Le radici della nostra democrazia e quel passato che è bene rievocare anche nel tempo increscioso della pandemia
di Antonio d’Andrea
Nella non semplice gestione dell’emergenza sanitaria che adesso ci riguarda e al di là della paradossale proposta avanzata – via facebook – da qualche politico di trasformare la ricorrenza della Liberazione nel ricordo cumulativo dei caduti di tutte le guerre e dei tanti deceduti proprio a causa del Covid 19 (proposta che mi pare si prefigga, e non è la prima volta, di negare il significato storico e istituzionale sino ad ora riconosciuto al 25 aprile nel nostro Paese), può aiutare ritornare a riflettere sul significato evocativo ed attualissimo di quella data nel contesto bellico di settantacinque anni fa.
Sommario: 1. La peculiarità della vicenda storica italiana e il superamento dello Stato autoritario. - 2. I rischi (inevitabili) delle democrazie occidentali e la ricorrente tentazione di risposte autoritarie. - 3. La riscoperta dei vincoli solidaristici interni (non solo la richiesta della solidarietà europea).
1.La peculiarità della vicenda storica italiana e il superamento dello Stato autoritario.
Non credo si possa sostenere – e in ogni caso non mi sentirei di farlo – che la Storia è “attendibile” solo se riesce ad essere “oggettiva”, ossia scevra da qualsiasi pretesa valutativa tale da offrire una ricostruzione ragionata degli eventi secondo una prospettazione “di parte”. La Storia è in effetti molto più della mera cronaca, e lo storico deve essere in grado anche di fornire una interpretazione critica come pure una valutazione di contesto degli accadimenti manifestatisi nella realtà: da questo punto di vista si tratta di un mestiere complicato che sarebbe bene lasciare a mani sapienti e avvezze a maneggiare con cura un insieme di dati da incrociare e da soppesare con criteri diversi, e che possono investire sensibilità peculiari (giuridica, economica, sociologica), tutte reciprocamente interferenti. La stessa maggiore o minore attenzione che si ritenga di riservare ad alcune vicende può costituire, alla fine, una precisa opzione valutativa indirizzata, se si vuole, ideologicamente. Ma i fatti, ancorché interpretati, restano comunque fatti!
Non essendo uno storico mi è comunque consentito soffermarmi su alcuni episodi che, mi pare, testimonino il formidabile passaggio registratosi nell’ordinamento italiano da un assetto del tutto estraneo ai principi del costituzionalismo occidentale (già sviluppatosi altrove e non solo nei suoi presupposti teorici, pur con tante contraddizioni e arretramenti a partire dalla fine del XVII Secolo) a una democrazia evoluta, quale è oggi il nostro Paese, in grado cioè, almeno in astratto, di limitare l’esercizio del potere politico e garantire diritti e libertà alla persona in quanto tale.
Tutto ciò premesso, partendo dalla proclamazione effettuata dal Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia (CLNAI), il 25 aprile 1945, in ordine alla mobilitazione generale in vista della liberazione di tutti i territori ancora sotto il controllo delle truppe armate tedesche – presenti nel nostro Paese che, sotto il regime fascista, aveva ritenuto di condividere la scelta bellica promossa dal governo nazista hitleriano – , l’anniversario della Liberazione rappresenta senz’altro il consolidamento della nuova, diversa pagina della nostra storia nazionale che, come è noto, tra il 25 luglio e l’8 settembre 1943, si era instradata verso il superamento di quel regime, prima defenestrando il capo del Governo e duce del fascismo, Mussolini e poi concludendo l’armistizio con gli Stati alleati belligeranti contro la Germania. Storia nazionale che vedrà, al termine del Secondo conflitto mondiale, in poco più di due anni, l’avvento della democrazia repubblicana incentrata sulla Costituzione in vigore dal 1 gennaio 1948.
Come noto, questo giorno che si identifica con la Liberazione è equiparato dall’art.2 della l.27 maggio 1949 n.260, alla Festa Nazionale che ricade il 2 giugno (art.1 l.n.260/1949) e che, a sua volta, rievoca quanto accaduto l’anno successivo, nel 1946, allorché il popolo italiano a suffragio universale optò per la forma repubblicana dello Stato superando quella monarchica che aveva retto sino a quel momento il Regno d’Italia e contestualmente elesse l’Assemblea Costituente la quale avrebbe deliberato, il 22 dicembre 1947, con una larghissima maggioranza (solo 62 voti contrari su 515 votanti) la Costituzione del “nuovo” Stato. Una Costituzione a giusta ragione definita di “compromesso” sulla quale costruttivamente convennero, anche per la lungimiranza e l’autorevolezza delle rispettive leadership, i partiti antifascisti che avevano occupato la scena politica oltre a conquistare larghi strati dell’elettorato, i quali erano espressione di diverse e ben riconoscibili sensibilità ideologiche che ricomprendevano il variegato filone cattolico, quello della sinistra prevalentemente marxista nonché quel che restava del liberalismo pre-fascista.
Da un lato, dunque, la Liberazione del territorio italiano dalla presenza di truppe tedesche, divenute forze militari di occupazione concentrate al Nord una volta liberata Roma il 4 giugno 1944 e contrastate sul territorio da formazioni della Resistenza armata, nonché l’abbattimento della residuale presenza fascista – anche con metodi sommari e violenti – rappresentata da uno Stato fantoccio quale era la Repubblica di Salò a capo della quale i tedeschi avevano riproposto lo stesso Mussolini, liberandolo con un “blizt” dalla prigionia cui era stato confinato; dall’altro lato, il proposito di edificare un diverso Stato democratico in linea con il costituzionalismo occidentale e in particolare europeo (si pensi a tutta la fase c.d. transitoria, con la tregua istituzionale, dopo il ritiro del Re , Vittorio Emanuele III e la nomina del figlio Umberto alla Luogotenenza del Regno, tra la monarchia e i partiti riuniti nei Comitati di liberazione nazionale i quali si assunsero la responsabilità di gestire i rapporti con gli Alleati preparandosi alla nuova fase costituente già prevista con il decreto legge luogotenenziale 25 giugno 1944 n.151): quelle richiamate rappresentano vicende consequenziali di un intreccio storico avviatosi nell’ordinamento agli inizi degli Anni Venti con il tracollo del debole Stato liberale e la progressiva implementazione del regime fascista sotto le insegne della pallida monarchia sabauda e, sul piano costituzionale, dello stesso Statuto Albertino mai formalmente superato durante il ventennio. In ogni caso lo sbocco finale del rievocato intreccio, o se si vuole, il suo lieto fine mi pare inequivocabilmente rappresentato dalla svolta costituzionale impressa all’ordinamento italiano, una volta conquistata la Liberazione.
Le complicazioni del tempo presente non possono e non devono far dimenticare il doloroso travaglio che ha investito il nostro Paese prima che potesse approdare, sostanzialmente dopo aver perduto la guerra nella quale era entrato a fianco dell’alleato tedesco in seguito abbandonato, ad una sponda democratica lasciandosi così alle spalle un modello “semplificato” di organizzazione statuale che accentrava nelle mani di un capo assoluto il potere di indirizzo politico al di fuori di qualsiasi forma di dialettica istituzionale a maggior ragione dopo il superamento dell’elettività della Camera (ovviamente rappresentativa della porzione di elettorato maschile cui si attribuiva il diritto di voto) e la sua sostituzione con la Camera dei fasci e delle corporazioni. Ed è perciò superfluo rievocare la compressione dei classici diritti di libertà come pure le persecuzioni nei confronti degli oppositori e le vergognose politiche perseguite sul piano interno (si pensi alle leggi razziali) e su quello internazionale di cui si è detto.
L’antifascismo (XII disp. trans. Cost.) come pure il ripudio di qualsiasi totalitarismo (è nota la promozione sul piano costituzionale del pluralismo, a partire dal riconoscimento del ruolo essenziale dei partiti politici vincolati al rispetto, quantomeno all’esterno, del “metodo democratico”, art. 49 Cost., e dalla garantita autonomia dei diversi livelli di governo territoriale, a partire dalle Regioni configurate quali enti di natura politica in grado di utilizzare la leva della legislazione, art. 117 Cost.), costituiscono, pertanto, a partire dall’entrata in vigore della vigente Costituzione, caratteri identificativi e principi irrinunciabili – beninteso insieme ad altri riguardanti i diritti fondamentali e gli obiettivi di riequilibrio economico-sociale – dell’ordinamento giuridico italiano.
2.I rischi (inevitabili) delle democrazie occidentali e la ricorrente tentazione di risposte autoritarie.
Il tema del momentaneo “regresso” delle opportunità offerte dai sistemi democratici, incluso il nostro, si è già posto da ben prima che il pericolo per il mantenimento dei livelli di libertà e autodeterminazione provenisse dal rapido diffondersi della insidiosa pandemia che, come è noto, obbliga le autorità politiche a considerare e ad adottare misure afflittive che costituiscono una vera e propria sospensione delle nostre abitudini oramai forgiate dalla piena fruizione di un elevato tasso di libertà assicurato dalle norme costituzionali. Ogniqualvolta si registrano eventi (sia che si tratti di episodi che abbiano a che fare con azioni violente e sanguinarie ispirate da finalità sovversiva interna o da strategia terroristica internazionale, sia che si tratti di emergenze legate a catastrofi naturali o, come nel caso del coronavirus, epidemiologiche ancora da inquadrare esattamente nelle sue cause scatenanti) che per essere fronteggiati richiedono comunque il concretizzarsi del potere reattivo delle autorità statuali (quanto non della stessa Comunità internazionale), si è indotti a domandarsi entro che misura sarebbe possibile derogare, certo pro-tempore, a regole e a procedure ordinarie (dunque conformi al diritto interno e internazionale) così da preservare ovvero meglio garantire la conservazione della tenuta democratica dell’ordinamento – nel caso della pandemia appare piuttosto in gioco, almeno al momento, la salute pubblica, sembrerebbe oltretutto con un differente grado di possibile compromissione a seconda dell’età e del luogo dove si vive – minacciata pericolosamente da una imprevista evenienza che, per essere favorevolmente risolta, potrebbe richiedere “misure eccezionali”, appunto extra ordinem.
Si tratta a mio avviso di una questione mal posta.
In effetti anche nella non semplice gestione dell’emergenza sanitaria che adesso ci riguarda e al di là della paradossale proposta avanzata – via facebook – da qualche politico[1] di trasformare la ricorrenza della Liberazione nel ricordo cumulativo dei caduti di tutte le guerre e dei tanti deceduti proprio a causa del Covid 19 (proposta che mi pare si prefigga, e non è la prima volta, di negare il significato storico e istituzionale sino ad ora riconosciuto al 25 aprile nel nostro Paese), può aiutare ritornare a riflettere sul significato evocativo ed attualissimo di quella data che, nel contesto bellico di settantacinque anni fa, certamente metteva a fuoco un’impellenza da affrontare e risolvere in via di fatto per la provvisoria e clandestina autorità di governo, il CNLAI. Occorre dunque prestare attenzione alla rilevante distinzione che passa tra il potere di fatto, che non è un potere giuridico ed è sostanzialmente non comprimibile (trattasi del governare estemporaneamente gli eventi, secondo “impeti” che, come nel caso della guerra di Liberazione, potremmo definire di natura rivoluzionaria) e l’esercizio di potere giuridico che, per definizione, viene circoscritto in primo luogo dalle regole costituzionali che intervengono, una volta cessato l’impeto rivoluzionario, e si renda necessaria la stabilizzazione del quadro ordinamentale. Come in effetti è accaduto dopo la Liberazione con l’approvazione della nostra Legge Fondamentale!
La Liberazione, oltretutto, proprio quest’anno, richiama più che mai quella frontale e ardimentosa contrapposizione resistenziale nei confronti della barbarie nazifascista messa in atto dai tanti giovani e giovanissimi di allora che hanno vissuto da vicino la fondamentale svolta costituzionale per il nostro Paese (alcuni dei quali, come si è tristemente appreso, sono stati sottratti alla vita e alla diretta testimonianza di quella straordinaria stagione di lotta per la democrazia proprio dal coronavirus, i cui effetti letali, come viene ripetutamente detto, tendono ad essere riservati alle persone più anziane).
Resta dunque l’ impegno morale nei confronti di quella straordinaria generazione di continuare a ricordare che la democrazia rappresenta ancora una relazione formalizzata dalle norme costituzionali tra chi esercita legittimamente il potere e coloro i quali sono tenuti a conformarsi ai “comandi”; ciò non toglie che non sia affatto semplice assumersi la piena responsabilità di fronteggiare in modo efficace eventi eccezionali - quale quello che ci riguarda da ultimo - senza oltrepassare i confini costituzionali che delimitano l’azione di indirizzo politico e non ne consentono impropri sviamenti tanto sul piano formale quanto su quello sostanziale. Tuttavia è bene ricordare che governare una Comunità statuale significa assumersi una gravosa responsabilità, che dovrebbe sempre rievocare, in quanti sono chiamati ad esercitarla, lo sforzo intrapreso e il prezzo pagato dalle passate generazioni per consegnarci la democrazia che oggi conosciamo e che presuppone l’uso controllato del potere politico da chiunque esercitato e in qualunque situazione ci si venga a trovare.
3.La riscoperta dei vincoli solidaristici interni (non solo la richiesta della solidarietà europea).
Partendo dalla stretta attualità che implacabilmente ci ricorda come a causa della pandemia le manifestazioni pubbliche quest’anno, in occasione della Festa della Liberazione, finiscano per essere condizionate dalle note disposizioni che obbligano a “restare a casa” e che comporteranno il non poter frequentare la “piazza” da parte di chi desidererebbe farlo, si potrebbero forse più facilmente riscoprire “vincoli solidaristici” che la vigente Costituzione limpidamente contempla e, in verità, impone, collegando il riconoscimento dei diritti individuali e l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (art.2). Se, come naturale e persino giusto, si pretende concreta “solidarietà” dalle Istituzioni europee e dagli Stati dell’Unione a causa delle maggiori afflizioni subite dall’Italia per la deflagrazione del virus qui da noi più che altrove , è bene ricordare che non ci si può sottrarre agli stessi impegni solidaristici interni in virtù dei quali, ad esempio, il “peso economico” della crisi che scaturisce dalla complicata gestione dell’epidemia sarebbe naturale che gravasse su quanti possono (singoli o categorie professionali) meglio sopportarlo. Egualmente sarebbe opportuno ricordare che l’emergenza nazionale in atto, se finisce per interessare alcuni territori più di altri – a prescindere dal perché ciò è accaduto e accade e dalle specifiche responsabilità della classe politica regionale coinvolta – non dovrebbe tanto essere affrontata elevando steccati tra zone rosse chiuse in entrata e in uscita e la restante parte dello Stato, da considerare pure zona impermeabile per ragioni opposte di contenimento del contagio (il che, ovviamente, potrebbe essere, specie nel breve periodo, una scelta logica e costituzionalmente giustificata) quanto piuttosto promuovendo la concreta disponibilità dei territori meno colpiti nel sobbarcarsi, per come possibile, il peso non necessariamente economico – ad esempio assistenziale rispetto alla cura e/o alla degenza post-ospedaliera dei malati e dei convalescenti o, più genericamente, di ausilio gestionale – delle Regioni più esposte agli effetti dell’epidemia, così da contribuire ad alleviare le difficoltà sopportate da alcune popolazioni selettivamente martoriate, al contrario di altre, dalla diffusone dei contagi. Anche questa tipologia di relazioni solidaristiche tra Regioni dell’unica e indivisibile Repubblica italiana - così recita l’art.5 Cost. – dovrebbe sollecitare la Festa della Liberazione del 2020; Liberazione della quale ha beneficiato l’intero Paese, sebbene la decisiva Resistenza armata, come ricordato, sia stata opera prevalente di quanti proprio nel Settentrione – che oggi conosce la maggior parte dei deceduti per effetto del coronavirus – si sono battuti a costo della vita per la conquista delle libertà democratiche di tutto il popolo italiano, anche di quella parte che, al Centro-Sud, nell’aprile 1945, non aveva già più la necessità di “andare in montagna” e battersi contro il comune nemico da sconfiggere per rifondare democraticamente lo Stato.
[1] Il quotidiano La Repubblica del 18 aprile 2020 (“Polemica sul 25 aprile, Fratelli d’Italia: ‘Ricordiamo i caduti di tutte le guerre e del Covid, la canzone del Piave al posto di Bella ciao’ “), ha riportato una dichiarazione del sen. La Russa in questi termini:” Con una diretta Facebook insieme a Edoardo Sylos Labini e ad alcuni parlamentari abbiamo avanzato una proposta rivolta a tutti, senza distinzioni politiche e culturali: da quest’anno il 25 aprile diventi, anziché divisivo, giornata di concordia nazionale nella quale ricordare i caduti di tutte le guerre, senza esclusione alcuna. E in questa data si accomuni il ricordo di tutte le vittime del Covid 19 che speriamo cessino proprio in aprile. Sarebbe il modo migliore per ripartire in una Italia finalmente capace, dopo 75 anni da quel lontano 1945, di privilegiare ciò che ci unisce e che ci rende tutti orgogliosi di essere italiani. Nel ricordo dei caduti, chi vorrà, sabato prossimo potrà listare a lutto un tricolore e cantare la canzone del Piave che da sempre le Forze armate dedicano ai caduti di ogni guerra”.