Il terzo comma dell’art. 81 della Costituzione recita: “Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”.
Tutte le spese pubbliche entrano nel bilancio dello Stato e a ogni uscita deve essere necessariamente correlata un’entrata. Questa è, d’altro canto, la ragione per la quale l’art. 81 della Costituzione chiede l’indicazione di impegno, il quale vale sia per le leggi ordinarie che per le leggi costituzionali quando queste importino maggiori spese.
La legge di revisione costituzionale approvata il 30 ottobre 2025 sarà sottoposta al referendum (un referendum costituzionale e quindi senza la necessità del raggiungimento del quorum) il quale si svolgerà presumibilmente nel marzo 2026. Qualora non dovesse prevalere il NO, detta riforma determinerebbe un significativo aumento della spesa pubblica dovuto alla creazione di altri due organi di rilevanza costituzionale analoghi all’attuale unico Consiglio Superiore della Magistratura nonché di un’Alta Corte Disciplinare[1]. Tuttavia, la legge di revisione costituzionale, nella sua formulazione attuale, non contiene alcuna indicazione della valutazione dei costi aggiuntivi e dei mezzi per far fronte ad essi.
Appare dunque importante provare a valutare tali costi in modo da informare gli elettori italiani anche degli aspetti economici collegati alla riforma rispetto alla quale dovranno esprimersi in primavera.
In effetti, la questione della spesa pubblica interessa i cittadini italiani forse di più che non le carriere dei magistrati essendo essi già sottoposti a una pressione fiscale tra le più alte d’Europa[2].
Per avere un termine di paragone utile, vale la pena ricordare l’ultima revisione costituzionale approvata dagli elettori: quella del 2020, che ha ridotto il numero dei deputati da 630 a 400 ed il numero di senatori elettivi da 315 a 200.
Scopo dichiarato di tale legge era proprio quello di contenere la spesa pubblica. In effetti, al referendum tenutosi il 20 ed il 21 settembre del 2020, i cittadini italiani hanno condiviso tale esigenza di riduzione della spesa pubblica espressa dal legislatore confermando la legge con il 69,96% dei SI contro il 30,04 % dei NO. Il costo totale lordo annuo per ciascun parlamentare si aggira oggi intorno ai 168.000 euro, a cui si devono però aggiungere i costi per il funzionamento delle strutture e i contributi previdenziali a carico dell'istituzione, i costi indiretti come il personale di supporto aggiuntivo, la gestione degli uffici, e i costi a lungo termine come i vitalizi. Ciò porta il costo unitario a circa 200.000 euro annui. In conseguenza di ciò, la diminuzione di 335 parlamentari che gli elettori italiani hanno approvato con il referendum del 2020, ha comportato un risparmio per le casse dello stato che può essere stimato intorno ai 67 milioni di euro all'anno.
E’ interessante confrontare tale risparmio, con l’aumento di spesa che sarebbe prodotto dalla riforma costituzionale sulla carriera dei magistrati oggetto della prossima consultazione referendaria.
Facciamo un po’ di conti e vediamo nel dettaglio quali spese aggiuntive comporterebbe l’attribuzione a tre organi, dei compiti che attualmente sono svolti da uno solo.
Innanzitutto, lo stanziamento annuale per il funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura ammontava nel 2024 a circa 43 milioni annui [4], ma tale cifra è di recente cresciuta a seguito della Sentenza della Corte Costituzionale n. 135 del luglio 2025 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 1, del decreto-legge n. 66/2014, nella parte in cui fissava un limite massimo retributivo fisso e onnicomprensivo di 240.000 euro lordi annui per i dipendenti pubblici e quindi per quello che riguarda la componente laica del Consiglio Superiore della Magistratura. Possiamo quindi stimare che attualmente lo stanziamento annuale si debba aggirare intorno ai 47-50 milioni annui, una cifra che, moltiplicata per tre, salirebbe ad almeno 141 milioni con un incremento a causa della riforma di 94 milioni all’anno.
A questi costi va aggiunto quello relativo ai due immobili che dovrebbero aggiungersi alla sede dell’attuale Consiglio Superiore della Magistratura, il quale occupa il palazzo Bachelet in Roma. Infatti, se passasse la riforma, ne occorrerebbe uno per il Consiglio Superiore dei Pubblici Ministeri e un altro per l’Alta Corte Disciplinare.
Vediamo di quantificare anche tali costi.
Il canone di locazione per palazzi paragonabili al complesso di Palazzo Bachelet comporterebbe costi estremamente elevati. Dovrebbe trattarsi, infatti, di palazzi di prestigio (dovendo ospitare organi di rilevanza costituzionale, presieduti dal Presidente della Repubblica) e di grandi dimensioni dovendo includere una grande sala per l’assemblea plenaria, almeno una decina di sale per le attività delle Commissioni, uffici per i consiglieri e assistenti, uffici per il personale di supporto e amministrativo nonché cortili per le macchine di servizio e di regola per i funzionari. Si possono stimare tali costi con una cifra che si aggira attorno ai 4 milioni annui, o più, a seconda delle caratteristiche dell’immobile[5], con un aggravio quindi di circa 8 milioni annui rispetto alla spesa attuale. A questo si devono sommare i costi di adeguamento e allestimento, stimabili fino a 6 milioni di euro per ciascun edificio, cioè altri 12 milioni complessivi nel primo anno.
A conti fatti quindi l’effetto della triplicazione dei Consigli Superiori comporterebbe una spesa aggiuntiva di più di 114 milioni all’anno il primo anno e di 102 milioni all’anno a regime.
Di conseguenza, se l’esito del referendum non dovesse essere quello della vittoria del NO, la riforma costituzionale inciderà in negativo sulla spesa pubblica più di quanto non abbia inciso in positivo la riduzione del numero dei parlamentari di cui si è detto sopra il cui risparmio si è limitato a solo 67 milioni annui.
Si può naturalmente discutere sull’opportunità politica della riforma, ma non si può ignorare il suo impatto economico.
In un Paese in cui la pressione fiscale resta tra le più elevate d’Europa, e nel quale ogni intervento legislativo viene valutato anche alla luce del suo costo per i cittadini, appare singolare che una riforma tanto rilevante non sia stata accompagnata da alcuna analisi finanziaria.
Spetterà ora agli elettori, attraverso il referendum, valutare non solo il merito istituzionale del progetto, ma anche il prezzo che esso richiederebbe alla collettività.
[1] Attualmente la funzione disciplinare è esercitata da una sezione del CSM presieduta da un componete eletto dal parlamento e composta da un componente eletto dal parlamento, un magistrato di legittimità, due giudici di merito e un Pubblico Ministero. Si tratta di funzione giurisdizionale e le sentenze che emette sono ricorribili per Cassazione.
[2] Il 42.8% in Italia contro il 33.9% della media OECD e il 40.4% della media UE. Fonte OECD.
[3] Si consulti il sito https://www.camera.it/leg19/383?conoscerelacamera=4
[4] Si veda anche in proposito l’articolo apparso su Panorama https://www.panorama.it/attualita/politica/costi-csm
[5] Fonte: Osservatorio del Mercato Immobiliare di Roma. Tra l’altro, in base a un calcolo basato sui dati i palazzi storici e di prestigio richiedono inoltre un'alta manutenzione e offrono servizi esclusivi (ascensore, parcheggio, finiture di lusso, a volte giardini o cortili interni) difficilmente potrebbe essere inferiore a 350.000 euro al mese.
