GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Il ruolo del PM nel codice della crisi e dell’insolvenza. Cosa cambia?

    Il ruolo del PM nel codice della crisi e dell’insolvenza. Cosa cambia?

    di Paola Filippi

    Sommario: 1. Il ruolo del PM nella crisi di impresa. - 2. Le novità. -  3. L’onere della segnalazione in capo all’autorità giudiziaria. - 4. Il pubblico ministero come parte processuale - 5. La questione dell’obbligatorietà o facoltatività dell’azione del PM. - 6. La questione della obbligatorietà o facoltatività della partecipazione del PM al procedimento. - 7. La partecipazione del PM ai sensi dell’art. 41 del codice della crisi. - 8. Il reclamo contro il provvedimento che rigetta la domanda di apertura della liquidazione giudiziale.

    1. Il ruolo del PM nella crisi di impresa

    Il ruolo del pubblico ministero degli affari civili muta profondamente con il nuovo codice, mutamento che costituisce espressione di un rinnovato riconoscimento dell’interesse pubblico alla regolazione della crisi e dell’insolvenza.

    Il tratto saliente non si rinviene tanto  nei compiti ulteriori affidati alle sue cure quanto nell’essere, la sua azione, completamente disancorata da profili penalistici.

    I nuovi compiti sono espressione dell’obiettivo precipuo del sistema di regolazione della crisi introdotto dal nuovo codice: il salvataggio dell’impresa.

    È in quest’ottica di valorizzazione dell’intervento tempestivo e della precoce emersione della crisi che va inquadrato l’intervento pubblicistico del quale l’azione del pubblico ministero costituisce peculiare espressione.

    Il riconoscimento dell’interesse pubblico descritto nella vigenza del regio decreto ante riforma come correlato “all’esigenza di rimuovere l’insolvenza dell’imprenditore, ossia difendere l’economia generale dal fenomeno morboso del dissesto” [1] si trasforma, in linea con la raccomandazione n. 2014/135/UE, in interesse correlato alla predisposizione di istituti e strumenti procedurali atti a  consentire alle imprese in difficoltà di ristrutturarsi in una fase precoce, per evitare che la crisi si aggravi e diventi irreversibile. È in questo quadro che deve considerarsi il potere di azione del pubblico ministero[2].

    2. Le novità

    Con riferimento al ruolo del pubblico ministero la prima e più rilevante novità è costituita dall’ampliamento del potere di iniziativa del pubblico ministero. 

    La legittimazione all’esercizio dell’azione è stata disancorata dalle situazioni indicate all’articolo 7 l. fall., primo comma - emersione della notitia decotionis da procedimento penale o da segnali di bancarotta - e secondo comma - emersione della notitia decotionis dal procedimento civile -.

    Ai sensi dell’articolo 38 CCI il pubblico ministero è legittimato a esercitare l’azione “in ogni caso in cui ha notizia dell'esistenza di uno stato di insolvenza”. La seconda novità è costituita dall’ampio e generalizzato potere di partecipazione riconosciuto al pubblico ministero.

    Sono corollario essenziale dell’ampliamento del ruolo del pubblico ministero, in termini di iniziativa e partecipazione, tutte le disposizioni che introducono oneri di segnalazione e comunicazione. Si tratta di previsioni strumentali all’esaustivo esercizio dei compiti affidati alla parte pubblica. Attraverso tale reticolo di disposizioni il pubblico ministero diviene partecipe immanente di tutte le procedure, comprese quelle del sovraindebitato, con conseguente estensione del controllo anche della crisi dell’imprenditore che, per le dimensioni, non ha accesso alle procedure di regolazione della crisi.

    Il terzo comma dell’art. 38 CCI prevede che “Il pubblico ministero può intervenire in tutti i procedimenti diretti all'apertura di una procedura di regolazione della crisi e dell'insolvenza”.

    È riconosciuto poi al pubblico ministero un ampio potere di partecipazione e intervento in tutti gli ordinari snodi della liquidazione giudiziale (ivi compresa la fase, eventuale, della revoca della sentenza di liquidazione giudiziale).

    Esercita inoltre l’iniziativa diretta alla conversione delle procedure in liquidazione giudiziale, nel concordato preventivo e nel giudizio per l'omologazione degli accordi di ristrutturazione, e ciò dalla fase di apertura e fino alla fase di liquidazione dell’attivo, in caso di scoperta di atti in frode.

    Ulteriore novità introdotta dal codice della crisi è costituita dall’iniziativa nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, scoperti successivamente alla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale della società.

    Il comma 4 dell’ art. 147 l.fall., come novellato dalla riforma del 2006, non menzionava tra i soggetti legittimati il pubblico ministero.

    Il comma quarto dell’art. 256 CCI lo inserisce invece tra i soggetti legittimati a poporre il ricorso per l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale nei confronti dei soci illimitatamente responsabili nei casi in cui, dopo l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale della società, ne risulti l'esistenza.

    3. L’onere della segnalazione in capo all’autorità giudiziaria

    Il secondo comma dell’art. 38 CCI onera l'autorità giudiziaria del dovere di segnalare al pubblico ministero l'insolvenza. L’antecedente di detta previsione si rinviene nell’art. 8 l.fall. – abrogato dall’art. 6, comma 1 del d.lgs. n. 5/06 - rubricato stato di insolvenza risultante in un giudizio civile.

    Nel caso dell’art. 8 il giudice civile trasmetteva la segnalazione al tribunale fallimentare; a seguito dell’eliminazione dell’officiosità della declaratoria di fallimento, il collettore della segnalazione, con l’introduzione del secondo comma dell’art. 7 l.fall., è diventato il pubblico ministero.

    Il secondo comma dell’art. 38 CCI riproduce il secondo comma dell’art. 7, solo quanto alla segnalazione,  e ciò in quanto non pone detta segnalazione come un requisito che legittima l’azione del pubblico ministero, quanto piuttosto introduce uno specifico dovere in capo all’autorità giudiziaria di trasmissione della notitia decotionis, analogamente a quanto era  previsto dall’abrogato art. 8 l.fall.

    La novità è che l’onere di segnalazione è posto in capo all’autorità giudiziaria a prescindere dal tipo di procedimento, essendo venuto meno il riferimento alla materia civile. La disposizione non precisa però se le segnalazioni che vengono indirizzate al pubblico ministero siano anche quelle provenienti dal giudice tributario o dal giudice amministrativo, ma ben ci si può arrivare per via interpretativa.

    Rimane, con riferimento alla generale individuazione di detto onere, la medesima lacuna che era stata rilevata con riferimento all’art. 7, comma secondo, l.fall. nella parte in cui indirizza al pubblico ministero solo le segnalazioni provenienti da autorità giudiziaria e non anche le segnalazioni provenienti dagli organi di gestione e di controllo dell’impresa[3]. L’onere in  generale posto dalla menzionata disposizione  mal si concilia con la circostanza che l’art. 50 CCI, con riferimento al ricorso per l’apertura della procedura della liquidazione giudiziale, prevede la comunicazione al pubblico ministero solo con riferimento al ricorso del debitore. A prescindere dalla previsione della comunicazione, il tenore della norma sembra porre un onere di segnalazione in capo al tribunale fallimentare in tutti i casi di desistenza del creditore quando la rinuncia del creditore non sia predittiva del superamento della situazione di insolvenza[4].

    4. Il pubblico ministero come parte processuale

    Con il codice della crisi il pubblico ministero assume un ruolo pubblico autonomo che si caratterizza come potere di azionare il procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale  indipendentemente dalle parti private (debitore e creditori) e in aggiunta a queste, a tutela di interessi che trascendono quelli individuali coinvolti nella situazione di crisi.

    Ritorna attuale, in ragione dell’ampliamento del ruolo del pubblico ministero, l’affermazione di Salvatore Satta secondo la quale la dichiarazione dell’insolvenza dell’impresa interessa l’ordinamento, perché l’impresa fa parte dell’organizzazione sociale[5].

    Mutata la legittimazione, il  potere di azione del pubblico ministero, nei casi di cui all’art. 38 CCI, non è stato modificato dalla riforma. La richiesta continua ad avere il valore di domanda giudiziale come emerge del tenore dell’articolo 346 CCI (art. 238 l. fall.) che qualifica domanda il ricorso diretto ad ottenere la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale.

    L’atto di iniziativa del pubblico ministero è equiparato al ricorso dei creditori, per lo specifico richiamo al pubblico ministero contenuto nell’art. 37 CCI, in parte trasposizione dell’art. 6 della legge fallimentare.

    Il ruolo di  parte processuale del pubblico ministero è resa esplicita dal fatto che egli deposita, al pari delle parti private, un ricorso e non una mera istanza. La soluzione era, del resto, già stata fatta propria implicitamente in tema di amministrazione straordinaria dall’art. 3 d.lgs. 270/99, che  ha parificato l’iniziativa del pubblico ministero per la dichiarazione dello stato di insolvenza a quella dei creditori, dovendo entrambe tali  iniziative esplicarsi nella forma del ricorso. Ma è soprattutto nella legittimazione attiva al reclamo avverso il provvedimento di rigetto del tribunale ora ex art. 50 CCI (art. 22 l.fall.) che si apprezza la natura di parte processuale del P.M., in quanto egli ha la facoltà di chiedere una revisione del provvedimento di rigetto analogamente alla parte privata. Legittimazione al reclamo che prescinde dall’assunzione del ruolo di parte nel procedimento di primo grado.

    Il termine ricorso di cui all’art. 37 CCI, utilizzato in via generale a differenza di quanto previsto dall’art. 6, che distingueva l’atto introduttivo - ricorso per le parti e richiesta per il pubblico ministero - introduce ora obblighi di forma.

    Il ricorso deve dunque essere formalizzato ai sensi dell’art. 40 CCI, con la conseguenza che non dovrebbe essere più ammissibile una richiesta non formalizzata nella forma del ricorso ovvero orale e non motivata.

    Il pubblico ministero gode poi, come le parti private, della semplificazione introdotta con riguardo alle notifiche. La notifica del ricorso è infatti effettuata a cura della cancelleria del tribunale ai sensi del quinto comma dell’art. 40 CCI che prevede che il ricorso e il decreto di convocazione siano notificati, a cura dell'ufficio, all'indirizzo del servizio elettronico di recapito certificato qualificato o di posta elettronica certificata del debitore risultante dal registro delle imprese ovvero dall'Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti. L'esito della comunicazione è trasmesso con modalità telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata del ricorrente.

    In caso sia impossibile procedere alla notifica nei termini previsti al V comma dell’articolo 40 CCI, la notifica è effettuata ai sensi del sesto comma del medesimo articolo che prevede che il ricorso e il decreto siano notificati, senza indugio, a cura della cancelleria, mediante il loro inserimento nell'area web riservata, ai sensi dell'articolo 359 CCI. La notificazione si ha per eseguita nel terzo giorno successivo a quello in cui è compiuto l'inserimento. Ciò risolve definitivamente le problematiche connesse alle incombenze notificatorie verso amministratori irreperibili, nonché il discusso ricorso alla polizia giudiziaria previa autorizzazione del presidente del Tribunale fallimentare. La documentazione relativa al debitore è acquisita dalla cancelleria.

    La competenza del tribunale all'apertura della liquidazione giudiziale è determinata ai sensi dell’art. art. 27 CCI in base al luogo dove l’imprenditore commerciale svolge l’attività principale. Con l’eliminazione dei casi di legittimazione di cui all’art. 7  cade il collegamento con il procedimento penale o civile dal quale promana la notizia dell’insolvenza e dunque non c’è ragione che autorizzi a supporre che vi sia una competenza del pubblico ministero disancorata da quella del tribunale civile.

    Nella vigenza dell’art. 7 si diceva che se il procedimento penale pendeva davanti ad un tribunale non competente a dichiarare l’apertura della liquidazione giudiziale, non ci sarebbero state ragioni per escludere che il pubblico ministero della Procura presso il tribunale non competente, potesse depositare il ricorso per la dichiarazione dell’apertura della liquidazione giudiziale: ciò in quanto, in mancanza di disciplina espressa, non si rilevavano impedimenti a che la legittimazione a proporre il ricorso fosse collegata solo a quella civilistica. In ogni caso, nell’ipotesi di accoglimento, la competenza  faceva capo necessariamente alla Procura del Tribunale che aveva dichiarato il  fallimento per quanto concerne il prosieguo della procedura. Secondo altro orientamento invece, se il procedimento penale pendeva davanti a un tribunale non competente, il pubblico ministero dell’ufficio non competente avrebbe dovuto trasmettere gli atti al pubblico ministero presso il tribunale  competente[6].

    Il terzo comma dell’art. 33 CCI ha codificato il principio secondo cui, in caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, il pubblico ministero – così come il creditore – può dimostrare il diverso momento dell'effettiva cessazione dell'attività da cui far decorrere l’anno.

    5. La questione dell’obbligatorietà o facoltatività dell’azione del PM e la rinunciabilità dell’azione

    Prima della riforma del 2006, secondo l’orientamento  prevalente, in presenza delle situazioni tassativamente previste, il pubblico ministero aveva l’obbligo di chiedere il fallimento. La previsione normativa del 1942 era infatti “deve richiedere”. L’orientamento che concludeva per l’obbligatorietà si fondava su un’interpretazione letterale della norma ma, d’altro canto, la considerazione che a legittimare l’azione del pubblico ministero degli affari civili fosse uno “stato di insolvenza risultante in sede penale” ove il pubblico ministero legittimato era quello che “procedeva contro l’imprenditore” ben giustificava l’affermazione dell’obbligatorietà dell’azione civile in linea con l’obbligatorietà dell’azione penale ad essa collegata.

    Con la riformulazione dell’art. 7 l.fall, a seguito dell’art. 1, comma 6 lett. a) legge n. 80/05, la sostituzione di  “deve” con il termine “presenta” costituisce argomento di per sé sufficiente a sostenere  la facoltatività dell’iniziativa. Secondo alcuni autori l’obbligo rimarrebbe nel caso del previo o contemporaneo esercizio dell’azione penale. Sotto tale profilo indicazioni normative nel senso dell’obbligatorietà sono state tratte dal combinato disposto degli artt. 217, n. 4 – che sanziona l’inadempimento dell’obbligo di chiedere il fallimento – e  238 l. fall., coordinati con il principio  dell’obbligatorietà dell’azione penale.

    Osservazioni  analoghe a quelle formulate con riferimento all’articolo 7 l.fall. potrebbero estendersi alla previsione di cui all’articolo 38 CCI, trasposti l’articolo 217, comma IV e l’articolo 238 l. fall. nell’articolo 323, comma IV e nell’art. 346 CCI, ciò però sol in detti casi.

    Senz’altro ancora valida l’osservazione formulata dopo la riforma del 2006, secondo cui l’esercizio del potere di iniziativa  rientra senz’altro tra i compiti del pubblico ministero con tutte le conseguenze sotto il profilo deontologico derivanti dall’inerzia ingiustificata[7] .

    La rinunciabilità o meno dell’azione dipende non soltanto dall’opzione prescelta riguardo all’obbligatorietà o facoltatività dell’iniziativa, perché, anche in caso si opti, per la doverosità, la rinuncia dell’azione deve essere quanto meno giustificata dall’essere in concreto venuto meno il presupposto fondante la richiesta[8].

    6. La questione della obbligatorietà o facoltatività della partecipazione del PM al procedimento

    Nella vigenza dell’art. 7 l.fall., ai fini dell’inquadrabilità della partecipazione di tale organo come obbligatoria o facoltativa, si era tentato di catalogarla nell’ambito definitorio di cui all’art. 70 c.p.c. ovvero nell’ambito delle «cause che egli stesso potrebbe proporre».[9] La tesi della partecipazione necessaria era tratta dall’indisponibilità degli interessi di indole generale e dall’irrinunciabilità dell’azione[10].

    La tesi della facoltatività dell’azione era invece ancorata al dato normativo testuale di cui al secondo comma dell’art. 15,  secondo cui nel procedimento interviene il pubblico ministero che ha assunto l’iniziativa diretta all’apertura della liquidazione giudiziale, disposizione normativa che implicitamente escludeva l’intervento[11].

    L’immanenza partecipativa del pubblico ministero è ora assicurata dalla previsione di cui al secondo comma dell’articolo 38 CCI, secondo cui “Il pubblico ministero può intervenire in tutti i procedimenti diretti all'apertura di una procedura di regolazione della crisi e dell'insolvenza”. Trattasi di principio che costituisce codificazione di prassi diffusa presso molti Tribunali. L’intervento non è però garantito da specifico onere di comunicazione al pubblico ministero.

    7. La partecipazione del PM ai sensi dell’art. 41 del codice della crisi

    Ai sensi del quinto comma dell’art. 41 CCI l’intervento del pubblico ministero può avere luogo sino a che la causa non venga rimessa al collegio per la decisione. La previsione introduce una facoltà generale rispetto a quella prevista dall’art. 15 limitata al pubblico ministero ricorrente. Non a caso il legislatore usa il termine “può” ad indicare la facoltatività dell’azione. L’art. 50, secondo comma, CCI  in tema  di  reclamo contro il provvedimento che rigetta la domanda di apertura della liquidazione giudiziale individua in capo al pubblico ministero un generale potere di impugnativa. Anche sotto tale profilo si registra l’ampliamento dei poteri del pubblico ministero rispetto alla legge fallimentare. L’art. 22, secondo comma, l. fall. limitava infatti il potere di reclamo al pubblico ministero che aveva proposto il ricorso. Nonostante le limitazioni all’azione di cui all’art. 15 e all’art. 22 siano state utilizzate come argomento per sostenere la tesi dell’intervento necessario ex art. 70 c.p.c., si ritiene di escludere che si tratti di intervento necessario anche tenuto conto della mancata previsione di un generale onere di comunicare al PM ogni ricorso per la dichiarazione di fallimento. Detta comunicazione è infatti prevista solo dall’art. 50, comma 4, CCI, con riferimento solo alla domanda del debitore. Detta previsione evidenzia l’insussistenza dell’onere di comunicazione in capo al giudice, a pena di nullità  ex art. 71 c.p.c. verso il pubblico ministero.  

    8. Il reclamo contro il provvedimento che rigetta la domanda di apertura della liquidazione giudiziale.

    Il secondo comma dell’articolo 50 CCI prevede un generico potere del Pm di proporrre reclamo non ancorato, come previsto dall’art. 22 l.fall., alla proposizione del ricorso per la dichiarzione di fallimento[12]

    Nella vigenza della legge fallimentare si era  affermato che il reclamo ex art. 22 l. fall.,  proposto contro la sentenza di fallimento andava notificato anche al P.M. di primo grado [13].

    Ai sensi dell’art. 38, quarto comma, CCI - come introdotto dalla art. 7, comma 1, del dereto legge n. 147 del 2020- il rappresentante del pubblico ministero intervenuto in uno dei procedimenti per l’apertura della liquidazione giudiziale può chiedere di partecipare al successivo grado di giudizio quale sostituto del procuratore generale presso la corte di appello. La partecipazione è disposta dal procuratore generale presso la corte di appello qualora lo ritenga opportuno. Gli avvisi spettano in ogni caso al procuratore generale.

    Con tale disposizione di natura ordinamentale è stata risolta la questione sorta nella vigenza dell’art. 22 l.fall. con riguardo alla partecipazione del pubblico ministero di primo grado al giudizio sul reclamo.

    L’esercizio delle funzioni di pubblico ministero, nel giudizio di reclamo spettava infatti, in assenza di tale disposizione , al procuratore generale presso la Corte di appello ai sensi dell’art. 70 r.d. n. 12/1941[14].

    La previsione di cui al quarto comma introduce una deroga alla norma dell’art. 70, co. 1, ord. giud., ai sensi del quale «le funzioni del pubblico ministero presso la Corte suprema di Cassazione e presso le corti d’appello sono esercitate da procuratori generali della Repubblica e presso i tribunali da procuratori della Repubblica». Il successivo co. 3 stabilisce che «i procuratori generali, gli avvocati generali presso le sezioni distaccate di corte d’appello e i procuratori della Repubblica esercitano le loro funzioni personalmente o per mezzo dei dipendenti magistrati addetti ai rispettivi uffici».

    Salvo deroghe espressamente previste -ricorso nell’interesse della legge, impugnazione nei casi previsti nei co. 3 e 4 dell’art. 72 c.p.c.- è l’ufficio del pubblico ministero presso il giudice che ha pronunciato la sentenza ad essere  legittimato alla proposizione  dell’impugnazione, l’atto di impugnazione di parte dovrà poi  essere notificato sia al pubblico ministero presso il giudice a quo che a quello presso il giudice dell’impugnazione.

    [12] Nella vigenza della legge fallimentare è stato affermato il seguente principio di diritto “Sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 22 legge fall., deve riconoscersi al P.M., nelle ipotesi disciplinate dall'art. 7 legge fall., che gli attribuisce il potere di azione, la legittimazione a proporre reclamo in caso di rigetto dell'istanza di fallimento da parte del tribunale; infatti, negare al P.M. il diritto di impugnare, in un situazione in cui gli è riconosciuto il potere d'azione, si tradurrebbe in un'evidente compressione di tale potere, con una disparità di trattamento rispetto all'analogo diritto riconosciuto al creditore istante per la dichiarazione di fallimento, in violazione degli artt. 3 e 24 (Sez. 1, Sentenza n.  5220 del 07/03/2007 ) Dal che era stato argomentato  che non poteva proporre reclamo viceversa il P.M. che non aveva proposto l’istanza per la dichiar. di fallim. In tale senso Auletta F. op. cit.  

    [13] L’affermazione della giurisprudenza di legittimità era nel senso che "L'appello avverso la sentenza dichiarativa di fallimento va notificato al procuratore della Repubblica presso il tribunale, al quale spetta la legittimazione all'impugnazione, in qualità di ufficio del P.M. funzionante presso il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, mentre l'esercizio delle funzioni di P.M. nel giudizio di appello spetta al P.G., ai sensi dell'art. 70 del r.d. n. 12 del 1941. Peraltro, la costituzione in appello del procuratore della Repubblica, in luogo del P.G., non determina la nullità della sentenza di secondo grado, ma soltanto la nullità della costituzione del P.M., della quale può dolersi esclusivamente il soggetto che avrebbe dovuto presenziare al giudizio, con la conseguente carenza di interesse dell'appellante a far valere il predetto vizio (Sez. 1, Sentenza n.  19797/2015; Sez. 1, Sentenza n.  19214/2009)

    [14] Il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento va notificato al procuratore della Repubblica presso il tribunale, al quale spetta la legittimazione all'impugnazione, in qualità di ufficio del P.M. funzionante presso il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, mentre l'esercizio delle funzioni di P.M. nel giudizio di reclamo spetta al P.G., ai sensi dell'art. 70 del r.d. n. 12 del 1941, fermo restando che la costituzione in sede di reclamo del procuratore della Repubblica, in luogo del P.G., non determina la nullità della sentenza di secondo grado, ma soltanto la nullità della costituzione del P.M., della quale può dolersi esclusivamente il soggetto che avrebbe dovuto presenziare al giudizio, con conseguente carenza di interesse del reclamante a far valere il predetto vizio (Sez. 1, Sentenza n.  19797/2015; Sez. 1 19214/2009)


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