Intervista all’avvocato Cataldo Intrieri sul L.A.P.E.C. e altro
Il L.A.P.E.C. è una realtà importante per la formazione congiunta dei magistrati e degli avvocati. Tanti, ma non tutti, lo conoscono. Qual è la sua storia e la sua situazione attuale?
Il Laboratorio Permantente su esame, controesame e giusto processo “Ettore Randazzo” è nato da una geniale intuizione di un grande pioniere dell’avvocatura cui oggi è dedicato.
Ettore era un riformista pragmatico: capiva che la parità dei ruoli non si poteva imporre per legge ma sarebbe stata raggiunta da un’avvocatura capace di confrontarsi sul piano culturale con magistratura ed Accademia. Sposo’ la teoria dei piccoli passi cominciando dalla condivisione delle regole sulla Cross Examonation. Anni prima nell’Unione (che di lui si è dimenticata) aveva scritto le regole sulle indagini difensive prevedendo per il difensore una rigorosa applicazione delle regole deontologiche.
Senza di lui le difficoltà sono molte ma l’associazione continua a vivere grazie all’abnegazione della moglie Elisabetta, del nuovo presidente Valerio Spigarelli e del coordinatore nazionale Giovanni Sofia. Sperabilmente in autunno si terrà il congresso nazionale da cui ripartire. A mio parere occorre coinvolgere di più le sezioni territoriali come forza propulsiva.
Come avvocato e studioso che da decenni si occupa di logica e di filosofia della scienza e come cittadino attivo e attento ai fenomeni sociologici e politici, quali ritiene che siano le maggiori carenze che la formazione e la pratica dei giuristi italiani presentano al riguardo?
La ringrazio per la considerazione: da modesto fruitore del diritto trovo che ancora l’ambiente dei giuristi sia troppo autoreferenziale e chiuso agli influssi dell’epistemologia e delle scienze sociali.
Secondo me l’avvocato (e più in generale il giurista) oggi deve sapere o almeno essere curioso di economia e di metodo scientifico, essere aggiornato sul progresso scientifico, capire il contesto sociale e politico. Deve avere apertura mentale insomma. Il Diritto è una visione politica e bisogna ragionarci intorno.
Non mi pare che i corsi di studio sulle professioni legali siano sufficientemente aperti, tranne qualche rara eccezione. Il risultato è alla fine un diffuso conformismo, specie nell’avvocatura che pure dovrebbe essere una forza critica contro il potere.
La “manifesta illogicità” della motivazione vizia la sentenza e conduce al suo annullamento (art. 606 lett. e, cod. proc. pen.). Tuttavia, il legislatore non ne definisce la nozione. Se dovesse illustrarne il significato a un suo assistito di cultura media cosa gli direbbe ?
Io sto ancora cercando di spiegarlo a me stesso facendo lo slalom della variegata giurisprudenza sul punto.
Una delle migliori spiegazioni l’ho sentita ad un corso della Sua Scuola Superiore ad opera di Piero Gaeta, magistrato e mente giuridica tra le più brillanti. Il vizio logico e’ la rottura del sillogismo di Aristotele. Proprio quello: Premessa maggiore- minore-sintesi finale
Sbagli uno dei tre ed hai il vizio logico: le faccio un esempio da una esperienza reale.
1- L’affidabilità di una prova scientifica di basa sul metodo, 2- il perito x ha commesso degli errori, 3- il risultato della prova è esatto. E’ evidente che tra le due premesse e la conclusione vi e’ un salto logico. Ciò nonostante l’esempio che le ho fatto è reale: a Sua (e mia) consolazione la Cassazione ha corretto.
Il ricorso alle leggi scientifiche è un dato quotidiano in molti settori della pratica giudiziaria. Quali insidie epistemologiche comporta il loro utilizzo per la ricostruzione di eventi singoli?
Come scrive in un suo bel libro Gaetano Carlizzi (“la valutazione della prova scientifica”) la valutazione di una legge o meglio dire un principio scientifico è un giudizio di affidabilità sul meccanismo di applicazione al caso concreto.
Da Daubert a Franzese a Cozzini abbiamo appreso che non può esserci da parte del giudice una meccanica trasposizione del dato tecnico al giudizio senza una verifica puntuale dei vari passaggi e della correttezza epistemologica. Dunque riproducibilità, percentuale di errore e condivisione della comunità scientifica.
I problemi nascono dalla “maneggiabilita’” di questi concetti ad opera dei giuristi e soprattutto dalla difficoltà di “testare” con regole di valutazioni uniformi le scienze leggere come quelle cognitive.
Un problema, Lei lo sa, che ci appassiona e che ci fa disperare quanto alla sua soluzione perché è legato purtroppo alla soggettività del giudice. Non esiste ancora una legge universale della scienza cognitiva.
Concludiamo con temi para-istituzionali.
Le vicende dei rapporti fra le associazioni dei magistrati e degli avvocati sono state e sono variegate secondo i tempi, i luoghi e i contesti. E’ difficile farne una sintesi… Ma quali realistiche direzioni, possiamo seguire per intensificare la formazione comune e cooperare per un miglior funzionamento delle istituzioni? Inoltre, in questo contesto, quale ruolo attribuire alla magistratura onoraria, oggetto di importanti riforme non ancora completate?
“Vaste programme” ma sintetizzo ritornando all’inizio della nostra chiacchierata , al Lapec di Ettore Randazzo.
Occorre una rivoluzione mentale. Avvocati e magistrati devono sentirsi parte di una unica comunità. Sa quale sarebbe la situazione ideale? Che un giudice come Lei si "sentisse” allo stesso modo con un avvocato come con un pm. Indifferente o accomunato, faccia Lei. Nella realtà non è così . Cerco di far capire ai miei colleghi quanto sia nocivo il senso di inferiorità, e che da parte della migliore magistratura oggi esista un genuino desiderio di conoscere la realtà delle nostre associazioni ed addirittura di crearne di comuni. Questa difficoltà è alla base della realtà incompiuta dei magistrati onorari, impedisce loro di vivere compiutamente la giurisdizione. Ci vuole molto tempo ma io ho fiducia. Penso sarebbe bello per un avvocato poter esercitare la giurisdizione in prima persona per un tratto della sua vita professionale. Solo un periodo limitato, però, perché è importante morire da avvocato.