GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Del green pass, delle reazioni avverse ai vaccini e di altre cianfrusaglie pandemiche come problemi biogiuridici: elementi per una riflessione di Aldo Rocco Vitale

    Giustizia insieme, in linea con la sua linea editoriale, ospita due approfondimenti di diverso orientamento sul tema dell'obbligo vaccinale e del Green pass a firma del Prof. Antonio Ruggeri, emerito di diritto costituzionale dell'Università  di Messina e del dott. Aldo Rocco Vitale, culture della materia in biogiuridica. La redazione 15.9.2021

    Del green pass, delle reazioni avverse ai vaccini e di altre cianfrusaglie pandemiche come problemi biogiuridici: elementi per una riflessione

    di Aldo Rocco Vitale*    

    «I molti non colgono la vera natura delle cose in cui si imbattono, né

     le conoscono dopo averle apprese, ma se ne costruiscono un’opinione»

    Eraclito, Dell'origine, Feltrinelli, Milano, 2007, pag. 148, Fr. 86.

    Sommario: 1. Introduzione - 2. Status artis - 3. Il green pass - 4. La tutela delle reazioni avverse - 5. Altre cianfrusaglie pandemiche - 6. Conclusioni.     

    1. Introduzione

    «Talvolta accade che l’errore sia così simile alla verità che a nessuno può passare per la mente l’idea che si tratti di errore»:[1] così Lev Sestov ha sintetizzato il sottile confine tra la comprensione della realtà o il suo fraintendimento.

    In questa direzione di assottigliamento dei confini si è mossa la crisi sanitaria del covid-19 in cui si sono sempre più sbiaditi i perimetri della conoscenza reale rispetto a quella presunta, si sono sempre confusi i limiti delle cosiddette “scienze dure” rispetto a quelle cosiddette “umane”, si sono smorzati i margini tra ciò che è scienza e ciò che non lo è, come tra ciò che è giuridico e ciò che è anti-giuridico.

    In questo annebbiarsi delle destinazioni del pensiero sembrano essersi offuscate anche le dimensioni identitarie distintive tra scienza e fede e tra scienza e diritto.

    In primo luogo, è emersa la singolare pretesa da parte della comunità scientifica, molto meno occasionale di ciò che può apparire trovando una compiuta – sebbene inefficace – sistematizzazione teoretico-accademica,[2] di essere destinataria della fede e della fiducia indiscussa da parte dell’opinione pubblica.[3]

    Una simile pretesa disvela un sostanziale travisamento della natura della scienza che invece vive del dubbio, avanza con le ipotesi, e si sugella con la falsificazione.

    Una predetta visione non soltanto tradisce la reale concezione della conoscenza scientifica, ma per di più esibisce una anti-storica prospettiva epistemologica con un ritorno al dogmatismo scientifico verificazionista che fino ad oggi era da considerarsi superato.

    Soprattutto la medicina, nel vuoto lasciato dalla secolarizzazione a tappe forzate della civiltà occidentale, sembra essere maggiormente assurta a nuova categoria escatologica in grado di dar conto di tutto il senso della vita, della sofferenza e della morte umana, essa, come è stato argutamente notato proprio dalla critica di una personalità medica, «ha finito per sostituirsi alla religione come oppio de popoli».[4]

    Il tramonto del dogmatismo scientifico del verificazionismo ha segnato, infatti, il passaggio dal pan-razionalismo critico, per cui tutto ciò che non può essere oggetto di osservazione e verificazione scientifico-sperimentale non esiste, al razionalismo pan-critico, per il quale, nulla può essere giustificato e ogni cosa può essere criticata in quanto, come ha osservato William Warren Bartley III, soltanto così viene preservata la razionalità della scienza poiché «il razionalista è colui che intende lasciare ogni asserzione e senz’altro ogni sua asserzione, compresi i suoi più fondamentali criteri, obiettivi e decisioni nonché la sua stessa posizione filosofica di base, aperti alla critica».[5]

    Si rivela, insomma, una visione meno confacente alla scienza e più tipica dello scientismo, cioè di quella forma di sublimazione ideologica della scienza che rinnega la scienza medesima e la sua natura che, invece, è strutturalmente aperta al dialogo, al confronto, alla critica, come, in fondo, ha insegnato tra i tanti Richard Feynman per il quale, infatti, «un'altra caratteristica della scienza è che insegna il valore del pensiero razionale e l'importanza della libertà di pensiero, come pure la necessità di dubitare, di non dare per scontata alcuna verità[…]. Gli esperti che vi guidano possono sbagliare».[6]

    In secondo luogo, si sono rimodulati durante il periodo pandemico i rapporti tra scienza e diritto con il secondo ridotto ad una funzione di subalternità rispetto alla prima come se fosse privo di una propria autonomia e dignità epistemica e come se la scienza, ancora una volta nelle vesti dello scientismo secondo l’accezione evidenziata da Augusto Del Noce,[7] fosse l’unica chiave interpretativa del fenomeno pandemico.

    Sebbene le due dimensioni abbiano tratti comuni strutturali e funzionali, entrambe si fondono con la realtà, entrambe sono strumenti di comprensione della realtà, entrambe si avvalgono di principi generali e leggi specifiche, è anche pur vero che le differenze metodologiche, epistemologiche e teleologiche le distinguono in maniera netta e inderogabile.

    Mentre la scienza, infatti, si avvale del dubbio, è analitica e tende alla quantità del dato di realtà sottoposto alla sua conoscenza, il diritto, invece, esige certezza, è sintetico e tende alla qualità del dato di realtà poiché nella sua vocazione essenziale è sempre riferito direttamente o indirettamente alla persona.

    In questa prospettiva sebbene sia ovvio che il diritto debba tener conto delle risultanze della scienza, è anche necessario che non si appiattisca acriticamente sacrificando se stesso e la dimensione assiologica che lo vivifica dall’interno.

    Se il diritto, infatti, non tutelasse la propria autonomia rischierebbe di essere annullato oltre che nella dimensione puramente teoretica anche in quella prassistica, perché se si lasciasse plasmare inesorabilmente e placidamente dalle risultanze scientifiche sarebbe inutile, per esempio, la figura del iudex peritus peritorum:[8] si potrebbe semplicemente di volta in volta sostituire il giudice con un comitato di scienziati (biologi, medici, ingegneri, chimici, fisici, statistici ecc) a cui sarebbe semplicemente demandato il compito di applicare meccanicamente la legge alla luce delle risultanze delle proprie discipline particolari.

    La pandemia, insomma, ha aperto una finestra sulla crisi dei rapporti reciproci tra scienza e diritto, così che essendosi il diritto ridotto a mero ratificatore formale delle impellenze scientifiche dirette a fronteggiare l’epidemia – trascurando la propria autonomia valoriale – occorre adesso sottrarlo a quella forma di “imperialismo scientistico” a cui l’emergenza l’ha subordinato, poiché come ha precisato già da tempo John Dupré «esistono materie che richiedono una visione più sinottica e integrata di quella offerta dai metodi analitici propri della scienza».[9]  

    2. Status artis

    Prima di entrare nel cuore dei problemi è inevitabile porre attenzione alle risultanze scientifiche fino ad oggi registrate e dar conto, seppur brevemente, dello status artis della campagna vaccinale che evidentemente è correlata alla principale questione del green pass e alle successive problematiche di cui in questa sede s’intende discutere.

    Allo stato dell’arte, pur essendo certa l’alta efficacia dei vaccini di recente creazione e le risibili reazioni di breve periodo, è altrettanto senza dubbio impossibile conoscere se e quali possano essere gli eventuali effetti collaterali di lungo periodo, così come del resto non si conoscono molti altri aspetti del quadro generale, come affermato dalla stessa AIFA, secondo la quale non c’è attuale certezza sulla effettiva durata della protezione per i vaccinati (oscillando da 9 a 12 mesi), non si sa se i vaccinati possono comunque infettare a loro volta in modo asintomatico le altre persone, se vi possono essere particolari effetti collaterali per le persone con patologie autoimmuni, se vi sono possibili interferenze con altre vaccinazioni, se il vaccino impedisce soltanto la manifestazione della malattia o se invece impedisce anche la trasmissione dell’infezione.[10]

    Senza dubbio la campagna vaccinale ha drasticamente diminuito le ospedalizzazioni, le complicazioni in caso di infezione e la mortalità in caso di complicazioni come risulta dal rapporto dell’ISS secondo cui la vaccinazione completa – per ora consistente in una doppia dose – garantisce una copertura dal ricovero in ospedale nel 94,6% dei casi, dal ricovero in terapia intensiva nel 97,3% dei casi e dal decesso nel 95,8% dei casi.[11]

    Ciò nonostante, la diffusione della cosiddetta variante delta pare sia in grado di rendere contagiosi anche i vaccinati, come dimostrano il caso di Israele da cui risulta che il vaccino garantisce soltanto una bassa protezione dal contagio pari al 39%,[12] e soprattutto i dati forniti dal CDC statunitense relativi ad una ricognizione nello stato del Massachussetts in cui nel solo mese di luglio 2021 si sono registrati 469 casi nonostante la copertura vaccinale sia pari al 69% tra la popolazione e che di questi ben il 74%, cioè 346, riguardano persone completamente vaccinate.[13]

    In questa direzione si muove il report stilato sempre dal CDC statunitense, pubblicato il 24 agosto 2021, secondo il quale con la diffusione della variante delta del coronavirus l’efficacia dei vaccini scende dal 90% al 66%, diminuendo anche l’efficacia degli stessi nella protezione dal contagio.[14]

    A riprova di ciò, al netto del cosiddetto “paradosso di Simpson”[15] con cui alcuni hanno tentato di spiegare il fenomeno, si consideri il rapporto del Public Health England pubblicato il 20 agosto da cui risulta che la maggior parte dei nuovi contagi siano registrati proprio tra coloro che hanno completato il doppio ciclo vaccinale, a differenza di chi non è vaccinato, con, rispettivamente, ben 32.828 casi di contagio nel primo caso e soltanto 4.891 nel secondo.[16]

    Al fine di un più esaustivo scenario occorre peraltro aggiungere che recentissimi studi hanno comprovato la riduzione graduale della protezione del vaccino nell’arco di un semestre, come risultante dai dati sintetizzati in uno studio pubblicato dal BMJ e condotto su ben 42.000 persone secondo il quale – fatta salva la validità nella protezione contro le forme gravi del covid – l'efficacia del vaccino Pfizer nel prevenire il contagio diminuisce progressivamente nell'arco di sei mesi.[17]

    A completamento del quadro, inoltre, proprio mentre si raccolgono le presenti riflessioni, occorre dar atto del dibattito apertosi nella comunità scientifica sui rapporti tra vaccinazione di massa e insorgenza delle varianti, come, tra i molteplici esempi possibili, attesta lo studio pubblicato sulla nota e prestigiosa rivista Nature il 30 luglio 2021 in cui gli autori asseriscono che «counterintuitively, when a relaxation of non-pharmaceutical interventions happened at a time when most individuals of the population have already been vaccinated the probability of emergence of a resistant strain was greatly increased. Consequently, we show that a period of transmission reduction close to the end of the vaccination campaign can substantially reduce the probability of resistant strain establishment. Our results suggest that policymakers and individuals should consider maintaining non-pharmaceutical interventions and transmission-reducing behaviours throughout the entire vaccination period».[18]

    Ciò considerato, il quadro è chiaramente parziale e in evoluzione su tutti i fronti.  

    3. Il green pass

    Avendo chi scrive già ampiamente trattato il tema,[19] soprattutto in riferimento anche alla indubbia legittimità dell’eventuale obbligo vaccinale,[20] con ampio anticipo rispetto alla maturazione dei tempi, in questa sede si tenterà di approfondire le problematiche biogiuridiche più specifiche relative a ciò che è stato inaugurato come “green pass”.

    La pandemia, come oramai è stato accertato con ammissione esplicita anche da parte dei più reticenti, ha causato lo stress del sistema immunitario individuale e collettivo, ma anche e soprattutto del sistema pubblico costituzionale,[21] nonché la sovversione del sistema delle fonti,[22] la contorsione del principio della separazione dei poteri,[23] oltre che del principio di legalità,[24] la compressione della garanzia di intangibili diritti costituzionali,[25] e perfino dei diritti umani in quanto tali considerati.[26]

    Si è sostanzialmente quasi istituzionalizzato il cosiddetto “stato d’eccezione”,[27] fino ad ora mera ipotesi storica o accademica,[28] che, infatti, nell’esperienza politica e giuridica del secondo dopoguerra in Italia non aveva mai vissuto una concreta effettività neanche nei momenti più difficili della storia repubblicana legati alla legislazione emergenziale varata per far fronte al fenomeno brigatistico, mafioso o terroristico, tanto da far ribadire a costituzionalisti autorevoli come Sabino Cassese che la pandemia non è uno “stato di guerra” ex articolo 78 della Costituzione e che pertanto i poteri “illimitati” che il Governo si è arrogato nella gestione della cosiddetta “prima ondata” dell’inverno-primavera 2020 sono del tutto illegittimi e contrari alla Costituzione,[29] rappresentando una «inedita sospensione nell’esercizio dei diritti»,[30] fino ad avvertire la giusta esigenza che «la Costituzione torni ad essere la bussola dell’emergenza».[31]

    In questo scenario occorre comprendere che dispositivi come il green pass possono comportare seri pregiudizi di carattere sistematico sull’intera struttura dei fondamenti ordinamentali e sulla concezione dello stesso Stato di diritto.

    Come è stato evidenziato, infatti, mezzi di controllo di tal natura comportano il reale rischio «che misure temporanee di sorveglianza accettate inizialmente per limitati periodi emergenziali diventino progressivamente prassi e consuetudini delle nostre società, modificando i rapporti interpersonali e, soprattutto, il rapporto bio-politico dei cittadini con l’autorità e lo Stato».[32]

    Tenendo presente questi scenari, occorre chiarire che il green pass appare come un dispositivo giuridicamente problematico almeno sotto tre profili: a) logico-fattuale; b) sistematico-normativo; c) onto-assiologico.  

    a) Sotto il profilo strettamente logico-fattuale il green pass appare difficilmente giustificabile per due ragioni che pur tra loro opposte conducono alla medesima evidenza: se il vaccino evita in modo totale il contagio, il green pass appare inutile poiché la garanzia è offerta dalla somministrazione del ritrovato vaccinale e non certo dalla sua certificazione; se, invece, il vaccino non evita il contagio – come appunto pare – il green pass è ugualmente inutile in considerazione del fatto che anche il titolare del green pass medesimo potrebbe essere veicolo di infezione come colui che ne fosse sprovvisto avendo entrambi la medesima carica virale (almeno secondo le ultime recentissime e autorevoli risultanze).[33]

    In applicazione del semplice buon senso e della ordinaria prudentia iuris, oltre che del principio di non contraddizione,[34] e del principio di precauzione anche come comunitariamente recepito,[35] dunque, ritenere il green pass strettamente legato alla diminuzione del contagio e quindi talmente necessario da potersi giustificare o addirittura pretendere una restrizione dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti è del tutto illogico e controfattuale.  

    b) Sotto il profilo sistematico-normativo occorre effettuare alcune considerazioni oltre quelle puntualissime già emerse.[36]

    In primo luogo: posta la mancanza di una obbligatorietà generalizzata del vaccino anti-Covid sorge spontaneo chiedersi se l’utilizzo del green pass costituisca una forma di obbligo vaccinale de facto.[37]

    Sul punto occorre chiarezza, poiché se al quesito si risponde negativamente, non si comprende su quale assunto poter imporre un simile dispositivo; se invece si risponde positivamente, sembrano sorgere più problemi (soprattutto giuridici) di quanti si vorrebbe risolvere.

    Sebbene, infatti, agli occhi dei non giuristi o dei giuristi più inesperti possa apparire soltanto come una questione teorica, la differenza tra obbligo di fatto e obbligo di diritto, così astratta non è, in quanto il fatto in sé non è detto che sia legittimo proprio in virtù della sua stessa autoreferenziale fenomenicità, mentre il diritto – anche in virtù dei controlli anteriori e posteriori che l’ordinamento assicura ai fini dell’emanazione di una legge – lo è sempre e comunque.

    L’eventuale obbligo di fatto introdotto tramite il green pass è un modo istituzionalmente e giuridicamente scorretto per indurre la popolazione a vaccinarsi senza le cautele giuridiche opportune che sono necessarie in uno Stato di diritto in genere, specialmente alla luce del principio personalistico che informa l’intera Carta costituzionale.

    L’articolo 32 della nostra Carta fondamentale, infatti, sancisce che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”, chiarendo in modo inequivoco, anche come più volte ha ribadito nel corso del tempo la Corte costituzionale, che soltanto per legge, per legge dello Stato, si può imporre un trattamento sanitario obbligatorio alla popolazione.[38]

    Non a caso il Tar del Lazio ha recentemente annullato l’ordinanza del Presidente della Regione Lazio che aveva introdotto la vaccinazione anti-influenzale obbligatoria.[39]

    L’obbligo di un trattamento sanitario, dunque, se non può essere introdotto da provvedimenti di carattere regionale, non può neanche essere introdotto da provvedimenti di rango primario che però lo disciplinano in maniera obliqua e non diretta, tramite introduzione surrettizia e non reale.

    In secondo luogo: l’obbligo vaccinale di fatto, a differenza di quello di diritto, non appare in grado di tutelare compiutamente e in modo giuridicamente congruo la popolazione poiché si aggira il problema degli eventuali indennizzi per coloro che dovessero subire gli effetti collaterali della vaccinazione.[40]

    La stessa Corte Costituzionale, infatti, nella celebre sentenza 5/2018 ha chiarito quanto segue:«Il singolo, sottoponendosi al trattamento obbligatorio, adempie a uno dei doveri inderogabili di solidarietà sociale, che hanno fondamento nell’art. 2 Cost. L’intervento pubblico non è unidirezionale, ma bidirezionale e reciproco: si esprime non solo nel senso della solidarietà della collettività verso il singolo, ma anche in quello del singolo verso la collettività; è per questa stessa ragione che, quando il singolo subisce un pregiudizio a causa di un trattamento previsto nell’interesse della collettività, quest’ultima si fa carico dell’onere indennitario».

    L’indennizzo, dunque, rappresenta – proprio alla luce della costante e consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale –[41] l’espressione del dovere di solidarietà della collettività e delle istituzioni nei confronti del cittadino che si sottopone ai trattamenti sanitari, divenendo mezzo imprescindibile di integrazione della tutela effettiva del diritto alla salute individuale e collettiva, e non soltanto in ossequio al tenore letterale dell’articolo 1 della legge 210/1992, ma anche e soprattutto in osservanza dei principi di diritto enunciati recentemente dalla Corte Costituzionale sul punto, la quale, chiarendo la reciprocità del dovere di solidarietà, ha perfino esteso la tutela offerta dall’indennizzo ben oltre le vaccinazioni obbligatorie, cioè anche alle vaccinazioni soltanto raccomandate poiché «in presenza di una effettiva campagna a favore di un determinato trattamento vaccinale, è naturale che si sviluppi negli individui un affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie: e ciò di per sé rende la scelta individuale di aderire alla raccomandazione obiettivamente votata alla salvaguardia anche dell’interesse collettivo, al di là delle particolari motivazioni che muovono i singoli. Questa Corte ha conseguentemente riconosciuto che, in virtù degli artt. 2, 3 e 32 Cost., è necessaria la traslazione in capo alla collettività, favorita dalle scelte individuali, degli effetti dannosi che da queste eventualmente conseguano. La ragione che fonda il diritto all’indennizzo del singolo non risiede quindi nel fatto che questi si sia sottoposto a un trattamento obbligatorio: riposa, piuttosto, sul necessario adempimento, che si impone alla collettività, di un dovere di solidarietà, laddove le conseguenze negative per l’integrità psico-fisica derivino da un trattamento sanitario (obbligatorio o raccomandato che sia) effettuato nell’interesse della collettività stessa, oltre che in quello individuale. Per questo, la mancata previsione del diritto all’indennizzo in caso di patologie irreversibili derivanti da determinate vaccinazioni raccomandate si risolve in una lesione degli artt. 2, 3 e 32 Cost.: perché sono le esigenze di solidarietà costituzionalmente previste, oltre che la tutela del diritto alla salute del singolo, a richiedere che sia la collettività ad accollarsi l’onere del pregiudizio da questi subìto, mentre sarebbe ingiusto consentire che l’individuo danneggiato sopporti il costo del beneficio anche collettivo».[42]

    L’incidenza del green pass sui diritti fondamentali, del resto, è non soltanto sufficientemente evidente, ma anche potenzialmente discriminatoria.

    In tale direzione si consideri, infatti, che l’attuale scenario disciplinato dal D.L. 105/2021 che introduce il green pass è gravemente ipotecato da quella forma di discriminazione economica, già denunciata dal CNB nel suo pur favorevole parere per il green pass, cristallizzata dalla mancanza di gratuità dei tamponi per chi non ha potuto o voluto vaccinarsi.

    In tal senso, inoltre, viene in rilievo anche il parere del Garante per la Protezione dei Dati Personali che ha ricordato come ai fini della legittimità del green pass «si ritiene utile evidenziare l’opportunità che sia normativamente previsto che la presentazione della certificazione verde, come misura di sanità pubblica, non operi per quelle attività che comportano l’accesso a luoghi in cui si svolgono attività quotidiane (es. ristoranti, luoghi di lavoro, negozi, ecc.) o a quelli legati all’esercizio di diritti e libertà fondamentali (es. diritto di riunione, libertà di culto, ecc.)».[43]

    Il green pass, in sostanza, rischia di creare storture giuridiche e violazioni dei diritti fondamentali, così che appare fin troppo evidente come l’obbligo vaccinale possa essere introdotto non surrettiziamente, ma soltanto ex lege, poiché, del resto, occorre tener massimamente presente che il diritto è sempre superiore al fatto, essendo infatti questo secondo disciplinato dal primo e non il contrario secondo la più genuina prudenza giuridica e l’antica sapienza classica per la quale, infatti, vige il principio da mihi factum dabo tibi ius.

    In terzo luogo: emergono ulteriori profili di carattere sistematico.

    Ritenere, come da parte di taluni s’è ritenuto,[44] che il green pass sia inequivocabilmente misura di garanzia della libertà tanto da poter essere paragonato alla patente di guida, al porto d’armi o al divieto di fumo nei luoghi pubblici, significa trascurare indebitamente le differenti realtà giuridiche chiamate in causa, e ciò per diverse ragioni.

    1) La patente di guida e il porto d’armi, infatti, sono tipologie di “certificazione” che comportano la verifica di determinate abilità tecniche che devono essere possedute dal loro titolare non incidendo strettamente sulla persona fisica del titolare medesimo. 2) Non esiste un diritto costituzionalmente sancito alla patente o al porto d’armi. 3) Anche in caso di detenzione illecita di armi da fuoco o di guida senza patente, al netto di tutte le eventuali sanzioni civili, penali e amministrative, i diritti fondamentali costituzionalmente garantiti (lavoro, associazione, culto, insegnamento, istruzione, circolazione ecc.) del trasgressore non vengono meno. Tutt’al più sono temporaneamente compressi, ma sicuramente non soppressi come invece si rischia tramite l’introduzione del green pass per coloro che non sono vaccinati.[45]

    Per ciò che riguarda l’analogia con il divieto di fumo nei luoghi pubblici occorre constatare che anche in questo caso non esiste un diritto costituzionale al fumo che potrebbe essere rivendicato dall’eventuale fumatore a cui fosse impedito di fumare in un luogo pubblico come un ristorante o un cinema. Il fumatore può – come di fatto accade – fumare al di fuori dei locali per poi farvi ritorno in totale libertà senza che i suoi diritti fondamentali siano pregiudicati. Inoltre, occorre considerare che, mentre è oramai scientificamente comprovato che il fumo, anche quello passivo, è altamente tossico per chi fuma e per chi vi sta intorno, non è altrettanto scientificamente garantito – come più sopra acclarato – che il vaccino (sulla cui base si fonda il green pass) escluda il contagio.

    Insomma, mentre la patente, il porto d’armi e le leggi anti-fumo non impediscono l’esercizio di libertà e diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, il green pass, invece, si muove esattamente in questa direzione rischiando di impedire al lavoratore di lavorare, al cittadino di riunirsi liberamente, al fedele di professare il proprio culto.

    Si assiste, dunque, con l’approvazione del green pass ad un bizzarro capovolgimento dell’ordine delle fonti e degli atti che fino ad ora ha contraddistinto il sistema giuridico italiano, per cui dalla sua entrata in vigore non sono più valutate la legittimità, l’effettività e l’efficacia di un certificato come il green pass alla luce dei diritti fondamentali, ma sono l’efficacia, l’effettività e la legittimità dei diritti fondamentali valutate alla luce di un certificato come il green pass con evidente stravolgimento di ogni gerarchia dei principi giuridici, venendo alla mente proprio le parole di un fine osservatore dell’assurdo come Eugène Ionesco per il quale «non c’è più niente di normale da quando l’anormale è diventato la norma».[46]  

    c) Sotto il profilo onto-assiologico, dinnanzi a provvedimenti come quelli che istituiscono dispositivi come il green pass, occorre chiedersi se si possono privare dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti (circolazione, lavoro, associazione, culto ecc) alcuni soggetti per tutelare quelli di altri consociati.

    Non si tratta, con tutta evidenza, né di un problema politico, sebbene sia stato gravemente ideologizzato, né strettamente medico; non si tratta nemmeno di un confronto orizzontale pro-vax e no-vax, ma verticale poiché la questione è prettamente giuridica in quanto si consuma tra un potere - l'Esecutivo - che presumendosi assoluto (cioè svincolato da norme e principi ad esso anteriori e superiori), in maniera del tutto inedita, obbliga di fatto (e non di diritto) ad un trattamento sanitario senza assumersi le correlate responsabilità e i cittadini obbligati di fatto (e non di diritto) senza le garanzie minime essenziali a tutela dei loro diritti costituzionali.

    Delle due l’una: o i diritti fondamentali sono tali, e lo sono sempre e per tutti, cioè sostanzialmente pre-ordinamentali (tanto che la Carta costituzionale utilizza il verbo “riconoscere” e non “costituire”), pre-costituzionali, ultra-statali, sovra-politici, meta-normativi, poiché ancorati e ancorabili alla struttura ultima dell’essere umano, ovvero alla sua umanità, essendo cioè il riflesso giuridico della sua dimensione ontologica, oppure non lo sono e quindi diventano manipolabili o eliminabili in base alle circostanze anche se emergenzialmente giustificate.

    Proprio uno dei maestri della scienza giuridica italiana come Francesco Santoro-Passarelli, evidenziando peraltro il ruolo centrale del principio personalistico che illumina la Costituzione, ha avuto modo di chiarire, infatti, che «la persona è il valore centrale, quello a cui si riconducono gli altri valori[…]. La nostra Costituzione contiene un lungo elenco di libertà, che non possono essere tolte alla persona e sono inviolabili da parte dello stesso Stato[…]. Le altre libertà, libertà personale, libertà di opinione, libertà di associazione, libertà religiosa, sono tutte libertà essenziali, riconosciute ugualmente a tutti e a tutti egualmente spettanti[…]. La garanzia contro i pericoli e gli abusi dell’azione dello Stato è costituita dalla libertà e dalla struttura pluralistica di questa forma di Stato[…]. Di qui il riconoscimento nella Costituzione, e non la concessione, delle ricordate libertà inviolabili; di qui il limite essenziale dell’azione dello Stato».[47]

    Per quanto sia certamente vero che la stessa Costituzione consenta delle limitazioni, per esempio per la tutela della pubblica incolumità, è anche altrettanto vero che ammettere le compressioni non significa ammettere anche le eventuali soppressioni, come parrebbe fare l’introduzione del Green pass che esclude senza limiti dalle attività lavorative o ricreative chi fosse sprovvisto di copertura vaccinale, peraltro in un contesto normativo quale è quello attuale che non prevede l’obbligo vaccinale anti-Covid come misura generalizzata di salvaguardia della pubblica incolumità.

    Le misure anti-pandemiche, per quanto emergenziali o eccezionali, devono, volenti o nolenti, sempre essere incorniciate all’interno della struttura dello Stato di diritto,[48] per evitare di essere essenzialmente anti-giuridiche.

    Ancora sotto il profilo sistematico, è altresì necessario ribadire che, a parte il diritto alla vita che “silenziosamente” – mancando una espressa norma che formalmente lo riconosca – fonda l’intera struttura della Costituzione, occorre anche riconoscere con onestà intellettuale e umiltà che non esiste una gerarchia tra i diritti fondamentali in base alla quale si possa ritenere che alcuno di essi sia sovraordinato rispetto ad altri, per cui il diritto alla salute è tanto fondamentale quanto quello al lavoro, quello di circolazione lo è tanto quanto quello di professare liberamente il proprio culto, quello di espressione del pensiero lo è tanto quanto quello di insegnamento o istruzione.

    Se così non fosse, chi si incaricasse di dichiarare il contrario dovrebbe principalmente dimostrare tale presunta gerarchia e i criteri logico-giuridici utilizzati per la sua ordinazione. Mettere in scontro i diritti fondamentali, come avviene sostanzialmente con l’istituzione del green pass, come fossero cavalieri in giostra l’un contro l’altro armati, significa disconoscere la natura degli stessi e della stessa dimensione assiologica del diritto in quanto tale.

    La differenza tra lo Stato di diritto e lo Stato totalitario consiste, infatti, in quella sottile linea rossa per cui nel primo per raggiungere il giusto fine si deve adoperare necessariamente anche il giusto mezzo, mentre nel secondo, prescindendo dalla giustizia del fine, si può prescindere anche dalla giustizia del mezzo utilizzato per raggiungerlo.

    Negare una simile verità non significa tanto distaccarsi da certe astratte dimensioni teoretiche, ma negare lo Stato di diritto nella sua concretezza e fondabilità, poiché, come ha correttamente osservato Norberto Bobbio, «chi non crede alla verità, sarà tentato di rimettere ogni decisione, ogni scelta, alla forza, secondo il principio che, siccome non si può comandare ciò che è giusto, è giusto ciò che è comandato»,[49] significa cioè sottomettere la comunità, l’ordinamento e il diritto al principio volontaristico sottraendolo a quello di ragione e di giustizia.

    Lo stesso Bobbio, del resto, ha precisato come sia tipico del pensiero giuridico-politico autocratico trattare i cittadini non secondo i loro propri diritti fondamentali, ma come bambini o malati da educare e dirigere.[50]

    Sebbene molti, anche nella convulsa e caotica comunità dei giuristi, abbiano avuto modo di convincersi durante il lungo tempo della pandemia che lo Stato di diritto possa essere sospeso per far fronte all’emergenza sanitaria, così non è, poiché senza seguire la via del diritto non si può seguire la via della giustizia, come del resto conferma – a contrario – la storia del XX secolo in cui tutti i regimi totalitari si sono dimostrati sistemi radicalmente antigiuridici poiché votati alla negazione dei diritti fondamentali riflesso policromatico di quell’unica fonte di luce emanata dal diritto naturale che illumina i passi della storia nella direzione dello Stato di diritto.[51]

    Ecco, dunque, che la voce del diritto naturale riemerge chiara e tonda nella contorta vicenda giuridico-normativa del green pass, poiché, come da taluni attenti osservatori come Massimo Cacciari è stato giustamente osservato «quando subiremo qualsiasi provvedimento o norma senza chiederne la ragione e senza considerarne le possibili conseguenze, la democrazia si ridurrà alla più vuota delle forme, a un fantasma ideale».[52]

    Il green pass, dunque, pur essendo pienamente legale, è e rimane intrinsecamente anti-giuridico, poiché, come ha ricordato Aleksandr Zinov’ev, sintetizzando la tragica esperienza storica del XX secolo, «non è detto che una normativa (o legalità) qualsiasi sia indice di una società basata sul diritto».[53]  

    4. La tutela delle reazioni avverse ai vaccini

    La vaccinazione di massa ha comportato due effetti, di cui uno benefico e l’altro nocivo: alla benefica riduzione dei casi di covid si è misteriosamente affiancata anche la riduzione dello spirito critico di una parte del mondo giuridico, così da apparire che alla immunizzazione dal virus corrisponda anche l’effetto collaterale della immunizzazione alla ratio iuris e ai principi generali che fondano lo Stato di diritto.

    Nel contesto pandemico si è posta una attenzione mai prima d’ora storicamente determinata a favore di concetti come il dovere di solidarietà, il diritto alla salute e alla vita, il bene comune; a fronte di una risonanza mediatico-politica di tali concetti, tuttavia, non sembra aver corrisposto una equivalente tutela giuridica che sarebbe dovuta essere naturalmente correlata specialmente da quando sono stati comprovati i collegamenti tra eventi trombotici e vaccini anti-covid,[54] oltre che tra questi ultimi e le miocarditi,[55] come del resto denunciato dallo stesso CDC statunitense nel suo rapporto del 9 luglio 2021.

    Anche in questo caso, tuttavia, occorre partire dai dati così che si possa più agevolmente transitare da quella dimensione che è definibile come mera “etica dei numeri” a quella che si sarebbe dovuta imporre come “numeri dell’etica”.

    Secondo le stime del settimo rapporto dell’AIFA datato 26 luglio 2021 su 65.926.591 dosi vaccinali somministrate sono state registrate 84.322 reazioni avverse, di cui 87,1% non gravi e 12,8% gravi. Tra le reazioni gravi il 58% ha avuto come esito la “risoluzione completa” o il “miglioramento dell’evento”, mentre il 25% è risultato non ancora guarito al momento della segnalazione.

    Tra le reazioni gravi 498 segnalazioni riportano l’esito “decesso” con un tasso di segnalazione di 0,75/100.000 dosi somministrate; tra i suddetti decessi, 343 sono stati registrati dopo la prima dose e 145 dopo la seconda. Il 59% delle segnalazioni a esito fatale presenta una valutazione di causalità con l’algoritmo utilizzato nell’ambito della vaccinovigilanza (algoritmo OMS), in base al quale il 59,9% dei casi è non correlabile, il 33,2% indeterminato e il 4,5% inclassificabile per mancanza di informazioni necessarie all’applicazione dell’algoritmo. In 7 casi (2.4 % del totale), la causalità è risultata correlabile.

    Posto ovviamente che nessun ritrovato farmaceutico garantisce una sicurezza totale al 100%, e questo è ovvio – sebbene nessuno lo ribadisca con la dovuta accortezza – è doveroso chiedersi come mai nessuno abbia ancora sollevato la questione della tutela giuridica del diritto alla salute dei soggetti che hanno subito reazioni avverse gravi.

    Se davvero si intende ragionare giuridicamente – ammesso che lo si possa ancora pretendere in tempi di pandemia – occorre riconoscere i diritti di tutti costoro (e per ovvi motivi di giustizia perfino degli indeterminati e degli inclassificabili) che sono deceduti per cui si possono effettuare in tale direzione alcune considerazioni.

    In primo luogo: che l’intera procedura di controllo e verifica delle reazioni avverse debba dipendere da un algoritmo può essere una circostanza tecnicamente corretta e scientificamente evoluta, ma non giuridicamente sufficiente poiché l’algoritmo dispiega la sua funzione nella dimensione quantitativa e non in quella qualitativa come è quella tipica del diritto alla vita degli esseri umani.

    Come è stato giustamente osservato, infatti, questa predominanza algoritmica preclude la valutazione dei profili morali e giuridici incentrati sulla libertà e quindi sulla responsabilità, poiché «gli algoritmi non fanno che estendere le funzioni rituali di controllo e di ripartizione dei numeri in modi che possono diventare inaccessibili, autoritari e categorici: uno strumento utile alla società, ma anche un rischio di sbilanciamento nel delicato rapporto fra categoricità e spontaneità, fra l’estrema imperiosità del meccanismo e la libertà di coscienza».[56]

    In secondo luogo: l’irrilevanza statistica dei pochi decessi a causa delle vaccinazioni non si può tradurre automaticamente né in una loro insignificanza etica, né soprattutto in una loro corrispettiva irrilevanza giuridica, specialmente se si intende tutelare realmente il diritto alla salute, in applicazione del dovere di solidarietà, in vista del bene comune.

    L’idea di poter tanto macchinosamente quanto ingenuamente trasformare le incerte risultanze scientifiche in certe discipline giuridiche è aberrante sia sotto l’aspetto scientifico, quanto soprattutto sotto l’aspetto giuridico.

    Sarebbe quanto mai opportuno, quindi, che oltre le asettiche statistiche e i rassicuranti protocolli sanitari, si cominciasse a rispolverare quella tradizione di pensiero che problematizzando i numeri indica la via etica e giuridica che sta oltre gli stessi.

    In questa direzione, tra i molteplici esempi possibili, maggiormente adeguato appare il celebre brano del dialogo tra Alëša e Ivan, in cui Dostoevskij chiarisce che il bene dei molti non si può costruire sul sacrificio dei pochi, neanche se si trattasse di uno solo:«Ti sfido, rispondimi: immagina che tocchi a te innalzare l'edificio del destino umano allo scopo finale di rendere gli uomini felici e di dare loro pace e tranquillità, ma immagina pure che per far questo sia necessario e inevitabile torturare almeno un piccolo esserino, ecco, proprio quella bambina che si batteva il petto con il pugno, immagina che l'edificio debba fondarsi sulle lacrime invendicate di quella bambina -

    accetteresti di essere l'architetto a queste condizioni?».[57]   

    Come ha precisato Nikolaj Berdjaev, infatti, «l’eudemonismo sociale si oppone alla libertà. Nulla rimane all’infuori di un’organizzazione forzata della felicità sociale, se non c’è la Verità»,[58] e, in questo caso, la verità consiste nella consapevolezza che la più o meno bassa statistica dei decessi non può mai comportare un venir meno della tutela giuridica di quei diritti fondamentali di coloro che per massima sventura in tale statistica si vengono a trovare, poiché come ha evidenziato Vladimir Soloviev «le verità matematiche hanno un significato universale, ma riescono indifferenti dal punto di vista morale».[59]

    Se così non fosse, se cioè in nome dell’emergenza, anzi dello Stato di eccezione in cui da mesi si versa, si decidesse di abdicare ai principi fondanti della civiltà giuridica – honeste vivere, neminem laedere, unicuique suum tribuere – sottomettendo la tutela dei diritti dei pochi al dominio del numero, si transiterebbe dalla dimensione dello Stato di diritto a quella della tirannia, dovendosi constatare con Arthur Koestler che «sembra che noi si sia dinanzi a un movimento pendolare della Storia, che oscilla dall’assolutismo alla democrazia e dalla democrazia di nuovo alla dittatura assoluta».[60]  

    5. Altre cianfrusaglie pandemiche

    A margine dei problemi principali più sopra considerati occorre, prima delle conclusioni, soffermarsi seppur brevemente su due proposte che, sebbene per ora confinate a livello ipotetico, dovrebbero comunque destare l’allarme di chiunque abbia sviluppato un minimo di sensus iuris e ratio humanitatis per il loro contenuto radicalmente anti-giuridico.

    La prima proposta, sostenuta peraltro anche dall’ex Presidente dell’Inps, che è stata veicolata dai mezzi di informazione di massa,[61] si sostanzia nell’idea di far pagare gli eventuali costi del ricovero a chi ha deciso di non vaccinarsi infettandosi subito e venendo ospedalizzato.

    In questa logica non soltanto si dimentica che già con l’ordinario assolvimento degli oneri fiscali di legge – come per esempio l’Irap – tutti i cittadini contribuiscono al finanziamento del Sistema sanitario nazionale, prescindendo dal proprio stato di salute, per cui sarebbe ben paradossale che dopo decenni di pagamenti di tasse non si possa usufruire del Servizio sanitario nazionale soltanto come ripicca per la propria opzione etica (giusta o ingiusta che sia), ma anche qui emerge una sinistra attitudine antigiuridica di carattere sostanziale che si palesa soltanto a chi ha potuto sviluppare una acuta visione giuridica del mondo.

    L’idea di poter subordinare un diritto fondamentale e costituzionalmente garantito (come quello alla salute) all’approvazione delle scelte di vita del paziente – specialmente in assenza di obblighi legali che ne coartino la volontà in un senso piuttosto che in un altro – è tanto contraria alla vocazione etica della professione medica quanto al buon senso e ai principi generali dell’ordinamento giuridico di uno Stato di diritto che in virtù del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) formale e sostanziale non può abbandonarsi a simili spericolatezze giuridiche.[62]

    La seconda proposta ha aspetti ancor più concreti poiché ha innescato un vero e proprio dibattito negli USA e consiste nell’idea di non curare coloro che non si sono vaccinati e che, una volta infettatisi, necessitano delle cure e delle terapie intensive.

    Si ribalta la situazione: se fino ad ora, in epoca pandemica, gli altri diritti fondamentali sono stati subordinati al diritto alla salute – come comprova il green pass –, adesso invece si intende subordinare il diritto alla salute ad una logica premiale, per cui si intenderebbe garantire le cure in base alle opzioni etiche del singolo individuo.

    Seguendo la medesima logica allora si potrebbe estendere il ragionamento anche ai fumatori, agli obesi, agli atleti di discipline pericolose. E allora, perché no, anche a coloro che soffrono di patologie genetiche o ereditarie o croniche e non guaribili.

    Perché, allora, garantire le cure anche per il detenuto condannato per mafia, o per stupro, o per pedofilia o per terrorismo? Dove porre il limite? Chi lo dovrebbe porre tale limite? Secondo quali criteri?

    E perché allora non escludere dal diritto di assistenza sanitaria anche tutti coloro che dovrebbero essere esclusi in virtù di ragioni meramente economico-contabili?[63]

    In men che non si dica, tuttavia, ci si ritroverebbe dinnanzi ad una situazione problematica sotto un triplice profilo: etico, logico e giuridico.

    Dal punto di vista etico si verrebbe ad instaurare un sistema sostanzialmente e inequivocabilmente eugenetico,[64] anche se socialmente determinato, difficilmente giustificabile dopo gli orrori del XX secolo,[65] e, soprattutto, dopo il consolidamento di alcuni principi come quello di non discriminazione sulla base delle condizioni personali, sociali o di salute ufficialmente sancito da diverse carte internazionali,[66] oltre che ovviamente dall’articolo 3 della Costituzione italiana.

    Dal punto di vista logico, invece, un sistema come quello predetto finirebbe per garantire paradossalmente l’assistenza sanitaria soltanto ai sani, escludendo i malati: ma, a questo punto, ci si dovrebbe chiedere a cosa servirebbe l’assistenza sanitaria per coloro che sono sani. E chi potrebbe garantire il diritto alla salute dei malati?

    Dal punto di vista giuridico, infine, non soltanto si equivocherebbe la natura giuridica del diritto alla salute, ma anche quella del diritto alla vita che verrebbe ridimensionato, attraverso una vera e propria forma di riduzionismo, al suo ambito meramente biologistico, dimenticando invece che la vita è biologicamente strutturata, ma non soltanto biologicamente determinata.

    Lo scivolamento dallo Stato di diritto allo Stato d’eccezione sarebbe così del tutto compiuto e la stessa funzione del diritto sarebbe stravolta, poiché non più tesa alla giustizia, ma sottomessa alla pura necessità politica.[67]

    Si ripresenterebbero, insomma, le più oscure nubi di un passato che è stato quanto mai catastrofico per il diritto e per l’intera umanità, dovendosi, quindi, ricordare le parole di chi, come Giuseppe Capograssi, ebbe a vivere e riflettere su quell’esperienza tramandandola affinché le persone, e soprattutto i giuristi, delle generazioni future non commettessero gli stessi micidiali errori:«La catastrofe, immergendo l'umanità in un mondo caratterizzato dalla morte e dall'incubo, ha messo in condizioni l'uomo di capire, che cosa è che difende e assicura la vita dalla morte e dall'incubo. Sarebbe preferibile che non ci fosse bisogno delle catastrofi per capire; ma l'uomo è fatto in modo che ha bisogno della terribile pedagogia della storia. Il guaio è che, per capire, questa è condizione necessaria, ma non sufficiente[...]. Si può dire, che in questa epoca si è manifestato e si è svolto il vero e consapevole ateismo, perché sono nati uomini i quali hanno avuto, e hanno dimostrato con la loro azione, la certezza - che se non fosse diabolica si potrebbe dire eroica - che Dio non esiste, e che quindi, secondo la centrale parola di Dostojewski, -se Dio non esiste, tutto è permesso-. Di questi uomini il tipo grandioso, anche per la grandiosità demoniaca delle visioni di demenza a cui ha ispirato la sua azione storica, è stato Hitler. Nelle mani di questi uomini la storia è diventata veramente creazione, cioè arbitrio: in un vero processo di immanenza essa ha dimostrato di non essere legata a nessuna verità, di essere veramente libera (negativamente, da ogni legame o legge), di essere gratuita; la scienza, dandole i mezzi di distruggere la vita, le dà il modo di attuare veramente la libertà come assoluta liberazione da ogni legge e da ogni verità, nel senso più pieno, perché quale maggiore libertà che avere il potere di distruggere, di far essere o non essere, a proprio arbitrio la vita? Il guaio è che questa libertà coincide con la morte e non con la vita[...]. Il fondamento di un ordine giuridico e la fonte di tutti i suoi valori deve essere là dove è, nel valore centrale della libera esistenza dell'individuo e del suo connaturale destino di svolgere la propria libera natura[...]. Perciò l'unico possibile fondamento a un ordine, che voglia essere un ordinamento di vita e non di morte, è niente altro che questa intima costituzione della vita; rispettare la vita come è, con le leggi le esigenze i fini le condizioni che sono sue, lasciare che la vita viva e svolga secondo le profonde leggi che fanno sua la verità. Ma rispettare la vita significa appunto, per dirla in termini semplici, fare in modo che la vita sia vita per tutti. Rispettare la vita dovunque e cioè, dove la vita è in potenza in ogni individuo, fare che sia in atto in ogni individuo; dove la vita è ma non si può sviluppare come vita umana per le condizioni che sono in contrasto a questo svolgersi, fare che si possa sviluppare. Questo significa rispettare la vita[...]. Qui diventa precisa la connessione tra diritto e libertà[...]. Non la persona ha il diritto, ma la persona è il diritto».[68]  

    6. Conclusioni

    In conclusione, non possono che presentarsi degli inevitabili interrogativi: si possono davvero limitare, comprimere e fin’anche sopprimere i diritti fondamentali di alcuni per la tutela di quelli dei molti? Si possono davvero limitare i diritti fondamentali in ragione delle condizioni di salute del singolo? Si può subordinare la tutela del diritto alla salute a interessi ed esigenze di politica economica? Non si rischia di ritrovarsi, ben oltre ogni discriminazione, sul pendio scivoloso di una forma di selezione eugenetica socialmente determinata di cui nessuno potrebbe garantire né la controllabilità né, soprattutto, la legittimità giuridica?

    Il green pass e tutti i problemi ad esso connessi dimostrano la necessità oramai improcrastinabile di ricondurre l’intera gestione pandemica entro i margini dello Stato di diritto, entro i limiti fissati dalla Costituzione, entro l’alveo della prudenza legale e della iuris sapientia, l’unica in grado di illuminare il senso autentico della libertà giuridicamente intesa, come ha precisato Enrico Opocher allorquando ha chiarito che «ad ogni singola libertà corrisponde puntualmente un dovere, il che chiaramente fonda l’aspetto eteronomo del diritto, il cui fenomeno è perciò ad un tempo di libertà e coercizione. E ciò necessariamente determina una indissolubile sovrapposizione, nell’idea del diritto, dell’eguaglianza alla libertà: la libertà giuridica è, in questo senso, indivisibile; o tutti sono liberi o nessuno lo è».[69]

    Soltanto recuperando una prospettiva onto-assiologica del diritto – e ad essa subordinando la gestione pandemica – si può evitare di cadere in equivoci grossolani o, peggio, in nefaste conseguenze che potrebbero indurre a ritenere, un domani, il visitatore occasionale della storia che si ritrovasse a leggere le narrazioni dei fatti odierni, che quella attuale sia stata un’epoca sostanzialmente barbarica di radicale disconoscimento del diritto.

    In questo senso valgono ancora oggi, come nel futuro prossimo, le illuminanti riflessioni di Salvatore Satta che sul punto ha così insegnato:«Il diritto appare oggi veramente come un'entità inafferrabile, un'ombra vana fuor che nell'aspetto, e talora anche nell'aspetto, una parola e un mito[…]. Giuristi e non giuristi, noi ci chiediamo che cosa è il diritto con lo stesso stato d'animo di Pilato che si chiedeva — e nella domanda era già la triste risposta — che cosa è la verità. Ma questa domanda per il giurista diventa un'angoscia profonda, perchè essa comporta il crollare intorno a lui e in lui dell'oggetto stesso della sua conoscenza[…]. Che cosa è dunque avvenuto, per cui noi oggi[…], guardiamo al diritto come a uno sconosciuto e stentiamo a ravvisarne le fattezze nell'incomposto svolgersi della vita?[…]. Il problema del diritto – attraverso il chiarimento che la grande crisi porta con sè – si riduce a nient'altro che questo: a stabilire se il diritto sia o non sia un valore[…]. Il valore, se c'è, è intrinseco al diritto, è proprio il suo essere diritto, e non può come tale risolversi nella mera validità formale di una norma estrinsecamente posta[…]. L'onnipotenza del legislatore è stata tempre universalmente condannata, e le dottrine moderne, quando pongono come unico limite della norma la validità formale, continuano a conclamarla. Ma se il diritto è un valore, se il rapporto umano ha nel diritto un essere, è chiaro che il legislatore tutto può fare, operando sul contenuto di quel rapporto, descrivendolo — come è stato detto — nelle sue norme imperative, meno che negare il rapporto stesso. Se ciò facesse negherebbe il diritto, cioè negherebbe se stesso come creatore di diritto. Ora, i nostri padri, per i quali il diritto non era uno sconosciuto, avevano concettualizzato il rapporto umano, la intrinseca normatività del rapporto umano, da un lato nel diritto soggettivo, espressione giuridica della libertà, dall'altro nello Stato, espressione giuridica della giustizia. È, come abbiamo visto, l'erosione e la deformazione di questi concetti che ha reso sconosciuto il diritto; è nella riscoperta di essi che noi riacquistiamo la sua conoscenza».[70]


    * Dottore di ricerca in Storia e Teoria Generale del Diritto presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Roma “Tor Vergata” e docente a contratto di biogiuridica presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum

    [1] Lev Sestov, Potestas clavium, Bompiani, Milano, 2009, pag. 369.

    [2] Naomi Oreskes, Perché fidarsi della scienza?, Bollati Boringhieri, Torino, 2021.

    [3] Ex plurimis cfr.: https://www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/26585830/astrazeneca-matteo-bassetti-tagada-chi-non-crede-scienza-si-tenga-coronavirus-riferimento-angela-merkel.html

    [4] Iona Heath, Contro il mercato della salute, Bollati Boringhieri, Torino, 2016, pag. 12.

    [5] William Warren Bartley III, Ecologia della razionalità, Armando Editore, Roma, 1990, pag. 166.

    [6] Richard Feynman, Che cos'è la scienza?, in Il piacere di scoprire, Adelphi, Milano, 2002, pag. 170-171

    [7] «Concezione totalitaria della scienza per cui essa si presenta come l’unica conoscenza vera»: Augusto Del Noce, Il suicidio della rivoluzione, Rusconi, Milano, 1978, pag. 327.

    [8] Cfr. Cassazione n. 43786/2010.

    [9] John Dupré, Natura umana. Perché la scienza non basta, Laterza, Bari, 2001, pag. 203.

    [10] https://www.aifa.gov.it/domande-e-risposte-su-vaccino-covid-19-comirnaty; cfr. inoltre Ewen Callaway, What Pfizer’s landmark COVID vaccine results mean for the pandemic, in “Nature”, 9 nov 2020.

    [11] http://www.quotidianosanita.it/allegati/create_pdf.php?all=6820167.pdf

    [12] https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/08/10/covid-i-dati-del-ministero-della-salute-israeliano-vaccino-protegge-da-malattia-grave-all81-dal-contagio-al-39/6285428/

    [13] https://www.cdc.gov/mmwr/volumes/70/wr/mm7031e2.htm

    [14] https://www.cdc.gov/mmwr/volumes/70/wr/mm7034e4.htm?s_cid=mm7034e4_w

    [15] Si tratta del paradosso in base al quale una situazione in cui una relazione tra due fenomeni appare modificata, o perfino invertita, in virtù del parziale scenario dei dati in possesso o di ulteriori elementi variabili che concorrono a determinarla.

    [16] https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&ved=2ahUKEwiS-b34zdPyAhWaG-wKHTgmCsUQFnoECAUQAQ&url=https%3A%2F%2Fassets.publishing.service.gov.uk%2Fgovernment%2Fuploads%2Fsystem%2Fuploads%2Fattachment_data%2Ffile%2F1012644%2FTechnical_Briefing_21.pdf&usg=AOvVaw3Y00TH1zXPmtRr-Lxho2wM

    [17] https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2021.07.28.21261159v1

    [18] https://www.nature.com/articles/s41598-021-95025-3

    [19] Aldo Rocco Vitale, Obbligo vaccinale, passaporto e patente immuno-sanitari e tutela del diritto alla salute nell’emergenza Covid-19 come problemi biogiuridici, in “Diritto Mercato Tecnologia”, 15 gennaio 2021,

    [20] Sul punto è il caso di ricordare come la recente sentenza del 25 agosto 2021 della CEDU nel caso Abgrall and 671 Others v. France non si è occupata della legittimità dell’eventuale obbligo vaccinale nell’ordinamento francese, ma si è limitata a rigettare il ricorso proposto per l’adozione di misure cautelari di natura sospensiva avanzato dai 670 vigili del fuoco ricorrenti, poiché non sussistevano i requisiti richiesti dall’art. 39 del Regolamento della CEDU medesima.

    [21] Vicenzo Baldini, Lo Stato costituzionale di diritto all’epoca del coronavirus, in “Dirittifondametali.it”, 1/2020; Lavinia Del Corona, Le decisioni pubbliche ai tempi del Coronavirus: la tutela dei diritti tra fondatezza scientifica, trasparenza e principio di precauzione, in “Rivista di biodiritto”, 1/2020; Roberto Ravì Pinto, Brevi considerazioni su stato d’emergenza e stato costituzionale, in “Rivista di biodiritto”, 1/2020; Antonio Ruggeri, Il coronavirus contagia anche le categorie costituzionali e ne mette a dura prova la capacità di tenuta, in “Diritti regionali”, 1/2020; Francesco Torre, La costituzione sotto stress ai tempi del coronavirus, in “Rivista di biodiritto”, 2/2020; Michele Tresca, Le fonti dell’emergenza L’immunità dell’ordinamento al Covid-19, in “Osservatorio costituzionale”, 3/2020.

    [22] Michele Belletti, La “confusione” nel sistema delle fonti ai tempi della gestione dell’emergenza da Covid-19 mette a dura prova gerarchia e legalità, in “Osservatorio costituzionale”, 3/2020; Antonio Ruggeri, Il coronavirus, la sofferta tenuta dell’assetto istituzionale e la crisi palese, ormai endemica, del sistema delle fonti, in “ConsultaOnline”, 3/2020.

    [23] Alessandro Candido, Poteri normativi del Governo e libertà di circolazione al tempo del Covid-19, in “Forum di quaderni costituzionali”, 1/2020; Salvatore Curreri, Il Parlamento nell’emergenza, in “Osservatorio costituzionale”; 3/2020; Marina Calamo Specchia, Ri-bilanciare i poteri tra Governo e Parlamento quando il virus sparirà, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 21 marzo 2020; Chiara Tripodina, La Costituzione al tempo del Coronavirus, in “Costituzionalismo.it”, 1/2020.

    [24] Marina Calamo Specchia, Principio di legalità e stato di necessità al tempo del “COVID-19, in “Osservatorio costituzionale”, 3/2020; Alessandro Lauro, Urgenza e legalità ai tempi del covid-19: fra limiti imprescindibili e necessaria flessibilità, in “Rivista di biodiritto”, 1/2020.

    [25] Marilisa D’Amico, I diritti fondamentali alla prova dell’emergenza sanitaria da Coronavirus: profili costituzionali, in “Rivista di biodiritto”, 3/2020; Eugenio De Marco, Situazioni di emergenza sanitaria e sospensioni di diritti costituzionali, in “ConsultaOnline”, 2/2020.

    [26] Amnesty International, “Abbandonati”: il rapporto sulle violazioni dei diritti umani nelle case di riposo italiane durante il Covid-19, 17 dicembre 2020.

    [27] La locuzione, come risaputo, risale a Carl Schmitt il quale però se da un lato ha scritto che «sovrano è chi decide sullo stato di eccezione», dall’altro lato ha anche precisato che c’è una differenza tra lo stato di emergenza o di assedio, come tali transeunti, episodici, occasionali, e il vero e proprio stato di eccezione che, invece, è una situazione perdurante e stabile in quanto traduce, con le parole esatte dello stesso Schmitt, «un concetto generale della dottrina dello Stato»: Carl Schmitt, Le categorie del politico, Il Mulino, Bologna, 2017, pag. 33; cfr. inoltre: Giorgio Agamben, Stato di eccezione, Bollati Boringhieri, Torino, 2003.

    [28] Si pensi al dibattitto intercorso a fine luglio 2020 tra Gustavo Zagrebelsky e Giorgio Agamben, in cui il primo ha ritenuto lo stato pandemico è uno stato di emergenza e non già di eccezione, poiché teso a ripristinare la situazione quo ante, mentre il secondo ritiene, invece, che proprio la situazione pandemica è una tipica situazione di stato d’eccezione poiché sono stati sospesi e violati diritti e garanzie costituzionali che non erano mai stati messi in questione, neppure durante le due guerre mondiali e il fascismo. Cfr. Gustavo Zagrebelsky, Non è l’emergenza che mina la democrazia. Il pericolo è l’eccezione, in “La Repubblica”, 28 luglio 2020; Giorgio Agamben, Stato di eccezione e stato di emergenza, in “Quodlibet”, 30 luglio 2020; contra cfr. Enrico Scoditti, Il diritto iperbolico dello stato di emergenza, in “Questione giustizia”, 2/2020.

    [29] Paolo Armaroli, Cassese: “La pandemia non è una guerra. I pieni poteri al governo non sono legittimi”, in “Il Dubbio”, 14 aprile 2020.

    [30] Alessandra Algostino, Covid-19: primo tracciato per una riflessione nel nome della Costituzione, in “Osservatorio costituzionale”, 3/2020, pag. 3.

    [31] Francesca Rescigno, La gestione del coronavirus e l’impianto costituzionale. Il fine non giustifica ogni mezzo, in “Osservatorio costituzionale”, 3/2020, pag. 270.

    [32] Carlo Blengino, Tecnologie di sorveglianza e contenimento della pandemia, in “Questionegiustizia”, 2/2020, pag. 2.

    [33] https://www.ansa.it/sito/videogallery/mondo/2021/07/29/usa-fauci-se-si-contrae-la-delta-si-puo-essere-contagiosi-anche-se-si-e-vaccinati_915539b7-c74a-42e8-a4c7-1e3e86ff4eb3.html

    [34] «Esiste negli esseri un principio rispetto al quale non è possibile che ci si inganni, ma rispetto al quale, al contrario, è necessario che si sia sempre nel vero: è questo il principio che afferma che non è possibile che la medesima cosa in un unico e medesimo tempo sia e non sia»: Aristotele, Metafisica, Rusconi, Milano, 1994, pag. 499, 1061b.

    [35] «Il fatto di invocare o no il principio di precauzione è una decisione esercitata in condizioni in cui le informazioni scientifiche sono insufficienti, non conclusive o incerte e vi sono indicazioni che i possibili effetti sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante possono essere potenzialmente pericolosi e incompatibili con il livello di protezione prescelto»: http://www.reteambiente.it/repository/normativa/1798_comce1_00_comp.pdf.

    [36] Giuliano Scarselli, Note sul decreto legge 105/2021 che estende il green pass a attività e servizi della vita quotidiana, in “GiustiziaInsieme”, 30 luglio 2021.

    [37] Bisogna altresì ammettere che in assenza di un espresso obbligo di legge appare del tutto giuridicamente non fondata la suddivisione su cui da mesi si compartimentalizzano la popolazione e il pubblico dibattito, cioè la manicheistica dicotomia provax-novax; alla luce della mancanza di una norma espressa che coattivamente costringa tutti i cittadini ad un trattamento sanitario, infatti, da un lato esistono soltanto coloro che legittimamente e liberamente hanno deciso di accettare la somministrazione di un vaccino meramente raccomandato e, dall'altro lato, coloro che altrettanto legittimamente e liberamente invece hanno deciso di rifiutare la suddetta raccomandata somministrazione, agendo entrambe le categorie sotto la protezione legale del tenore letterale dell’articolo 32 della Costituzione.

    [38] Ci si trova in un’epoca di tali e tante incertezze giuridiche che a malincuore si è costretti a ribadire perfino i profili che dovrebbero essere più ovvi ed evidenti.

    [39] «È illegittima in quanto viziata da incompetenza l’ordinanza del Presidente della Regione Lazio che impone la vaccinazione antinfluenzale obbligatoria: a) per i cittadini di età superiore ai sessantacinque anni pena il divieto di frequentare i luoghi dove si possono formare assembramenti come centri sociali per anziani e case di riposo; b) per il personale sanitario e socio sanitario operante nel territorio della regione pena il divieto di accedere ai luoghi di lavoro. Infatti, la normativa emergenziale per fronteggiare il COVID 19 non contempla i predetti interventi a livello regionale al pari della legislazione in tema di sanità pubblica e di protezione civile in quanto il fenomeno in atto ha assunto oggettive dimensioni di livello nazionale»: Tar Lazio, 2/10/2020, n. 10047; in una simile direzione si è mossa anche la pronuncia del Tar Campania n. 4127/2021 che ha annullato l’ordinanza del PdR con cui si imponeva al personale docente e non docente di sottoporsi a test sierologico o al tampone.

    [40] Cfr. Cassazione n. 19365/2015; Cassazione n. 7354/2021.

    [41] C. Cost., 307/1990; C. Cost., 107/2012; C. Cost., 268/2017; C. Cost., 137/2019.

    [42] C. Cost., 118/2020.

    [43] https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9668064

    [44] https://www.ilmessaggero.it/politica/green_pass_dove_serve_patente_cassese_cosa_ha_detto_news-6137651.html; https://www.micromega.net/green-pass-e-liberta-lettera-aperta-a-massimo-cacciari/;

    [45] Si pensi, a titolo esemplificativo, al lavoratore non vaccinato di cui si ipotizza la legittimità del licenziamento; la giurisprudenza di merito, almeno per ora, non si è spinta fin qui, ricordandosi delle modulazioni conosciute dalla dimensione gius-lavoristica per eventualità simili. Sul punto cfr. Sebastiano Flaminio, Vaccinazione nel luogo di lavoro: obbligo generale o decisione caso per caso?, in Centro Studi Livatino, 6 agosto 2021.

    [46] Eugène Ionesco, Il Re muore, Einaudi, Torino, 1963, pag. 23.

    [47] Francesco Santoro-Passarelli, Libertà e Stato, in Iustitia, 3/1957, pag. 209 e ss.

    [48] In questo senso è stata di recente chiarissima la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia che ha dichiarato il non luogo a procedere, perché il fatto non costituisce reato, per la dichiarazione falsa contenuta in autocertificazione in quanto la norma che la prevedeva era costituzionalmente illegittima e contraria all’ordinamento di uno Stato di diritto, dovendo quindi essere disapplicata. Così ha giustamente osservato la toga emiliana:«Non può neppure condividersi l’estremo tentativo dei sostenitori, ad ogni costo, della conformità a Costituzione dell’obbligo di permanenza domiciliare sulla base della considerazione che il DPCM sarebbe conforme a Costituzione, in quanto prevederebbe delle legittime limitazioni della libertà di circolazione ex art. 16 Cost. e non della libertà personale. Infatti, come ha chiarito la Corte Costituzionale la libertà di circolazione riguarda i limiti di accesso a determinati luoghi, come ad esempio, l’affermato divieto di accedere ad alcune zone, circoscritte che sarebbero infette, ma giammai può comportare un obbligo di permanenza domiciliare (Corte Cost., n. 68 del 1964). In sostanza la libertà di circolazione non può essere confusa con la libertà personale: i limiti della libertà di circolazione attengono a luoghi specifici il cui accesso può essere precluso, perché ad esempio pericolosi; quando invece il divieto di spostamento non riguarda i luoghi, ma le persone allora la limitazione si configura come vera e propria limitazione della libertà personale. Certamente quando il divieto di spostamento è assoluto, come nella specie, in cui si prevede che il cittadino non può recarsi in nessun luogo al di fuori della propria abitazione è indiscutibile che si versi in chiara e illegittima limitazione della libertà personale. In conclusione, deve affermarsi la illegittimità del DPCM indicato per violazione dell’art. 13 Cost., con conseguente dovere del Giudice ordinario di disapplicare tale DPCM ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865 All. E. Poiché, proprio in forza di tale decreto, ciascun imputato è stato “costretto” a sottoscrivere un’autocertificazione incompatibile con lo Stato di diritto del nostro Paese e dunque illegittima, deriva dalla disapplicazione di tale norma che la condotta di falso, materialmente comprovata come in atti, non sia tuttavia punibile giacché nella specie le esposte circostanze escludono l’antigiuridicità in concreto della condotta e, comunque, perché la condotta concreta, previa la doverosa disapplicazione della norma che imponeva illegittimamente l’autocertificazione, integra un falso inutile, configurabile quando la falsità incide su un documento irrilevante o non influente ai fini della decisione da emettere in relazione alla situazione giuridica che viene in questione[…]. Siccome, nella specie, è costituzionalmente illegittima, e va dunque disapplicata, la norma giuridica contenuta nel DPCM che imponeva la compilazione e sottoscrizione della autocertificazione, il falso ideologico contenuto in tale atto è, necessariamente, innocuo; dunque, la richiesta di decreto penale non può trovare accoglimento»: Tribunale di Reggio Emilia, 27/01/2021.

    [49] Norberto Bobbio, Verità e libertà, in Elogio della mitezza e altri scritti morali, Il Saggiatore, Milano, 2010, pag. 71.

    [50] «Alla strategia del potere autocratico appartiene non soltanto il non dire, ma anche il dire il falso: oltre il silenzio, la menzogna. Quando è costretto a parlare, l’autocrate può servirsi della parola non per manifestare in pubblico le proprie reali intenzioni ma per nasconderle. Può farlo tanto più impunemente quanto più i sudditi non hanno a disposizione i mezzi necessari per controllare la veridicità di ciò che gli è stato detto. Fa parte della precettistica dei teorici della ragion di stato la massima che al sovrano è lecito mentire. Che al sovrano fosse lecita la menzogna utile non lo aveva detto soltanto il diabolico Machiavelli. Ma anche Platone, ma anche Aristotele, anche Senofonte. Una delle virtù del sovrano è sempre stata considerata quella di saper simulare, cioè di far apparire quello che non è, e di saper dissimulare, cioè di non far apparire quello che è. Jean Bodin, che pure si professa ardentemente antimachiavellico, riconosce che Platone e Senofonte permettevano ai magistrati di mentire come si fa coi bambini e coi malati. Il paragone dei sudditi coi bambini e coi malati si commenta da sé. Le due immagini più frequenti in cui si riconosce il governante autocratico è quella del padre o del medico: i sudditi non sono cittadini liberi e sani. Sono o dei minorenni da educare o dei malati da curare. Ancora una volta l’occultamento del potere trova la propria giustificazione nella insufficienza se non addirittura nella indegnità del popolo. Il popolo, o non deve sapere, perché non è in grado di capire, o deve essere ingannato, perché non sopporta la luce della verità»: Norberto Bobbio, Teoria generale della politica, Einaudi, Torino, 2009, pag. 430.

    [51] «La grande svolta ebbe inizio in Occidente dalla concezione cristiana della vita, secondo cui tutti gli uomini sono fratelli in quanto figli di Dio. Ma in realtà la fratellanza non ha di per sé un valore morale. Tanto la storia sacra quanto quella profana più vicina a noi nascono entrambe, per una ragione su cui si sono sbizzarriti gli interpreti, da un fratricidio. La dottrina filosofica che ha fatto dell’individuo e non più della società il punto di partenza per la costruzione di una dottrina della morale e del diritto è il giusnaturalismo, che può essere considerato, sotto molti aspetti, e fu certamente nelle intenzioni dei suoi creatori, la secolarizzazione dell’etica cristiana[…]. L’individualismo è la base filosofica della democrazia: una testa, un voto. Come tale si è sempre contrapposto, e sempre si contrapporrà, alle concezioni olistiche della società e della storia, da qualsiasi parte provengano, che hanno in comune il disprezzo della democrazia intesa come quella forma di governo in cui tutti sono liberi di prendere le decisioni che li riguardano e hanno il potere di farlo. Libertà e potere che derivano dal riconoscimento di alcuni diritti fondamentali, inalienabili e inviolabili quali sono i diritti dell’uomo. Non mi nascondo che mi si può fare l’obiezione che il riconoscimento dell’individuo come soggetto di diritti non ha aspettato la rivoluzione copernicana dei giusnaturalisti. Il primato del diritto (ius) sull’obbligo è un tratto caratteristico del diritto romano qual è stato elaborato dai giuristi dell’età classica. Ma si tratta, come ognuno può vedere da sé, di diritti che competono all’individuo come soggetto economico, come titolare di diritti sulle cose e come avente la capacità di scambiare beni con altri soggetti economici dotati della stessa capacità. La svolta di cui ho parlato e che sta a fondamento del riconoscimento dei diritti dell’uomo avviene quando questo si allarga dalla sfera dei rapporti economici interpersonali ai rapporti di potere fra principe e sudditi, e nascono i cosiddetti diritti pubblici soggettivi, che caratterizzano lo stato di diritto. È con la nascita dello stato di diritto che avviene il passaggio finale dal punto di vista del principe a quello dei cittadini. Nello stato dispotico i singoli individui hanno solo doveri e non diritti. Nello stato assoluto gli individui vantano nei riguardi del sovrano diritti privati. Nello stato di diritto l’individuo ha verso lo stato non solo diritti privati ma anche diritti pubblici. Lo stato di diritto è lo stato dei cittadini»: Norberto Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 1997, pag. 57-61.

    [52] Massimo Cacciari, Ecco perché dico no al Green Pass e alla logica del sorvegliare e punire, in La Stampa, 28 luglio 2021.

    [53] Alexandr Zinov’ev, La struttura della società sovietica, Jaca Book, Milano, 1981, pag. 260.

    [54] AA.VV., Thrombosis and thrombocytopenia after chadox1 ncov-19 vaccination, in New England Journal of Medicine, 9 april 2021; AA.VV., Thrombotic thrombocytopenia after chadox1 ncov-19 vaccination, in New England Journal of Medicine, 9 april 2021; AA.VV., Clinical features of vaccine-induced immune thrombocytopenia and thrombosis, in New England Journal of Medicine, 11 august 2021; AA.VV., Cerebral venous thrombosis after vaccination against COVID-19 in the UK: a multicentre cohort study, in The Lancet, 6 august, 2021.

    [55] AA.VV., Myocarditis and pericarditis after vaccination for covid-19, in Journal of the American Medical Association, 4 august 2021.

    [56] Paolo Zellini, La dittatura del calcolo, Adelphi, Milano 2018, pag. 16.

    [57] Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Club degli Editori, Milano, 1964, Vol. 1, pag. 314.

    [58] Nikolaj Berdjaev, La concezione di Dostoevskij, Einaudi, Torino, 2002, pag. 63

    [59] Vladimir Soloviev, I tre dialoghi e il racconto dell’anticristo, Marietti, Genova, 1996, pag. 250.

    [60] Arthur Koestler, Buio a mezzogiorno, Mondadori, Milano, 1948, pag. 117-193.

    [61] https://www.corriere.it/cronache/21_luglio_21/ilaria-capua-no-vax-1d5e16fa-e997-11eb-94c9-3e2e13e36d00.shtml

    [62] https://www.huffingtonpost.it/entry/la-sanzione-per-chi-non-si-vaccina_it_6128f391e4b06e5d80cca7d7

    [63] Per una critica della prospettiva utilitaristica che si cela dietro una tale prospettiva cfr. Aldo Rocco Vitale, Elementi per un rapporto tra allocazione delle risorse sanitarie e diritto alla salute come problema biogiuridico nell’emergenza del COVID-19, in GiustiziaInsieme, 21 dicembre 2020.

    [64] Aldo Rocco Vitale, Il diritto alla salute tra selezione eugenetica e dignità della persona, in “Medicina e Morale”, 2017/3; Aldo Rocco Vitale, Introduzione alla bioetica. Temi e problemi attuali, Il Cerchio, Fano, 2019, pag. 45-49.

    [65] «La pratica dell’eliminazione terapeutico-sociale non fu un prodotto casuale e accessorio della politica del Terzo Reich, ma uno dei suoi più importanti campi di applicazione. La forza di penetrazione di quella politica si fondava sull’intreccio stretto di modernità scientifica, razionalità tecnico sociale e finalità utopistiche reazionarie»: Norbert Frei, Lo Stato nazista, Laterza, Bari, 2002, pag. 167.

    [66] «È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura»: Art. 21, Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea; «Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione»: Art. 14, Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo.

    [67] Sorprende che una cultura quale è quella attuale sostanzialmente anti-autoritaria, irretita dal demone libertario, finisca inconsapevolmente nella trappola di quelle che sono le linee portanti dell’autoritarismo decisionista schmittiano; sul punto cfr. Guido Fassò, Storia della filosofia del diritto, Il Mulino, Bologna, 1970, Vol. 3, pag. 381.

    [68] Giuseppe Capograssi, Il diritto dopo la catastrofe (1950), in Opere, Giuffrè, Milano, 1959, Vol. V, pag. 153-185.

    [69] Enrico Opocher, Libertà, in AA.VV., Lessico della politica, a cura di Giuseppe Zaccaria, Edizioni Lavoro, Roma, 1987, pag. 327-328.

    [70] Salvatore Satta, Il diritto, questo sconosciuto, in Il Foro Italiano, 78/1955, pag. 1-8.

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