 2 D.P.C.M. 11 marzo 2020 (20A01605) (GU Serie Generale n.64 del 11-03-2020). Per un primo commento, tra molti altri, si veda: Candido, Poteri normativi del Governo e libertà di circolazione al tempo del COVID-19, in Forum quad. cost., 2020, accessibile (ultimo accesso 17/03/2020) all’URL http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/2020/03/candido-covid.pdf; G.L. Gatta, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, accessibile all'URL (ultimo accesso 17/03/2020) https://www.sistemapenale.it/it/opinioni/coronavisus-covid-19-diritti-liberta-fondamentali-diritto-penale-legalita

    [2] Può essere utile un richiamo ancora una volta al Manzoni, che, nei Promessi Sposi, al cap. XXXVII, così riferisce della morte di quell’intellettuale, tipico del Seicento, che era Don Ferrante:

    … al primo parlar che si fece di peste, don Ferrante fu uno de’ più risoluti a negarla, e che sostenne costantemente fino all’ultimo, quell’opinione;non già con ischiamazzi, come il popolo; ma con ragionamenti, ai quali nessuno potrà dire almeno che mancasse la concatenazione.– In rerum natura, – diceva, – non ci son che due generi di cose: sostanze e accidenti; e se io provo che il contagio non può esser né l’uno né l’altro, avrò provato che non esiste, che è una chimera. E son qui. Le sostanze sono, o spirituali, o materiali. Che il contagio sia sostanza spirituale, è uno sproposito che nessuno vorrebbe  sostenere;  sicché  è  inutile  parlarne.  Le  sostanze materiali sono, o semplici, o composte. Ora, sostanza semplice il contagio non è; e si dimostra in quattro parole. Non è sostanza aerea; perché, se fosse tale, in vece di passar da un corpo all’altro, volerebbe subito alla sua sfera. Non è acquea; perché bagnerebbe, e verrebbe asciugata da’ venti. Non è ignea; perché brucerebbe. Non è terrea; perché sarebbe visibile. Sostanza composta, neppure; perché a ogni modo dovrebbe esser sensibile all’occhio o al tatto; e questo contagio, chi l’ha veduto? chi l’ha toccato? Riman da vedere se possa essere accidente. Peggio che peggio. Ci dicono questi signori dottori che si comunica da un corpo all’altro; ché questo è il loro achille, questo il pretesto per far tante prescrizioni senza costrutto. Ora, supponendolo accidente,verrebbe a essere un accidente trasportato: due parole che fanno ai calci, non essendoci, in tutta la filosofia, cosa più chiara, più liquida di questa: che un accidente non può passar da un soggetto all’altro. Che se, per evitar questa Scilla, si riducono a dire che sia accidente prodotto, dànno in Cariddi: perché, se è prodotto, dunque non si comunica, non si propaga, come vanno blaterando. Posti questi princìpi, cosa serve venirci tanto a parlare di vibici, d’esantemi, d’antraci...?– Tutte corbellerie, – scappò fuori una volta un tale. – No, no, – riprese don Ferrante: – non dico questo: la scienza è scienza; solo bisogna saperla adoprare. Vibici, esantemi, antraci, parotidi, bubboni violacei, furoncoli nigricanti, son tutte parole rispettabili, che hanno il loro significato bell’e buono; ma dico che non han che fare con la questione. Chi nega che ci possa essere di queste cose, anzi che ce ne sia? Tutto sta a veder di dove vengano. Qui cominciavano i guai anche per don Ferrante. Finche non faceva che dare addosso all’opinion del contagio, trovava per tutto orecchi attenti e ben disposti: perché non si può spiegare quanto sia grande l’autorità d’un dotto di professione, allorché vuol dimostrare agli altri le cose di cui sono già persuasi. Ma quando veniva a distinguere, e a voler dimostrare che l’errore di que’ medici non consisteva già nell’affermare che ci fosse un male terribile e generale; ma nell’assegnarne la cagione; allora (parlo de’ primi tempi, in cui non si voleva sentir discorrere di peste), allora, in vece d’orecchi, trovava lingue ribelli, intrattabili; allora, di predicare a distesa era finita; e la sua dottrina non poteva più metterla fuori, che a pezzi e bocconi.

    La c’è pur troppo la vera cagione, – diceva; – e son costretti a riconoscerla anche quelli che sostengono poi quell’altra così in aria ... La neghino un poco, se possono, quella fatale congiunzione di Saturno con Giove. E quando mai s’è sentito dire che l’influenze si propaghino...? E lor signori mi vorranno negar l’influenze? Mi negheranno che ci sian degli astri? O mi vorranno dire che stian lassù a far nulla, come tante capocchie di spilli ficcati in un guancialino?... Ma quel che non mi può entrare, è di questi signori medici; confessare che ci troviamo sotto una congiunzione così maligna, e poi venirci a dire, con faccia tosta: non toccate qui, non toccate là, e sarete sicuri! Come se questo schivare il contatto materiale de’ corpi terreni, potesse impedir l’effetto virtuale de’ corpi celesti! E tanto affannarsi a bruciar de’ cenci! Povera gente! Brucerete Giove? Brucerete Saturno?

    His fretus, vale a dire su questi bei fondamenti, non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s’attaccò; andò a letto, a morire,  come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle.

    [3] Il decreto è pubblicato sul sito istituzionale della Corte ed è reperibile (ultimo accesso 17/03/2020) all’URL http://www.cortedicassazione.it/corte-di-cassazione/it/dettaglio_ecs.page;jsessionid=BB46E56D4EA4C9A14BC33A44C4F5234A.jvm1?contentId=ECS23841

    [4] Dinanzi alle critiche dei commentatori, la relazione al d.l. si vede costretta a precisare che “il riferimento alle ‘obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità’ è locuzione ripresa dalle indicazioni eurounitarie e,  in particolare, dal Regolamento 4/2009/CE (art. 1), per non limitare la trattazione alle sole controversie alimentari stricto sensu il cui ambito può essere interpretato in modo più ristretto”.


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