Diritto e società
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In ricordo di Elena Pulcini. Per una filosofia impegnata di fronte alle sfide del presente di Baldassare Pastore

In ricordo di Elena Pulcini. Per una filosofia impegnata di fronte alle sfide del presente

di Baldassare Pastore  

La scomparsa di Elena Pulcini rappresenta una grave perdita per la cultura filosofica, non solo italiana. Professore ordinario di Filosofia sociale nell’Università di Firenze, in pensione dallo scorso primo novembre, Elena Pulcini ha affrontato, nel corso del suo itinerario di ricerca contrassegnato da una vasta produzione, alcune questioni basilari per la comprensione del mondo odierno e dei suoi cambiamenti, coniugando rigore scientifico e impegno civile.

Le analisi e le riflessioni sul soggetto femminile, sull’individualismo moderno, sulle forme del legame sociale, sulla cura, sulla vulnerabilità, sulla responsabilità, sulla crisi ecologica e le sfide globali hanno caratterizzato un percorso di studio profondamente coerente, nel quale la filosofia ha offerto un approccio critico al reale, contaminandosi con altri saperi, quali la psicoanalisi, l’antropologia, la sociologia, la letteratura, e, nel contempo, un deposito di concetti e immagini con cui orientarsi per articolare nuove prospettive. Da questo punto di vista, si può ben dire che gli esiti della ricerca di Pulcini, pur non avendo mai tematizzato espressamente questioni riguardanti l’esperienza giuridica, possono fornire un utile bagaglio, a disposizione dei giuristi, per pensare il loro compito in direzione del superamento dell’autoreferezialità e dell’apertura ad altri discorsi e saperi in un’ottica non riduzionistica.

Elena Pulcini ha visto nella Filosofia sociale l’ambito privilegiato per proporre una diagnosi del presente, cogliendone alcuni eventi significativi, e per snidare le aporie, le contraddizioni, gli aspetti degenerativi che lo segnano. L’attenzione alle patologie della società contemporanea, intese come sviluppi sbagliati o disturbati che compromettono la promessa, propria della modernità, dell’autorealizzazione degli individui, è stata una componente centrale dei suoi interessi, così come lo è stata la rivalutazione delle passioni, in quanto strutture significanti che presuppongono credenze e giudizi, e orientano le scelte, le convinzioni, i valori.

Le passioni non sono forze cieche e irrazionali, ma elementi universali, pur soggette, di volta in volta, a trasformazioni in base ai contesti storici e sociali nelle quali operano. Riflettere sulle passioni permette di gettare luce su ciò che gli esseri umani sono e su ciò che vorrebbero essere, sulle loro aspettative, sul modo in cui vivono e intendono vivere. Questo implica una consapevolezza critica volta a imparare a distinguere, per poterle contrastare, le passioni negative, egoistiche e distruttive (come l’odio, l’invidia, il risentimento) da quelle positive, empatiche, quali leve potenziali di una mobilitazione idonea a superare le due opposte polarità dell’individualismo illimitato e del comunitarismo endogamico, vere e proprie patologie della contemporaneità.

Lo sguardo di Pulcini, così, si dirige verso le radici emotive dell’etica, verso le motivazioni affettive che ispirano le domande di giustizia e che trovano origine proprio in determinate passioni. Emerge, qui, la considerazione per la funzione delle emozioni, con la dimensione cognitiva e comunicativa che esse presentano, e per i modi di coltivare la loro qualità etica, facendone un requisito essenziale della sfera morale e sociale (cfr. Tra cura e giustizia. Le passioni come risorsa sociale, Bollati Boringhieri, Torino, 2020). D’altra parte, guardando al diritto come linguaggio dell’interazione, non rappresenta un carattere proprio della giustizia il confrontarsi con le passioni umane?

In Elena Pulcini il bisogno di giustizia, originato dall’esperienza dell’ingiustizia e dal desiderio di combatterla, per far fronte alle diseguaglianze, allo sfruttamento, alla violenza, alla mancanza di riconoscimento, si lega all’urgenza della cura come antidoto all’atomismo, all’indifferenza, all’erosione della relazionalità intersoggettiva (cfr. L’individuo senza passioni. Individualismo moderno e perdita del legame sociale, Bollati Boringhieri, Torino, 2001), all’incuria verso il mondo vivente e verso il drammatico stato dell’ambiente naturale, proponendone una reciproca integrazione. La complementarità tra giustizia e cura può trovare un terreno comune nella politica, intesa come «orizzontale azione di concerto», coinvolgimento nella sfera pubblica, sensibilità al bene collettivo, cooperazione (al di là di ogni irenica benevolenza) tra individui consapevoli della propria incompiutezza, debolezza, fragilità, e della dipendenza dagli altri. La nozione di vulnerabilità, in questo campo, diviene un fattore critico-decostruttivo, che conduce a revocare in dubbio la rappresentazione del soggetto astratto e autosufficiente, ma anche dinamico, che chiede agli assetti sociali e agli ordinamenti di rilegittimarsi continuamente, interrogandosi sui propri fondamenti ed esiti normativi.

Tra le passioni la paura occupa un posto centrale, a partire dalla sua ambivalenza. Per un verso, infatti, presenta, riprendendo Hobbes, un carattere «produttivo», capace di promuovere la conservazione della vita e l’ordine sociale e politico, garante della sicurezza; per l’altro, è all’origine di una serie di effetti negativi, che l’età contemporanea amplifica, creando una situazione diffusa di insicurezza e di ansia, accresciuta dalla percezione di impotenza generata dalla coscienza della difficile gestione delle sfide di carattere globale riguardanti le catastrofi ecologiche, la crisi finanziaria, le nuove povertà, le migrazioni (che ampliano l’idea di altro nella figura dell’altro distante nello spazio, straniero, sconosciuto), i conflitti etnico-religiosi, le generazioni future (che ampliano l’idea dell’altro nella figura dell’altro distante nel tempo), la deriva incontrollabile dei poteri economici e tecnologici. Si tratta di sfide che, se non governate, tendono a trasformare gli individui in passivi e impotenti spettatori di eventi.

La risposta alla paura legata alle minacce e ai rischi dell’età globale, che mostrano la nostra ineludibile condizione di vulnerabilità (un dato originario, esistenziale, che, comunque, ha bisogno di essere percepito e riconosciuto al fine di entrare nella dinamica dell’interazione) e l’interconnessione di ciascuno con il destino e la vita di tutti gli esseri umani, è vista nella cura, come pratica sociale implicante l’assunzione della responsabilità per gli altri (cfr. La cura del mondo. Paura e responsabilità nell’era globale, Bollati Boringhieri, Torino, 2009). La responsabilità, connessa alla preoccupazione e alla sollecitudine per le sorti dell’umanità e del pianeta, manifesta la sua operatività sul piano della costruzione del legame sociale e nel ripensare l’idea di comunità come dimensione interna e costitutiva dell’individuo, ispirata, con la inevitabile contaminazione tra diversi, al rispetto delle singolarità e al recupero del riconoscimento solidale.

La proposta della filosofa va nella direzione di re-instaurare una «metamorfosi virtuosa della paura», che ne contrasti la rimozione, individuando la sua funzione propulsiva. La paura, pertanto, diventa la fonte emotiva della responsabilità che prelude ad una risposta etica. Entra in gioco, a questo riguardo, la facoltà di immaginazione, orientata a produrre un risveglio propositivo della paura, in quanto ci consente di dar conto del male presente e futuro e di prefigurare scenari, riattivando la fiducia nella possibilità del cambiamento, della trasformazione dell’esistente.

Invero, non può non essere evidenziato che molte delle questioni sulle quali si è concentrata la riflessione di Pulcini toccano il diritto. Tra queste rientrano l’interesse per la convivenza tra persone estranee le une alle altre e per le modalità dell’essere-in-comune, nonché l’attenzione alla giustizia: valore che il diritto persegue o promette di perseguire, che è coessenziale al suo uso e alla sua comprensione, e che coinvolge il pensiero giuridico verso un impegno valutativo e progettuale. L’impegno per la giustizia, anche nella formazione, nell’interpretazione, nell’applicazione imparziale ed equa delle regole giuridiche, si pone come momento cruciale per la realizzazione di quello che – riprendendo la frase di chiusura dell’ultimo libro di Elena Pulcini – «possiamo ancora chiamare, evocando uno slogan forse un po’ nostalgico ma quanto mai attuale, un mondo migliore».    

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