GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Brevi osservazioni sulla proposta di direttiva relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali

    Brevi osservazioni sulla proposta di direttiva relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali

    di Tiziana Orrù

    Sommario: 1. Introduzione - 2. Nuovi modelli di organizzazione del lavoro e nuove forme di sfruttamento dei lavoratori - 3. Prospettive di tutela.

    1. Introduzione

    Il 9 dicembre del 2021 la Commissione Europea ha proposto un pacchetto di misure che mirano a migliorare le condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali e a rinforzare la crescita sostenibile delle aziende tra le quali la preparazione di una Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio per la tutela dei lavoratori delle piattaforme digitali. 

    Contestualmente è stata approvata una comunicazione che definisce l’approccio e le misure dell’Ue sul lavoro mediante piattaforme digitali. Queste ultime sono integrate da azioni che le autorità nazionali, le parti sociali e altri soggetti interessati dovrebbero adottare al loro livello.  La Comunicazione mira inoltre a gettare le basi per lavorare a future norme globali per un lavoro di alta qualità mediante piattaforme digitali.

    Infine è stato presentato un progetto di orientamenti che chiariscono l’applicazione del diritto dell’Ue in materia di concorrenza ai contratti collettivi dei lavoratori autonomi individuali che cercano di migliorare le loro condizioni di lavoro, compresi coloro che lavorano mediante piattaforme di lavoro digitali.

    L’iniziativa della Commissione segue ed accompagna il contenuto di altri significativi interventi volti a regolare il lavoro nell’era della rivoluzione digitale caratterizzata da una società in rapida evoluzione nella quale nuove opportunità e nuove sfide emergono dalla globalizzazione, dal mutamento dell’organizzazione del lavoro e dagli sviluppi sociali e demografici.

    Una prima risposta alle nuove sfide è sicuramente inserita nella c.d. Direttiva trasparenza - DIRETTIVA (UE) 2019/1152 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 20 giugno 2019 relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea.

    Più di recente la Commissione Europea ha adottato, il 28 Giugno del 2021, La strategia Ue per la salute e sicurezza sul lavoro (Ssl)[1] che prevede tre obiettivi principali:    

    1) Anticipare e gestire il cambiamento nel mondo del lavoro determinato dalle transizioni verde, digitale e demografica.

    2) Migliorare la prevenzione agli incidenti e alle malattie sul lavoro.

    3) Accrescere la preparazione per ogni potenziale futura crisi sanitaria.

    La Commissione ha messo l’accento sulla circostanza che la robotizzazione, l'uso dell'intelligenza artificiale e la maggiore prevalenza del lavoro a distanza riducono i rischi di attività pericolose, ma pongono anche una serie di criticità dovute sia all’aumento dell'irregolarità nel momento e nel luogo in cui viene svolto il lavoro, sia ai rischi relativi a nuovi strumenti e macchinari ed anche ai rischi psico-sociali.[2]

    La situazione di fatto che l’Unione Europea sta tentando di regolare è legata in sintesi alla nascita di nuove forme organizzative, modelli aziendali e tipologie di contratto che hanno determinato un mutamento radicale del concetto stesso di lavoro determinando la necessita di un impegno globale per gestire il cambiamento garantendo dignità al lavoro e maggiori diritti alle persone che lavorano soprattutto quando si chiede ai lavoratori di adattarsi alle innovazioni ed alle rapide trasformazioni che investono il mondo del lavoro.

    2. Nuovi modelli di organizzazione del lavoro e nuove forme di sfruttamento dei lavoratori 

    L’ingresso massiccio dell’utilizzo delle tecnologie digitali ha incoraggiato l’espansione delle imprese, soprattutto nel settore logistico dove è attualmente presente un processo di estrazione del profitto dal lavoro in grado di catalizzare la precarietà dell’occupazione. È sempre più attuale il fenomeno dell’intermediazione illegale della forza lavoro e del meccanismo delle finte cooperative costituite ed estinte per la durata di un appalto o di un subappalto e la spasmodica ricerca di risparmio dei costi attuata a svantaggio della sicurezza sul lavoro.

    Occasioni illecite sfruttate soprattutto dalle multinazionali del settore della logistica, alle quali occorre prestare particolare attenzione vista la loro rapida estensione anche ad altri settori quali quello manufatturiero e dei servizi, tutti accomunati dall’utilizzazione di manodopera irregolare o dall’applicazione di contratti collettivi che garantiscono ai lavoratori meno diritti e meno tutele di quelli previsti dal contratto nazionale di categoria[3]

    Sono ambiti socio-economici nei quali la figura del datore di lavoro, sempre più evanescente, costituisce spesso l’occasione favorevole per la nascita di nuovi fenomeni di sfruttamento del lavoro quale ad esempio il caporalato digitale dove i lavoratori della gig economy hanno sostituito i braccianti agricoli.

    Il luogo e l’orario di lavoro sono oggi concetti fluidi, affrancati dalle classiche nozioni normative che necessitano di una disciplina specifica in grado di tutelare le nuove esigenze di sicurezza. [4]

    Le nuove tecnologie stanno mutando radicalmente la dimensione spaziotemporale dei luoghi di lavoro. Per i rider, i luoghi di lavoro sono le città, per i nuovi operai dell’Industria 4.0 vi sono i cosiddetti cyberphysical workplace – luoghi di lavoro in cui software ed algoritmi   sono complementari agli hardware: macchine, robot, computer, braccialetti o visori di realtà aumentata. Per entrambi, il tempo di lavoro è ormai calcolato minuziosamente sul tempo effettivamente lavorato e valutato da scrupolosi ed invasivi strumenti di performance metrics.

    Ma il pericolo più profondo è che l’algoritmo e, più in generale, l’intelligenza artificiale possano diventare uno strumento prescrittivo senza controllo.

    Gli algoritmi funzionano principalmente come sistemi atti a produrre canoni da considerare lo standard al quale adeguarsi per massimizzare le performance dei lavoratori. Questi congegni, inoltre, utilizzano i medesimi standard anche per dirigere, controllare ed eventualmente sanzionare i lavoratori.

    Nell’organizzazione dei fattori di produzione l’utilizzo dell’algoritmo si traduce sostanzialmente in una gestione dei lavoratori affidata quasi totalmente ai computer che assicurano processi di selezione e gestione del lavoro più efficaci poiché riducono drasticamente i tempi ed evitano l’intervento umano.

    3.  Prospettive di tutela

    L’automazione del lavoro prodotta dalle nuove tecnologie, un fenomeno che investe l’economia mondiale e travalica i confini nazionali riguardando perlopiù imprese multinazionali, necessita senz’altro di una disciplina idonea a tutelare i prestatori di lavoro garantendo loro condizioni migliori in termini di diritti e garanzie.  

    E’ la nuova sfida che impone di aggiornare la disciplina vigente a salvaguardia della dignità e salute dei lavoratori  sia, con  specifico riguardo al momento ed al luogo in cui viene svolto il lavoro per i rischi connessi ai nuovi strumenti e macchinari,  sia con riferimento alle possibili problematiche psico-sociali derivanti dallo stress generato nell’ambiente di lavoro dalla connessione continua, dalla mancanza d’interazione sociale, dall’espansione dell’uso delle tecnologie d’informazione e comunicazione, tutti fenomeni in grado di generare l’insorgere di rischi addizionali.

    In Italia e nei Paesi dell’Unione il tema non è stato sinora affrontato con interventi generali di disciplina sistematica ma, attraverso interventi settoriali dedicati essenzialmente ai ciclofattorini, che sono diventati la figura emblematica del conflitto sociale accesosi attorno al lavoro su piattaforma. [5]    

    In ambito nazionale nella Gazzetta Ufficiale n. 257 del 2 novembre 2019 è stata pubblicata la L. n. 128/2019, di conversione del D.L. n. 101/2019 (cd. “D.L. tutela lavoro e crisi aziendali”). La disciplina interviene in particolar modo in favore di alcune categorie di lavoratori particolarmente deboli, quali i riders qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme digitali. Le tutele prevedono la copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e la previsione di una retribuzione di base, senza tuttavia garantire che la situazione occupazionale delle persone che lavorano nelle piattaforme di lavoro digitali corrisponda, a livello giuridico, ai loro effettivi contratti lavorativi.[6]

    Ma è soprattutto in ambito eurounitario che si sta cercando di affrontare i cambiamenti determinati dalla trasformazione digitale nei mercati del lavoro con interventi più generali volti a migliorare le condizioni di lavoro e i diritti sociali delle persone che lavorano con piattaforme (art. 1, par. 1).[7]

    A questo proposito, la Proposta di Direttiva individua tre obiettivi specifici: 1) garantire che le persone che lavorano mediante piattaforme digitali abbiano, o possano ottenere, la corretta situazione occupazionale alla luce del loro effettivo rapporto con la piattaforma di lavoro digitale e abbiano accesso ai diritti applicabili in materia di lavoro e protezione sociale;

    2) garantire l'equità, la trasparenza e la responsabilità nella gestione algoritmica nel contesto del lavoro mediante piattaforme digitali; e

    3) accrescere la trasparenza, la tracciabilità e la consapevolezza degli sviluppi nel lavoro mediante piattaforme digitali e migliorare l'applicazione delle norme pertinenti per tutte le persone che lavorano mediante piattaforme digitali, comprese quelle che operano a livello transfrontaliero.

    L’intervento europeo è volto innanzitutto ad escludere ai lavoratori su piattaforma il riconoscimento di un terzo status speciale rispetto al lavoro subordinato e a quello autonomo, garantendo a tutti la corretta qualificazione giuridica del rapporto di lavoro con la previsione di una presunzione relativa di subordinazione se la piattaforma di lavoro digitale controlla determinati elementi dell'esecuzione del lavoro. [8]

    È previsto, a tal fine un elenco di criteri di controllo volti a determinare in concreto l’ambito della presunzione: nel caso in cui la piattaforma soddisfi almeno due dei criteri specificamente indicati, si presume che si sia in presenza di un “worker” ossia, nel linguaggio nazionale, di un lavoratore subordinato.[9]

     La Proposta chiarisce inoltre che spetta al presunto datore di lavoro dimostrare l’assenza di un rapporto di lavoro subordinato alla luce delle definizioni nazionali sancite dalla legislazione o dagli accordi collettivi del rispettivo Stato membro.[10]

    La piattaforma dovrà dimostrare la sussistenza dell’autonomia della prestazione fornendo alle autorità giurisdizionali o amministrative tutte le informazioni pertinenti con un palese obiettivo di contrasto oltre che allo sfruttamento lavorativo anche all’evasione e all’elusione fiscale e contributiva. 

    In maniera ancora più significativa la direttiva prevede un aumento della trasparenza nell’uso degli algoritmi da parte delle piattaforme di lavoro digitali, garantendo che l’insieme dei parametri che regolano l’algoritmo usato per “valutare” il lavoratore vengano resi pubblici con una comunicazione formale. Un modo per rendere consapevole il lavoratore del metro con cui il suo lavoro viene giudicato con conseguente garanzia di contestazione delle decisioni automatizzate.[11]  

    Gli artt. 7 e 8 pongono un altro importante principio circa la sorveglianza dei sistemi automatici basati su algoritmi vietando, tra l’altro alle piattaforme di usare sistemi di gestione algoritmica idonei ad esercitare una pressione indebita sui lavoratori della piattaforma o a mettere altrimenti a rischio la salute fisica e mentale dei lavoratori della piattaforma. Inoltre è garantito al lavoratore di ottenere dalla piattaforma di lavoro digitale una spiegazione o una rettifica di una decisione presa o sostenuta da sistemi automatizzati che incida significativamente sulle sue condizioni di lavoro.

    All’obiettivo della trasparenza sono dedicati gli artt. 11 e 12 della Proposta di Direttiva. Il primo obbliga le piattaforme a condividere con le autorità pubbliche dello Stato membro in cui la prestazione di lavoro è seguita il lavoro affidato ai lavoratori delle piattaforme e ogni dato pertinente, secondo le previsioni dei diritti nazionali. Il  secondo  specifica  che  le  informazioni  in  questione,  da  rendere semestralmente  sia  alle  autorità  pubbliche  vigilanti  sul  lavoro  sia  alle rappresentanze  sindacali  dei  lavoratori e delle lavoratrici con piattaforma, attengano al numero delle persone che lavorano  continuativamente  con  la piattaforma e alla qualificazione giuridica del loro rapporto, nonché i termini e le condizioni  contrattuali  applicati,  e  possano  essere  oggetto  di  richieste  di chiarimento cui le piattaforme hanno obbligo di rispondere.

    Infine la Proposta di Direttiva dedica gli artt. 13-19 agli aspetti processuali e rimediali, tra i quali viene in rilievo per l’assoluta novità la legittimazione alla sostituzione processuale delle organizzazioni sindacali rispetto ai lavoratori rappresentati, con il consenso di questi ultimi, per le violazioni della Direttiva (art. 14).

    Altri creano diritti  inediti  sul  piano  sostanziale,  come  quello  di usufruire della infrastruttura della piattaforma per comunicazioni tra i lavoratori, e tra i lavoratori e i loro rappresentanti (art. 15); o sul piano   processuale, come  l’obbligo  per  gli  Stati  di  consentire  alle  autorità  che  giudichino  della corretta qualificazione del rapporto di lavoro di ordinare alle piattaforme di fornire ogni elemento di prova rilevante, anche di natura riservata: con una significativa applicazione del principio di vicinanza della prova, e un notevole allargamento rispetto alle previsioni dell’art. 210 c.p.c. (art. 16).

    Sono inoltre previste tutele per le persone che lavorano con piattaforme, e per i loro rappresentanti, contro rappresaglie per aver invocato l’applicazione delle disposizioni della Direttiva (art.  17), e in particolare contro il licenziamento, tra le quali ultime vi è il passaggio dell’onere della prova in capo alla piattaforma (art. 18).[12]

    Infine l’art. 19 richiede agli Stati membri di prevedere un sistema sanzionatorio effettivo, proporzionato e dissuasivo, oltre ad indicare la responsabilità delle autorità che vigilano sull’applicazione del Regolamento (EU) 2016/679, cioè il Regolamento privacy, per l’imposizione di sanzioni amministrative nei casi di violazioni degli att. 6, 7, parr. 1 e 3, 8 e 10.

    La sia pur superficiale analisi dei contenuti e degli scopi della Proposta di Direttiva, fa emergere con tutta chiarezza la volontà di creare un apparato normativo completo ed efficace, sicuramente idoneo a superare nel nostro ordinamento quello contenuto nella legge 128/2019.

    Il fine di tutelare e porre in sicurezza al più presto una parte cospicua e finora trascurata di lavoratori è inoltre garantito dall’art. 21, par. 1 delle disposizioni transitorie della Proposta di Direttiva che pongono il termine biennale per il recepimento da parte degli Stati membri ma, nulla impedisce al nostro legislatore nazionale di anticipare i tempi dell’emanazione della Direttiva e così adeguare le norme italiane alle aspettative eurounitarie.


    [1] Con l’obiettivo di anticipare e gestire il cambiamento, la Commissione dedica particolare attenzione alla necessità per la Ssl di rispondere alle innovazioni generate dalle transizioni verde e digitale, accelerate anche dai piani di ripresa e resilienza, nonché dalle dinamiche demografiche che stanno già determinando un invecchiamento della popolazione lavorativa. In proposito, richiama a riferimento il proprio studio Industria 5.0 - verso un’industria più sostenibile, resiliente, incentrata sull’umano del 7 gennaio 2021 che propone una visione per conciliare diritti e bisogni dei lavoratori con i processi di transizione verde e digitale e il libro verde sull’invecchiamento demografico del 27 gennaio 2021.

    [2]  Attualmente si stima che i problemi di salute mentale affliggano 84 milioni di europei, metà dei lavoratori considerano lo stress una criticità comune del loro ambiente di lavoro. Si valuta che lo stress genera il 50% delle giornate lavorative perse in Ue.

    Gli effetti della pandemia hanno portato il 40% dei lavoratori a lavorare da remoto a tempo pieno con l’effetto di confondere la separazione tra tempo di vita privata e tempo del lavoro, generando problemi quali la connessione continua, la mancanza d’interazione sociale, l’espansione dell’uso delle tecnologie d’informazione e comunicazione (Tic), che hanno generato l’insorgere di rischi addizionali per gli aspetti psicosociali ed ergonomici. 

    [3] L’articolo 29 D.lgs 276/03 che disciplina la responsabilità solidale nell’ambito dell’appalto ampliando la previsione dell’art. 1667 c.c., appare ora – dopo innumerevoli modifiche - insufficiente a salvaguardare i lavoratori utilizzati all’interno di processi produttivi frammentati che prevedono il frequente ricorso a catene di appalti e subappalti.

    La norma, infatti, contrariamente a quanto prevedeva l’abrogato art.3 della legge 1369/60 per gli appalti interni, non prevede alcuna garanzia di parità di trattamento per i lavoratori impiegati nell’appalto diversamente da quanto previsto dall’art. 23 d.lgs. 276/03 per i lavoratori somministrati e da quanto ora disposto dal D.L. n. 77/2021 (convertito dalla legge n. 108/2021) nella regolamentazione degli appalti in ambito pubblico. In particolare il comma 1 lett. b punto 2 dell'art. 49 che ha modificato il comma 14 dell'art. 105 del D.lgs n. 50/2016, ha previsto che “il subappaltatore, per le prestazioni affidate in subappalto, deve garantire gli stessi standard qualitativi e prestazionali previsti nel contratto di appalto e riconoscere ai lavoratori un trattamento economico e normativo non inferiore a quello che avrebbe garantito il contraente principale, inclusa l'applicazione dei medesimi contratti collettivi nazionali di lavoro, qualora le attività oggetto di subappalto coincidano con quelle caratterizzanti l'oggetto dell'appalto ovvero riguardino le lavorazioni relative alle categorie prevalenti e siano incluse nell'oggetto sociale del contraente principale”. 

    [4] Il 7 dicembre 2021, è stato sottoscritto – all’esito di un approfondito confronto con le Parti sociali promosso dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, il “Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile” con lo scopo di fornire a imprese e lavoratori del settore privato le linee guida con cui disciplinare, nella contrattazione collettiva, il lavoro agile. I punti di principale attenzione del protocollo sono: - accordo individuale; - organizzazione del lavoro agile e regolazione della disconnessione; - luogo di lavoro; - strumenti di lavoro; - salute e sicurezza sul lavoro; - infortuni e malattie professionali; - diritti sindacali; - parità di trattamento e pari opportunità; - lavoratori fragili e disabili; - welfare e inclusività; - protezione dei dati personali e riservatezza; - formazione e informazione; - osservatorio bilaterale di monitoraggio; - incentivo alla contrattazione collettiva. Di particolare rilevanza l’abbandono della nozione di orario di lavoro, e quindi di lavoro straordinario nei periodi di smart working, l’obbligo di individuare sempre, in ogni caso, la fascia di disconnessione, la possibilità  per il lavoratore sospendere la prestazione lavorativa fruendo di permessi, la libertà per il lavoratore Il lavoratore  di individuare il luogo ove svolgere la prestazione in modalità agile, purché lo stesso abbia caratteristiche tali da consentire condizioni di sicurezza e riservatezza lasciando alla contrattazione collettiva  la possibilità di individuare i luoghi inidonei per motivi di sicurezza personale o protezione, segretezza e riservatezza dei dati. Restano in ogni caso confermati gli obblighi del datore di lavoro, già previsti dalla legge, in tema di salute e sicurezza, di formazione e di informazione, di divieto di discriminazione.

    [5]  Finora la risposta più rilevante a questa naturale conflittualità è venuta dalla giurisprudenza della maggior parte dei Paesi Europei interessati dal fenomeno: Cass. 24 gennaio 2020, n. 1663; Tribunale di Bologna 31 dicembre 2020 in materia di discriminazione; Cour de Cassation, Chambre social, 28 novembre 2018, n. 1737, per i riders di Takeaway, e Cour de Cassation, Chambre sociale, 4 marzo 2020, n. 374, per i drivers di Uber in Francia; BundesArbeitsGericht (Bag), 1° dicembre 2020, 9 AZR 102/20, a proposito dei crowdworkersin Germania; Tribunal Supremo Sala de lo Social, Pleno, 25 settembre2020, n. 805, per i repartidores di Glovo in Spagna.

    [6]  Secondo una stima, contenuta nella relazione (Explanatory memorandum) alla Proposta di Direttiva, fino a cinque milioni e mezzo di persone che lavorano mediante piattaforme di lavoro digitali potrebbero essere a rischio di errata classificazione della situazione occupazionale.

    [7] La relazione (stima che circa 28 milioni di persone lavorino attualmente su piattaforme digitali nell’Unione Europea come lavoratori autonomi, con una previsione di crescita di circa 43 milioni di addetti entro il 2025. Le piattaforme di lavoro digitali sono presenti in diversi settori economici. Alcune offrono servizi "in loco", come ad esempio servizi di trasporto a chiamata, consegna di merci, servizi di pulizia o di assistenza. Altre operano esclusivamente online fornendo servizi quali la codifica di dati, la traduzione o il design.

    [8] Le disposizioni relative sono contenute negli artt.  3-5 della Proposta di Direttiva: l’art. 3, par. 1 impone agli Stati di prevedere una procedura di qualificazione del rapporto di lavoro delle persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali, in modo da consentire alle persone che potrebbero essere erroneamente classificate come lavoratori autonomi, di essere riclassificate come lavoratori subordinati in base ad una valutazione dei fatti relativi all'effettiva esecuzione del lavoro e alla retribuzione (art.3, par. 2). 

    [9]  Art. 4, par. 1. Va  ricordato  che la presunzione  relativa  non  si  applica a qualunque  piattaforma,  ma  soltanto  a  quelle  (digital  labour platforms) che controllino l’esecuzione del lavoro, intendendo per controllo, ai sensi dell’art. 4, par. 2, quello che comporti la presenza di almeno due degli indici seguenti: a)  determinando  effettivamente  o  fissando  limiti  massimi  per  il  livello  di remunerazione; (b) imponendo alla persona che esegue il lavoro di piattaforma di rispettare specifiche norme vincolanti per quanto riguarda l’aspetto, il comportamento nei confronti del destinatario del servizio o l'esecuzione del lavoro; (c) controllando l'esecuzione del lavoro o verificando la qualità dei risultati del lavoro anche con mezzi elettronici; (d) limitando di fatto la  libertà,  anche  mediante  sanzioni,  di  organizzare  il  proprio  lavoro,  in  particolare  la discrezionalità di scegliere il proprio orario di lavoro o i periodi di assenza, di accettare o rifiutare  compiti  o  di  ricorrere  a  subappaltatori  o  sostituti;  (e)  limitando  efficacemente  la possibilità di crearsi una clientela o di eseguire lavori per terzi.

    [10]  L’art.  5 pone a carico delle piattaforme l’onere della prova dell’autonomia del lavoro prestato a loro vantaggio: anche nel caso di sussistenza di tutti gli indici che, ex art. 4, evidenziano il controllo sul lavoro da parte della piattaforma, specificando l’irrilevanza dell’eventuale accordo tra le parti del rapporto di lavoro per escludere la subordinazione.    

    [11] Nella proposta di Direttiva, l’art. 6 prevede l’obbligo degli Stati membri di introdurre un diritto di informazione in capo ai singoli lavoratori sia sui sistemi di controllo delle prestazioni lavorative, sia su quelli che prendono decisioni sulle  condizioni  di  lavoro, come  l’accesso alle singole prestazioni di lavoro, la loro retribuzione, la sicurezza e salute sul lavoro, l’orario di lavoro, il loro orario di lavoro, e il rapporto di lavoro in genere, compresa, la limitazione, la sospensione o la cessazione del loro account (par. 1).  

    [12] Con previsione analoga a quella italiana contenuta nell’art. 5 della legge 604/1966.


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