Diritto e società
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​Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, l’Europa e noi

Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, l’Europa e noi

di Maria Rosaria Marella 

1. Roe v. Wade[1] appartiene alla storia americana, ma non solo. È stato come l’epicentro di un movimento tellurico che ha cambiato (per sempre) la vita delle donne e la cultura giuridica occidentali. Attorno e in seguito a quella decisione si sono prodotte svolte nel diritto europeo – dalla sentenza della Corte costituzionale italiana del 1975[2] alla parziale depenalizzazione realizzata dalla legge tedesca del 1976, fino alla nostra legge 194/78 - che hanno riguardato tutte noi. E dunque Roe è anche parte della nostra storia. E il suo overruling non ci riguarda solo come mero fatto di cronaca e neppure come un episodio (infelice) nella storia della cultura giuridica americana.

D’altra parte che Dobbs minacci di proiettare la sua ombra lugubre sulle vite delle donne di larga parte del nord globale è dimostrato dalla pronta reazione del Parlamento europeo, che in una risoluzione approvata con una larga maggioranza pochi giorni dopo la pubblicazione di Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization ha chiesto che l’accesso all’aborto sia garantito dall’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea con la seguente formula “ogni persona ha diritto all’aborto sicuro e legale”[3]. Le preoccupazioni del Parlamento europeo non nascono peraltro solo dalla sortita della Corte Suprema statunitense, ma sono ingenerate anche dal deterioramento della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne in alcuni paesi dell’Unione.

E dunque, proprio a partire da Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, o meglio, dall’overruling di Roe v. Wade, sarebbe interessante un esercizio di geopolitica del diritto che mappi il dislocarsi dei diritti e delle libertà, a cominciare da quelle concernenti la sfera della sessualità, nelle diverse regioni del globo. 

In questo senso è utile, innanzitutto, inquadrare la vicenda Dobbs nella sua specificità di ‘storia americana’. E vale la pena di ricordare il contesto in cui l’overruling di Roe v. Wade si colloca, prima ancora di ricostruire il contesto in cui Roe, come precedente giurisprudenziale, era maturato. Poiché l’esito di questa storia americana si iscrive in un quadro di vera e propria secessione politica. Non è infatti solo l’autodeterminazione riproduttiva delle donne a essere in gioco. Anzi è possibile che l’aborto non sia altro che lo scalpo – il più prestigioso e il più caro al nemico - da esibire a chi si vuole sconfiggere su terreni ulteriori. Che riguardano i diritti civili ma non solo. La stessa Corte due giorni prima aveva dichiarato incostituzionale la legge dello stato di New York - uno stato blu, democratico - volta a limitare l’uso delle armi[4]. Una settimana dopo restringe i poteri presidenziali in tema di emissioni delle centrali elettriche a carbone, quasi a voler cancellare il tema del global warming dall’agenda politica nazionale[5]. Invero il quadro che superficialmente si avesse degli Stati Uniti quale realtà politica tendenzialmente unitaria non è affatto realistico, come la plastica distinzione, geografica innanzitutto, fra stati rossi e stati blu evidenzia. E la strategia della Corte Suprema sembra esattamente mirata a universalizzare l’orientamento politico degli stati rossi radicalizzatosi con l’avvento di Trump, estendendolo all’intera nazione. Il vero tema in Dobbs non è infatti una legge restrittiva del Mississippi da salvare, ma la risposta da dare a ben 26 stati – rossi – che espressamente chiedevano alla Corte l’overruling di Roe e Casey. E se è nota la divergenza fra stati rossi e stati blu in tema di aborto e di armi, è forse meno noto che i diritti di famiglia di stati rossi e stati blu divergono sensibilmente, tanto da legittimare la contrapposizione fra Red Families, maggiormente conformi a valori religiosi e patriarcali, e Blue Families, egalitarie e libertarie, e segnare una distanza profonda nello statuto della cittadinanza delle statunitensi a seconda di dove geograficamente locate[6]. Infine poco si sa in Europa delle legislazioni statali già in vigore o in corso di approvazione che vietano l’insegnamento nelle scuole statunitensi della Critical Race Theory – con questo termine intendendosi in realtà un resoconto accurato della storia americana della schiavitù, delle discriminazioni razziali e del razzismo nelle sue espressioni passate e presenti[7].

In questo scenario, già estremamente conflittuale e profondamente segnato in termini di genere, razza e classe (la stessa negazione del caos climatico ha e avrà un pesante impatto sociale sul terreno dell’environmental justice) l’agenda politica che la Corte Suprema sta riscrivendo avrà come saldo il sacrificio (ulteriore) dei diritti delle soggettività minoritarie.

A ben vedere un analogo schema, negli USA plasticamente reso dalla contrapposizione rossa/blu, è ravvisabile in Europa - come la risoluzione del Parlamento europeo del 7 luglio scorso evidenzia - e in altre parti del mondo. Che i diritti riproduttivi e l’autodeterminazione nella sfera sessuale siano sotto attacco è una realtà dimostrata anche dalle lotte femministe in corso in varie regioni del globo. L’intreccio fra libertà economiche, diritti del mercato e diritti fondamentali della persona, da una parte, e aspirazioni egalitarie e modernizzatrici v. pulsioni sovraniste, dall’altra, è un tema caldissimo, di cui Dobbs è un segnale importante ma non certo l’unico.

Come ha notato Paul B. Preciado, in gioco è innanzitutto il dominio delle tecnologie del corpo quale punta avanzata della libera costruzione della sfera di autodeterminazione di ciascun@, ovvero del controllo biopolitico sulle soggettività, in particolare minoritarie[8]. Ed è proprio questo il fronte di attacco di Dobbs. Che per la verità di corpo femminile neppure parla, seppellendolo sotto una fitta coltre di esasperato legalismo. Nulla della delicatezza, dell’umanità, a tratti del lirismo dell’argomentare di Roe è presente nell’opinione della Corte. Che è ormai nota. Rifacendosi alla dottrina dell’original intent il giudice Alito, estensore della decisione, rigetta l’operazione evolutiva posta in essere da Roe v. Wade qualificandola come clamorosamente sbagliata. L’argomento originalista è fondamentalmente che i diritti che nella costituzione americana non sono espressamente nominati - e il diritto ad abortire non lo è - hanno copertura costituzionale attraverso la clausola del due process ovvero l’equal protection clause del XIV Emendamento, solo laddove essi siano profondamente radicati nella storia e nella tradizione della nazione. Per dimostrare il contrario Alito percorre a ritroso il diritto americano fino a risalire Bracton (XIII secolo) cioè alle origini del common law (inglese) e giunge alla determinazione che l’aborto storicamente è sempre stato considerato un crimine; ed è stato tale fino, appunto, alla decisione, arbitraria, di Roe. Un risultato, questo, raggiunto nello specifico dopo una lunga rassegna delle leggi penali sull’aborto in vigore dall’epoca in cui il XIV Emendamento fu approvato, nel 1868, fino al 1973[9]. Che la profondità storica della ricostruzione di Alito sia fallace lo evidenzia non solo la considerazione che l’aborto fosse tendenzialmente vietato in osservanza di politiche demografiche allora in vigore in tutto l’Occidente e non per scelte d’ordine morale. Ma soprattutto non si tiene in alcun conto lo stretto legame tra la percezione della riproduzione umana e la condizione giuridica della donna in quella fase storica (poiché le donne, lo abbiamo detto, in Dobbs non esistono): nel common law tradizionale i coniugi erano considerati una sola persona e questa persona era il marito, nella cui sfera legale si dissolveva l’esistenza giuridica della moglie (coverture) [10]. Una condizione, questa, che muta assai lentamente, a cominciare dall’approvazione nel Regno Unito del Married Women’s Property Act del 1882 - che riconosce capacità di disporre alle donne coniugate - ma che permane in seno all’istituzione familiare per molti decenni in tutto l’Occidente, se solo si pensa che la Costituzione italiana del 1947 s’incarica di declamare all’art. 29 l’uguaglianza giuridica e morale (!) dei coniugi.

La conclusione cui per questa via giunge la Corte è che la questione dell’aborto non ha dignità costituzionale e deve tornare a essere decisa dai legislatori statali, anzi dal popolo, “the people of the various States”, come enfaticamente afferma Alito. Con ciò la controrivoluzione della Corte Roberts giunge al suo climax: è la “dittatura della maggioranza” che deve governare le vite; della costruzione della sfera intima e personale di ciascun@ devono ora decidere gli elettori. E con ciò in apparenza Dobbs porta a termine la sua missione, che è quella di ‘registrare’ il ruolo della Corte al fine di evitare l’arroganza del raw justice power di cui è accusato Roe, garantire la ‘sovranità’ popolare contro lo strabordare della funzione giurisdizionale, limare i tecnicismi dello stare decisis senza mai planare sulla materialità della vita che la questione dell’aborto involge.

Ma alla neutralità dei tecnicismi non è lecito credere. Il tentativo messo in campo –  foriero di ulteriori, distopici sviluppi, come suggerisce il giudice Thomas nella sua concurring opinion –  è quello di azzerare la rivoluzione democratica iniziata dalla Corte Warren nel 1965 con il caso Griswold v. Connecticut[11], quando l’autonomia riproduttiva e, più in generale, la sessualità fanno ingresso di prepotenza nella sfera di rilevanza costituzionale. Da allora l’uso del e il controllo sul proprio corpo si pongono al centro di alcune fondamentali decisioni della Corte Suprema degli Stati Uniti destinate ad avere ampia eco in Europa e nel resto dell’Occidente. È un’elaborazione condotta dalla Corte sin dai primi anni ’60, in virtù della quale la libera espressione della sessualità viene ad essere identificata con il nucleo duro di quel diritto all’autodeterminazione che si assume garantito dal XIV Emendamento, e la tutela della (constitutional) privacy, in tal modo realizzata, si tinge di caratteri apertamente countermajoritarian. Proprio quanto l’interpretazione originalista di Dobbs e la sua (possibile) onda lunga rischia di travolgere.

A partire da Griswold v. Connecticut, la Corte respinge sistematicamente i tentativi delle legislazioni statali di incidere sull’atteggiarsi delle relazioni personali a carattere sessuale. In Griswold, in particolare, è l’idea che lo stato possa decidere al posto dell’individuo che i rapporti sessuali che intrattiene all’interno del matrimonio debbano avere esclusivamente scopo riproduttivo ad essere rifiutata con forza dalla corte, la quale, pertanto, giudica illegittimo il divieto, penalmente sanzionato, di far ricorso alla contraccezione per le coppie sposate. Successivamente il principio sarà esteso anche alle relazioni sessuali fuori dal matrimonio[12]. L’orientamento giunge al suo culmine proprio con Roe v. Wade, quando la libertà di costruzione della sfera di libertà individuale si dilata fino a ricomprendere il diritto della donna di interrompere la gravidanza indesiderata. Come ha sottolineato Duncan Kennedy, con la giurisprudenza costituzionale che va da Griswold a Roe si produce un’accelerazione nella riscrittura dell’agenda politica in materia di family law voluta dalle élite liberal e femministe, particolarmente influenti negli stati roccaforte del partito democratico. Più precisamente la Corte Suprema in quella stagione asseconda e sostiene un cambiamento culturale che la forza della politica da sola non era in grado di imporre[13]. Ma nella giurisprudenza Warren e con Roe c’è di più. Il corpo e la sessualità si coniugano alla costruzione giuridica della sfera privata come ambito distinto e contrapposto alla sfera di dominio del pubblico potere; abitudini sessuali e scelte procreative individuali divengono il nucleo costituzionale del diritto di privacy e prendono il posto della proprietà privata nel ridefinire la dicotomia pubblico/privato propria dei regimi liberali. All’avere, perno del binomio proprietà/libertà, si sostituisce la sfera intima individuale e la sua libera costruzione.

La libertà di autodeterminazione diviene allora centrale nella grammatica dei diritti, baluardo contro le intromissioni dello stato nella sfera privata dei cittadini, e la sua tutela, nella veste di constitutional privacy, è giocata in funzione antiautoritaria contro ogni tentativo di imposizione al singolo di valori fatti propri dalla legislazione statale, quand’anche condivisi dalla maggioranza dei cittadini[14].

L’autodeterminazione in tal modo declinata, lungi dal riguardare aspetti considerati marginali nella vita e nel diritto, perché ‘intimi’, acquista un ruolo centrale nella dottrina della Corte: per essa la privacy è penumbra, vive cioè nella penombra di tutti i diritti e le libertà garantiti dalla costituzione americana, ne costituisce il presupposto necessario, poiché non si dà effettivo esercizio di un diritto se non è garantita la libertà di autodeterminazione[15]. E questa autodeterminazione passa appunto per il corpo.

Questo motivo sarà ulteriormente precisato In Planned Parenthood v. Casey una decisione successiva ancora in tema di aborto, quando la Corte affermerà a chiare lettere la sua missione, salvaguardare le libertà di ognun@, a prescindere dalle convinzioni morali che possono muovere i singoli componenti (della maggioranza) della Corte. Non è esattamente quanto pensa di dover fare ora la Corte Roberts. Al contrario l’operazione di smantellamento della libertà di autodeterminazione va ben oltre Roe, intende travolgere l’intero impianto dottrinale che la sostiene sino a Griswold, al principio, affermato con forza in quella sentenza, che la constitutional privacy sia sottaciuta nel Bill of Rights americano non in quanto estranea al tessuto costituzionale, ma al contrario in quanto “penumbra”, presupposto e condizione dell’esercizio di ogni altro diritto costituzionale. È piuttosto logico che rimuovendo quella pietra angolare l’intero edificio sia destinato a crollare.

Se ciò non avverrà sarà forse per ragioni di convenienza, ad esempio, perché far cadere la libertà costituzionale di autodeterminazione sui contraccettivi significherebbe mettersi in aperto conflitto con Big Pharma. O invece perché solide alleanze intersezionali fra le soggettività colpite o minacciate dalla controrivoluzione tentata con Dobbs saranno in grado di fermarla[16].

2. L’orientamento statunitense in tema di constitutional privacy ha fatto breccia anche di qua dell’oceano e sviluppi analoghi hanno caratterizzato l’applicazione da parte della Corte di Strasburgo dell’art. 8 CEDU (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) sin dai primi anni Ottanta[17], con il risultato di garantire la tutela dell’autodeterminazione in materia di orientamento sessuale ben prima della Corte Suprema degli Stati Uniti[18]. Più di recente, la Corte di Strasburgo ha coniato il concetto di autonomia personale, di cui la libertà sessuale sarebbe parte integrante: su questa base è stata affermata l’illegittimità dell’interferenza statale, e, segnatamente, dell’intervento del diritto penale, anche rispetto a pratiche sadomasochiste estreme e particolarmente cruente, purché poste in essere in privato e con il consenso della ‘vittima’[19].

Vero è che l’irresistibile ascesa della constitutional privacy nel diritto statunitense aveva subito una pesante battuta d’arresto nella seconda metà degli anni ’80, di fronte allo scoglio del riconoscimento della libertà di coltivare pratiche erotiche connesse all’orientamento sessuale[20]. In quella circostanza la Corte affermò che la libertà di autodeterminazione non poteva prevalere sulla tradizione, sul comune sentire, ché la sodomia era tradizionalmente perseguita penalmente nella maggior parte degli Stati e non ricadeva sotto l’ombrello protettivo del XIV Emendamento. Tale scoglio sarà superato solo all’inizio del nuovo millennio, con una storica decisione che coniuga l’affermazione della libertà di autodeterminazione in materia sessuale al valore della dignità umana[21].

Il rispetto della dignità sarà un punto qualificante anche in Obergefell[22], la famosa decisione della Corte Suprema in tema di same sex marriage che accoglie l’idea, già fortemente affermata dall’ala pro-marriage del movimento LGBT+, che il matrimonio per le soggettività non eteronormate sia in sé dignifying. Ma un riferimento alla dignità è anche in Gonzales, primo temutissimo caso sull’aborto deciso dalla corte Roberts[23]. E qui la dignità è riferita al feto. Così come in vari passaggi in Dobbs, in cui la dignità sembra diventare una prerogativa della vita prenatale.

La svolta della Corte Suprema nella relazione che viene a determinarsi fra autodeterminazione e dignità, ancora nelle sue ultime sortite liberal, merita una breve riflessione conclusiva che gioverebbe ulteriormente sviluppare. Come si è detto, l’autodeterminazione sul corpo si è prefigurata da Griswold in poi nel diritto occidentale come un formidabile veicolo di emancipazione e liberazione sessuale perché, pur nei limiti del bilanciamento con altri interessi, nella constitutional privacy si iscrive una sostanziale insindacabilità delle scelte sul corpo. La matrice antiautoritaria di questa costruzione giuridica, come abbiamo detto, porta a una riscrittura dei rapporti pubblico/privato, cittadino/stato, dove i diritti riproduttivi e il controllo sul proprio corpo demarcano la sfera di intervento dello stato un tempo delimitata dal diritto di proprietà. Il principio del rispetto della dignità umana ha tutt’altra vocazione. La dignità è tale perché appartiene al genere umano e implica invece sempre una valutazione collettiva, una scelta di valore condivisa in merito alla stessa definizione di ciò che è degno[24].

Ma il dominio delle tecnologie del corpo, se deve essere architrave dello statuto della cittadinanza contro ogni montante autoritarismo, non può che comportare un margine individuale di insindacabilità. Ed allora sembra corretta la scelta del Parlamento europeo contenuta nella risoluzione del 7 luglio scorso, di reclamare il riconoscimento del diritto all’aborto legale, sicuro (e gratuito) all’interno dell’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dedicato al rispetto della vita privata e della vita familiare, nel Capo II, intitolato alla libertà.

3. Proprio a quest’ultimo proposito, appaiono necessarie alcune ulteriori considerazioni conclusive, di carattere generale, che investono direttamente il tema dell’autodeterminazione riproduttiva femminile per come esso potrebbe atteggiarsi sulla scorta di Dobbs anche di qua dell’oceano.

Una prima notazione muove dal registro prescelto da Dobbs. Nell’opinione della corte – come accennato – non si fa mai diretto riferimento alle donne, come se non fosse di un loro diritto che si discetta e come se il tenore del decisum non fosse destinato ad avere un impatto enorme sulle loro vite. Women compare nella intestazione del caso (Dobbs v. Jackon’s Women Health Organization), nient’altro. Ricorre invece il riferimento all’unborn human being e largo spazio nell’argomentare è dedicato al tema della vitalità del feto, il c.d. quickening. Ciò che ha una sua suggestività, al di là del registro della decisione, marcatamente tecnico sul piano sia medico sia giuridico. Tanto non stupisce. Come sempre nelle posizioni antiabortiste, la donna o è l’antagonista, l’avversaria da neutralizzare, o non esiste affatto. E in Dobbs, in effetti, non esiste. Ora, sulle ricadute di questo approccio è opportuno un chiarimento, anche a beneficio del dibattito che va prefigurandosi in Italia e in Europa sotto il vessillo dei movimenti pro-life. Il diritto funziona secondo meccanismi suoi propri che tendono a emanciparsi dai codici morali che possano eventualmente ispirarlo. Se la lezione di Casey[25] (“Our obligation is to define the liberty of all, not to mandate our own moral code”) non è (più) nelle corde della Corte Suprema e dei suoi possibili epigoni overseas, resta il fatto che personificare il feto (o l’embrione, o il concepito, o il nascituro a seconda della terminologia invalsa nel dibattito pro-life) o attribuire alla vita prenatale dei diritti, indefettibilmente configura la gestazione come un potenziale conflitto fra due soggetti, la madre e il concepito. Anche in considerazione della forza dirompente acquistata negli ultimi decenni dal principio del best interest of the child in tutte le giurisdizioni del nord globale, nazionali e sovranzionali, non solo l’interruzione volontaria della gravidanza, ma lo stesso controllo sul proprio corpo sarebbero per motivi evidenti sottratti alla gestante. Quali comportamenti potenzialmente ‘a rischio’ per il feto (fumo, sesso, guida di autoveicoli, sport, ecc.) sarebbero da considerare leciti? Quali dovrebbero essere inibiti alla futura madre? Letta con gli occhi del diritto, la quotidianità di una gravidanza si risolverebbe in una sequela di ipotesi di conflitto d’interessi fra la gestante-donna e la gestante-madre. E chi allora dovrebbe rappresentare gli interessi del feto? L’istituto del curator ventris tornerebbe improvvisamente d’attualità[26]. Non c’è dubbio che in questa direzione portino iniziative recenti, come l’ICE enfaticamente intitolata “Uno di noi”, che la Commissione europea ha sostanzialmente respinto[27].

Un secondo ordine di considerazioni discende dall’approccio originalista che si dispiega in Dobbs e che – come Justice Thomas preannuncia nella sua concurring opinion - finirà per travolgere l’intera costruzione della constitutional privacy inaugurata con Griswold v. Connecticut nel 1965. Alla luce di quanto abbiamo detto sin qui, è necessario chiedersi se sia possibile e se sia opportuno espungere la libertà individuale di autodeterminazione sul proprio corpo dalla costituzione. E se sia possibile e opportuno che ciò avvenga in un sistema federale, con il dichiarato intento di restituire la competenza a deciderne agli stati, cioè alle maggioranze politiche contingenti che di volta in volta prendano corpo nei singoli parlamenti statali. Il punto ci riguarda da vicino poiché le analogie col caso italiano sono maggiori di quanto di primo acchito non sembri. Sin dalle anticipazioni circolate qualche mese addietro con riguardo alla c.d. bozza Alito, non poche voci si sono levate in Italia per reclamare una revisione della legge 194 del 1978[28]. Come ho premesso, l’ombra lunga di Dobbs non tarderà a dispiegarsi nel dibattito nostrano e con tutta probabilità avrà il sapore di uno sdoganamento delle posizioni più apertamente anti-abortiste. Una delle possibili prospettive in questa direzione è quella di negare alle donne il diritto all’accesso alla IVG, nei termini definiti dalla l. 194, attraverso una lettura restrittiva del bilanciamento salute della donna/tutela della vita prenatale contenuto nella legge o, più probabilmente, con la modifica della legge stessa, per lasciare ai singoli servizi sanitari, regione per regione, la decisione sul se e come garantire la prestazione. Uno scenario non troppo dissimile da quello attuale, come noto caratterizzato da un’accentuata disomogeneità di garanzie fra regione e regione, dovuta tanto alla diversità di regimi nella somministrazione della pillola abortiva RU 486, quanto alla differente incidenza dell’obiezione di coscienza. Ma la sua formalizzazione in una legge nazionale è altra cosa. E proprio in Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization sembra ora cercare la sua legittimazione.

 

[1] 410 U.S. 113 (1973). Si veda anche il caso gemello Doe v. Bolton, 410 U.S. 179 (1973).

[2] Corte cost., 18 febbraio 1975, n. 27.

[3]  Risoluzione del Parlamento europeo del 7 luglio 2022 sulla decisione della Corte suprema statunitense di abolire il diritto all'aborto negli Stati Uniti e la necessità di tutelare il diritto all'aborto e la salute delle donne nell'UE (2022/2742(RSP)).

[4] New York State Rifle & Pistol Association, Inc. v. Bruen, 597 U.S., (2022).

[5] West Virginia v. Environmental Protection Agency, 597 U.S., (2022).

[6] Cfr. N. Cahn e J. Carbone, Red Families v. Blue Families. Legal Polarization and the Creation of Culture, Oxford University Press, 2010.

[7] Cfr. Du. Kennedy et al., Sostieni la libertà accademica negli Stati Uniti. Fermiamo gli attacchi alla Critical Race Theory, Riv. crit. dir. priv., n. 1/2022, p. 109 ss.

[8] V. G. Merli, Preciado: «Fanno di tutto per fermare la rivoluzione in atto», ne Il manifesto, 26 giugno 2022.

[9] In realtà nel 1959 l’American Law Institute elaborò uno schema di legislazione per depenalizzare l’aborto in determinati casi, per esempio i casi di aborto terapeutico, che già venivano praticati in molti ospedali. Almeno 13 stati accolsero questo schema di legislazione già prima del 1973 e in alcuni di essi le leggi adottate erano più permissive di quanto prescritto in Roe.

[10] Questa doctrine è ben esplicata da W. Blackstone, Commentaries on the Laws of England, 1770, Vol.I, p. 442: “the very being or legal existence of the woman is suspended during the marriage, or at least is incorporated and consolidated into that of the husband: under whose wing, protection, and cover, she performs every thing; and is therefore called in our law-french a feme-covert, femina viro co-operta; is said to be covert-baron or under the protection and influence of her husband, her baron, or lord; and her condition during her marriage is called her coverture. Upon this principle, of an union of person in husband and wife, depend almost all the legal rights, duties, and disabilities, that either of them acquire by the marriage”.

[11] Griswold v. Connecticut, 381 U.S. 479 (1965).

[12]  Eisenstad v. Baird 405 U.S. 438 (1972).

[13] Du. Kennedy, Consciousness, Doctrine, and Politics in the History of American Family Law. Harvard Public Law Working Paper No. 21-40. 

[14] Sia consentito il rinvio a M.R.Marella, I diritti civile fra laicità e giustizia sociale, in Diritto e Democrazia nel pensiero di Luigi Ferrajoli, a cura di S. Anastasia, Torino, Giappichelli, 2011, p. 45 ss.

[15] Antonio Baldassarre, divenuto giudice della Corte costituzionale italiana dopo aver studiato l’elaborazione dottrinale della privacy ad opera della Corte Suprema statunitense, importa quello stesso modello con una serie di sentenze in cui si riproduce l’idea della penumbra (Corte cost., 14 gennaio 1991, n. 13, in Foro It., 1991, 1, 365; Corte cost., 19-12-1991, n. 467, in Giur. It., 1992, I,1, 630; Corte cost., 22 giugno 1992, n. 290, in Foro It., 1992, I, 3226 con nota di Colaianni; Corte cost., 11 marzo 1993, n. 81, in Foro It., 1993, I, 2132; Corte cost., 28 luglio 1993, n. 343, in Giur. It., 1994, I, 176; Corte cost., 31 marzo 1994, n. 108, in Giur. It., 1994, I, 362.). Della constitutional privacy all’italiana non è altrettanto chiara, tuttavia, la vocazione antimaggioritaria: dalla giurisprudenza Baldassarre emerge piuttosto l’idea che l’autodeterminazione si nutra dell’insieme dei valori che sottendono la carta costituzionale e sia dunque tale da far emergere ciò che in essa è implicito. Ma altre voci in dottrina individuano più chiaramente nella privacy un argine contro l’imposizione di valori dominanti (cfr. A. Cerri, voce Riservatezza, Enc. giur. Treccani, Roma, 1995).

[16] L’influenza dei movimenti sociali sugli orientamenti della Corte Suprema è messa a tema in una ricca letteratura statunitense. Cfr. fra gli altri: Reva B. Siegel, Constitutional Culture, Social Movement Conflict and Constitutional Change: The Case of the De Facto ERA, 94 CALIF. L. REV. 1323 (2006); Jack M. Balkin, How Social Movements Change (or Fail to Change) the Constitution: The Case of the New Departure, 39 SUFFOLK U. L.REV. 27, 52 (2005)

[17]  Cfr. G. Marini, La giuridificazione della persona. Ideologie e tecniche nei diritti della personalità, in Riv. dir. civ., 2006, I, p. 359 ss.

[18] Dudgeon c. Regno Unito, decisione del 22 ottobre 1981, serie A n. 45, 18, § 41.

[19]  Corte Europea dei diritti dell’uomo, 17 febbraio 2005, K.A. e A.D. c. Belgio, di cui può leggersi il commento - decisamente critico, ancora una volta giocato sul rispetto della dignità umana – di M. Fabre-Magnan, Le sadisme n’est pas un droit de l’homme, Dalloz, 2005, 2973.

[20]  Bowers v. Hardwick, 478 U.S. 186 (1986).

[21]  Lawrence v. Texas, 539 U.S. 558 (2003), su cui v. da noi V. Barsotti, Privacy ed orientamento sessuale. Una storia americana, Torino, Giappichelli, 2005.

[22] Obergefell v. Hodges, 576 U.S. 644 (2015).

[23] Gonzales v. Carhart, 550 U.S. 124 (2007) su cui cfr. A. D’Angelo, Ai confini della libertà. La !Corte Roberts” e un principio da erodere, in RCDP, 2007, p. 713.

[24] C. M. Mazzoni, Quale dignità? Il lungo viaggio di un’idea, Firenze, 2019; G. Resta, La disponibilità dei diritti fondamentali e i limiti della dignità (note a margine della Carta dei Diritti), in Riv. dir. civ., n. 6/2002, p. 801 ss.; M. R. Marella, Il fondamento sociale della dignità umana. Un modello costituzionale per il diritto europeo di contratti, in Riv. cri. dir. priv., n. 1/2007, p. 67 ss.

[25] Planned Parenthood v. Casey, 505 U.S. 833 (1992).

[26] Fra le proposte di modifica dell’art. 1 del codice civile volte a estendere la capacità giuridica al concepito si veda ad es. PDL Volontè del29 aprile 2008.

[27] COM (2014) 355 final. In tema cfr. M. Mori, La 3° Marcia per la Vita e l’iniziativa “Uno di noi”: risveglio del prolifeismo o segno di passatismo?, in Bioetica, 1/2013, p. 5. Sulla comunicazione della Commissione si è innestata poi una vicenda giudiziaria conclusasi con la condanna alle spese dei cittadini promotori: Patrick Grégor Puppinck e a. contro Commissione europea, Causa C-418/18 P (Corte di Giustizia Ue, Grande Sezione, sentenza del 19 dicembre 2019).

[28] Si veda ad es. G. Razzano, A proposito della bozza Alito: l’aborto è «una grave questione morale» e non un diritto costituzionale, in Giustizia Insieme, 24 giugno 2022, al link https://www.giustiziainsieme.it/it/attualita-2/2379-a-proposito-della-bozza-alito-l-aborto-e-una-grave-questione-morale-e-non-un-diritto-costituzionale.

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