Diritto e società
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L’invasione dell’Ucraina e il rischio nucleare. Intervista di Giuseppe Amara a Francesca Giovannini

L’invasione dell’Ucraina e il rischio nucleare. Intervista di Giuseppe Amara a Francesca Giovannini

Francesca Giovannini, docente della Harvard University, direttrice esecutiva del Project on Managing the Atom presso il Belfer Center. Esperta di relazioni internazionali, con un focus di studio sul ruolo assunto dalle potenze regionali negli accordi di non proliferazione nucleare e nelle politiche di contrasto (alla proliferazione). Laureata all’Università degli Studi di Bologna, ha conseguito due master all’Università della California ed un dottorato di ricerca all’Università di Oxford. Ha iniziato la sua carriera lavorando per il Ministero degli Esteri italiano, per poi collezionare importanti collaborazioni con il Comprehensive Nuclear Test Ban Treaty Organization (CTBTO), l’O.N.U., lavorando inoltre, per cinque anni, presso l’American Academy of Arts and Sciences di Boston come Direttore del Programma di Ricerca sulla Sicurezza Globale e gli Affari Internazionali.

Giuseppe Amara: Professoressa Giovannini, buon pomeriggio. Abbiamo ascoltato le Sue interviste sui possibili scenari che secondo Lei possono profilarsi nel conflitto Ucraina-Russia. Quanto questa previsione si basa sulla Sua pregressa esperienza internazionale nell’ambito dei programmi di ricerca sulla sicurezza mondiale ai quali Lei ha partecipato?

Francesca Giovannini: È una domanda complessa. La mia valutazione dei possibili rischi di uso di armi non convenzionali (anche tattiche nucleari) nel conflitto in Ucraina deriva in parte da precedenti storici importanti e in parte dalla mia esperienza diplomatica. Mi spiego meglio. Se guardiamo alla storia dei rischi nucleari, vediamo che in altri conflitti, paesi con armi atomiche hanno minacciato il loro uso per portare a conclusione il conflitto a loro vantaggio. L’amministrazione Eisenhower per esempio contemplò l’utilizzo di armi atomiche nel conflitto coreano per scoraggiare l’intervento della Cina. Israele nella famosa guerra dello Yom Kippur nel 1973 minacciò esplicitamente l’uso di armi nucleari per deterrenza nei confronti dell’invasione delle truppe arabe. In questi conflitti, tuttavia, i paesi con armi atomiche sono riusciti poi a prevalere con armi convenzionali e senza il ricorso alle armi nucleari. Abbiamo avuto altri conflitti che hanno coinvolto paesi con armi atomiche – l’Unione Sovietica in Afghanistan e l’America in Iraq – dove i paesi con arsenali atomici alla fine sono stati sconfitti ma non hanno fatto ricorso alle armi atomiche. A mio avviso la fondamentale differenza fra l’Ucraina oggi e l’Afghanistan del 1979 é l’importanza strategica che il paese riveste agli occhi del paese aggressore (e possessore di armi atomiche). Se l’obiettivo é fondamentale e considerato indispensabile, il rischio che si utilizzino armi atomiche cresce esponenzialmente. Poi un ultimo commento sulla Russia. Ho lavorato tanto con gli esperti nucleari russi. La Russia ha una straordinaria comunità di scienziati e di esperti tecnologici. Già da qualche anno, la dottrina difensiva della Russia prevedeva un ruolo molto centrale per l’arsenale atomico in parte per supplire all’inferiorità convenzionale nei confronti della NATO. L’ucraina ha messo in evidenza grandissime lacune logistiche, operative e di strategia della Russia. Temo che proprio per supplire a queste mancanze la Russia aumenterà ancora di più la sua dipendenza dalla deterrenza nucleare.

Giuseppe Amara: In base ai Suoi approfondimenti è ipotizzabile la conclusione in tempi brevi del conflitto?

Francesca Giovannini: No, per diversi motivi. Putin in questo momento non ha nulla su cui negoziare. La Russia non ha preso nessun obiettivo strategico e andare al tavolo dei negoziati in questo momento vorrebbe dire per la Russia negoziare da un punto di debolezza. Dall’altra parte, Zelensky non ha nessuno incentivo per il semplice motivo che gli ucraini in questo momento stanno resistendo e respingendo gli attacchi Russi. Andare al tavolo dei negoziati significherebbe per Zelensky dover negoziare dei territori che pensa ancora di poter preservare.

Sembra assurdo ma questo conflitto non ha ancora toccato un livello di “maturità” che consente delle aperture negoziali. Non ci sono sufficienti incentivi da nessuna parte perché entrambe le parti pensano di poter cambiare la dinamica del conflitto resistendo o aumentando la violenza.

Giuseppe Amara: Abbiamo ancora diverse settimane davanti prima che questo conflitto porti anche solo ad una mediazione seria. Più volte, anche di fronte alle recenti dichiarazioni di Biden sulle conseguenze di un potenziale attacco cibernetico su larga scala, Lei ha ipotizzato che il conflitto possa degenerare fino al punto da rendere concreto un rischio nucleare. Che cosa in concreto intende quando parla di rischio nucleare? L’uso di armi nucleari da parte della Russia cosa potrebbe determinare per l’Ucraina e per il mondo occidentale? E quali conseguenze determinerebbe?

Francesca Giovannini: La dottrina nucleare americana al momento (adottata durante l’amministrazione Trump) ha allargato notevolmente e pericolosamente il ruolo delle armi nucleari. Mi spiego. Per diversi decenni gli Stati Uniti hanno “utilizzato” la deterrenza nucleare solo per scoraggiare attacchi nucleari. Ma l’Amministrazione Trump ha previsto che in casi di attacchi catastrofici a infrastrutture vitali per il paese (parliamo del comando delle forze nucleari, o di griglie energetiche il cui funzionamento é vitale per milioni di americani), gli USA si riservano il diritto di rispondere con qualsiasi arma inclusa quella nucleare.

Che cosa significa in pratica? In realtà non lo sappiamo. La deterrenza nucleare funziona quando rimane ambigua e lascia quindi l’avversario immaginare quelle che potrebbero essere le conseguenze. Un escalation fra la Russia e gli USA anche convenzionale potrebbe portare velocemente ad un ricorso ad armi atomiche proprio per quello che dicevo prima. La Russia – data la sua debolezza convenzionale – per scoraggiare attacchi contro il suo territorio si riserva la possibilità di uso di armi nucleari anche a conflitto appena iniziato.

Le conseguenze? Difficile dirlo. Una degli scenari più difficili da studiare é lo scenario di “nuclear escalation” dopo l’uso iniziale di una bomba atomica da parte della Russia o degli USA. Il paese attaccato deciderà di rispondere elevando il conflitto o tentando di limitarlo? Non ci sono scenari chiari su quello che succederebbe dopo la prima bomba atomica. Mi lasci dire comunque che se ci dovesse mai essere un uso di bombe atomiche, il mondo cambierebbe in modo drammatico e radicale.

Giuseppe Amara: Quando si ipotizza uno scenario atomico nel conflitto è corretto pensare che tale scelta dipenda in via esclusiva dal Presidente di una delle nazioni che possiede armi atomiche ovvero esistono dei protocolli che possono condizionare tale scelta?

Francesca Giovannini: In generale sì. Il sistema di comando e controllo di queste armi é stato altamente centralizzato proprio per evitare rischi di inadvertent escalation. Questo é vero sia per la Russia che per gli USA. Per la Russia, Il presidente autorizza il lancio insieme al ministro della DIFESA e il capo delle forse strategiche. Per gli USA la consultazione di lancio coinvolge il Pentagono, il capo delle varie forze armate e navali e vari consiglieri di sicurezza ma la decisione spetta solo al Presidente.

Giuseppe Amara: Fra gli obiettivi militari della guerra in Ucraina hanno assunto un ruolo strategico le centrali nucleari. Abbiamo visto le battaglie intorno a Chernobyl con le truppe russe che, secondo una parte dell’informazione, avrebbero patito sintomi da esposizione radioattiva ed intorno a Zaporizhzhia dove, nella notte tra il 3 ed il 4 marzo, si è sfiorato quello che è stato definito il più grave potenziale incidente nucleare della storia. Qual è il peso sulla guerra del controllo delle centrali nucleari e quale il rischio correlato di incidenti?

Francesca Giovannini: Se posso dirle a mio avviso il pericolo che deriva dalle centrali nucleari é anche maggiore di quello di un possibile lancio di armi atomiche, specialmente adesso quando la guerra si sta spostando verso sud e verso est. Occorre dire che ci sono diversi trattati che vietano di utilizzare centrali nucleari come possibili target militari ma in questo conflitto mi sembra che ci sia una assoluta indifferenza verso il diritto internazionale. Quali sono i pericoli? Come sempre dipende da quale centrale nucleare stiamo parlando. Ogni centrale porta diversi rischi. Le scorie radioattive che sono conservate da 35 anni a Chernobyl, se colpite, non porterebbero ad un esplosione radioattiva ma la loro fuoriuscita causerebbe un danno permanente al territorio limitrofo con rischi anche di infiltrazione in sorgenti d’acqua. Un’attacco alla centrale di Zaporizhzhya invece potrebbe presentare notevoli rischi anche per i paesi limitrofi. Sappiamo che al momento nella centrale ci sono reattori nucleari in operazione. Questo vuol dire materiale radioattivo ad altissime temperature. Se il sistema di pompaggio dell’acqua fosse manomesso, lei potrebbe vedere un meltdown del reattore e un esplosione simile a quella di Chernobyl nel 1986. Finisco dicendo che in questo momento la sicurezza di tutte le centrali nucleari in Ucraina è in discussione per un semplice motivo: molti dei sensori che rilevano i livelli radioattivi sono stati dismessi o distrutti. La AIEA ha detto più volte di non ricevere più la trasmissione di dati dalle centrali ucraine. Per garantire la sicurezza di queste centrali l’unica possibilità è di avere un ispezione della AIEA. Ci sono stati negoziati su questo ma non c’é ancora un chiaro piano di lavoro.

Giuseppe Amara: Ritiene che, in questa prima fase della guerra, sia possibile parlare di un insuccesso dell’operazione militare russa, determinato da errata valutazione della forza di resistenza Ucraina ad opporsi all’invasione, oppure ritiene che l’obiettivo di Putin fosse, sin dall’inizio, occupare i territori a del Sud-Est dell’Ucraina, territori di estremo interesse economico e strategico per le risorse energetiche, estrattive e logistiche portuali?

Francesca Giovannini: Penso che ci siano stati fallimenti da diverse parti. I Russi hanno commesso gravissimi errori di valutazione delle loro forze e delle forze ucraine. Non c’é dubbio che l’obiettivo iniziale per i russi fosse quello di decapitare il governo Zelensky velocemente e con un’operazione rapida. Ma gli errori di valutazione li hanno portati a perdite pesantissime e ad una revisione della strategia. La seconda fase della guerra per i Russi dovrà essere vinta a tutti i costi. Di qui i rischi nucleari.

Ma c’è stato anche un gran fallimento di valutazione da parte dell’occidente. Per anni siamo andati avanti sovrastimando quelle che erano le capacità militari russe. Forse non abbiamo realmente apprezzato quanto le nostre politiche di espansione verso Est fossero veramente percepite come estremamente pericolose dalla Russia.

Giuseppe Amara: L’obiettivo della ricostituzione dei territori a maggioranza russofona è un obiettivo effettivo o solo il messaggio della propaganda del Cremlino per giustificare l’invasione?

Francesca Giovannini: No, penso che ci sia una genuina determinazione a proteggere la cultura russa e a far in modo che la Russia non perda la sua influenza culturale sull’Ucraina considerata come la madre della cultura russa.

Giuseppe Amara: Lo scenario internazionale ha visto una presa di posizione abbastanza netta contro l’azione militare russa in Ucraina. Malgrado questo, il conflitto continua ed i fenomeni migratori hanno assunto dimensioni molto significative. Quanto l’esperienza acquisita in occasione di altri conflitti – Siria, Palestina – può aiutare la gestione di tale situazione e quali politiche di accoglienza di breve e medio periodo i Paesi non direttamente coinvolti nel conflitto che ricevono la popolazione ucraina possono secondo Lei adottare per offrire sostegno concreto a nuclei familiari spesso frantumati in relazione alla scelta della popolazione maschile di rimanere al fronte per difendere la nazione ucraina?

Francesca Giovannini: Una domanda molto importante. A mio avviso specialmente dall’esperienza dei rifugiati dalla Siria abbiamo imparato diverse cose. 1. I rifugiati sono una risorsa preziosa. Molti arrivano con grandi esperienze professionali importanti e l’integrazione nel paese dove arrivano non può essere limitata semplicemente alla distribuzione di cibo e medicine. Questi rifugiati vogliono essere parte della società dove arrivano e contribuire e questo rende la loro esperienza più tollerabile. 2. Occorrono risorse che durino non solo 6-8 mesi (il tempo dell'emergenza). Per molti rifugiati la possibilità di rientrare nel paese d’origine non é una cosa immediata. Per i paesi che ospitano, ci devono essere risorse che continuano nell’assistenza e nell'integrazione dei rifugiati. 3. Proteggere i rifugiati da manipolazioni politiche: più l’integrazione é veloce e benefica, e più gli stati arrivano a gestire le manipolazioni politiche contro l’immigrazione.

Le Nazioni Unite sembrano bloccate in ragione del veto opposto dalla Russia ad iniziative che vedrebbero la maggioranza dei Paesi favorevoli all’immediata cessazione del conflitto.

Giuseppe Amara: Qual è secondo Lei il ruolo che possono giocare i Paesi europei nel conflitto?

Francesca Giovannini: A mio avviso, l’iniziativa diplomatica deve andare oltre l’Europa. Penso che sia estremamente controproducente continuare a parlare di questo conflitto come un problema fra la NATO e la Russia – in questo modo facciamo il gioco di Putin. A mio avviso, occorre che si formi una coalition of the willing, di vari paesi anche fuori dall’Europa che hanno interesse a proteggere il diritto internazionale e il futuro della pace nel mondo. Io penso che sia importante cercare di coinvolgere stati importanti come l’India e la Cina, certo ma anche vari altri stati come il Sud Africa, Il Brasile, L’Indonesia, grandi potenze regionali che aspirano a giocare un ruolo maggiore sulla scena internazionale.

Giuseppe Amara: "Per amor di Dio, quest'uomo non può restare al potere": quanto pesa sulle relazioni internazionali questa frase pronunciata dal Presidente Biden, sull’onda dell’emotività di un discorso pronunciato nella piazza del Castello Reale di Varsavia, luogo simbolo distrutto dai nazisti nel 1944? È l’inizio di una nuova guerra fredda o di nuovi scenari di conflitto e quali le conseguenze diplomatiche?

Francesca GiovanniniGuardando a quello che succede qui in America, occorre discutere di vari scenari. Non ci saranno più dialoghi diplomatici e strategici con la Russia di Putin almeno sotto l’amministrazione Biden. Qualsiasi tipo di collaborazione – anche in università come la mia – sono state sospese. E se Biden dovesse essere rieletto, questa “guerra fredda” continuerà. Ma non é cosi ovvio che i democratici vincano ancora. Se Trump corre e vince nel 2024, la situazione con la Russia potrebbe sbloccarsi velocemente. Come sappiamo Trump ha sempre ammirato Putin. Se i repubblicani dovessero vincere la Casa Bianca ma con un candidato che non è Trump, penso che la politica di isolamento delle Russia continuerebbe. 

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