Francesco Iacoviello: intellettuale e di pensatore del diritto di Cataldo Intrieri
Ho scritto di Francesco Mauro Iacoviello che da magistrato è stato la perfetta rappresentazione “dell'intellettuale spesso scomodo, qualche volta sopportato e mai banale.” Tomaso Epidendio ha scritto di lui come un esempio di magistrato coraggioso per tutti i suoi colleghi. Ecco, spero nessuno si offenda, ma limitarlo al pur prestigioso ruolo di eccellente magistrato forse è limitativo, pur augurandomi che ci siano ancora tanti come lui a raccogliere la sua eredità (https://www.giustiziainsieme.it/it/il-magistrato/1081-francesco-iacoviello-il-magistrato-come-uomo-libero).
E mi spiego.
Per Iacoviello la definizione di intellettuale e di pensatore del diritto è un’esatta sintesi. Sarebbe stato e sarà lo stesso in qualunque altra veste da giurista e credo si possa dire che il ruolo ricoperto, caso raro per ognuno di noi, non abbia influito sul suo modo di vedere le cose.
In ognuna delle sue più famose requisitorie , come negli interventi nei convegni o nei suoi scritti è sempre presente lo sforzo di una analisi in funzione di un’idea liberale dell’ordinamento.
In questo il suo pensiero è realmente politico (anche se io non ho idea di cosa voti), nel senso che l’interpretazione del diritto debba essere espressione di uno Stato democratico, rispettoso dell’equilibrio dei poteri, contro ogni tentazione autoritaria.
In un mondo fortemente conformista e legato a regole formali anche nelle modalità di espressione lui ha adottato un linguaggio moderno, asciutto, quasi scheletrico fino alla civetteria di concedersi il lusso di scrivere uno storico manuale , il suo “opus magnum” sulla Cassazione senza note a piè di pagina.
Un giurista essenziale, illuministicamente convinto del necessario primato della logica su tutto il resto.
Studiando i suoi interventi si comprende che ciò che a lui interessa è la soluzione di un ragionamento che deve essere quello più equilibrato e non il più opportuno o il più atteso. Ed in tal senso lui alla sua corporazione qualche dispiacere ha arrecato. Credo, ma è una mia impressione senza riscontro e potrei essere facilmente smentito , che lui si sia sentito talvolta gratuitamente offeso e non capito dal suo mondo.
In alcune delle sue più famose requisitorie ( Dell’Utri ed Eternit) vi è la precisa consapevolezza che la “ sua” soluzione non sarebbe stata la più popolare ma la più coerente con la sua visione culturale : come ha detto chiudendo un suo intervento alle Sezioni Unite “ tra giustizia e diritto” lui avrebbe sempre scelto quest’ultimo. E così è stato: dal diritto ha sempre colto e tratto fuori la visione più liberale, non quella “politicamente corretta”.
Si badi bene, l’uomo non è fuori dal suo tempo, anzi vi è pienamente dentro: un esempio fra tutti sulla sua capacità di intuire il momento storico resta per me il suo intervento ad un convegno del Lapec di Roma, che allora dirigevo, sul tema del diritto penale europeo, un’iniziativa che rappresenta per me e coloro che la organizzarono un motivo di particolare orgoglio. Era “ solo” il 2016.
L’evento era articolato su quattro tavole rotonde con oggetto quattro fondamentali sentenze delle corti europee ( Contrada, Grande Stevens, Varvara e Taricco)
Lui parlo’ di Contrada[1] con molta passione, e non poteva essere diversamente , perché aveva precorso i tempi qualche anno prima quando alle Sezioni Unite della Cassazione aveva sollecitato ed ottenuto il riconoscimento del valore vincolante ( con efficacia retroattiva quando in “bonam partem”) della interpretazione giurisprudenziale come “ fonte normativa”.[2]
Era una sentenza che consentiva l’applicazione di un indulto, per essere precisi, una “ roba” garantista.
Una sentenza così rivoluzionaria da suscitare la reazione di netta chiusura della Corte Costituzionale che sul punto a distanza di brevissimo tempo serrò le porte non solo alle Sezioni Unite ma alle stesse sentenze della Corte Europea cui non era possibile riconoscere altra incidenza se non quella legata al singolo caso cui era legata.[3]
Che il relatore di tale posizione conservatrice fosse un indimenticabile ex presidente dell’Unione Camere Penali che in questa veste aveva condotto e vinto grazie anche al vento innovatore delle sentenze di Strasburgo la battaglia sulla riforma costituzionale del giusto processo dice molto sui paradossi della Storia e sulle difficoltà di accettare i cambiamenti anche per le menti più acute e libere.
Iacoviello nel suo intervento si levò qualche sassolino, diciamo che la suscettibilità non gli fa difetto, descrivendo la Consulta affannosamente tesa a rispolverare “l’argenteria di famiglia”, come in una pagina di Proust, mentre in platea a sentirlo con attenzione c’era Giorgio Lattanzi, allora vicepresidente della Corte.
Parlo’ di concetti come il “ prospective ovverruling” e della legalità convenzionale come prevedibilità del mutamento d’indirizzo giurisprudenziale, temi oggi largamente dibattuti, ma soprattutto spiegò con grande efficacia e preveggenza il rischio forte di un’imminente collisione tra le Corti sovranazionali e quelle interne. La Storia gli ha dato ragione ed io spero che questo profilo sara’ al centro dei suoi futuri studi e riflessioni perché su di esso si sta giocando una fetta non indifferente dei destini europei, come dimostra la recente disputa tra la Corte costituzionale tedesca e la Corte di Giustizia del Lussemburgo sui programmi di “quantitative easing” .
Quando qualche tempo dopo gli chiesi di mettere per iscritto il suo intervento mi rispose quasi scandalizzato che era “ robetta detta a braccio”. Da quella “ robetta” personalmente trassi una discussione di un paio d’ore sul principio di legalità nei mutamenti giurisprudenziali e per riconoscenza gli inviai il testo che ne avevo ricavato.
Si complimentò ma mi fece rilevare che ero stato “ un pò troppo concettuale”. Conservo gelosamente l’SMS e la sua critica. Da lui ci sarà sempre da imparare con la certezza di una continua incessante ricerca ed evoluzione del pensiero, di un punto di vista nuovo, della ricerca spasmodica dell’evoluzione incessante del pensiero liberale e democratico.
Buon lavoro ed alla prossima, Maestro.
Cataldo Intrieri
[1] https://www.radioradicale.it/scheda/468482/tra-europa-e-italia-come-le-corti-europee-stanno-cambiando-il-diritto-penale-italiano?i=3527796
[2] “… tale soluzione è imposta dalla necessità di garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona in linea con i principi della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, il cui art. 7, come interpretato dalle Corti Europee, include nel concetto di legalità sia il diritto di produzione legislativa che quello di derivazione giurisprudenziale” ( Cass. Sez. Un. 21 gennaio 2010, n. 18288, Beschi).
[3] Corte Cost. Sentenza 230/12 pres. Quaranta, relatore Frigo.