Gli attori della giustizia
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 Michele Taruffo

Michele Taruffo

di Bruno Sassani, Bruno Capponi e Andrea Panzarola  

La scomparsa di Michele Taruffo lascia un vuoto nell’ampia comunità degli studiosi del processo che si proietta ben oltre i confini italiani. La straordinaria diffusione della sua opera in tutto il mondo lo aveva infatti, col tempo, elevato alla posizione universalmente riconosciuta di Maestro di diritto e processo per i giuristi di ogni continente. Questa anima grande della cultura giuridica ha esercitato per ogni dove il suo alto magistero utilizzando tutti i mezzi coi quali si alimenta la vita dello Studioso, ora con lo scritto ora con la parola ora con entrambi, sempre con l’inconfondibile impronta della sua poliedrica personalità.

Gli incarichi di Visiting Professor presso prestigiose Università (dalla Cornell Law School allo Hastings College of the Law della University of California); l’infaticabile attività di relatore in convegni internazionali; l’appartenenza alle più importanti associazioni italiane e straniere di diritto processuale e di teoria del diritto (dall’American Law Institute al Bielefelder Kreis, dalla International Association of Procedural Law – di cui è stato pure Segretario Generale – all’Instituto Brasileiro de Direito Processual e all’Academia Brasileira de Direito Constitutional, dall’Association Henri Capitant des Amis de la Culture Juridique Française alle Associazioni italiane di Diritto Comparato e fra gli Studiosi del Processo Civile); la partecipazione ai comitati scientifici di riviste giuridiche e filosofiche; i libri dedicati a temi cruciali della esperienza processuale: tutto questo e molto altro ha concorso a diffondere il pensiero di Taruffo e a consolidarne la posizione di primazia nel panorama tanto italiano (suggellata dalla nomina nel 2005 a Socio Corrispondente della Accademia Nazionale dei Lincei) quanto internazionale.

Non a caso, il volume scritto nel 1993 con Geoffrey C. Hazard su “La giustizia civile negli Stati Uniti” è stato pubblicato, oltre che in inglese, pure in cinese e giapponese. In spagnolo è stato pubblicato nel 2002 il libro del 1992 su “La Prova dei fatti giuridici”. I volumi su “La motivazione della sentenza civile” (1975), su “Il vertice ambiguo (Saggi sulla Cassazione civile)” (1991), “Sui confini (Scritti sulla giustizia civile)” (2002) sono stati rispettivamente pubblicati in Messico, Perù e Colombia. Altrettanto significativamente, Taruffo è stato editor dell’opera fondamentale del 1999 su “Abuse of Procedural Rights: Comparative Standards of Procedural Fairness” (frutto dell’International Colloquium svoltosi nell’ottobre 1998 presso la Tulane Law School di New Orleans ed organizzato dalla International Association of Procedural Law). Pure le “Cinco lecciones mexicanas: Memoria del Taller de Derecho Procesal” del 2003 (in https://www.te.gob.mx/publicaciones/sites/default/files//archivos_libros/Cinco%20Lecciones%20Mexicanas-%20Memoria%20del%20Taller%20de%20Derecho.pdf) restituiscono appieno l’influenza del suo insegnamento in Messico (ed in generale nell’America latina tutta). A distanza di mezzo secolo dalle conferenze messicane di Piero Calamandrei del 1952 (poi pubblicate un paio di anni dopo sotto il titolo “Processo e democrazia”), le lezioni del marzo del 2002 – tenute da Taruffo di fronte al “Tribunal Electoral del Poder Judicial de la Federación” e incentrate su tematiche essenziali nella riflessione del Maestro (dalla teoria generale della decisione al precedente, dalla decisione “giusta” alla funzione dimostrativa della prova, etc.) – furono precedute da una dettagliata presentazione da parte del Presidente del “Tribunal Electoral” dell’attività scientifica dell’ospite pavese, che venne al contempo descritto – e vale la pena ripeterne le parole che riassumono un sentire condiviso – come “un grande processualista e filosofo del nostro tempo”, “heredero de la tradición italiana de Chiovenda, Carnelutti, Calamandrei y Denti”.

Le specifiche competenze di diritto comparato, e la fama acquisita nel contesto internazionale, hanno aperto a Taruffo il ruolo di co-reporter del progetto dell’American Law Institute su “Principles and Rules of Transnational Civil Procedure”. Ed è grazie all’inusuale combinazione della padronanza degli strumenti teorici generali e delle conoscenze analitiche dei singoli modelli processuali, che egli ha potuto cimentarsi nell’arduo compito di organizzare il sistema dei principi e delle regole generali a portata “transnazionale” al fine di armonizzare discipline troppo spesso orgogliose della loro “municipalità”.

Michele Taruffo imboccò giovanissimo la sua strada, sulle orme del suo Maestro Vittorio Denti e nel clima culturale della Scuola pavese, particolarmente fecondo a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. Nato nel 1943, si era laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Pavia nel 1965, nella quale ha finito per ricoprire per molti anni (a partire dal 1976) il ruolo di professore ordinario di diritto processuale civile (insegnandovi altresì diritto processuale comparato e diritto processuale generale). La vocazione comparatistica dello studioso è rispecchiata impeccabilmente nel libro del 1979 dedicato a “Il processo civile ‘adversary’ nell’esperienza americana”. A quella data Taruffo aveva già dato alle stampe due volumi: il primo – “Studi sulla rilevanza della prova” – pubblicato a soli ventisette anni, nel 1970; il secondo –  “La motivazione della sentenza civile” (1975) – destinato a diventare un punto di riferimento su un tema tumultuosamente irrisolto. Da queste monografie emergono le direttive delle ricerche degli anni successivi, e prendono forma i tratti distintivi della sua opera complessiva: il marcato sincretismo metodologico che alla prediletta analisi comparatistica associa la sensibilità filosofica e quella storica. Di lì a pochi anni Michele Taruffo offrirà il suo contributo di storico pubblicando “La giustizia civile in Italia dal ‘700 ad oggi” (1980), un libro che – per la completezza della informazione, la pluralità dei punti di vista e nondimeno la nettezza delle interpretazioni – è comprensibilmente assurto a testo di riferimento per i cultori della storia del processo.

L’indagine storica fa da sottofondo anche al successivo libro del 1991 su “Il vertice ambiguo. Saggi sulla Cassazione civile”. Già soltanto il fatto che il titolo del volume – “Il vertice ambiguo” – sia divenuto, nella discussione pubblica sulla Corte Suprema, un vero e proprio topos argomentativo, la dice lunga sull’impatto che l’opera ha avuto su una tematica delicata e divisiva. I meriti del volume, che ha guadagnato negli anni la dignità di vero e proprio “classico” sul giudizio di cassazione, sono d’altra parte risaputi. Non è qui il caso di indugiarvi, se non per dire che rappresentazioni stereotipate da una lunga e comoda tradizione interpretativa, irrigidite nelle semplificazioni di polarità (jus constitutionis-jus litigatoris) che parevano non ammettere vie d’uscita, sono oggetto di radicale rivisitazione critica. Taruffo risale alle origini della ricezione della Cassazione in Italia (mettendo l’accento sulla vivace polemica, in larga parte rimossa, fra i fautori del modello della Cassazione, da un lato, e i sostenitori del modello della Terza Istanza della tradizione nazionale, dall’altro lato) e, ridiscutendo la lezione di Calamandrei, rilegge l’idea di un modello “puro” di Corte Suprema capace di proiettare sul presente la sua forza plasmatrice. Dall’esame delle ragioni della ibridazione nella Cassazione italiana di istituti di eterogenea ascendenza, emerge così il tema del “precedente” (tema che un suo valoroso allievo ha recentemente discusso criticamente nella chiave del “precedente impossibile”).

Michele Taruffo non ha mai smesso negli anni di sviluppare gli argomenti che formano il nucleo pulsante della sua attività speculativa e che vertono – per limitarsi a una estrema sintesi – sulla prova e sulla ricerca dei fatti in funzione di una decisione giusta. Al libro del 1992 su “La prova dei fatti giuridici. Nozioni generali”, si ricongiungono, idealmente, la curatela del volume del 2012 su “La prova nel processo civile” (nel Trattato di diritto civile e commerciale di Giuffrè) e, in buona parte, il contributo del 2011 sui “Poteri del giudice” nel Commentario al codice di procedura civile di Zanichelli. Non sembra azzardato tuttavia ipotizzare che la massima diffusione delle sue idee su queste tematiche (ben al di là del recinto degli studiosi del processo civile) si sia avuta in occasione della pubblicazione, nel 2009, del volume su “La semplice verità. Il giudice e la costruzione dei fatti”. L’originale impostazione metodologica di questo volume (innestata sulla rimarcata interdipendenza di prospettive investigative le più diverse) è messa in evidenza dalla trasparenza espositiva, agevolata dalla chiarezza e fluidità di dettato.

Con l’opera di Michele Taruffo si è confrontata la comunità senza confini degli studiosi del processo. Il suo contributo investe l’esperienza integrale della tutela e la complessiva cultura del diritto che vi si accompagna.

Lascito fecondo per le generazioni future.

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