Alla ricerca di un accesso effettivo e proporzionato alla risorsa giurisdizionale: la brutta pagina della stretta legislativa alla c.d. impugnativa degli estratti di ruolo
di Alberto Marcheselli
1. Oggetto di queste brevi riflessioni è la recente novella in materia di impugnabilità degli estratti di ruolo e impugnabilità c.d. diretta dei ruoli e delle cartelle asseritamente non validamente notificate.
L’esclusione della impugnabilità dell’estratto di ruolo è invero assai poco problematica. L'oggetto della disposizione è chiaro: disciplina gli atti impugnabili davanti al giudice tributario, escludendo dal novero l'estratto di ruolo.
Il contenuto della disciplina è altrettanto chiaro e in piena continuità con la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali hanno riconosciuto che l'estratto di ruolo è un'attestazione da cui risultano dei provvedimenti, ma non è un provvedimento in sé, e quindi non è impugnabile.
Norma chiara, non innovativa e certamente non foriera di problemi di diritto intertemporale: tale regime era già proprio del diritto vigente.
2. I problemi sono altri e derivano dal fatto che dall'estratto di ruolo - in quanto attestazione -risultano altri provvedimenti: in particolare, ad esempio, una iscrizione a ruolo e, eventualmente, cartelle di pagamento, o altri atti del procedimento impositivo.
Il problema, allora, non è se sia impugnabile l’estratto di ruolo ma:
1) se la conoscenza derivante dall'accesso all'estratto di ruolo consenta l'impugnazione di atti precedenti ignorati, senza dover attendere, ai sensi dell’art. 19, comma 3 d. lgs. 546/1992, la notificazione di atti successivi eventuali, come ad esempio il pignoramento;
2) se la acquisita conoscenza dell’estratto di ruolo consenta la rimozione di iscrizioni pregiudizievoli, indipendentemente dall’esistenza di altri atti precedenti non conosciuti, per esempio la cancellazione dal ruolo di pretese cadute in prescrizione.
La novella, nella sua seconda parte, si occupa di questo e in particolare di quanto sub 1) (lasciando invece scoperto il non lieve problema della tutela delle situazioni sub 2) ed ha sicuramente una portata innovativa alla luce della giurisprudenza pregressa delle sezioni unite della Corte di Cassazione, in particolare della sentenza 19704 del 2005.
A mente di essa, attendere la notifica di un atto successivo non è l'unica via per ottenere tutela in caso di omessa notifica dell'atto precedente. In tale caso è possibile infatti - deve essere possibile, dice la Corte di Cassazione, in base a una interpretazione costituzionalmente orientata - impugnare anche se l'atto precedente di cui si contesta la notifica viene ad essere conosciuto per esempio attraverso l'estratto di ruolo. Le Sezioni Unite riconoscono che questa ammissione della tutela è una tutela efficiente e costituzionalmente dovuta, perché adeguata sia alla tutela delle ragioni del singolo, sia perché realizza anche il principio di buon andamento della pubblica amministrazione: può impedire l'avanzamento di un procedimento illegittimo, che poi andrebbe incontro ad un'eventuale annullamento, con dispersione anche della risorsa amministrativa.
Si tratta, insomma, di un uso proporzionato e buono della risorsa giurisdizionale.
Questa giurisprudenza è, inoltre, sistematicamente coerente con quella, parallela, che consente l'impugnazione dei cosiddetti avvisi bonari: anche in quel caso si tratta della possibilità di ottenere tutela anticipatamente, in modo efficace e produttivo, evitando l'emissione di provvedimenti che potrebbero comunque essere annullati.
Profilo non univoco, invece, era semmai se questa impugnazione facoltativa dovesse esercitarsi entro un termine. In senso positivo, ad esempio, la sentenza 23076 del 2019.
In ogni caso era tendenzialmente acquisito che la impugnazione degli atti conosciuti per il tramite dell'estratto di ruolo (e non dell'estratto di ruolo) fosse consentita e fosse facoltativa.
3. La novella, quindi, nella parte in cui limita la possibilità di impugnare gli atti conosciuti attraverso l'estratto di ruolo è sicuramente innovativa.
Essa fa riferimento all'impugnazione diretta che tutti interpretano - più propriamente - come impugnazione immediata, cioè autonoma e non associata all'impugnazione di un atto successivo. In sostanza, l'impugnazione diretta sarebbe un'impugnazione diversa da quella prevista dall'articolo 19 comma 3 del decreto sul contenzioso: è possibile impugnare senza attendere che sia notificato l'atto successivo.
La norma fa, poi, un riferimento alla dimostrazione di un interesse qualificato. Anche quanto a questo aspetto, si tratta di una terminologia abbastanza inusuale - e forse impropria: nel processo non si danno dimostrazioni ma si forniscono prove, si formulano allegazioni e si prospettano argomentazioni.
4. Esaurita questa premessa si affrontano innanzitutto tre problemi: il primo problema è se questa impugnazione, alla luce della nuova disciplina, rimanga tuttora una impugnazione facoltativa; il secondo problema è se, per questa impugnazione facoltativa, sia previsto un termine di esercizio; il terzo problema è se questa impugnazione, o meglio se questa nuova disciplina, sia applicabile anche i processi in corso.
Per quanto riguarda il primo problema, l'alternativa, se ben si intende, è tra ritenere che gli atti conosciuti di cui la nuova disciplina si occupa siano impugnabili facoltativamente oppure ci sia un onere di impugnarli a pena di decadenza.
Per una tesi, l'impugnazione non sarebbe più facoltativa ma il contribuente ne sarebbe onerato, se vuole contestare l’atto di cui è così venuto a conoscenza.
Se non ci si inganna, ciò significa che, sussistendo l'onere di impugnarlo, l'atto, se non impugnato in questa sede, non sarebbe più contestabile.
A questa soluzione possono opporsi alcune obiezioni.
La prima è che la norma, in effetti, non lo dice affatto. La disposizione si limita ad affermare che quegli atti sono suscettibili di impugnazione diretta solo se c’è un interesse qualificato. Non che quegli atti sono suscettibili solo di impugnazione immediata. Ergo, l'impugnazione autonoma anticipata è ancora ammissibile, ma in ipotesi più restrittive rispetto all'apertura che era stata effettuata dalle Sezioni Unite. Ciò non pare voglia significare che ora è possibile solo l'impugnazione anticipata, ma solo che l'impugnazione anticipata resta possibile in ipotesi più ristrette.
Per usare una metafora …autostradale, pare che la novella equivalga a una disciplina innovativa del regime del traffico. Premesso che, per andare da Genova a Roma, si può passare da La Spezia o da Voghera e Piacenza, l'intervento legislativo equivale a una prescrizione che stabilisca che, visto che le autostrade liguri sono i condizioni tragiche, è consentito passarci soltanto per ragioni di stretta necessità. Ma una disposizione che dicesse che per La Spezia si passa solo per ragioni necessità non vuol dire che… si sia obbligati a passare dalla Spezia. Soltanto che, se si vuol passare dalle 5 Terre, bisogna dimostrare di avere una ragione speciale.
5. E non basta, non solo questa ipotesi pare fuori dall’area semantica e logica della disposizione, ma pare crei non pochi problemi applicativi.
Facciamo qualche esempio.
Se Tizio acquisisce l'estratto di ruolo e ha l'onere di impugnare l’atto sottostante, la prima domanda è: l'ha sempre questo onere, anche se non ha l'interesse qualificato? Se rispondiamo di si, dalla richiesta dell'estratto di ruolo fatta in assenza dei particolari casi di interesse qualificato scatterebbe una specie di roulette russa. Se si sceglie di non impugnare perché non sussiste l’interesse, scatterebbe il rischio di perdere il diritto di impugnare l'atto (che, magari, era ingiusto): sussisteva l'onere di impugnarlo e non lo si è adempiuto. Se, invece, l’impugnazione interviene, si deve sperare che sopravvenga l'interesse, sennò si va incontro a una pronuncia di inammissibilità. E, di nuovo, non è che si consolida il provvedimento?
Se così fosse, si avrebbe una sorta di sanzione per la curiosità: la richiesta dell’estratto di ruolo troppo presto comporterebbe delle potenziali conseguenze sfavorevoli.
Ovviamente, la soluzione potrebbe essere anche diversa: che l’onere scatti solo se sussisteva l'interesse qualificato. Ma ciò crea una situazione alquanto arzigogolata: se si impugna successivamente si potrebbe veder opposta una eccezione così fondata: a) è intervenuta decadenza perché era stato chiesto un estratto di ruolo quando b) sussisteva l’interesse qualificato. Cioè, a ritroso, bisognerebbe accertare se e quale estratto di ruolo era stato rilasciato, e che interessi sussistevano allora: un accertamento di difficile gestione. Non solo una interpretazione forzata, ma anche una soluzione molto complessa da gestire anche in giudizio.
E non basta: si supponga che Tizio impugni l’atto sotteso all’estratto di ruolo e sia titolare dell’interesse qualificato previsto la legge, ma che questo interesse venga meno, durante il processo, perché, per esempio, nel frattempo vengono risolte le pendenze con l'amministrazione. Ne dovrebbe conseguire che, venuto meno l’interesse, non si avrebbe più diritto ad ottenere una decisione (viene meno una condizione dell’azione). Ma anche qui sorge l’interrogativo: dato che il provvedimento poteva essere impugnato – a pena di decadenza - solo nella sede anticipata, esso dopo non è più impugnabile? Cioè, il venir meno e dell'interesse priva definitivamente del diritto di impugnare il provvedimento (che magari era ingiusto)? Oppure, se viene meno l'interesse, si riespande la possibilità di impugnare successivamente?
Appare evidente che la seconda è la conclusione equa.
Tra l’altro, questo problema la nuova disciplina lo determina sempre… se anche non sussiste l’onere di avanzare la impugnativa facoltativa ma essa viene proposta, cosa succede se viene meno l’interesse? Viene meno il diritto alla decisione. Ma non è più consentito impugnare, né facoltativamente, né insieme agli atti successivi?
La soluzione non può essere questa.
Ma, allora e addirittura, la regola nata per diminuire i processi li raddoppierebbe!
6. In realtà, a risolvere la questione dovrebbe bastare la logica giuridica.
La logica giuridica ci dice che questo intervento normativo intende limitare le impugnazioni anticipate: affermare che ora si tratterebbe delle uniche forme di impugnazione consentite non è affatto implicato nell'obiettivo di limitare le impugnazioni anticipate, ma è una cosa completamente diversa. Il legislatore ha limitato le impugnazioni facoltative, non ha abolito le impugnazioni facoltative.
Tra l'altro, se fossero abolite, per coerenza sistematica dovrebbe essere non più possibile avanzare nessuna impugnazione facoltativa, quindi neppure avverso gli avvisi bonari e simili.
Nuovamente, si tratta di una deriva concettuale scivolosa e contraddittoria rispetto alle finalità, atteso che, tra l’altro, incentiverebbe il contenzioso: nel dubbio indurrebbe a impugnare qualsiasi atto, anche la comunicazione più informale, nel timore di incorrere in (inesistenti) decadenze.
7. Il secondo problema è se ci sia un termine di decadenza per l'impugnazione.
Ovviamente sì, cioè esso deve sussistere, se la si ritiene oggetto di onere, è invece incerto se la si ritenga facoltativa.
Per vero, in questo secondo caso potrebbero non sussistere ragioni sistematiche per ritenere, in radice, che il termine vi debba essere.
E comunque il problema, forse, non dovrebbe essere drammatizzato.
Il termine perentorio serve a dare certezza, ma l'esigenza di certezza scatta se dall'altro lato vi è un provvedimento idoneo a diventare definitivo. Esiste una simmetria: l'ente procedente ha fatto tutto quello che serve per rendere la pretesa definitiva e il contribuente può contestarla, ma entro un termine di decadenza, oltre il quale il provvedimento è definitivamente consolidato.
Quando, in ipotesi, l'atto non sia notificato, o meglio si contesti che non sia stato notificato, pare mancare il presupposto per la necessità della decorrenza di un termine di decadenza.
Non solo, anche ammettendo che il termine vi sia, verrebbe da domandarsi: se non interviene impugnazione ma poi viene ottenuto un altro estratto di ruolo, quale è la ragione per cui non dovrebbe aprirsi la finestra per impugnare, se la prima impugnazione, facoltativa, non è avvenuta?
L’obiezione è: con la conoscenza si deve consumare la facoltà di impugnazione anticipata.
Ma si potrebbe anche ragionare diversamente, senza perdere di alcuna coerenza sistematica: il fine da realizzare è evitare impugnazioni pretestuose e che si sprechi risorsa giurisdizionale, cioè si instaurino cause pretestuose o si moltiplichi la tutela. È allora facile osservare che, fino a quando non c’è stata impugnazione, non c’è, per definizione, stata alcuna impugnazione pretestuosa o una doppia tutela.
Insomma, escludere un termine pare soluzione a) coerente con la giurisprudenza delle Sezioni Unite e b) coerente con la ratio di sistema.
Non solo, la previsione di un termine riporta alle aporìe di cui sopra. Da quando decorre il termine? Dall'estratto di ruolo? Ma potrebbe non sussistere l’interesse! Dal sorgere dell'interesse? Ma non è elemento semplice da accertare, specie ai fini della decorrenza di un termine (che dovrebbe essere una questione di pronta soluzione).
Pare che non dovrebbero essere confuse le istanze di una pubblica amministrazione non perfettamente efficiente (che porta a mal sopportare le richieste di accesso agli atti e, quindi, a trovare meccanismi per scoraggiarle) con le finalità di giustizia, che coincidono con lo scoraggiare (non la conoscenza degli atti ma) l'impugnazione pretestuosa o duplicazioni di tutela, perché la giustizia è una risorsa scarsa che va usata con raziocinio.
8. Il terzo problema da risolvere è, poi, quello dell'efficacia nel tempo della nuova disciplina.
La finalità della norma non è risolutiva: essa è deflazionare il processo tributario, ma indubbiamente deflaziona il processo tributario anche ritenere che la restrizione si applichi solo per il futuro. Deflaziona di meno, ma deflaziona.
È quindi necessario ricorrere ad altri argomenti: l'oggetto della disciplina e la sua natura.
Quanto all'oggetto va detto quanto segue.
Se la norma disciplinasse l'atto impugnabile, essa varrebbe solo per il futuro, idem se disciplinasse il ricorso, il suo contenuto, la sua presentazione. Taluno opina che siano disciplinati gli effetti del ricorso e gli effetti del ricorso non potrebbero cambiare dopo che il ricorso è stato presentato, quindi la disciplina non potrebbe applicarsi ai processi già instaurati. Per vero, ciò appare dubbio. In effetti, la disciplina sembra regolare il diritto di avere una decisione. Esso presuppone il ricorso, ma non è affatto detto che sia garantito per il solo fatto di presentare ricorso e dalla situazione di fatto e di diritto a quel momento esistente (basti pensare alla cessazione della materia del contendere).
Se la nuova disciplina concernesse la decisione, si applicherebbe, invece, sicuramente anche i procedimenti in corso.
Se invece riguardasse un atto processuale, essa si applicherebbe agli atti processuali ancora da compiere.
Non pare che la nuova disciplina disciplini alcunché di tutto ciò: non il ricorso, non la presentazione, non la decisione, non atti processuali.
Neppure i motivi, come pure autorevolmente sostenuto, atteso che i motivi sono le ragioni di illegittimità e infondatezza dell’atto impugnato, mentre qui si tratta del perché si impugna in un senso diverso da quale difetto si fa valere: per evitare quale lesione. Altrimenti, sarebbe un motivo (di impugnazione di una sentenza) anche la soccombenza, quando è evidente che potrebbe essere sbagliata una sentenza che mi dà ragione (e quindi esserci motivi, ma non l’interesse) ovvero esserci l’interesse (perché soccombenti) ma la sentenza essere perfetta (e quindi mancare lo spazio per motivi fondati).
Appare chiaro che si tratta di una disciplina dell’interesse ad agire.
Per altro verso, il problema sarebbe meno complesso se l'oggetto della disciplina fossero non atti, ma la interpretazione delle norme e la sua natura fosse interpretativa. Se infatti la norma fosse interpretativa essa si applicherebbe anche ai fatti precedenti e il problema si ridurrebbe a verificare se si tratti di una interpretazione costituzionalmente legittima, in quanto non sorprendente. La disposizione, però, non si presenta come interpretativa, ma appare palesemente innovativa, in quanto volta a modificare l’assetto del diritto vigente.
Se, allora, essa è una nuova disciplina dell'interesse ad agire, poiché l'interesse ad agire è una condizione dell'azione che deve sussistere fino al momento della decisione, essa è suscettibile di applicazione anche ai processi in corso: se è una regola di economia della risorsa giurisdizionale, essa si dovrebbe applicare processi in corso: consente di non disperdere energie processuali, decisionali, motivazionali per fattispecie non valutate più come meritevoli.
9. Tanto premesso, però, ci sono almeno due ulteriori considerazioni da fare.
La prima si appunta sul fatto che va valutato se sia differente l’ipotesi in cui sia iniziato un processo utile perché sussisteva l'interesse, che poi diventi inutile perché l’interesse viene meno (in questo caso è pacifico che non ci sono ostacoli concettuali a fermare il processo), rispetto alla ipotesi in cui, senza che cambi la situazione di fatto che rappresenta l'interesse, cambi la regola sulla soglia di interesse da ritenere meritevole. Per ricorrere nuovamente a una metafora banale, si tratta dell’equivalente, per esempio, a una modifica in itinere delle regole per la partecipazione a una gara olimpica. Si ipotizzi che in origine, per qualificarsi alla gara di salto in alto, fosse richiesto un salto di 2 m, e poi sia elevato a 2,20 m. La questione equivale a domandarsi se chi fosse qualificato e sia sul punto di partecipare alla gara possa esserne escluso. A rigore, se si tratta di disciplinare l’uso proporzionato della risorsa, la regola può cambiare anche durante l'uso della risorsa e fino a che non è esaurito. L’applicazione della nuova regola fa comunque risparmiare risorse. Nel processo risparmia, quantomeno, motivazione.
Secondo una diversa impostazione, che venga meno l'interesse ad agire in fatto sarebbe una cosa: il processo è diventato inutile, mentre, se cambia la valutazione dell'interesse ad agire, sussisterebbe una limitazione del diritto di azione, che non potrebbe colpire i processi in corso. Non sarebbe una variazione dell'interesse ad agire ma una limitazione del diritto di azione: chi assume questa posizione assume che l'interesse continui ad esserci ma, da un certo punto in poi, non gli corrisponderebbe più la possibilità di agire.
La questione diviene sottile e dubbia: un tale tipo di norma fa venir meno l’interesse o limita le possibilità di tutelare l’interesse? A questa seconda tesi può, in effetti, obiettarsi che l'interesse ad agire è sempre una nozione e fattispecie giuridica: ha una componente fattuale e una componente di qualificazione. Non è un fatto mero, quindi, perché sussiste interesse ad agire solo se l'ordinamento lo riconosce: quindi, se viene meno perché viene valutato diversamente, viene comunque meno la fattispecie rilevante. Per la diversa opinione, invece, modificare la soglia rilevante, in assenza di mutamenti dello stato di fatto, sarebbe operazione sul diritto di azione, che non potrebbe restringersi a processo in corso.
Incidentalmente, può rilevarsi che è abbastanza anomalo che sia legislatore a operare questa valutazione, atteso che di norma essa è affidata al saggio apprezzamento del giudice.
10. Giunti fin qui, la questione resta molto sottile e aperta.
Forse, tuttavia, i criteri fin qui individuati non sono decisivi o potrebbero risultare assorbiti da ulteriori considerazioni.
In effetti, si tratta di un intervento normativo che, non solo non è né dichiaratamente né sostanzialmente interpretativo, ma è – addirittura – una radicale inversione rispetto alla giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione. Non vi era un ragionevole dubbio interpretativo e si tratta di un radicale sovvertimento delle regole della partita. Si potrebbe pertanto ipotizzare che la partita deve avere delle regole stabilite fino, che le regole del gioco non possano cambiare a partita in corso. Per ricorrere all’ennesima metafora, questa fattispecie pare equivalere a quella in cui, dopo un incontro di calcio finito uno a zero, le squadre siano informate del fatto che per ottenere la vittoria è necessario uno scarto di due reti. Non si tratta di una situazione equivalente a una revisione al VAR delle immagini, per affermare che il goal era in fuorigioco, oppure che un tiro dell'avversario aveva superato la linea di porta e, quindi, in realtà la partita è finita in pareggio. In tali ultimi casi non cambiano le regole, mentre nel primo, e nel caso della riforma dell’interesse, esse cambiano. Esse cambiano in modo del tutto sorprendente e irrimediabile.
E ciò non basta, c’è anche un terzo fattore, cioè ragionevolezza e proporzionalità. Non solo si tratta di una modifica sorprendente, ma di una modifica di dubbia razionalità, sotto molteplici profili. Innanzitutto, rispetto alle premesse sistematiche e logiche.
La dichiarata ratio dell’intervento riformatore è l’eccesso di impugnazioni pretestuose e riferite a crediti antichi, prescritti, insuscettibili di esecuzione.
È fin troppo facile rilevare due cose.
La prima è che, se il problema sono le impugnazioni pretestuose, la soluzione è scoraggiarle o contrastarle, non limitare le possibilità di tutela di chi non abusa della risorsa giurisdizionale. Gli strumenti esistono (una condanna alle spese, eventualmente per lite temeraria) o sono facilmente realizzabili. Ad esempio, perché non ritenere onerato chi eccepisce un vizio di notifica dal compito di fare un accesso agli atti per ottenere informazioni sulle notifiche intervenute? Se gli viene fornita copia di una notifica valida la lite può essere temeraria, in caso di evidenza. Se non ottiene alcuna informazione non può essere ritenuta pretestuosa la lite. Se no, la riforma apparirebbe tragicamente equivalente a stabilire, rilevato che i pronto soccorso sono affollati di persone che si fingono invalide per non lavorare, che al pronto soccorso si possano presentare soltanto le persone colpite da infarto ma non le vittime degli incidenti stradali. L’abnormità della scelta è manifesta.
La seconda evidente illogicità è che l'altra giustificazione sistematica della novella legislativa riposa sul fatto che i ruoli, non essendo aggiornati, recano molti titoli prescritti e insuscettibili di esecuzione, di tal che l’impugnazione per difetto di notifica dell’atto impositivo sarebbe sostanzialmente inutile. Ora, a tacere del fatto che la permanenza di un debito inesistente nel ruolo è in se un elemento lesivo degli interessi del debitore, per il quale, tra l’altro, risulta tutt’ora difficile trovare un rimedio e una giurisdizione, sta il fatto che l’intervento normativo difetta ancora una volta macroscopicamente di proporzionalità. Se la causa è il mancato aggiornamento dei ruoli ciò si corregge obbligando alla tenuta in ordine dei medesimi, non limitando le possibilità di azione di coloro che (anche del disordine dei ruoli) sono vittime. È sufficiente por mente al fatto che iscritti a ruolo non sono soltanto evasori e delinquenti ma anche - non importa quanti - contribuenti onesti che non hanno ricevuto la valida notifica di un provvedimento errato (o comunque non sono più debitori). Ebbene, non pare assolutamente né proporzionato né equo far attendere a costoro un eventuale pignoramento (o continuare a subire gli effetti di una iscrizione non più corrispondente a un titolo esistente) solo perché altri impugnano pretestuosamente (o perché gli enti non aggiornano periodicamente i ruoli).
In definitiva, la novella legislativa difetta gravemente di logica sistematica e di proporzionalità, tanto da essere di assai dubbia costituzionalità, per cui la più robusta ragione per risolvere il problema del l'efficacia intertemporale è che si tratta di limitare la applicazione di una normativa che, già solo per questi motivi, oltre che per quelli relativi alla irragionevole selezione degli interessi che attribuiscono il diritto alla tutela, appare contraria alla Costituzione.