GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Lo smart working in tempo di covid-19

    Lo smart working in tempo di covid-19  

    di Antonella Occhino - prof. ordinario diritto del lavoro facoltà di economia Università  Cattolica del Sacro Cuore

    Sommario: 1. Smart working, lavoro subordinato a distanza e patto di lavoro agile. -  2. Smart working e fase 2 Covid-19 nel sistema delle fonti. - 3. Concertazione sociale e contrattazione collettiva per la disciplina del lavoro a distanza. – 4. La tenuta della legge 81/2017 sul contratto di lavoro agile. - 5. Prove tecniche di subordinazione a distanza.

    1. Smart working, lavoro subordinato a distanza e patto di lavoro agile.

    L’applicazione straordinaria in tempo di Covid-19 dello smart working è senza dubbio una situazione eccezionale per l’estensione della misura e per l’incrocio delle fonti che regolano in Italia il lavoro a distanza. La disciplina di tutela, per espresso rinvio delle fonti che nel frattempo sono intervenute, rimane quella prevista dalla legge 81/2017 che regola il lavoro cd. agile nel quadro dei rapporti particolari di lavoro subordinato in virtù di una clausola individuale pattuita tra le parti e che determina adattamenti coerenti delle tutele applicabili, in primis in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, incluso il rispetto della disciplina sui riposi come estensione del diritto alla salute, e poi circa i limiti ai poteri datoriali, con particolare riferimento ai controlli a distanza. L’avvio della modalità a distanza nel lavoro subordinato, cd. smart working, resta così affidata dalla legge all’apposizione consensuale di un “patto di lavoro agile” al contratto di lavoro subordinato, qualunque altra clausola lo caratterizzi ulteriormente, ovvero sia esso a tempo indeterminato o determinato, a tempo pieno o parziale, in apprendistato – in tal caso con gli adattamenti necessari all’assolvimento dell’obbligo formativo - o altrimenti qualificato dalla volontà delle parti.

    2. Smart working e fase 2 Covid-19 nel sistema delle fonti.

     Nella stretta attualità dell’avvio della cd. fase 2 delle misure di contrasto e contenimento del contagio da Covid-19 due documenti di rilievo nazionale hanno affrontato il tema dello smart working per le imprese del settore privato, a valle della tenuta della legge n. 81/2017. Rispetto ad essi la disciplina di legge si integra con quanto viene concordato nei testi prodotti dalla concertazione tripartita tra Governo e Parti sociali (Protocollo del 24 aprile 2020) e dalla contrattazione bilaterale  di ogni livello (CCNL e contratti collettivi decentrati, cui lo stesso Protocollo rinvia) e con una fonte di rango regolamentare  (DPCM) del 26 aprile 2020, G.U. n. 108 del 27 aprile 2020) che ne adatta i contenuti senza poterla contraddire, non avendo la “forza di legge” necessaria (come hanno i DL e i D.LGS). A conferma, quando il legislatore ha inteso modificare la disciplina dello smart working in deroga alla legge 81/2017 ha operato tramite DL, come è avvenuto per le sole pubbliche amministrazioni con l’art. 87, commi 1-4, DL 18/2017.

    Nel Protocollo del 24 aprile 2020 si promuove la diffusione del lavoro agile nel rispetto del principio della consensualità della trasformazione del contratto dalla modalità in presenza a quella a distanza, secondo formule totali o alternate. Ad esempio vi si afferma che “il documento contiene linee guida”, che si tratta della “possibilità per l’azienda di ricorrere al lavoro agile”, che nel DPCM dell’11 marzo 2020 si era previsto che per le attività di produzione “tali misure raccomandano: sia attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere volte al proprio domicilio o in modalità a distanza”. L’efficacia del Protocollo è affidata alla implementazione tramite i vincoli associativi che legano le imprese alle associazioni firmatarie, rafforzate dalla affermazione che “le imprese adottano il presente Protocollo”.

    Il DPCM del 26 aprile 2020 esclude l’acquisizione del consenso del lavoratore come momento necessario per il passaggio dalla modalità in presenza a quella a distanza, là dove all’art. 1, comma 1, lettera gg) dispone che “fermo restando quanto previsto dall’art. 87 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, per i datori di lavoro pubblici, la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti” (aggiungendosi solo che “gli obblighi di informativa di cui all’art. 22 della legge 22 maggio 2017, n. 81, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro”), con una disposizione che, ferme le ragioni emergenziali, modifica tuttavia un aspetto fondamentale dell’istituto come previsto dalla legge 81/2017, ovvero la necessaria contrattualità del passaggio alla modalità a distanza, tipica del “patto di lavoro agile”. E’ pur vero che la fattispecie del lavoro agile è definita dalla legge 81/2017 (art. 1) “quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

    Benché non sia del tutto coerente al sistema delle fonti che una disposizione regolamentare deroghi alla legge sulla necessaria consensualità del passaggio dalla modalità in presenza alla modalità a distanza (vista la previsione del DPCM per cui “la modalità di lavoro agile … può essere applicata … a ogni rapporto di lavoro subordinato .. anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti”) è pur vero che la ratio della norma si giustifica sia nel quadro delle misure sulla limitazione degli spostamenti, incluso il commuting casa-lavoro, sia di quelle che impongono il distanziamento fisico nei luoghi di lavoro, con conseguente riduzione dei possibili spazi di compresenza effettiva negli ambienti di lavoro. Ed è anche da considerare che l’implementazione della modalità a distanza definisce a contrario i presupposti di ricorso alla Cassa integrazione guadagni in deroga (cd. CIGD), poiché essi sussistono a fronte di sospensioni dell’attività lavorativa che invece lo smart working, almeno in parte, consente di evitare.

    3. Concertazione sociale e contrattazione collettiva per la disciplina del lavoro a distanza.

     Il Protocollo del 24 aprile 2020  si intitola “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, ed è stato firmato dal Presidente del Consiglio e dai Ministri del lavoro e delle politiche sociali, dello sviluppo economico e della salute, da Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Confindustria, Rete Imprese Italia (Confesercenti, Casartigiani, CNA, Confartigianato, Confcommercio), Confapi, Alleanza Cooperative (Legacoop, Confcooperative, AGCI), Confimi, Federdistribuzione, Confprofessioni, ad integrazione dell’omonimo Protocollo del 14 marzo 2020. Si tratta di un documento di concertazione sociale tripartita condiviso da tutte le principali sigle associative rappresentative del mondo del lavoro e delle imprese, il che conferisce indubbiamente ai suoi contenuti una ampia legittimazione sociale.

    Al punto 8 - organizzazione aziendale (turnazioni, trasferte e smart working, rimodulazione dei livelli produttivi)  - si prevede che “in riferimento al DPCM 11 marzo 2020, punto 7, limitatamente al periodo della emergenza dovuta al COVID-19, le imprese potranno, avendo a riferimento quanto previsto dai CCNL e favorendo così le intese con le rappresentanze sindacali aziendali:” (ex plurimis): “disporre la chiusura di tutti i reparti diversi dalla produzione o, comunque, di quelli dei quali è possibile il funzionamento mediante il ricorso allo smart work, o comunque a distanza”; “utilizzare lo smart working per tutte quelle attività che possono essere svolte presso il domicilio o a distanza nel caso vengano utilizzati ammortizzatori sociali, anche in deroga, valutare sempre la possibilità di assicurare che gli stessi riguardino l’intera compagine aziendale, se del caso anche con opportune rotazioni”.

    Il rinvio alla contrattazione collettiva per la effettiva implementazione dello smart working – cui anche il Protocollo fa espresso riferimento - si conferma come la via più efficace per la realizzazione degli obiettivi dichiarati, sia perché in assenza di una propria forza normativa il Protocollo non potrebbe incidere sugli obblighi delle imprese se non per via del vincolo associativo con l’organizzazione firmataria, sia perché sul piano sostanziale la contrattazione collettiva si conferma la fonte di origine sociale reciprocamente complementare di quella statuale/regionale per ogni aspetto di disciplina dei rapporti di lavoro. D’altronde proprio in tema di smart working la contrattazione collettiva è stata la vera protagonista delle prassi aziendali che già prima della legge 81/2017 ne avevano promosso la diffusione, benché la legge abbia omesso - sia per l’apposizione del patto di lavoro agile sia per la relativa disciplina – il rinvio ai contratti collettivi - passati, presenti, futuri - senza per questo escluderne l’efficacia sui singoli rapporti di lavoro, in virtù dei meccanismi normali che presiedono alla loro applicazione.

    In effetti lo smart working in Italia origina proprio dall’esperienza di alcune grandi imprese, agli inizi prevalentemente nel settore del credito (banche e assicurazioni), ma anche in altri importanti settori del secondario (alimentari) e del terziario (trasporti), dove si era già sviluppata - prima della legge 81/2017 - una vivace contrattazione aziendale sullo smart working, destinato agli inizi per lo più al personale impiegatizio e direttivo, e poi estesa a tutti i lavoratori, nei limiti del possibile, secondo diversi piani di HRM. Se l’informatica ha indubbiamente favorito le prime e ancora attuali applicazioni del lavoro a distanza, la robotica in prospettiva può incrementare ulteriormente la diffusione dello smart working anche nelle fasi più operative dei processi produttivi.

     4. La tenuta della legge 81/2017 sul contratto di lavoro agile.

    L’espressione smart working, tipicamente italiana, equivale a quella in uso nei paesi anglosassoni cd. home working o working at home, e si è affermata nel nostro ordinamento come una derivazione del telelavoro, anche in linea con l’aumento delle aspettative delle persone di fruire maggiormente di tempi e spazi di libertà, sia per obiettivi classici come la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, sia per obiettivi diversi, dichiarati in alcuni contratti aziendali, come la tutela ambientale legata alla riduzione degli spostamenti casa-lavoro, e quindi dell’inquinamento. E la legge 81/2017 avrebbe raccolto queste indicazioni definendo la modalità agile in relazione allo “scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro” (art. 18, comma 1).

    L’ampiezza del fenomeno del lavoro a distanza si coglie a partire dal dato che il luogo di lavoro nei rapporti di lavoro subordinato è modificabile per decisione unilaterale del datore di lavoro senza altro limite che le “comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive” previste dall’art. 2103 c.c. (anche dopo la modifica operata dall’art. 3, d. lgs. 81/2015, che ha modificato i limiti dello jus variandi con riguardo alle mansioni), dove ai commi 9 e 10 si prevede che “il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive” e che “… (omissis) ogni patto contrario è nullo”. Tuttavia il riconoscimento di un potere unilaterale di modifica del luogo della prestazione da parte del datore di lavoro trova fondamento nel suo potere organizzativo come riflesso della libertà di iniziativa economica privata di cui all’ art. 41 Cost., in modo che alle decisioni di investimento corrisponda il potere di disegnare i luoghi di lavoro e la assegnazione ad essi dei singoli lavoratori: principio utile quanto meno nei casi di delocalizzazione degli impianti sul territorio e anche di riorganizzazione logistica o in attuazione di policies di HRM che comportino il mutamento del luogo di lavoro anche in linea con eventuali modifiche delle mansioni.

    Ora come allora la disposizione dell’art. 2103 c.c. vale ad impedire i trasferimenti disciplinari, discriminatori e comunque arbitrari, col richiedere le “comprovate ragioni” per l’esercizio del potere di variazione del luogo di lavoro senza il consenso del lavoratore, ma di un potere da intendersi limitato agli spostamenti decisi all’interno dei luoghi aziendali (sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo, secondo la definizione di unità produttiva di cui all’art. 35 dello Statuto dei lavoratori), non arrivando a permettere il potere unilaterale di variazione della modalità di lavoro da quella in presenza a quella a distanza, intesa come da svolgersi in un luogo di disponibilità del lavoratore. Lo conferma la legge 81/2017 che per tale passaggio impone che al contratto di lavoro sia annessa una specifica clausola individuale pattuita tra le parti, che è appunto il “patto di lavoro agile”.

     5. Prove tecniche di subordinazione a distanza.

    Le origini della legislazione italiana sul lavoro a distanza affondano le radici nel lavoro a domicilio. Ancora diffuso nel manifatturiero si tratta di una modalità di svolgimento a distanza dell’attività lavorativa senza quel collegamento telematico che invece caratterizza il telelavoro e il lavoro agile. Per esso la nozione di subordinazione fu corretta, in deroga all’art. 2094 c.c., dalla legge 877/1973, che la limitò a “quando il lavoratore a domicilio è tenuto ad osservare le direttive dell’imprenditore circa le modalità di esecuzione e le caratteristiche e i requisiti del lavoro da svolgere nella esecuzione parziale, nel completamento o nell’intera lavorazione oggetto dell’attività dell’imprenditore committente” (art. 1, comma 2).

    Nel lavoro a distanza (telelavoro o lavoro agile, ovvero smart working nel lessico comune) la subordinazione può riconoscersi normalmente, poiché il collegamento telematico compensa la distanza fisica permettendo l’interazione costante tra il datore di lavoro e il lavoratore e quindi l’esercizio dei poteri datoriali che qualificano la sub-ordinazione, intesa come etero-direzione (potere direttivo e di riflesso potere di controllo e disciplinare) e la dipendenza di cui all’art. 2094 c.c. Fuori dalla nozione normale di subordinazione e quindi fuori dall’esercizio dei poteri datoriali, sono solo i collaboratori coordinati e continuativi, cd. co.co.co. (per i quali la legge 81/2017 ha integrato la nozione dell’art. 409, n. 3, c.p.c. aggiungendo che “la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa”) cui, in presenza o a distanza, normalmente le tutele della subordinazione non sono riconosciute, per la naturale differenza tra il lavoro subordinato e il lavoro autonomo.

    Poiché la diffusione dello smart working, da un lato, e la reciproca diffusione delle co.co.co. che si svolgono nei locali aziendali sono due fenomeni che hanno posto al centro dell’attenzione la questione del luogo di lavoro in modo diverso dal passato (subordinati in azienda vs. autonomi altrove), nel riaffermare che lo smart workging appartiene all’area del lavoro subordinato per completezza va ricordato che un giudizio di equivalenza del pari bisogno di tutela è stato alla base della disposizione che (art. 2, d. lgs. 81/2015) per cui “a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente” (ovvero ai co.co.co. cd. etero-organizzati), aggiungendosi che “le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali”.

    Il collegamento a distanza e la modalità telematica di esecuzione del lavoro, lungi dall’attrarre nella subordinazione casi che di per loro non lo sarebbero (e quindi restando autonome le collaborazioni non caratterizzate dagli indici della subordinazione né considerate equivalenti per meritevolezza delle tutele in quanto etero-organizzate ai sensi dell’art. 2 d. lgs. 81/2015), diventa una modalità alternativa alla presenza del lavoratore nella sede aziendale e rappresenta un carattere modale della prestazione di lavoro che circa il luogo, e quindi anche il tempo, viene considerata compatibile con la fattispecie e gli effetti della subordinazione, con le varianti specificamente previste dalla legge.

    L’indicazione del legislatore sarebbe proprio quella di ammettere una subordinazione a distanza caratterizzata dall’allentamento del legame temporale e spaziale della prestazione di lavoro e tuttavia, espressamente, riconducibile alla nozione dell’art. 2094 c.c., di subordinazione a tutti gli effetti, con la precisa intenzione di trattenere i lavoratori agili all’interno dello schema del lavoro subordinato e pertanto garantendo loro la conservazione delle tutele tipiche della subordinazione, in un certo senso, per questa via, rafforzando la loro posizione, e non il suo contrario. In tale scenario lo smart working, riferendosi a fattispecie sicure di subordinazione del tipo del telelavoro e del lavoro agile, può contribuire ad un possibile ripensamento delle categorie fondamentali del diritto del lavoro, che si è costruito in un periodo storico dove era netta la distinzione tra il bisogno di tutela di chi svolge la propria attività lavorativa all’interno dell’azienda, in condizioni classiche di subordinazione ai poteri datoriali, e di chi lavora in luoghi di propria disponibilità, in condizioni classiche di autonomia, sebbene non solo occasionalmente ma anche con una certa continuità.

    L’emergenza in quanto tale non modifica la struttura normativa del diritto dei rapporti di lavoro, ma offre certamente elementi normativi e fattuali che sollecitano una riflessione a partire dagli attuali “campi” di applicazione delle tutele, i quali in misura piena riguardano sia i lavoratori subordinati, anche se a distanza, sia gli autonomi continuativi etero-organizzati, non gli altri co.co.co. né gli autonomi occasionali. Se la subordinazione a distanza sembra attenuata, tanto quanto l’autonomia in presenza, il tema della coerenza complessiva tra fattispecie astratte e bisogni concreti apre ad una riflessione ampia sul riassetto delle tutele che non potrà non tener conto, nel quadro dei fenomeni economici e sociali del tempo, della importante diffusione dello smart working (rectius telelavoro e ora lavoro agile) che è già in atto e che si annuncia in espansione nel breve, medio e forse anche lungo periodo.

     

     

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