Le adunanze camerali in Cassazione nella Fase 2 dell’emergenza sanitaria. A proposito di alcuni dubbi posti dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 28 del 2020
di Emilio Iannello
Abstract: La modifica apportata con d.l. n. 28 del 2020 all’art. 83, comma 7, lett. f, d.l. n. 18 del 2020 (con la previsione della necessaria presenza del giudice in ufficio per lo svolgimento delle udienze civili mediante collegamento da remoto) ha sollevato dubbi sulla possibilità di tenere le adunanze in cassazione, di cui agli artt. 380-bis e 380-bis.1 cod. proc. civ.. Ferma l’incomprensibilità e irragionevolezza della modifica, una lettura attenta alle parole e ai concetti usati mostra che tali dubbi possono essere superati. L’alternativa peraltro condurrebbe a conseguenze paradossali e dannose per l’attività della Cassazione civile.
1. I dubbi e il compito dell’interprete.
Secondo un generale anche se non scritto canone di buon senso, l’interpretazione di un testo normativo va sempre ponderata anche alla luce degli esiti cui conduce; se questi sono paradossali, probabilmente quella interpretazione è da rivedere nelle sue premesse e/o nei suoi passaggi argomentativi.
Uno dei primi commenti ([1]) alla modifica introdotta nell’art. 83, comma 7, lett. f, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 110 del 29 aprile 2020 - Serie generale), dall’art. 3, comma 1, lett. c), d.l. 30 aprile 2020, n. 28 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 111 del 30 aprile 2020 - Serie generale) ha sollevato dubbi sulla possibilità, de lege lata, di tenere adunanze ex artt. 380-bis e 380-bis.1 cod. proc. civ. mediante collegamento «da remoto».
Tali dubbi — pur certamente indotti da un testo normativo che non eccelle per chiarezza e precisione — trovano, a parere di chi scrive, già risposta nella parte finale dello scritto, che qui di seguito per comodità si trascrive:
«Le adunanze di cui ai riti previsti agli artt. 380-bis e 380-bis.1 c.p.c., giacché “non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti e dagli ausiliari del giudice” (anzi, non prevedono nemmeno l’intervento del pubblico ministero e delle parti …), non precluderebbero lo svolgimento mediante collegamento da remoto, ma il decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, dispone in proposito, come lex generalis per lo “svolgimento delle udienze civili”, che il collegamento da remoto avvenga in ogni caso con la presenza del giudice nell'ufficio giudiziario. Sicché collegato da remoto, nelle adunanze camerali codicistiche di legittimità, finirebbe per non esserci più nessuno.
Potrebbe invece pensarsi che le adunanze di cui ai riti previsti agli artt. 380-bis e 380-bis.1 c.p.c. possano svolgersi mediante collegamento da remoto, senza la presenza del giudice nell'ufficio giudiziario (e, dunque, in deroga, per ipotetica specialità, rispetto alla urgente riscrittura fatta della lettera f del comma settimo), ampliando come un elastico magico il comma 12-quinquies. Questa norma potrebbe farsi funzionare dal 12 maggio 2020 anche per i procedimenti civili che erano rimasti sospesi dal 9 marzo all’11 maggio, intendendo che le adunanze codicistiche del giudizio civile di cassazione (delle quali pure abbiamo difeso la conformità agli artt. 24 e 111 Cost. ed all’art. 6 CEDU, qualificandole procedimenti che comunque garantiscono, mediante trattazione scritta, il nucleo indefettibile del diritto di difesa) si riducano a niente più che mere “deliberazioni collegiali in camera di consiglio”.
Sembra tuttavia preferibile, anche per rispetto delle esigenze di organizzazione della Corte di cassazione, confidare in una maggiore chiarezza nel testo di conversione del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28. Pazienza se dovrà nuovamente modificarsi l’art. 83: sappiamo che nulla c’è di immutabile, tranne che l’esigenza di cambiare».
L’auspicio conclusivo è certamente da condividere ma — sia per i tempi che occorrerà, comunque, attendere perché ciò avvenga [verosimilmente non prima che le misure organizzative già dettate dal Primo Presidente ([2]) debbano trovare attuazione con lo svolgimento delle prime adunanze camerali già calendarizzate, nella sesta sezione civile, per giugno]; sia perché l’esperienza di questi giorni non lascia ben sperare sulla possibilità di ottenere chiarezza, ma piuttosto legittima il timore di ulteriore carne al fuoco per «esercizi di tetrapiloctomia» ([3])— credo non possa farsi a meno di prendere, sin da ora, posizione sui dubbi interpretativi sollevati.
In tal senso mi sembra che le conclusioni possibiliste cui giunge il menzionato contributo, tuttavia in posizione recessiva rispetto all’auspicato chiarimento, possano essere avvalorate e rafforzate riconsiderando criticamente le ragioni testuali che, secondo l’A., indurrebbero alla conclusione opposta.
2. L’adunanza in cassazione: «udienza» o «deliberazione collegiale in camera di consiglio».
I dubbi espressi ruotano essenzialmente attorno ai seguenti due assunti:
a) la lett. f del comma 7 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020 è riferibile anche alle adunanze camerali non partecipate (poiché comprese nel concetto generale di «svolgimento delle udienze civili»);
b) il comma 12-quinques introdotto in sede di conversione, al contrario, non è applicabile alle dette adunanze, poiché: b1) operante «dal 9 marzo 2020 al 31 luglio 2020» (elemento cronologico); b2) operante «nei procedimenti civili e penali non sospesi» (elemento tipologico); b3) riferito solo alle «deliberazioni collegiali in camera di consiglio» (elemento effettuale).
Sembra a chi scrive che più meditate premesse concettuali sui termini e sulle locuzioni utilizzati debbano invece portare a conclusioni inverse.
Il concetto di udienza [dal lat. audientia, der. di audire, rifatto su udire] rimanda pur sempre, etimologicamente, ad una attività aperta alla interlocuzione, con il soggetto che dà (o concede) udienza, di chi a tale soggetto si rivolge ([4]).
L’attività disciplinata dagli artt. 380-bis e 380-bis.1 cod. proc. civ. non prevede alcuna attività di tal genere, e non a caso è denominata nel codice «adunanza» (non «udienza»).
A distinguere «adunanza» da «udienza» non è il fatto che la prima si svolga in camera di consiglio ([5]), ma piuttosto la mancanza nella prima di un rapporto tra soggetti diversi del processo, essendo il contraddittorio e il diritto di difesa assicurati attraverso una interlocuzione scritta (deposito di memorie) che precede quell’attività ([6]).
L’unico soggetto protagonista dell’adunanza è l’organo giudicante (il collegio della Corte di cassazione) che non deve, in quella sede, «audire» nessun altro soggetto del processo, ma deve solo formarsi nella sua composizione collegiale, ossia «riunirsi», e deliberare.
Di per sé dunque l’attività, riguardata su di un piano morfologico o strutturale, in nulla si distingue da quella che il collegio compie quando, al termine di una udienza, si ritira nella camera di consiglio per deliberare.
Da qui il convincimento che, in mancanza di alcuna specifica previsione dedicata a tali adunanze ([7]), tra i numerosi commi dell’art. 83 destinati a indicare e regolare le modalità di svolgimento delle attività giurisdizionali compatibili con l’esigenza di contrastare l’emergenza epidemiologica, maggiormente confacente sia proprio quella contenuta nel primo periodo del comma 12-quinquies («Dal 9 marzo 2020 al 31 luglio 2020, nei procedimenti civili e penali non sospesi, le deliberazioni collegiali in camera di consiglio possono essere assunte mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Il luogo da cui si collegano i magistrati è considerato Camera di consiglio a tutti gli effetti di legge»).
Gli indici testuali che osterebbero a una tale lettura non appaiono decisivi.
Il riferimento ai «procedimenti civili e penali non sospesi» e ad un arco temporale di operatività compreso tra il 9 marzo ed il 31 luglio, vale bensì a indicarne l’applicabilità ai procedimenti che, già nella prima fase emergenziale (dal 9 marzo all’11 maggio) sono rimasti sottratti alla regola del rinvio d’ufficio e della sospensione dei termini (commi 1 e 2), ma non sembra possa anche indicare una operatività limitata a tali procedimenti.
Del resto si tratta di una indicazione assai imprecisa atteso che nell’art. 83 non sono previsti «procedimenti non sospesi», ma soltanto udienze ed adunanze non rinviate a data successiva all’11 maggio 2020 (comma 1) o al 31 luglio 2020 (comma 7 lett. g)([8]).
3. L’ambito di operatività del comma 7 lett. f) dell’art. 83 d.l. n. 18. Le ragioni (incomprensibili) e gli effetti della modifica.
Per contro appare da escludere la riconducibilità delle adunanze in discorso alla previsione di cui al comma 7 lett. f dell’art. 83, così come modificato dall’art. 3 d.l. n. 28 del 2020.
A militare nel senso che tale norma è riferibile (per quel che riguarda i giudizi civili in cassazione) alle udienze pubbliche, non è solo il sostrato semantico del termine utilizzato («udienza») ma tutto il complessivo enunciato normativo che chiaramente postula il riferimento ad un’attività aperta alla partecipazione delle parti del processo.
Gioverà in tal senso forse notare che la disposizione sulla quale è intervenuta la modifica di cui all’art. 3, comma 1, lett. c), d.l. n. 28 del 2020 era del seguente testuale tenore:
«Lo svolgimento dell’udienza deve in ogni caso avvenire con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione delle parti. Prima dell’udienza il giudice fa comunicare ai procuratori delle parti e al pubblico ministero, se è prevista la sua partecipazione, giorno, ora e modalità di collegamento. All’udienza il giudice dà atto a verbale delle modalità con cui si accerta dell’identità dei soggetti partecipanti e, ove trattasi di parti, della loro libera volontà. Di tutte le ulteriori operazioni è dato atto nel processo verbale».
La modifica è consistita, come è noto, solo nell’inserimento, dopo le parole «deve in ogni caso avvenire», di quelle: «con la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario e», di modo che l’attuale formulazione risulta ora essere:
«Lo svolgimento dell’udienza deve in ogni caso avvenire con la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario e con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione delle parti. Prima dell’udienza il giudice fa comunicare ai procuratori delle parti e al pubblico ministero, se è prevista la sua partecipazione, giorno, ora e modalità di collegamento. …».
Se si guarda alla originaria formulazione nessun dubbio può sorgere sul fatto che essa si riferisse ad attività aperte alla partecipazione delle parti (udienze in senso proprio, appunto): si preoccupava, infatti, unicamente di «salvaguardare il contraddittorio», garantire «l’effettiva partecipazione delle parti», dettare gli adempimenti da osservare per verificare e dare atto della rituale ed effettiva partecipazione delle parti: preoccupazioni ovviamente prive di senso rispetto ad udienze «non partecipate» (ossia ad attività proprie solo del collegio decidente).
Inserendosi in tale contesto, la modifica non ha introdotto nuovi riferimenti che ne possano ampliare l’ambito di tutela avuto di mira e oggettivamente non assume altro significato che quello di onerare l’organo decidente di essere bensì fisicamente presente nell’ufficio giudiziario, ma ciò pur sempre nell’atto (e al fine) di interfacciarsi con le parti del processo.
È difficile comprendere l’esigenza sottesa a tale modifica ([9]), ma quale che sia, essa va pur sempre correlata all’ambito considerato dall’originaria formulazione: la tutela del contraddittorio e dell’effettiva partecipazione delle parti.
Si è indotti a pensare (andando a tentoni) che la ragione della modifica vada forse ricercata nell’esigenza, dal punto di vista dei difensori, di poter in qualche modo avere certezza dell’equidistanza anche fisica e, per così dire, logistica del giudice terzo collegato da remoto, ma pur sempre in relazione all’attività alla quale occorre partecipare.
Una tale esigenza non è però concepibile con riferimento al luogo (fisico o virtuale) in cui il giudice, organo collegiale, deve riunirsi per deliberare.
4. Le conseguenze di una diversa interpretazione (l’emergenza non è ancora finita).
A dar seguito ai dubbi espressi si rischia di pervenire a soluzioni paradossali (e di assai dubbia costituzionalità ([10])), non ultima quella di probabilmente condannare la Corte di cassazione, unica tra gli uffici giudiziari, a rimanere, in buona parte, in una situazione di inoperatività ancora per diversi mesi ([11]).
Ritenere, infatti, inapplicabile alle adunanze camerali il comma 12-quinquies e invece applicabile il comma 7, lett. f, significa porre al Primo Presidente, nell’adempimento del compito allo stesso rimesso di adottare le misure organizzative necessarie per «contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria», la ben gravosa alternativa di:
a) disporre lo svolgimento di dette adunanze secondo le ordinarie modalità (ossia con la presenza fisica dei giudici in ufficio), senza che – è del tutto chiaro – in ciò alcun rilievo possa attribuirsi alla previsione di cui al comma 7 lett. f; ed invero, ritenere riferibile detta previsione anche alle adunanze in cassazione significa, in rapporto ad esse, svuotarla di significato (salvo a non voler affermare che i componenti del collegio debbano collegarsi da remoto ma … essendo tutti e ciascuno presenti in ufficio, magari in stanze diverse);
b) rinviare le udienze a data successiva al 31 luglio 2020 nei procedimenti civili e penali, con le eccezioni indicate al comma 3 (comma 7, lett. g).
Occorre al riguardo rammentare che, per la c.d. fase 2 (ripetesi, dal 12 maggio al 31 luglio 2020), il legislatore (diversamente dalla fase 1, nella quale la regola è stata il rinvio d’ufficio, salvo che per gli affari urgenti, nelle ipotesi espressamente e tassativamente previste), ha scelto di consentire una attività processuale purché si tenga conto delle due principali finalità esplicitate nel comma 6 dell’art. 83:
a) «contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria»;
b) «evitare assembramenti all’interno dell’ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone».
All’interno di tale cornice e in funzione di tale obiettivo deve, dunque, pur sempre porsi la scelta — rimessa ai capi degli uffici — delle «misure organizzative, anche relative alla trattazione degli affari giudiziari, necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienicosanitarie fornite dal Ministero della salute, anche d’intesa con le Regioni, dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, dal Ministero della giustizia e delle prescrizioni adottate in materia con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri».
In altre parole, la scelta di tenere «normalmente», nella fase 2, le camere di consiglio nei giudizi civili di cassazione dovrebbe essere motivata, non già, in negativo, dalla mera constatazione della (qui ipotizzata) impossibilità normativa di tenerle «da remoto», quanto, in positivo, dalla valutazione che quella scelta costituisce misura organizzativa confacente al perseguimento del predetto obiettivo di «evitare assembramenti all’interno dell’ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone»: cosa, che, francamente, chi scrive continua a dubitare possa sostenersi, considerate le note peculiarità della Cassazione e la provenienza di gran parte dei consiglieri da tutte le regioni d’Italia (con i connessi problemi di spostamento e/o alloggio legati alle note restrizioni per l’emergenza sanitaria).
[1] A. SCARPA, La «remota» cassazione civile, in www.giustiziainsieme.it (https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1057-la-hr)
[2] Decreti n. 36 del 13 marzo, n. 44 del 23 marzo, n. 47 del 31 marzo e n. 55 del 10 aprile, con i quali è stata disciplinata la fissazione e celebrazione da remoto delle udienze/adunanze camerali non partecipate nei procedimenti civili e penali, con possibilità di deposito di memorie e motivi aggiunti a mezzo PEC.
[3] Così G. COSTANTINO, in DE STEFANO-COSTANTINO-ORLANDO, La Giustizia da remoto: adelante … con juicio – seconda parte, ivi (https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1058-la-giustizia-da-remoto-adelante-con-juicio-seconda-parte)
[4] Dal dizionario Treccani: «Nel diritto processuale, sia il tempo, sia il luogo delle attività processuali; il termine rappresenta una serie di attività compiute dai diversi soggetti del processo in presenza gli uni degli altri e in uno spazio (l’aula) appositamente destinato»
[5] È ben noto che il nostro ordinamento prevede udienze camerali. Si pensi, nel civile, ai procedimenti in camera di consiglio (artt. 737 ss. cod. proc. civ.), come noto dal profilo strutturale assai vago e incerto, compendiato nel concetto di camera di consiglio, da intendersi riferito non tanto al luogo fisico della celebrazione di tali processi quanto all’assenza da esso evocata di un’udienza pubblica nella quale siano disciplinati poteri e comportamenti delle parti e del giudice. Tali procedimenti prevedono per lo più la fissazione di una o più «udienze» (destinate alla comparizione delle parti e/o di testi o ausiliari, dette appunto camerali nel senso di deformalizzate), quale luogo e strumento attraverso cui realizzare il contraddittorio.
[6] Costituisce dunque forse una inutile superfetazione il sintagma «adunanza camerale» (per vero non presente nel codice), non essendovi nella disciplina del processo in cassazione una «adunanza pubblica» dalla quale distinguerla e a maggior ragione lo è parlare di «adunanza camerale non partecipata»; per converso costituisce un ossimoro il concetto di «udienza camerale non partecipata».
[7] Specifica previsione che invece avrebbero meritato, considerato che costituiscono il modello procedimentale di gran lunga prevalente dell’attività giurisdizionale svolta, nel settore civile, dalla Corte di cassazione, e considerata anche – val la pena rammentarlo — la sua natura di ufficio giudiziario avente “giurisdizione” sull’intero territorio nazionale.
[8] Sulla riferibilità del comma 12-quinquies alle adunanze di cui agli artt. 380-bis e 380-bis.1 cod. proc. civ., v. A. PEPE, La giustizia civile ai tempi del “coronavirus”, su IlCaso.it, 2020, p. 6 (http://www.ilcaso.it/articoli/1174.pdf); F. DE STEFANO, La giustizia dall’animazione sospesa passa in terapia intensiva: gli sviluppi della legislazione d’emergenza nel processo civile, in www.giustiziainsieme.it (https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/994-gli-sviluppi-della-legislazione-d-emergenza-nel-processo-civile); G. FICHERA, L’adunanza camerale distanziata e protocollata, su Il Caso.it (https://blog.ilcaso.it/news_909/20-04-20/L%E2%80%99adunanza_camerale_distanziata_e_protocollata). Con la precisazione, comunque, della necessaria presenza in Corte del Presidente del Collegio o di un consigliere che lo componga da lui delegato.
[9] Una forte e del tutto condivisibile critica è stata espressa dalla G.E.C. dell’A.N.M. con un documento datato 1 maggio 2020, nel quale, tra l’altro, si rimarca l’irragionevolezza della novella «nella parte in cui, non riguardando i magistrati penali, amministrativi o contabili, richiede una presenza sul luogo di lavoro - in contraddizione con le perduranti esigenze di tutela della salute pubblica - proprio per i giudici che, mediante il processo civile telematico, possono condividere con le parti e con gli altri componenti del collegio tutti gli atti processuali senza necessità di consultazioni cartacee».
[10] Specie in raffronto al ben diverso trattamento riservato ai giudici amministrativi e contabili (v. artt. 84 e 85 d.l. n. 18 del 2020) per i quali è prevista, peraltro senza limiti temporali, la possibilità di deliberare «in camera di consiglio, se necessario avvalendosi di collegamenti da remoto», con la precisazione che «il luogo da cui si collegano i magistrati e il personale addetto è considerato camera di consiglio a tutti gli effetti di legge». Secondo alcuni commentatori tale disciplina dovrebbe ritenersi applicabile anche al processo civile, ricorrendo al canone della analogia legis, ovvero semplicemente quale espressione di un principio di libertà delle forme in tema di modalità di tenuta delle camere di consiglio, non rinvenendosi ragione di sorta per giustificare un collegamento da remoto dei componenti del collegio giudicante nell’ambito del processo amministrativo o contabile, con esclusione invece dei processi civili ovvero di quelli tributari (G. FICHERA, L’adunanza camerale distanziata, cit.; v. anche, ivi citato, A. PEPE, La giustizia civile ai tempi del “coronavirus”, cit.).
[11] Rendendo peraltro in gran parte inutile il notevole lavoro organizzativo compiuto dal C.E.D. (Centro Elettronico di Documentazione) e dall’U.I.C. (Ufficio Innovazione della Cass.) culminato nella sottoscrizione, il 9 aprile 2020, di un Protocollo d’intesa fra la Corte di cassazione, la Procura Generale presso la Corte di cassazione ed il Consiglio Nazionale Forense per la trattazione delle adunanze civili ed udienze penali camerali non partecipate e nella diramazione di un «Vademecum per la gestione delle p.e.c. e dei team sezionali ad uso delle cancellerie» e di «Indicazioni operative per l'uso di Microsoft Teams® da parte dei magistrati della Corte di cassazione per lo svolgimento delle udienze ed adunanze da remoto e la consultazione degli atti processuali digitalizzati». Per una utile ricognizione di tali fonti, v. E. D’ALESSANDRO, Il giudizio civile “telematico” di legittimità ai tempi del covid-19, in www.giustiziainsieme.it (https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1003-il-giudizio-civile-telematico-di-legittimita-ai-tempi-del-covid-19-note-a-prima-lettura)