Diritto e società
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Generazione Z: l’Iran e gli Zoomers, la generazione ignorata

Generazione Z: l’Iran e gli Zoomers, la generazione ignorata

di Maria Teresa Covatta

Nonostante le censure del sistema sappiamo tutti cosa sta accadendo in Iran.

La protesta, a un mese e mezzo dalla morte di Mahsa Amini per mano della polizia morale dilaga ovunque nel Paese, con manifestazioni in tutte le province e con più di 200 città coinvolte (1).

Le notizie delle percosse, delle morti e degli arresti si susseguono incessanti. Secondo la Bbc Persiana Hzana ci sono 248 vittime tra i manifestanti, tra cui 33 minori, migliaia di feriti, 12 mila arresti e più di 300 indagati per cospirazione contro la sicurezza morale (2).

Il 7 Novembre la stampa italiana ha dato notizia dell’ennesima morte provocata dalla polizia (3). Dopo Nika Shakan anche Nasrin Ghadri, secondo l’organizzazione per i diritti umani Hengaw, è morta a causa dei colpi di manganello ricevuti alla testa. Solita repressione e solita susseguente disinformazione per cui la donna in realtà sarebbe stata trovata morta in casa per cause sconosciute.

Si registrano manifestazioni di solidarietà in tutto il mondo, Italia compresa, dove, oltre alle sfilate di piazza, ogni sabato gruppi di manifestanti si raccolgono a protestare davanti all’ambasciata iraniana di via Nomentana. Da ultimo a Berlino circa 80 mila persone hanno sfilato per le strade al grido di Donna, Vita, Libertà.

La morte di Mahsa ha dunque rappresentato una miccia che ha provocato un incendio che il regime degli Ayatollah non riesce a spegnere.

È stata definita la più forte sfida alla leadership clericale (4), ed evidentemente così viene percepita dal sistema visto che  i numeri parlano di una repressione anch’essa senza precedenti. 

L’Iran ha conosciuto in un passato anche recente altre rivolte ma mai, a quanto ritengono studiosi e osservatori, di tale entità e diffusione.

E dunque: perché? Perché ora e perché in queste proporzioni?

Ha provato a spiegarlo in modo che mi pare assolutamente convincente, Maysam Bizaer, iraniano, scrittore e analista di politica e economia del suo Paese, e collaboratore di mezzi di comunicazione iraniani e stranieri (5).

La differenza tra questa  e le precedenti proteste sta nel ruolo preminente giocato nel Paese dalla Generazione Z, conosciuti come Zoomers e meglio ancora come i Dahe Hashitedi, i diciottenni, nati più o meno tra il 1997 e il 2010.

I conti tornano visto che anche fonti governative iraniane confermano che l’assoluta maggioranza dei manifestanti non ha più di 25 anni.

Benchè siano poco più di 6 milioni di  ragazze e ragazzi, meno del 7% di una popolazione di 83 milioni di iraniani e quindi  una parte assolutamente minoritaria della popolazione del Paese,  sono senza dubbio, dice Biraen, gli indiscussi leaders  della protesta attuale.

Le ragioni di questo fenomeno è già scritta nel loro nome: sono la generazione del collegamento interattivo e digitale con il mondo, sono i “digital natives” che grazie allo loro attiva presenza sui social media hanno pieno accesso all’informazione e sanno cosa succede nel mondo interno a loro e fuori dal Paese.

La presenza costante on line ha dato loro capacità analitiche maggiori di quelle mai avute dai loro genitori ma soprattutto ha dato loro un palcoscenico per dar voce ai loro problemi e il coraggio di parlarne chiaramente, esternando i loro interessi o ciò che disapprovano anche quando manifestare le loro idee impatta pesantemente contro la tradizione, il sistema in cui vivono e le red lines dettate da entrambi.

Il risultato sociologico e culturale di tutto questo è che gli Zoomers iraniani tendono a curarsi poco delle tradizioni, proprio come tanti della loro età, in tutte le parti del mondo.

A questo proposito mi viene da pensare al video che in questi giorni sta girando nel web: giovani iraniani, pantaloni stretti, maglietta, giaccone e zaino in spalla, vanno in strada facendo cadere i copricapo indossati da uomini abbigliati secondo tradizione.

Se sia vero che siano così tanti a ripetere questo gesto, come sembrerebbe far intendere il video, poco importa. Sono comunque immagini che traducono plasticamente il considerarsi parte di un mondo globale, il rifiuto di una tradizione opprimente, il diritto di contestare pacificamente l’autorità e la volontà di manifestare tutto questo.

Così come ne è testimonianza tagliarsi pubblicamente i capelli, scendere tutti in piazza, donne e uomini, radunarsi a centinaia davanti al cimitero di Saqqez dov’è sepolta Mahra Amini per commemorarne i 40 giorni dalla morte, continuando a protestare nonostante la repressione e le dichiarazioni dell’establishment sulla necessità di rafforzare i valori islamici anche attraverso il controllo dello Stato sull’Internet e sui social. L’emanazione  del cosiddetto Internet Protection Bill , una sorta di manuale sull’uso “moralmente consentito” di internet ne è un esempio.   

Come già detto, le pubbliche esternazioni dei giovani iraniane non sono nuove.

Già in passato ve ne erano state in contesti del tutto straordinari per l’usuale modo di essere della società iraniana. Già nel 2014 avevano occupato la scena quando in decine di migliaia si erano riuniti per i funerali di una famosa pop star, con una partecipazione massiva che in Iran era concepibile solo per eroi nazionali o figure religiose di spicco; o quando, nel 2016, centinaia di studenti  festeggiarono  la fine della scuola superiore in un Mall di Teheran.

Anch’esse represse con violenza, queste manifestazioni, pur non avendo una chiara  valenza politica, già palesavano la voglia di prendersi una  libertà non consentita dal sistema.

In questo senso può dirsi le precedenti proteste rappresentano un antecedente logico della protesta attuale che, tuttavia, sembra essere qualcosa di più e portare  profonde e  interessanti novità.

Molti osservatori, sulla scorta di studi condotti sia da istituti accademiche stranieri sia da istituzioni politiche iraniane, avevano ammonito sui rischi che avrebbe comportato per il sistema sommare alla profonda, latente e mai sopita insoddisfazione politica, economica e sociale, un nuovo catalizzatore di tensioni e cioè il profondo gap generazionale.  Come dicevamo, la miccia dell’incendio.

Diversamente dai loro genitori questi giovani, entrando in massa nelle università grandi o piccole del Paese, usando le loro diverse e nuove abilità per influenzare e portare cambiamenti, ponendosi domande differenti e condividendo tra loro punti di vista e modi di comportarsi, infine usando linguaggi e metri di giudizio diversi da quelli dei loro governanti, sono  pronti per “trasformare tutto” e  lo faranno (6)

La predizione potrebbe essere sul punto di avverarsi.

Persino la stampa conservatrice e filo governativa  iraniana, già nel 2019, prevedeva che questi giovani, nella gran parte dei casi ignorati dal sistema, con le loro vedute pluralistiche, avrebbero presto potuto rappresentare una spina nel fianco per il sistema stesso che non avrebbe avuto la possibilità di controllarli come accaduto con le generazioni precedenti.  Ed è quello che sta accadendo.

Ma c’è – persino- di più. Stando alle fonti citate la Generazione Z sta riuscendo a segnare un altro goal, assolutamente imprevedibile solo pochi anni fa, guadagnandosi la comprensione e, pare, la condivisione almeno di parte dei loro genitori e delle generazioni precedenti.

Se così fosse il danno temuto dal sistema sarebbe molto più grave del previsto.

Le reazioni dell’establishment a fronte della rivolta sono state più o meno quelle di sempre: l’abbiamo già detto, oltre a percosse talora mortali, arresti e incriminazioni il blocco dell’accesso a Internet, a molti social media quali Instagram e WhatsApp e persino ad alcuni giochi on line.

A ciò si aggiunge il tentativo di isolarli, descrivendoli come anarchici o unethical, portatori di valori antitetici a quelli della rivoluzione islamica.

Persino, si apprende dall’articolo di Bizaer, immettendo nel mercato musicale del Paese, una canzone pop dal titolo ben chiaro di Hello Commander.

Dimendicando  o ignorando che il concetto di musica pop di regime è un ossimoro.

E che i segnali chiari e forti non vanno mai  sottovalutati anche quando provengono da generazioni “ignorate”.

Nulla nasce dal nulla, meno che mai le rivoluzioni. 

 

(1) Corriere della Sera 6.11.22

(2) Fonte ISPI  3.11.22 

(3)  Fabiana Magrì : un’altra Mahsa Amini a Teheran. La Stampa 7.11.22

(4) The Economist 12.10.22

(5) Iran’s rising Generation Z at the forefront of protest

(6) Saeed Razavi Faquir. Ensal News 7.12.2016 : The Eighties (Generation Z) will pass everyone.

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