Piero Calamandrei, antifascista e toscano D.O.C. *
di Christine Von Borries
Più si leggono gli scritti di Piero Calamandrei (1889-1956) più ci si convince che ancora oggi sarebbe un grande maestro di vita, soprattutto per le nuove generazioni. Laureato in giurisprudenza, insegnò diritto processuale civile in varie università, fino a diventare Rettore dell’università di Firenze fino alla sua morte. Anti-fascista, fu uno dei fondatori del Partito d’azione nel 1942 e uno dei pochi professori a non avere la tessera del partito fascista. Firmò tuttavia la lettera di sottomissione che il Duce impose a tutti i docenti (che solo in 12 rifiutarono di sottoscrivere), perché considerava l’insegnamento “il suo posto di combattimento”, ma quella firma gli costerà “l’animo straziato”. Fu eletto nel 1948 nel Parlamento italiano e fece parte dell’Assemblea Costituente, contribuendo con i suoi interventi appassionati e venati sempre di ironia, alla scrittura della nostra Costituzione. Fondò la rivista Il Ponte, attiva ancora oggi, e la lettura dei suoi scritti, siano essi politici, giuridici o auto-biografici, dà la misura di quanto Calamandrei sia stato un uomo moderno, coraggioso, con una visione libera da ogni pregiudizio e illuminata del mondo che lo circondava, con lo sguardo puntato sempre sul futuro.
Piero Calamandrei osservava spesso con sdegno e disgusto ai suoi contemporanei, non sopportava la mediocrità, la falsità, la piaggeria verso il potere e i potenti. Per ritrovare la speranza, si rifugiava nell’avvenire ed era ottimista sul futuro, infatti si definiva “presbite” perché vedeva meglio le cose lontane che quelle vicine. Quando perdeva fiducia nello Stato e nella Cosa Pubblica vedendo che rimanevano inattuate molte riforme annunciate nella Costituzione - le Regioni, la Corte Costituzionale, il Consiglio Superiore della Magistratura - come anche tanti dei suoi principi generali - diritto al lavoro, alla salute, uguaglianza dei cittadini, pari dignità società - scattava in lui, dopo la disperazione cosmica, la molla della volontà del non arrendersi al male che sentiva intorno. E allora pensava al futuro e alle nuove generazioni, che avrebbero dovuto e saputo riprendere l’opera iniziata e poi abbandonata dai padri.
Non fu mai un politico nell’accezione classica del termine, fu troppo istintivo, sincero, con punte anche di ingenuità. Così puro da cambiare idea, quando quelle degli altri lo convincevano. Fu un esempio raro di uomo che si avvicina alla politica spinto da una pura necessità morale, scaturita dalla coscienza di libero cittadino.
Lo sguardo di Calamandrei puntato sull’avvenire, si mostrò nella sua netta presa di posizione a favore del processo di Norimberga, che per la prima volta portò un Tribunale a condannare criminali nazisti, pur nell’assenza di precise leggi scritte. Calamandrei si pronunciò a favore del riconoscere i crimini contro l’umanità, il genocidio e la persecuzioni razziste, mentre tanti altri tentennavano o si schieravano espressamente contro. Ritenne che questo processo, dopo l’immensa tragedia del brutale dominio nazista sull’Europa, costituisse una “catarsi simbolica dell’immensa tragedia umana”, prendendo una netta posizione contro lo scrupolo legalitario di chi avanzava obiezioni a causa dell’assenza di leggi preesistenti che condannassero tali crimini.
Per citare l’esempio che mi è più caro del suo spirito indomito toscano diretto, arguto, ironico e sferzante, voglio ricordare l’unica difesa che Calamandrei sostenne come avvocato in un processo penale, lui che si occupava solo di dritti civili.
Di fronte a un Tribunale di Firenze, difese con successo Danilo Dolci, che è stato paragonato a un Ghandi italiano, giovane triestino con studi in architettura, trasferitosi a Trappeto in Sicilia, per guidare una battaglia pacifista dei pescatori e dei disoccupati che negli anni cinquanta, morivano letteralmente di fame. Danilo Dolci fu arrestato e durante il processo a suo carico, con grande pathos, Calamandrei illustrò alla corte i due misfatti che avevano portato al suo arresto e il motivo per cui andava non solamente assolto ma anche premiato per le sue azioni.
Il primo era stato quello di radunare i pescatori sulla spiaggia e di digiunare con loro per protestare contro i moto-pescherecci che, violando la legge, pescavano nel tratto di mare più vicino alla costa, riservato ai piccoli pescatori, condannandoli così a morire di fame. Questa muta protesta ideata e guidata da Danilo Dolci, dopo che le Autorità avevano per anni ignorato le denunce, portò la polizia non ad arrestare i pescatori di frodo, come penserete voi, ma ad arrestare Danilo Dolci, che con la sua silenziosa protesta aveva disturbato l’ordine pubblico!
Il secondo, visto che a Partinico c’erano centinaia di disoccupati e che la Costituzione dice che il lavoro è un diritto e un dovere di ogni cittadino, era stato di organizzare con un gruppo di essi secondo voi cosa: invadere le terre dei ricchi, saccheggiare i negozi alimentari, assaltare palazzi, diventare banditi? No. Li fece lavorare gratuitamente, su una trazzera, una strada abbandonata piena di buche e vegetazione, destinata all’uso pubblico, della quale il Comune non aveva curato la manutenzione. Per impedire questo secondo delitto, giunsero i soliti commissari che, invece di ringraziarli, aggredirono gli uomini che lavoravano pacificamente, strappando loro di mano gli strumenti di lavoro, incatenandoli e arrestandoli.
La difesa di Calamandrei è paragonabile a un faro di luce nell’oscurità dell’ingiustizia e quello che oggi ci pare un esito banale e scontato, lui riuscì a ottenerlo solo grazie alla sua immensa passione e fede nella giustizia, all’onestà e al coraggio dello schierarsi contro i potenti, le opacità e le resistenze al cambiamento della società di quegli anni.
Calamandrei nella sua arringa trasformò in entità vive e pulsanti le parole della Costituzione “pari dignità sociale” “Repubblica fondata sul lavoro” “esistenza libera e dignitosa”, ricordando a tutti che nelle più perfette democrazie europee (Inghilterra, Svezia, Danimarca) il popolo rispetta le leggi perché ne è partecipe e fiero, perché sa che tutti le osservano e perché non c’è una doppia interpretazione, una per i ricchi e una per i poveri.
Il suo accorato appello rivolto ai giudici affinché difendessero la Costituzione che aspirava a dare a tutti i cittadini del nostro paese pari giustizia e pari dignità, trovò ascolto e Danilo Dolci fu assolto.
Concludo questo breve ritratto di un toscano eccezionale, riportando le parole conclusive tratte dal suo libro Inventario della casa di campagna nelle quali, dalla casa di Montepulciano, descrive in modo ineguagliabile il carattere degli abitanti di questa regione: “Paese dove ogni sorriso sfuma in mestizia ed ogni lacrima, per non dar noia a chi può vedere, cerca di nascondersi in celia; dove le pene e le gioie più disparate, le vicende più grandi e le più umili, lontane di secoli o nate con noi, si trovano livellate e ricomposte in un’armonia casalinga che abolisce le distanze e i tempi e fa sentire che nulla importa o tutto importa nello stesso modo…i nostri lutti, il nostro amore, il passato e l’avvenire, le nostre speranze, la nostra libertà: Toscana, dolce patria nostra”.
*(brano inserito nel libro Toscanità, edito Giunti)