Sommario: Premessa – 1. La delibera CIPESS oggetto del controllo: il “riavvio” delle attività di programmazione e progettazione dell’opera – 2. Il controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti in funzione prognostica: evitare pregiudizi nella realizzazione dell’opera – 3. Nel merito: le singole censure di illegittimità e il sindacato “rafforzato” (di legalità finanziaria) rispetto alla cognizione del giudice amministrativo – 3.1. Violazione della direttiva 92/43/CE del 21 maggio 1992 (c.d. direttiva Habitat). Tra politica e tecnica - 3.2. Violazione dell’art. 72 della direttiva n. 2014/24/UE (c.d. direttiva Appalti). “Reviviscenza contrattuale” e necessità di nuova procedura selettiva – 3.3. Esclusione dell’Autorità di regolazione dei Trasporti dalla procedura di approvazione del Piano Economico-Finanziario. La tutela della concorrenza a danno della tutela dell’utenza – 3.4. Le ulteriori osservazioni con finalità conformativa della successiva attività amministrativa – 4. Osservazioni riassuntive sul controllo preventivo di legittimità nel caso di specie – 5. Le conseguenze del diniego di visto – 6. Conclusioni. Tra approvazione del pdl Foti e registrazione con riserva.
Premessa
La ricusazione del visto opposta dalla Corte dei conti all’approvazione del progetto definitivo del Ponte sullo stretto di Messina assume particolare importanza, specie nel momento storico in cui cade.
La pronuncia testimonia l’importanza del controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo, a tutela della legalità finanziaria e della sostenibilità delle infrastrutture strategiche.
Pare interessante esaminare il possibile seguito governativo della pronuncia, che si affianca sincronicamente all’approvazione del complesso progetto di riforma (pdl Foti), destinato a modificare profondamente le funzioni e l’organizzazione del giudice contabile, incrociando istituti che si sono mostrati decisivi per la pronuncia in esame.
1. La delibera CIPESS oggetto del controllo: il “riavvio” delle attività di programmazione e progettazione dell’opera
Con deliberazione depositata in data 27 novembre 2025 la Corte dei conti, Sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, ha ricusato il visto e la conseguente registrazione della delibera n. 41/2025 adottata dal CIPESS il 6 agosto 2025[1].
Tale delibera, sottoposta al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti, aveva approvato una serie di atti determinanti per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, tra i quali: il progetto definitivo (approvato il 29 luglio 2011 – sic – dal Consiglio di amministrazione della società concessionaria Stretto di Messina S.p.A.- SdM) e la “Relazione del progettista del 20 gennaio 2024” attestante la rispondenza del progetto stesso al progetto preliminare e alle prescrizioni dettate dalla deliberazione del CIPE n. 66 del 2003; le osservazioni, le richieste e le prescrizioni acquisite nella conferenza di servizi e ritenute assentibili dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) nonché le prescrizioni formulate, all’esito della valutazione di impatto ambientale del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (MASE), incluse in specifico “Quadro prescrittivo”, allegato quale parte integrante e sostanziale alla delibera; il Piano economico-finanziario (PEF)[2] sottoscritto dalle parti il 1° agosto 2025, e assentito con decreto del 1° agosto 2025 del MIT, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze (MEF), sentite la Regione siciliana e la Regione Calabria; la relazione istruttoria del MIT che indica l’integrale copertura finanziaria dei costi di realizzazione dell’intervento (pari a 13.532 milioni di euro); l’elenco delle opere compensative e sociali; la modifica del soggetto aggiudicatore da Rete ferroviaria italiana (RFI) a SdM relativamente ad una variante e all’assegnazione di 7 milioni di euro già disposta con precedenti delibere CIPE; le varianti al progetto preliminare approvato dal CIPE con delibera n. 66 del 2003 ai fini dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio; il programma di risoluzione delle interferenze, di cui all’art. 170, comma 4, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (cioè, del Codice dei contratti pubblici allora vigente).
Sul piano finanziario, la medesima deliberazione ha attestato la copertura dei costi di progettazione e realizzazione dell’opera (pari a 13.532 milioni di euro), in considerazione delle risorse statali previste
dalla legge di bilancio 2024, come modificata dalla legge di bilancio 2025), e di quelle di pertinenza di SdM, pari a 370 milioni di euro, acquisite in esito all’operazione di aumento del capitale sociale effettuata dal MEF; ha disposto il finanziamento degli oneri (6 milioni di euro per il periodo 2025-2030) non ricompresi nel quadro economico dell’opera, correlati all’attuazione da parte di SdM di un piano di comunicazione avente ad oggetto iniziative permanenti per l’informazione e la sensibilizzazione della cittadinanza sullo stato di avanzamento dell’opera; ha assegnato al MIT le risorse del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC) 2021- 2027; ha formulato raccomandazione al MIT di “adoperarsi per il conseguimento di un finanziamento europeo, anche in considerazione dell’inclusione dell’opera nella rete TEN-T”.
Alla stessa delibera del CIPESS era apposta condizione sospensiva, che ne subordinava l’efficacia alla registrazione del decreto del MIT, di concerto con il MEF, sentite la Regione siciliana e la Regione Calabria recante, tra l’altro, il nuovo PEF della concessione oggetto di approvazione con il provvedimento all’esame.
Il contenuto complesso della delibera, riferito ad un arco temporale di diversi decenni, rappresenta l’atto conclusivo del procedimento finalizzato al “riavvio delle attività di programmazione e di progettazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria”.
La Corte dei conti, Collegio del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, ricostruisce in narrativa la “più ampia e complessa operazione” nella quale si iscrive la delibera CIPESS esaminata, che origina ben 57 anni orsono, allorquando la legge 28 marzo 1968, n. 384 aveva indetto un concorso di idee, con la partecipazione di oltre cento concorrenti al bando internazionale e la premiazione di sei ex aequo. Si rinvia interamente alla ricostruzione operata dal Collegio contabile, cui va riconosciuto il merito di aver sistematizzato un procedimento frammentato, ripetutamente interrotto, con i correlati interrogativi sugli effetti giuridici delle operazioni di “riavvio” approvate dal CIPESS.
Basti pensare, solo sul piano progettuale, alle varianti al progetto preliminare e relative prescrizioni del 2003, oggetto di relazione del progettista ben 21 anni dopo e al progetto definitivo approvato nel 2011 e oggetto di verifica 14 anni dopo, peraltro con la sopravvenienza di un sistema normativo profondamente mutato e l’entrata in vigore, nel frattempo, di ben due diversi Codici dei contratti pubblici (addirittura tre, se il riferimento è al progetto preliminare) che hanno radicalmente ridisegnato la materia. L’attualizzazione dei costi risente ovviamente in modo amplificato dell’anomalo trascorrere del tempo, come il Collegio osserva puntualmente, richiamando la disciplina dell’Unione europea da cui deriva quella nazionale.
2. Il controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti in funzione prognostica: evitare pregiudizi nella realizzazione dell’opera
La funzione del controllo preventivo di legittimità intestata alla Corte dei conti ha radici storiche lontane e sollecita interesse de jure condendo, visto il suo prospettato ampliamento ad opera del pdl Foti in corso di approvazione[3].
La Corte dei conti, in base all’art. 100, co. 2, della Costituzione, “esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo”. Tale norma disciplina una funzione di controllo che origina fin dall’istituzione dello stesso giudice contabile: già la legge n. 800 del 1862 (Legge Cavour), “Legge per l’istituzione della Corte dei conti del Regno d’Italia”, attribuiva alla Corte dei conti il controllo di tutti “i decreti reali, qualunque sia il Ministero da cui emanano e qualunque ne sia l’obietto”, affinché venisse apposto il visto con conseguente registrazione (art. 13); al contrario, l’eventuale riscontro dell’illegittimità dell’atto, ossia della sua contrarietà al quadro normativo di riferimento, consentiva all’Amministrazione di avvalersi potenzialmente dell’istituto della registrazione con riserva, attraverso il quale veniva rimessa al Consiglio dei Ministri la decisione se dare o meno corso all’atto non vistato dalla Corte dei conti e dunque inefficace[4].
L’art. 100 della Costituzione assegna alla Corte dei conti, quale organo magistratuale terzo e indipendente, il controllo preventivo a tutela dell’interesse generale alla legittimità dell’attività pubblica, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 226 del 1976, c.d. “sentenza Crisafulli”)[5]. Attraverso tale giudizio, la Corte dei conti valuta la conformità al quadro normativo di riferimento degli atti amministrativi ad essa sottoposti, con esclusione di ogni apprezzamento che non sia di ordine strettamente giuridico e, quindi, di qualsivoglia comparazione degli interessi coinvolti (Corte cost., sentenze n. 196 del 2018 e n. 18 del 2019).
La disciplina normativa del controllo preventivo, oltre che dal Testo Unico n. 1214 del 1934, è stata oggetto di diverse leggi successivamente intervenute, sino alla completa rivisitazione ad opera della legge 14 gennaio 1994, n. 20, che oggi costituisce il riferimento generale in materia. Il controllo preventivo di legittimità è volto a verificare la conformità a legge dei provvedimenti sottoposti all’esame della Corte dei conti. L’attività di verifica interviene in una fase antecedente alla produzione degli effetti dell’atto e il cui esito determina, in caso positivo, la registrazione con apposizione del visto e, in caso negativo, la ricusazione del visto. Dal momento dell’apposizione del visto e della registrazione (anche con riserva) l’atto acquista efficacia, inizia quindi a produrre effetti giuridici.
Le tipologie degli atti da sottoporre a controllo preventivo sono tassativamente indicate nell’art. 3 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 e hanno subito ampliamenti e limitazioni negli anni secondo la discrezionalità del legislatore, in relazione alle finalità e alla rilevanza finanziaria che determinati atti possono assumere in un determinato periodo storico[6].
In via generale, occorre ricordare che il controllo preventivo di legittimità è preordinato a tutela del diritto oggettivo, a differenza dei controlli c.d. amministrativi, esercitati all’interno della pubblica amministrazione nell’interesse dello stesso ente conferente, e di altri tipi di controllo disciplinati da leggi speciali.
La disciplina del procedimento di controllo preventivo garantisce il contraddittorio con l’amministrazione interessata e consente alla stessa di adottare processi di autocorrezione e misure di autotutela: così nel caso di richiesta di ritiro da parte delle amministrazioni degli atti assoggettati al controllo di legittimità per un riesame degli stessi, alla quale può seguire la riproposizione degli atti, emendati dei vizi. In tutti questi casi, il procedimento di controllo si conclude nella c.d. fase monocratica, con la proposta del Magistrato istruttore e il visto del Consigliere delegato e conseguente registrazione dell’atto, senza cioè che ne sia data evidenza in deliberazioni. In altri casi la richiesta di ritiro avviene in conseguenza del deferimento dell'atto all'esame collegiale[7].
La Corte dei conti utilizza strumenti quali “note avviso” o “rilievi a vuoto” per indirizzare l’attività delle amministrazioni controllate, provocando il loro spontaneo adeguamento alle indicazioni o di manifestare le ragioni di ammissione a visto, giacché l’avvenuta registrazione dei provvedimenti presuppone il verificarsi di determinate condizioni, affidate all’effettiva verifica da parte dei responsabili dell’amministrazione.
Nel caso qui in esame il Magistrato istruttore, a conclusione dell’attività di competenza, ha analiticamente riportato in apposita relazione i chiarimenti forniti dall’Amministrazione e le proprie corrispondenti osservazioni e, ritenendo non pienamente superati i dubbi emersi, ha prospettato l’opportunità di deferire alla competente sede collegiale la valutazione della delibera CIPESS n. 41/2025 e della sua conformità al quadro normativo di riferimento oltre che ai principi del diritto dell’Unione Europea. Il Consigliere delegato, condividendo le conclusioni del Magistrato istruttore, ha rimesso la questione al Collegio.
È stato garantito il contraddittorio con il DIPE e le amministrazioni interessate, che hanno controdedotto alle osservazioni formulate e condivise dal Consigliere delegato nell’ambito della relazione di deferimento. In sede di adunanza, i rappresentanti delle amministrazioni hanno confermato le considerazioni già svolte nel corso dell’istruttoria e hanno fornito ulteriori chiarimenti.
Prima di analizzare i profili di illegittimità che hanno condotto a ricusare il visto, appare necessario comprendere in via generale quale sia l’ambito di cognizione e di decisione rimesso al Collegio del controllo preventivo in materia di contratti pubblici e di investimenti infrastrutturali, come nel caso di specie.
I più recenti orientamenti della Corte dei conti, con particolare riferimento al perimetro dei contratti pubblici (in specie art. 3, lett. g), legge n. 20 del 1994, cit. sull’approvazione dei contratti d’importo sopra le soglie ivi indicate), rimarcano che il controllo preventivo della Corte si pone a presidio non solo della legalità dell’operato dell’amministrazione, ma anche del corretto impiego delle risorse pubbliche, nonché, in ultima analisi, a tutela della collettività. L’attrazione della materia alla contabilità pubblica ha radici lontane, come puntualmente ricordato dalla recente pronuncia della Sezione regionale campana, fin dal r.d. n. 3074 del 1885, recante “Regolamento per l’applicazione del testo unico della legge sull’amministrazione e sulla contabilità generale dello Stato”, poi della legge di contabilità generale dello Stato r.d. n. 2440 del 1923, “Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato” e dal regolamento attuativo di cui al r.d. n. 827/1924. Le disposizioni ivi contenute (artt. 3 ss.), ancora applicabili in via residuale rispetto alla disciplina contenuta nell’attuale Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 36/2023, orientate a tutelare, seppur attraverso una disciplina significativamente più snella rispetto a quella attuale, l’interesse pubblico alla scelta del miglior offerente, nonché il sotteso interesse alla economicità ed efficacia dell’azione amministrativa, rilevando solo in via indiretta l’interesse dei concorrenti alla competizione paritaria[8].
La finalità principale delle menzionate norme è che i contratti si stipulino nel maggior interesse della pubblica finanza, giacché “in nessun altra branca dell’amministrazione quanto in quella finanziaria devesi osservare il principio di economicità, consistente nella suprema legge del minimo mezzo; altro mezzo funzionale a garantire l’erario viene individuato nella promozione della massima concorrenza, che si attua attraverso la pubblicità dell’aggiudicazione dei contratti e attraverso la possibilità per i privati interessati di assumere l’impresa progettata, anche quando non forniti di grandi capitali”[9].
Nel caso in esame, il Collegio ricorda che la funzione del controllo preventivo, nel caso in cui abbia ad oggetto provvedimenti relativi a investimenti pubblici infrastrutturali, è esercitata anche al fine di intervenire preventivamente su aspetti procedurali suscettibili di incidere, negativamente, sulla realizzazione dell’opera, una volta avviata.
In tale contesto si collocano le valutazioni del Collegio che, avuto particolare riguardo all’importanza strategica dell’opera e alle risorse pubbliche alla stessa destinate, ha assegnato prioritario rilievo alle violazioni della normativa del diritto dell’Unione europea nonché alle “illegittimità maggiormente significative”, sulle quali conviene ora distintamente soffermarsi.
3. Nel merito: le singole censure di illegittimità e il sindacato “rafforzato” (di legalità finanziaria) rispetto alla cognizione del giudice amministrativo
3.1. Violazione della direttiva 92/43/CE del 21 maggio 1992 (c.d. direttiva Habitat). Tra politica e tecnica
La questione della violazione della Direttiva UE Habitat e della disciplina interna sulla valutazione di incidenza ambientale è correlata alla deliberazione con la quale il Consiglio dei Ministri, pur a fronte di una valutazione “tecnica” di incidenza negativa, ha approvato la c.d. relazione IROPI, cioè ha ritenuto sussistere "Motivi Imperativi di Rilevante Interesse Pubblico" che consentono di procedere senza necessità di ottenere il parere della Commissione europea, essendo sufficiente, ai predetti fini, la mera informativa.
In primo luogo, il Collegio ha dovuto verificare se tale deliberazione governativa fosse assoggettabile a controllo preventivo di legittimità: pur negando la sua riconduzione agli atti previsti dall’art. 3, co. 1, lett. a), della legge n. 20 del 1994, cit. il Collegio la ha ritenuta incidentalmente valutabile in quanto atto endoprocedimentale rispetto all’approvazione del progetto definitivo. La precisazione merita attenzione: seguendo lo schema del giudizio amministrativo di legittimità, è noto che l’atto endoprocedimentale di regola non è idoneo a produrre effetti lesivi e la sua impugnazione deve avvenire congiuntamente al provvedimento conclusivo, tranne nei casi in cui sia in grado di “dimostrare anticipatamente quale sarà la conclusione del procedimento” oppure concluda un subprocedimento dotato di autonomia[10]. Nel caso di specie, il provvedimento conclusivo coincide con l’approvazione del progetto definitivo, i cui vizi discendono dalla relazione IROPI, giacché essa ha condizionato il seguito di un procedimento “composto”, nel quale è previsto l’intervento della Commissione europea[11].
Nessun dubbio riguardo all’esclusione del carattere politico dell’atto[12], laddove è evidente, come rimarcato dal Collegio, che le valutazioni di incidenza ambientale, tra le quali rientra anche la procedura IROPI, sono espressione di esercizio di discrezionalità tecnica, oltre che amministrativa, sindacabile nell’ipotesi in cui l’istruttoria sia mancata o sia stata svolta in modo inadeguato[13].
Il ragionamento seguito dal Collegio, assolutamente condivisibile, attiene alla valutazione tecnico discrezionale che riguarda l’istruttoria secondo la direttiva Habitat, da condurre con maggiore rigore proprio quando si invoca l’applicazione di una procedura in deroga (art. 6, comma 4).
La deliberazione del Consiglio dei Ministri (per assurgere a “una scelta politica consapevole”) avrebbe dovuto trovare supporto nella compiuta istruttoria amministrativa, che per contro è mancata nel caso in esame. L’affermazione assume significato particolare ove rapportata all’istituto della c.d. “esimente politica presunta” che verrebbe introdotta in caso di approvazione del pdl Foti (nuovo art. 1, comma 1-ter, legge n. 20 del 1994) che argomenta la buona fede dei titolari degli organi di indirizzo politico quando gli atti da loro assunti siano proposti, vistati o sottoscritti dai responsabili degli uffici tecnici in assenza di pareri formali di contrario avviso. Tale esimente richiede però che gli atti adottati dai medesimi titolari rientrino “nell’esercizio delle loro competenze”: evenienza che secondo il Collegio non ricorre nel caso di specie[14].
Peraltro non si tratta di vizio meramente procedimentale, posto che all’affermazione secondo cui la relazione è stata predisposta a seguito di un confronto con tutte le Amministrazioni competenti per materia, non è corrisposto altro atto istruttorio, oltre la relazione medesima (peraltro mancante di qualsiasi elemento identificativo quali data e sottoscrizione), da cui potesse desumersi quali amministrazioni, oltre al MIT, siano state coinvolte in dette valutazioni nell’ambito di adeguata attività istruttoria. Il Collegio non si spinge a definire il vizio di legittimità integrato, che indubitabilmente integra l’eccesso di potere per difetto d’istruttoria e l’incompetenza riguardo alla deliberazione conseguentemente assunta dal Consiglio dei Ministri (che viene definita “l’involucro formale” nel quale sono ricomprese anche valutazioni sostanzialmente di natura amministrativa).
Il Collegio nega peraltro che l’esercizio dell’attività discrezionale possa essere riferito all’attività della società concessionaria (peraltro del MIT e non del MASE, al quale sono ascrivibili le competenze in esame): ancorché si tratti di società in house, non può la concessionaria sostituirsi all’amministrazione nell’esercizio dei poteri istruttori affidati alla titolarità di quest’ultima, sub specie tutela degli interessi ambientali.
La rilevanza diretta della disciplina europea “Habitat” e delle linee guida nazionali per la VlncA[15] sono serventi a rendere omogenea, a livello nazionale, l'attuazione dell'art. 6, paragrafi 2, 3 e 4, della direttiva Habitat. A tal fine individuano quali momenti fondamentali delle valutazioni di competenza dell’Amministrazione, da un lato, l’assenza di soluzioni alternative a progetti che incidono su zone speciali di conservazione e, dall’altro, la sussistenza di motivi imperativi di rilevante interesse pubblico.
Anche in questo caso il Collegio ricostruisce le fasi essenziali del servente procedimento, che si svolge in maniera progressiva su tre livelli, la verifica dell’assenza di soluzioni alternative costituisce un prerequisito del livello III (misure di compensazione della procedura in deroga ex art. 6.4); a detta verifica si dà corso laddove, nonostante una valutazione negativa, si ritenga di non respingere un piano o progetto, ma di darvi, comunque, esecuzione.
In ogni caso, per quanto detta valutazione possa essere integrata anche nel livello II, quello relativo alla valutazione appropriata o di incidenza ex art. 6.3 – come prospettato dal MASE nella memoria inviata in vista dell’adunanza pubblica – la stessa deve, comunque, rispondere a precisi criteri sostanziali, afferenti ai siti interessati, che, ad avviso del Collegio, non risultano soddisfatti.
Al riguardo le medesime linee guida prevedono che, su ogni soluzione alternativa proposta, debba essere svolta un’analisi basata sui criteri di valutazione appropriata. A tal fine gli unici criteri da prendere in considerazione devono essere quelli ambientali e le varie alternative vanno confrontate alla luce dei loro effetti sugli habitat e sulle specie, presenti in misura significativa nel sito, e sui relativi obiettivi di conservazione, nonché sull'integrità del sito e sulla sua importanza per la coerenza ecologica della Rete Natura 2000. Le incidenze individuate di ogni alternativa devono essere descritte e quantificate in modo completo e preciso, talché “in assenza di una valutazione adeguata di tutte le alternative ragionevoli disponibili, non si può concludere che non vi siano soluzioni alternative”.
È di tutta evidenza la complessità delle verifiche, degli approfondimenti, degli studi e, delle conseguenti valutazioni, che sono demandate alle amministrazioni competenti in coerenza allo speciale valore ambientale che connota i siti della Rete Natura 2000.
Sul punto soccorre la giurisprudenza sovranazionale, particolarmente sensibile sulla conduzione del procedimento amministrativo servente all’autorizzazione e sul previo esperimento della VIncA, nel rispetto del principio di buona fede nell’azione amministrativa. Così: “In virtù dell’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43, un’opportuna valutazione delle incidenze sul sito interessato del piano o progetto implica che, prima dell’approvazione di questo, siano individuati, alla luce delle migliori conoscenze scientifiche in materia, tutti gli aspetti del piano o progetto che possano, da soli o in combinazione con altri piani o progetti, pregiudicare gli obiettivi di conservazione di tale sito. Le autorità nazionali competenti autorizzano un’attività sul sito protetto solo a condizione che abbiano acquisito la certezza che essa è priva di effetti pregiudizievoli per l’integrità del detto sito. Ciò avviene quando non sussiste alcun dubbio ragionevole da un punto di vista scientifico quanto all’assenza di tali effetti”[16]. Lo stesso art. 6, par. 3, della direttiva 92/43 istituisce un procedimento di controllo preventivo fondato su un criterio di autorizzazione severo che, contenendo il principio di precauzione, consente di prevenire efficacemente pregiudizi all’integrità dei siti protetti dovute ai piani o ai progetti proposti, dal momento che impone alle autorità nazionali competenti di negare l’autorizzazione di un piano o progetto qualora sussistano incertezze sull’assenza di effetti pregiudizievoli di tali piani o progetti per l’integrità di tali siti[17].
A completamento delle censure mosse dal Collegio nel caso in esame, si deve ricordare che l’Autorità competente alla valutazione dei documenti prodotti per la VIncA deve essere in possesso delle migliori conoscenze disponibili sul sito Natura 2000, nonché essere in grado di effettuare una analisi rigorosa degli studi e delle informazioni trasmesse da parte del Proponente del piano/progetto/intervento o attività, ed avere le competenze necessarie per valutare in maniera oggettiva e certa in che modo la proposta possa incidere sul sito Natura 2000 interessato. Le stesse Linee guida qui richiamate ricordano che il Valutatore, ai sensi della legge n. 241 del 1990, è tenuto ad operare sulla base del principio di buona fede nell’azione amministrativa[18].
Nel caso in esame, per contro, la Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale ha solo riportato la descrizione delle alternative ragionevoli prevista nell’ambito dello studio di fattibilità che il proponente deve presentare unitamente all’istanza di VIA, così come inserita nei formulari predisposti dalla società concessionaria.
Anche la c.d. relazione IROPI risulta immotivata, asserendo in via generica (e assiomatica) “date le motivazioni imperative di sicurezza e di sviluppo economico solo il Ponte sullo stretto, a campata unica, riesce a soddisfare le necessità minimizzando gli impatti ambientali”.
E dopo la deliberazione del Consiglio dei ministri, il MASE non ha offerto supporto motivazionale “tecnico”, limitandosi a valutare le misure di compensazione, recependo le scelte della società concessionaria.
Anche le ragioni di interesse pubblico “connesse con la salute dell’uomo e la sicurezza pubblica” che consentono di prescindere dall’acquisizione di formale parere della Commissione europea e di far ricorso a mera informativa in favore della stessa sono state ritenute sprovviste di adeguata istruttoria svolta dalle strutture tecnico-amministrative dei ministeri competenti.
La relazione si sofferma, di contro, ampiamente sugli effetti economici dell’aumentata accessibilità, che risultano inconferenti ai fini della procedura in deroga, che, ai sensi del paragrafo 4 dell’art. 6 della direttiva Habitat e, in considerazione delle peculiarità ambientali del sito ascrivibile alla Rete Natura 2000, come già detto, può trovare giustificazione unicamente in ragioni connesse alla salute dell’uomo e alla sicurezza pubblica o relative a conseguenze di primaria importanza per l’ambiente, richiedendosi, nelle altre ipotesi, tra le quali possono ascriversi quelle economiche, il previo parere della Commissione europea. Si tratterebbe, in altri termini, di un’ipotesi di sviamento dal fine tipico.
Il Collegio evidenzia infine un’incompleta conduzione dell’interlocuzione con la Commissione europea circa la necessità di definire, in modo corretto e completo, sia gli impatti sui siti protetti, sia l’interesse pubblico prevalente, riferendo di aver individuato ambiti su cui sono necessari chiarimenti, nonché ulteriori misure che dovrebbero aiutare le autorità italiane a garantire che eventuali carenze vengano affrontate preventivamente (“prior to granting development consent or initiating works”). Il Collegio non lo richiama, ma pare violare il principio di leale collaborazione opporre, come fatto dal MASE, che la richiesta della Commissione europea risulterebbe generica.
Curiosa, infine, “l’interpretazione minimale del principio di precauzione” sostenuta incautamente dal MIT, secondo cui “lo stesso si applica esclusivamente alle cantierizzazioni che incidono sui siti di interesse prioritario senza precludere la libertà di attività economica”[19].
Conclusivamente il Collegio ritiene che la delibera all’esame debba considerarsi illegittima per violazione dell’art. 6, paragrafi 3 e 4, della direttiva europea Habitat, la cui osservanza si impone agli Stati membri e alle loro articolazioni organizzative, tra le quali anche al CIPESS, cui sono attribuiti compiti di tutela dello sviluppo sostenibile nell’ambito delle politiche di investimento pubblico[20]. È appena il caso di ricordare, al riguardo, che il 1° gennaio 2021, il CIPE è stato ribattezzato come Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS), segnando un passaggio importante verso un’economia orientata alla transizione ecologica e alla sostenibilità[21]. Il cambiamento riflette la sfida principale del Paese nel promuovere la crescita in modo sostenibile, in linea con gli obiettivi dell’Agenda ONU 2030 e dell’Unione Europea. Il CIPESS ora è chiamato a valutare in modo sostenibile le opere relative agli investimenti pubblici, tenendo conto dei principi del “Do Not Significant Harm” previsti dai vincoli europei[22]. Inoltre, il CIPE approva i singoli progetti delle ex Infrastrutture Strategiche che hanno già avviato la valutazione d’impatto ambientale dal momento dell’approvazione del Codice dei contratti nel 2016, assegnando loro le risorse finanziarie necessarie.
3.2. Violazione dell’art. 72 della direttiva n. 2014/24/UE (c.d. direttiva Appalti). “Reviviscenza contrattuale” e necessità di nuova procedura selettiva
Il secondo profilo di censura riguarda l’approvazione del piano economico e finanziario che, tra l’altro, contiene “il costo complessivo dell’opera e le voci di spesa che lo compongono”.
Il tema è connesso al particolare e affatto peculiare istituto della “ripresa dell’efficacia” di contratti “caducati” nel 2012: lo schema normativo, affidato alla decretazione d’urgenza, prevede che la società concessionaria e il contraente generale nonché gli altri affidatari dei servizi connessi alla realizzazione dell'opera possono, mediante la stipula di atti aggiuntivi ai contratti caducati (a loro volta per effetto di un decreto legge del 2012), manifestare la volontà che ciascun contratto “riprenda a produrre i propri effetti” subordinatamente alla delibera di approvazione del progetto definitivo e previa definizione, per il relativo contratto, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di una serie di rinunzie e condizioni menzionate dalla stessa norma[23].
L’art. 2 dello stesso decreto-legge, nel disciplinare il rapporto di concessione e i contenuti del relativo piano economico e finanziario, al comma 8-bis regola la rideterminazione del costo complessivo dell’opera includendovi i prezzi dei contratti caducati, aggiornati secondo i criteri ivi previsti in conformità al citato art. 72 della direttiva n. 2014/24/UE (c.d. direttiva appalti).
Il Collegio censura la delibera CIPESS che si sarebbe limitata a prendere atto, sotto l’aspetto finanziario, del costo totale dell’opera, senza svolgere alcuna considerazione in ordine alla procedura di aggiornamento dei costi, con particolare riguardo al rispetto dei presupposti di cui all’art. 72 della direttiva 2014/24/UE.
In tal senso non soccorrono neanche le note congiunte, predisposte in vista delle riunioni del CIPESS, e la relazione istruttoria del MIT, dalle quali non risulta evidenza di una dedicata attività istruttoria.
Ed anche la relazione della Società concessionaria riporta unicamente attestazioni di conformità dei corrispettivi “alla stregua di una teorica disamina dell’articolo 72 della direttiva, asseritamente supportata da un parere legale non allegato in atti, e in assenza di dati finanziari di riferimento”[24].
I riscontri hanno avuto particolare riguardo alla verifica dei presupposti ai quali l’art. 72 della direttiva appalti subordina la possibilità di modificare il contratto senza necessità di nuova procedura concorrenziale, e alla conformità della complessiva operazione, nonché delle modifiche medio tempore intervenute, alla predetta disposizione nella duplice prospettiva della natura sostanziale delle stesse e del contenimento dei rispettivi costi nel limite del 50%.
Il MIT ha fornito al riguardo una “interpretazione minimale” della disposizione europea, ma le finalità di trasparenza delle procedure e di parità di trattamento degli offerenti sottese alla direttiva[25] hanno condotto il Collegio a ritenere integrati i presupposti di cui al combinato disposto del paragrafo 1, lett. e) e del paragrafo 4 dell’art. 72 da cui discende la necessità di un nuovo confronto concorrenziale.
In particolare, risultano verificate “condizioni che, se fossero state contenute nella procedura d’appalto iniziale, avrebbero attratto ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione”, essendo intervenute nell’originario programma contrattuale modificazioni, oggettive e soggettive, di favore per i soggetti aggiudicatori, talché l’operazione economica entro cui si collocano i rapporti negoziali differisce, in maniera significativa, da quella originaria.
Al riguardo rilevano le nuove modalità di finanziamento dell’opera, a valere, ex lege, integralmente su risorse pubbliche, del tutto diverse da quelle previste nell’originario contratto del 2006, che all’art. 5.2 prevedeva che “il soggetto aggiudicatore, la SdM, avrebbe dovuto ricorrere alla tecnica della finanza di progetto”[26].
Al riguardo, il Collegio ricorda che nel 2012 la realizzazione dell’opera fu interrotta proprio per l’impossibilità di reperire idonei capitali sul mercato.
È stata inoltre modificata la clausola di indicizzazione, prendendo a riferimento principale il costo di costruzione di un tratto stradale con galleria o con viadotto, corretto per il differenziale tra questo e l’IFOI. Ciò a fronte della previsione dell’originario contratto in forza della quale “il corrispettivo come determinato con l’approvazione del progetto definitivo da parte del CIPE, verrà aggiornato tenendo conto della variazione dei prezzi intervenuta tra la data della delibera di approvazione del contratto preliminare, il 1° agosto 2003 e la data di adozione della delibera con cui il CIPE approva il progetto definitivo” sulla base del tasso di inflazione valutato secondo l’indice ISTAT relativo ai prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.
Medesimo carattere innovativo, rispetto all’originario programma negoziale, deve riconoscersi, altresì, alla previsione di cui all’art. 2, comma 8-bis, del d.l. n. 35 del 2023, cit. che, nel prevedere il criterio di aggiornamento del corrispettivo, introduce una ulteriore clausola “di indicizzazione” secondo la qualificazione prospettata dal MIT.
Il Collegio rimarca inoltre la modifica essenziale alle percentuali di prefinanziamento dell’opera[27].
Il MIT ha eccepito l’impossibilità di applicare la direttiva 24/2014/UE alle modifiche precedenti il 2014[28]. Sul punto il Collegio, senza approfondire l’anomalo istituto del contratto che “riprende vita” e la distinzione con la “sola efficacia”, ricorda che l’effetto della reviviscenza non avviene automaticamente ex lege, ma richiede una nuova manifestazione di volontà delle parti contrattuali (atto aggiuntivo ai sensi dell’art. 4 d.l. n. 35 del 2023, cit.), la cui validità deve essere accertata alla luce dell’attuale quadro normativo di riferimento, europeo e nazionale. Peraltro, le richiamate disposizioni della direttiva 2014/24/UE costituiscano declinazione di principi generali di trasparenza e di concorrenza, già previsti nella precedente direttiva 2004/18/CEE, nella cui vigenza sono stati adottati gli atti in questione.
Conclusivamente, ritiene il Collegio che le evidenze istruttorie depongano nel senso che risulta integrata la fattispecie di cui al richiamato paragrafo 4 e, in particolare, la sussistenza delle condizioni che, in forza della previsione di cui alla lett. a) del medesimo paragrafo, “avrebbero attirato ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione”.
Anche il MIT, nel corso dell’adunanza pubblica, ha espressamente ritenuto che l’operazione in esame costituisca una modifica sostanziale del contratto, ritenendo, tuttavia, che se le modifiche sono sostanziali si impone una nuova competizione concorrenziale solo in caso di superamento del limite del 50%. Al riguardo il Collegio eccepisce che la stessa prospettazione non è stata accompagnata dall’enucleazione di alcun elemento di calcolo idoneo a rendere esplicita la relativa operazione e il risultato ottenuto, sul presupposto che si tratti di “elaborazioni endoprocedimentali mai formalizzate in un provvedimento, effettuate ai fini dell’interlocuzione con la Commissione europea”, laddove, per contro, la Direzione generale della Commissione europea (DG Grow) ha posto particolare attenzione all’integrazione dell’art. 72 della Direttiva, cit.[29]
Il Collegio contesta infine l’incerta definizione dei costi dell’opera, in parte meramente stimati e, comunque, non includono alcuni oneri i quali, pur se ricompresi nel quadro economico dell’opera, non sono stati contrattualizzati; tra questi ultimi, rientrano, tra gli altri, i costi dei lavori indicati nella relazione del progettista (per 787 milioni di euro).
Nella stessa prospettiva deve riconnettersi rilievo alla mancata inclusione degli oneri afferenti all’importante quadro prescrittivo allegato, quale parte integrante alla delibera, nella sua dimensione fisica e finanziaria, e la cui quantificazione il Collegio non ha potuto apprezzare in ragione della mancata allegazione delle schede relative alle prescrizioni ritenute assentibili dal MIT, messe a disposizione nella versione non aggiornata.
3.3. Esclusione dell’Autorità di regolazione dei Trasporti dalla procedura di approvazione del Piano Economico-Finanziario. La tutela della concorrenza a danno della tutela dell’utenza
La delibera CIPESS ha escluso la necessità di acquisire il parere dell’Autorità di regolazione dei trasporti (ART), nell’ambito della procedura di approvazione del piano economico-finanziario, con specifico riguardo al sistema tariffario, desunto da uno studio di una società privata individuata dalla società concessionaria. L’esclusione è stata motivata asserendo che la Società concessionaria “gestirà in regime di concessione ex lege tratti di rete classificati, tenuto conto delle caratteristiche strutturali, tecniche e funzionali, come strada extraurbana di categoria B”, con conseguente inapplicabilità dell’art. 43 del d.l. n. 201 del 2011, istitutivo dell’Autorità.
Il Collegio correttamente ricorda la più ampia competenza generale nel settore dei trasporti e dell’accesso alle relative infrastrutture, affidata all’ART dall’art. 37 dello stesso decreto, riferita anche alla definizione “dei criteri per la fissazione da parte dei soggetti competenti delle tariffe, dei canoni, dei pedaggi, tenendo conto dell'esigenza di assicurare l'equilibrio economico delle imprese regolate, l'efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese, i consumatori” (comma 2, lett. b)[30].
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha del resto chiarito che “le attribuzioni dell’ART comprendono, in ampiezza, l’intero settore dei trasporti e dell’accesso alle infrastrutture”[31].
In tal senso depongono, altresì, i principi desumibili dalla direttiva (UE) 2022/362, che, al fine di radicare la competenza delle autorità nazionali di regolazione, valorizza non già la natura e la tipologia della strada, ma la circostanza che sia previsto il pagamento di una tariffa.
La stessa classificazione del tratto di rete oggetto di concessione quale strada extraurbana di categoria B è controversa e il MIT ha invocato l’eccezionalità del ponte e il tentativo di adottare una classificazione “quanto più vicina possibile” ad una delle categorie previste dalla disciplina di settore.
Manca in ogni caso un provvedimento amministrativo di classificazione formale del medesimo collegamento e il Consiglio Superiore dei lavori pubblici nel 1997 aveva qualificato il sistema di attraversamento come “autostrada", secondo una classificazione ripresa nel PEF per quantificare gli importi dei costi per la manutenzione ordinaria.
Ulteriore argomento speso dal MIT per escludere l’ART dal procedimento risiederebbe nella peculiare “natura giuridica del sistema di pedaggiamento in esame, diversa dalla funzione sinallagmatica tipica delle concessioni di costruzione e gestione”. Atteso che l’infrastruttura è finanziata integralmente da fondi pubblici, il PEF non è strutturato per assicurare l’ammortamento del costo complessivo dell’investimento e il pedaggio non avrebbe funzione remunerativa del capitale, essendo configurato esclusivamente quale provvista finanziaria volta ad assicurare la sostenibilità della fase di gestione e come uno strumento di governance pubblica e di attuazione di politiche di coesione territoriale e sociale.
Il Collegio ha ritenuto infondate tali argomentazioni, non contenute nella delibera CIPESS, e non coerenti con la disciplina del PEF, dove i ricavi complessivi previsti e le tariffe di pedaggio per l’attraversamento del collegamento stabile, pur idonei a promuovere la continuità territoriale tra la Sicilia e la Calabria, siano “in misura tale da perseguire la sostenibilità economica e finanziaria dell’opera”[32].
Se dunque la disciplina speciale richiamata non assegna né al PEF né alle tariffe una natura peculiare, o difforme da quella ordinaria, non reggono nemmeno le deduzioni riferite alla provvisorietà del piano tariffario.
Il Collegio censura conclusivamente la lettura parziale, non condivisibile, del d.l. n. 201 del 2011, cit., istitutivo dell’ART, “calibrata esclusivamente sulla tutela della concorrenza”[33], precludendo la partecipazione al procedimento della medesima Autorità, quale soggetto autonomo e indipendente istituzionalmente preposto, altresì, alla tutela dell’utenza.
3.4. Le ulteriori osservazioni con finalità conformativa della successiva attività amministrativa
Il Collegio sottolinea inoltre altri profili rilevanti per conformare la successiva attività amministrativa. Per punti:
- L’istruttoria soffre il mancato apporto delle specifiche competenze del Nucleo di consulenza per la regolazione dei servizi di pubblica utilità (NARS), che il dpcm 26 settembre 2023 qualifica come organo consultivo del CIPESS in materia tariffaria;
- la delibera del CIPESS non avrebbe “valenza sostitutiva assoluta” rispetto a ogni altra autorizzazione, approvazione e parere, comunque denominato ai sensi dell’art. 3, comma 8, del medesimo decreto;
- la permanenza dei requisiti di gara in capo al Contraente generale, al Project Management Consultant e al Monitore ambientale non sono documentate: occorre rispettare il principio generale di continuità in forza del quale il possesso dei requisiti di gara, generali e speciali, deve essere verificato per tutta la durata del contratto e durante l’esecuzione dello stesso senza soluzione di continuità (Cons. di Stato, Ad. Plen. n. 8/2015, Cons. di Stato, Ad. Plen. n. 7/2024)[34];
- la possibilità di una integrazione postuma della motivazione, espressa dal DIPE in adunanza, deve essere contemperata con l’esigenza di garantire effettività al principio di trasparenza dei processi decisionali e valutativi che caratterizza le grandi opere infrastrutturali e a cui assolve, tra l’altro, la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale;
- il parere del Consiglio Superiore dei lavori pubblici risale al 1997 ed era riferito a un assetto normativo che prevedeva unicamente due livelli di progettazione (quello di massima e quello esecutivo): occorre un secondo parere, in ragione delle varianti al progetto preliminare rese necessarie da richieste di enti terzi e da sopravvenute prescrizioni di legge e dal committente. La precedente valutazione “potrebbe risultare gravemente inficiata sotto l’aspetto della necessaria attualità e concretezza”.
4. Osservazioni riassuntive sul controllo preventivo di legittimità nel caso di specie
Alla luce delle considerazioni sopra espresse, si può valorizzare l’ambito di cognizione e di decisione del Collegio del controllo preventivo di legittimità, che utilizza lo schema del giudizio amministrativo di legittimità, ma lo rafforza sotto il profilo della legalità finanziaria.
Nel dettaglio si può ravvisare, nella prima e terza censura (Direttiva Habitat e mancato coinvolgimento dell’ART) una attenta ricognizione dei vizi procedimentali capaci di incidere sul contenuto sostanziale del provvedimento assoggettato a controllo, che si uniscono agli ulteriori rilievi contenuti nelle osservazioni con finalità conformativa della successiva attività amministrativa.
Assumono rilevanza, a tal fine, le considerazioni sulla c.d. relazione IROPI come atto endoprocedimentale che vizia l’approvazione del progetto definitivo, la carenza di istruttoria tecnica e la conseguente illegittimità della deliberazione assunta dall’organo politico, gli effetti del mancato coinvolgimento dell’ART nel procedimento di definizione tariffaria e la conseguente indebita violazione dei diritti dell’utenza. Rigorosi sono poi le indicazioni conformative per la successiva attività amministrativa, per le quali si ritiene difficile o comunque complessa un’attività atecnicamente esperibile “in sanatoria”. Il riferimento è alla impossibilità di una integrazione postuma della motivazione, che vanificherebbe il principio di trasparenza dei processi decisionali e valutativi che caratterizza le grandi opere infrastrutturali e alla necessità di nuovo coinvolgimento in via consultiva del Consiglio Superiore dei lavori pubblici, trascorsi ben 28 anni dall’acquisizione del suo parere. È ben noto che il parere obbligatorio pretermesso non rientra di regola tra i vizi procedimentali sanabili, perdendo la sua acquisizione successiva la sua ontologica natura di “consiglio”.
Quanto alla seconda censura, relativa alla possibilità di modificare il contratto senza necessità di nuova procedura concorrenziale e alla conformità della complessiva operazione, nonché delle modifiche medio tempore intervenute, il Collegio esprime il proprio sindacato negando la sussistenza di entrambi i presupposti ex lege: accerta la natura sostanziale delle modifiche e il superamento del limite del 50% dei rispettivi costi. In disparte la discutibile nozione di “reviviscenza” contrattuale, imposta dal legislatore in via d’urgenza, la valutazione della Corte dei conti a sostegno della ricusazione del visto unisce aspetti di legittimità sostanziale e di legalità finanziaria, proiettati sulla sostenibilità dell’opera e sui rischi gravanti sulla collettività per effetto della sua realizzazione.
5. Le conseguenze del diniego di visto
Alla luce delle considerazioni esposte, per il Collegio del controllo preventivo di legittimità la richiamata delibera n. 41/2025 del CIPESS “non può essere dichiarata conforme a legge”, con conseguente ricusazione del visto e della conseguente registrazione del provvedimento.
L’unica possibilità di cui l’amministrazione dispone per ovviare alle conseguenze di un diniego di visto, consiste nella richiesta di registrazione con riserva, ai sensi degli artt. 24 e 25 del T.U. n. 1214 del 1934, cit. nei casi e con i limiti previsti dalla norma stessa. Il procedimento di “registrazione con riserva” costituisce l’unico strumento predisposto dal legislatore ai fini del discrezionale “superamento”, ad opera dell’Amministrazione, della ricusazione del visto da parte della Corte dei conti, controbilanciato da una specifica assunzione di responsabilità politica.
In caso di diniego, il Consiglio dei ministri può decidere egualmente che l'atto deve aver corso e in tale ipotesi la Corte dei conti è chiamata a deliberare, a Sezioni riunite. In questi casi, si procede alla cosiddetta registrazione con riserva (cioè, più precisamente, all'apposizione del visto con riserva) dandone notizia al Parlamento, che può poi sindacare politicamente il comportamento del Governo.
Una volta richiesto che l’atto abbia corso, l’Amministrazione non può più ritirare l’atto, che è ormai efficace, ma può al più annullarlo in autotutela, secondo i principi generali del diritto amministrativo.
Ciò posto, ritenere che l’Amministrazione, a seguito della ricusazione del visto, possa determinare discrezionalmente l’esito del procedimento di autotutela avviato (avente ad oggetto atti viziati secondo le verifiche dalla Corte dei conti) significherebbe anzitutto contraddire l’esito imperativo-cogente di tale attività di controllo, che affonda le sue radici nel testo costituzionale e nelle norme di rango primario sopra citate.
Tale natura imperativo-cogente è consentanea alla funzione “ausiliaria” del controllo preventivo di legittimità, che si pone spesso per la pubblica amministrazione come occasione per correggere le anomalie riscontrate, mediante ritiro o riforma dell’atto del quale sono stati contestati profili di illegittimità, stimolando nell’amministrazione controllata processi di autocorrezione ed innescando “doverose misure di autotutela, volte a rimuovere le irregolarità e a ripristinare una situazione di legalità, formale e sostanziale”[35].
Non è conseguentemente possibile, né legittimo, ritenere che la rimozione dell’atto ritenuto illegittimo dalla Corte dei conti debba avvenire attraverso il paradigma dell’autotutela facoltativa (di cui all’art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990).
Con grande precisione, il giudice contabile ha recentemente ricostruito il seguito della ricusazione del visto, in rapporto con gli istituti di autotutela amministrativa decisoria[36], richiamando la giurisprudenza della Cassazione secondo la quale l’istituto della registrazione con riserva “costituisce l’unico mezzo attraverso il quale può essere data esecuzione agli atti che non abbiano superato il vaglio della Corte dei conti”, non ammettendo “alternative o surrogati giurisdizionali” (Cass. Civ., Sez. Un., n. 3806/1974).
L’art. 25 cit., nel disciplinare l’attivazione della procedura di registrazione con riserva, prevede che la deliberazione di ricusazione del visto debba essere trasmessa “al ministro cui spetta” e “se esso risolve che l’atto o decreto debba aver corso”, la Corte dei conti può essere chiamata nuovamente a deliberare a Sezioni riunite e ordinerà la registrazione con riserva dell’atto “qualora non riconosca cessata la causa del rifiuto”. Dunque, la valutazione di difformità dalla norma operata dalla Corte dei conti, sebbene impedisca l’immediata efficacia dell’atto, tuttavia, non vieta al Governo la possibilità di assumersi la responsabilità di rendere parimenti efficace l’atto stesso, a tal fine chiedendo alla Corte di conti di apporre il visto con riserva, che trova la sua ragion d’essere nell’atto di fiducia che lega il Governo e, quindi, l’amministrazione al Parlamento.
In altre parole, il procedimento di registrazione con riserva consente di “superare” il diniego di visto frapposto dalla Corte dei conti, ma sottende una specifica assunzione di responsabilità politica, riservando al Parlamento (al quale la Corte deve trasmettere periodicamente l’elenco dei provvedimenti registrati con tale formula) il giudizio sull’opportunità che la violazione di norme giuridiche sia stata commessa nel prevalente interesse pubblico, sicché il sindacato si trasferisce dal terreno della mera legittimità a quello politico-parlamentare.
È importante ricordare che la registrazione con riserva non attribuisce al provvedimento il crisma della legittimità disconosciuto dalla Sezione di controllo, limitandosi a prendere atto della volontà del Governo di portarlo ad esecuzione. Invero, in tal caso, la registrazione non esclude la gravità della colpa riconosciuta al visto senza riserva dall’art. 1, l. n. 20/1994, a tenore del quale “è esclusa la gravità della colpa quando il fatto dannoso tragga origine dall’emanazione di un atto vistato e registrato in sede di controllo preventivo di legittimità, limitatamente ai profili presi in considerazione nell’esercizio del controllo”.
L’amministrazione si trova dinanzi ad una alternativa secca: a) prendere atto dell’inefficacia dell’atto ritenuto illegittimo dalla Corte dei conti, non potendo esso essere portato ad esecuzione; b) oppure, tenuto conto di tutti gli interessi coinvolti (ivi compreso quello eventualmente riferibile ad un soggetto privato), richiederne la registrazione con riserva attraverso il Governo e mediante l’attivazione del circuito di responsabilità politica sopra indicato.
Ad ulteriore comprova di quanto detto si pone il successivo co. 3 del medesimo art. 25 r.d. n. 1214/1934, a tenore del quale, in alcune ipotesi tassativamente indicate, “il rifiuto di registrazione è assoluto ed annulla il provvedimento”; è eloquente la collocazione di tale disposizione proprio nella medesima norma che disciplina la registrazione con riserva, ad attestazione dell’esistenza di un’alternativa dicotomica tra le ipotesi in cui l’amministrazione può “superare” la ricusazione del visto mediante il procedimento di registrazione con riserva e quelle – eccezionali – in cui neanche tale “via di uscita” risulta praticabile, la ricusazione esitando nella indefettibile caducazione dell’atto illegittimo.
Tali considerazioni sono fondate su una giurisprudenza secolare: già la IV sezione del Consiglio di Stato nel 1903 affermava la non impugnabilità del diniego di visto della Corte dei conti[37]; inaugurando un orientamento giurisprudenziale poi consolidato della giurisprudenza amministrativa[38] e delle Sezioni Unite della Corte di cassazione[39].
Anche le Sezioni riunite in speciale composizione del giudice contabile hanno negato che, riguardo al controllo preventivo di legittimità su un atto amministrativo soggetto al visto della Corte dei conti, possano sussistere situazioni giuridiche soggettive rilevanti in tale sede, con conseguente inammissibilità dell’impugnazione, innanzi alle Sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione, della delibera di ricusazione del visto, da parte del soggetto privato che ritenga lesa la propria sfera giuridica soggettiva, poiché costituente un interesse c.d. di mero fatto, privo di tutela ordinamentale[40]. Ed il Consiglio di Stato, da ultimo, ha rimarcato la “piena autonomia della Corte dei conti, che impedisce di configurare un rapporto di dipendenza della ricusazione del visto con la pronuncia del giudice amministrativo”[41].
Nel sistema costituzionale gli atti di controllo della Corte orientano il Parlamento nell’esercizio delle funzioni ispettive e di vigilanza sull’amministrazione: la valutazione dell’operato dell’amministrazione spetta conseguentemente al Parlamento stesso, attraverso la trasmissione periodica degli atti registrati con riserva, in attuazione dell’ultimo periodo dell’art. 100, co. 2, Cost., secondo cui la Corte “riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito”.
Con l’avviso della Corte, per l’effetto, è chiamato in causa il rapporto di responsabilità politica del Governo nei confronti del Parlamento, nel senso che è offerto all’apprezzamento del Parlamento, con l’esito negativo del controllo, un dato conoscitivo su cui innestare un successivo sindacato politico. Le garanzie essenziali per gli interessi dell’amministrazione pubblica risiedono nella assegnazione della seconda deliberazione della Corte dei conti alle Sezioni Riunite e nella periodica presentazione al Parlamento dell’elenco degli atti registrati con riserva.
6. Conclusioni. Tra approvazione del pdl Foti e registrazione con riserva
Come noto, è in corso di approvazione al Senato il pdl Foti, che interviene ridisegnando complessivamente le funzioni e l’organizzazione della Corte dei conti. L’intera riforma è impostata enfatizzando il principio/criterio dell’efficienza, declinato su due piani: l’efficienza della pubblica amministrazione e l’efficienza (rectius, l’“ulteriore incremento” di efficienza, art. 3, co. 1) della Corte dei conti.
L’efficienza della Corte dei conti, tramite la sua riforma prospettata sul piano delle funzioni e dell’organizzazione, dovrebbe quindi essere strumentale al rispetto del principio del buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost.
L’efficienza della pubblica amministrazione asseritamente indotta dalla riforma si fonda su istituti che riguardano sia il controllo sia la giurisdizione del giudice contabile (oltre a una nuova “attività consultiva”) in parte rilevanti anche per il caso qui in esame.
Tra questi la c.d. “esimente politica presunta” (secondo il nuovo art. 1, comma 1-ter, legge n. 20 del 1994: « Il secondo periodo si interpreta nel senso che la buona fede dei titolari degli organi politici si presume, fino a prova contraria, fatti salvi i casi di dolo, quando gli atti adottati dai medesimi titolari, nell’esercizio delle proprie competenze, sono proposti, vistati o sottoscritti dai responsabili degli uffici tecnici o amministrativi, in assenza di pareri formali, interni o esterni, di contrario avviso »). Fermo restando l’ineludibile principio della separazione delle funzioni tra indirizzo politico e gestione amministrativa, mai obliterato dalla giurisprudenza contabile, la disposizione indurrà gli organi di gestione a sollecitare con frequenza il nuovo potere consultivo della Corte dei conti (sub art. 2), con il conseguente aberrante istituto del silenzio-assenso ivi previsto.
L’efficienza, secondo questo disegno, coinciderebbe dunque con una “corsa al parere”, unita al silenzio-assenso del giudice contabile maturato entro 30 giorni dalla richiesta, cui conseguirebbe una sorta di autorizzazione tacita a proseguire lo svolgimento dell’attività amministrativa e, all’organo politico, di adottare formalmente l’atto di sua competenza. È appena il caso di ricordare che l’efficienza è un “criterio” che regola l’esercizio dell’attività amministrativa, assolutamente subordinato al principio di legalità, come ricorda chiaramente l’art. 1 della legge n. 241 del 1990.
Peraltro, tale disposizione richiama la “buona fede” (riferita all’organo politico) e utilizza quindi una clausola generale, in contraddizione con l’esigenza di tipizzare la colpa grave, per contro sollecitata da Corte cost., sentenza n. 132 del 2024[42].
Ove il pdl Foti venisse approvato prima della eventuale registrazione con visto della delibera CIPESS qui esaminata, si tratterebbe di valutare se la delibera del Consiglio dei Ministri conseguentemente assunta e gli eventuali effetti pregiudizievoli per l’erario, indotti da tale approvazione, possano godere di tale esimente. Ipotesi che si ritiene difficilmente invocabile, vista la carenza di istruttoria tecnica segnalata dalla stessa Corte dei conti.
L’altro punto forte, sui controlli, del pdl Foti riguarda la reintroduzione del controllo preventivo di legittimità, sia per gli atti degli enti locali di “particolare rilevanza e complessità” (art. 3, co. 2, lett. s), dove la lata delega al Governo non è accompagnata da principi e criteri direttivi circa la scelta da compiere, sia per i contratti pubblici connessi all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC), dove il controllo preventivo di legittimità è svolto sui provvedimenti di aggiudicazione, anche provvisori, e sui provvedimenti conclusivi delle procedure di affidamento che non prevedono l’aggiudicazione formale. I termini previsti per l’esercizio del controllo hanno carattere perentorio; qualora alla scadenza non sia intervenuta la deliberazione della Corte dei conti, l’atto si intende registrato anche ai fini dell’esclusione di responsabilità di cui all’art. 1, comma 1. Il visto può essere ricusato soltanto con deliberazione motivata (nuovo art. 3, co. 1-ter, ma anche co. 1-quater per le regioni e gli enti locali, della legge n. 20 del 1994, cit.).
Il combinato disposto del silenzio-assenso sul controllo preventivo di legittimità e di correlata esimente dalla responsabilità, ove venisse generalizzato, condurrebbe, in un caso come quello qui in esame, a impedire alla Corte dei conti l’esercizio di un serio e approfondito sindacato di legittimità e a escludere da profili di responsabilità amministrativa l’adozione di provvedimenti di approvazione di progettazione e realizzazione di opere pubbliche causativi di danno erariale.
Il pdl Foti introduce inoltre una generale “attività consultiva” della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica, addirittura in violazione del divieto di co-amministrazione ove i pareri siano resi su “questioni applicabili a fattispecie concrete” (attuazione del PNRR-PNC), con maturazione del silenzio-assenso entro 30 giorni dalla richiesta (art. 2). Ad avviso d chi scrive, la previsione viola le previsioni costituzionali dedicate alle funzioni della Corte dei conti (artt. 100 e 103). L’attuale funzione consultiva a favore degli enti locali, infatti, pur non prevista nel testo costituzionale, deve limitarsi a questioni in materia di contabilità pubblica che non impingano a scelte amministrative riguardo al caso concreto, come si evince dall’ampio apparato argomentativo del giudice contabile speso per motivare l’ammissibilità dei pareri richiesti e resi. La previsione del pdl in esame, per contro, afferma dichiaratamente il riferimento della funzione consultiva a questioni concrete, dimenticando la terzietà del giudice e rendendolo partecipe delle decisioni amministrative, mediante una commistione di funzioni. La previsione del silenzio-assenso, poi, corrobora questa lettura, giacché è inimmaginabile il suo richiamo all’esercizio di un’attività giurisdizionale.
Ma, soprattutto, l’eventuale approvazione del pdl Foti sortirebbe effetti importanti riferiti al caso di specie, con riguardo agli eventuali profili di responsabilità amministrativa correlati alle attività assoggettate all’eventuale visto con riserva. Lo stesso pdl, infatti, nel tentativo di tipizzare la colpa grave, la riconduce a fatti “incontrastabilmente” affermati/negati di fronte a evidenze contrarie (secondo il prospettato nuovo art. 1, co. 1, legge n. 20 del 1994), nonché all’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento o la negazione di un fatto la cui esistenza risulta “incontrastabilmente” dagli atti del procedimento. La colpa grave verrebbe esclusa dal rispetto dei pareri delle autorità competenti.
A parte il difficile inquadramento della nozione di “incontrastabilità”, che è diversa rispetto alla “incontrovertibilità” e alla “inoppugnabilità” (riferita agli atti), appare evidente, nel caso di specie, che i fatti acclarati in sede di controllo preventivo dalla Corte dei conti integrano “evidenze” (se non “pareri delle autorità competenti”) che risultano vincolanti e l’eventuale richiesta da parte del Governo della registrazione con riserva amplificherebbe le responsabilità connesse alla deliberazione dell’organo politico, fondate su fatti (appunto “incontrastabilmente”) accertati in fase procedimentale e acclarati dal Collegio del controllo preventivo di legittimità. Si verificherebbe, insomma, una sorta di cortocircuito perché il Governo si esporrebbe a maggiori profili di responsabilità proprio per effetto dell’approvazione della riforma della Corte dei conti che lo stesso esecutivo ha propugnato.
[1] Corte dei conti, Sez. centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, Adunanza del 29 ottobre 2025, Deliberazione n. SCCLEG/19/2025/PREV.
[2] Contenuto nell’allegato F del III Atto aggiuntivo alla convenzione fra il MIT e la SdM.
[3] Ddl n. 1457 (Senato della Repubblica).
[4] Per una interessante ricostruzione storica dell’istituto e della sua applicazione in materia contrattuale, cfr. la recente pronuncia della Corte dei conti, Sez. regionale di controllo per la Regione Campania, 28 novembre 2025 (Pres. M. Gagliardi – Relatore A. De Santis), ed ivi una dettagliata analisi sull’effetto conformativo per l’amministrazione e sui rapporti con l’autotutela decisoria, su cui infra.
[5] Corte cost., 18 novembre 1976, n. 226 (Rel. Crisafulli), richiamata per aver riconosciuto la legittimazione di giudice a quo della Corte dei conti in sede di controllo preventivo di legittimità con l’esigenza sostanziale di ammettere al sindacato di costituzionalità «leggi che (…) più difficilmente verrebbero, per altra via, ad essa sottoposte», atteso che la funzione di controllo della Corte dei conti «è, sotto molteplici aspetti, analoga alla funzione giurisdizionale, piuttosto che assimilabile a quella amministrativa» (punto 3 in diritto). A commento, G. Amato, Il Parlamento e le sue Corti, in Giur. cost., 1976, 1985 ss., S. Pergameno, Funzione di controllo della Corte dei conti e instaurazione del processo di legittimità costituzionale, in Giur. cost., 1976, 2031 ss., che rimarca l’analogia del controllo della Corte dei conti con l’attività giurisdizionale, la posizione neutrale del magistrato addetto al controllo e la garanzia di mera legalità della funzione di controllo della Corte dei conti; F. Pizzetti, Corte dei conti tra Corte costituzionale e Parlamento, in Giur. cost., 1976, 2042.
[6] Per un esame dell’evoluzione normativa, cfr. R. Dainelli, Il controllo preventivo della Corte dei conti sugli atti delle Amministrazioni dello Stato, in Amministrazione in cammino, 19 aprile 2021; A. Luberti, I controlli della Corte dei conti come giurisdizione nell’ottica di razionalità della “Costituzione in senso sostanziale”, in Bilancio, comunità e persona, n. 2/2020, 128 ss.; E. Giardino, I controlli preventivi di legittimità e le questioni irrisolte, in Riv. trim. dir. pub., 2024, 1.
[7] Le diverse ipotesi sono esaminate da R. Dainelli, op. e loc. cit.
[8] In tali termini, puntualmente, la già richiamata pronuncia della Corte dei conti, Sez. regionale di controllo per la Regione Campania, 28 novembre 2025 (Pres. M. Gagliardi – Relatore A. De Santis).
[9] Nuovamente il richiamo alla pronuncia di cui alla nota precedente.
[10] C.E. Gallo, Manuale di giustizia amministrativa, XII ed., Torino, 2025, 165.
[11] Sui procedimenti “composti”, cfr. ad esempio, T.a.r. Campania, Napoli, sez. III, 26 luglio 2023, n. 4478, a mente del quale “In caso di procedimenti composti che si concludono con un atto emanato formalmente dalle autorità nazionali, ma in cui il potere decisionale effettivo sia esercitato dagli organi dell’Unione, con atti vincolanti ancorché di natura endo-procedimentale, l’autorità giurisdizionale competente è quella dell’Unione europea e non quella nazionale”. L’oggetto del giudizio riguardava un decreto della Regione Campania emesso in conformità a una relazione vincolante della Commissione europea, da cui discendeva l’obbligo, per l’amministrazione regionale, di provvedere al recupero di alcuni contributi concessi all’impresa ricorrente. Secondo il giudice amministrativo, tale schema procedimentale corrisponde “più alla logica dell’esercizio decentralizzato di tali poteri che non a una ripartizione delle competenze tra la Commissione europea e le autorità nazionali, ove il potere di adottare la decisione finale è riservato alla Commissione europea”, sicché simmetricamente, la competenza esclusiva ad esercitare il sindacato giurisdizionale sull’esercizio di tale potere deve spettare al Tribunale o alla Corte di giustizia UE, ex art. 263 TFUE.
[12] S. Foà, Gli atti e le responsabilità degli organi di governo pubblici, in AA.VV. (a cura di), Studi in onore di Carlo Emanuele Gallo, vol. I, Giappichelli, Torino, 2023, 34 ss.
[13] Cons. Stato, Sez. IV, 1° marzo 2024, n. 2044, richiamata dal Collegio; cfr. anche Cons. Stato, Sez. VI, 20 gennaio 2025, n. 388, che esige un’adeguata istruttoria tecnico-scientifica “ancor prima di procedere a VINCA vera e propria”.
[14] Sulla attuale portata della esimente politica nel giudizio contabile, cfr. P. Evangelista e D. Vitale, Merito ed esimente politica nel giudizio contabile, in S. Foà (a cura di), Il nuovo merito amministrativo, Torino, 2025, 297 ss.
[15] Linee guida predisposte, su impulso del già Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare in raccordo con le regioni e le province, nell’ambito dell’attuazione della Strategia nazionale per la biodiversità 2011-2020 e per ottemperare agli impegni assunti dall’Italia in relazione al contenzioso comunitario, avviato in data 10 luglio 2014 con l’EU Pilot n. 6730/14, in merito alla necessità di produrre un atto di indirizzo per la corretta attuazione dell’art. 6, paragrafi 2, 3, 4, della direttiva 92/43/CEE Habitat.
[16] Corte di Giustizia UE in C-404/09, EU:C:2011:768, punto 99, C-399/14, EU:C:2016:10, punti 49 e 50, Causa C-243/15.
[17] Corte di Giustizia UE, C-127/02, EU:C:2004:482, punti 57 e 58, C-399/14, EU:C:2016:10, punto 48, Causa C-243/15.
[18] Linee guida del Ministero dell’Ambiente sulla VIncA, 2019, punto 1.11 Responsabilità delle Autorità competenti sul rispetto dell’art. 6.3 della Direttiva Habitat.
[19] Per una ricostruzione del principio M. Renna, Il principio di precauzione e la sua attuabilità, in Forum di Quaderni Costituzionali, 2, 2023, disponibile in www.forumcostituzionale.it.
[20] Cfr. art. 1-bis, decreto-legge 14 ottobre, 2019 n. 111.
[21] V. Galliano, Infrastrutture strategiche e attrazione delle valutazioni ambientali in quelle economiche. La funzione del CIPE con riguardo all’Alta Velocità Torino-Lione, in I. Massa Pinto (a cura di), L’ambiente e la sua cura, Napoli, 2023.
[22] R. Ferrara, La valutazione di impatto ambientale fra principio di precauzione e DNSH (Do not significant harm): spunti di riflessione, in Riv. giur. urb. 2024, 12 ss.
[23] Art. 4, co. 3, d.l. 31 marzo 2023, n. 35, Disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria convertito con modificazioni dalla L. 26 maggio 2023, n. 58: “La società concessionaria e il contraente generale nonché gli altri soggetti affidatari dei servizi connessi alla realizzazione dell'opera possono, mediante la stipula di atti aggiuntivi ai contratti caducati ai sensi dell'articolo 34-decies, comma 3, secondo periodo, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, manifestare la volontà che ciascun contratto riprenda a produrre i propri effetti subordinatamente alla delibera di approvazione del progetto definitivo ai sensi dell'articolo 3, commi 7 e 8, e previa definizione, per il relativo contratto, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, delle seguenti rinunzie e condizioni: (omissis)”.
[24] In tale contesto si inseriscono le verifiche svolte dall’Ufficio di controllo dapprima con il rilievo e, successivamente, visto l’esito infruttuoso dell’interlocuzione istruttoria, con la relazione di deferimento, in risposta alla quale le Amministrazioni interessate hanno svolto considerazioni oggetto di ulteriore approfondimento in occasione della adunanza pubblica.
[25] Corte di giustizia dell’Unione europea, Sez. X, cause C-441/22 e C-443/22, sentenza 7 dicembre 2023, punto 61: l’art. 72 della direttiva 2014/24 mira a garantire il rispetto dei principi di trasparenza delle procedure e di parità di trattamento degli offerenti. Tali principi ostano a che dopo l'aggiudicazione di un appalto pubblico, l'amministrazione aggiudicatrice e l'aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che dette disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle dell'appalto iniziale (v., in tal senso, sentenze del 13 aprile 2010, Wall, C-91/08, punto 37, nonché del 3 febbraio 2022, Advania Sverige e Kammarkollegiet, C-461/20, punto 19 e la giurisprudenza ivi citata). L'osservanza di tali principi si inserisce, a sua volta, nell'obiettivo più generale delle norme dell'Unione in materia di appalti pubblici consistente nell'assicurare la libera circolazione dei servizi e l'apertura dei mercati ad una concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri (sentenze del 19 giugno 2008, Pressetext Nachrichtenagentur, C-454/06, punti 31 e 32; del 13 aprile 2010, Wall, C-91/08, punto 37 nonché del 12 maggio 2022, Comune di Lerici, C-719/20, punto 42 e la giurisprudenza citata).
[26] Ciò in coerenza con la delibera CIPE n. 66 del 2003, che, a sua volta, nell’approvare il progetto preliminare, disponeva, altresì, che la copertura del costo complessivo dell’opera fosse assicurata per il 40% dall’aumento di capitale della società Stretto di Messina e per il rimanente 60% con finanziamenti da reperire sui mercati internazionali, senza garanzie da parte dello Stato, nonché in aderenza con il contenuto, pressoché pedissequo, dell’art. 16 della convenzione di concessione del 30 dicembre 2003.
[27] A tal riguardo, si osserva che il bando di gara prevedeva il prefinanziamento, a carico del Contraente generale, per una quota pari almeno al 10%, e non superiore al 20%, assegnando a detto requisito un punteggio pari a 5 punti; il Contraente generale si è aggiudicato il contratto proponendo per tale requisito il 15%. L’accordo integrativo del 2009 lo ha ridotto al 10% e ha assegnato a SdM la possibilità di ridurre ulteriormente la quota fino al limite del 5%.
[28] In via generale, A. Ciatti Càimi, Retroattività e contratto. Disciplina negoziale e successione di norme nel tempo, Napoli, 2007, spec. 131 ss. e 135 ss. circa il c.d. “ordine pubblico intertemporale”.
[29] sin dal “Package Meeting” dell’ 1-2 luglio 2024, cui hanno fatto seguito ulteriori interlocuzioni solo parzialmente documentate all’Ufficio di controllo pur a fronte di richieste istruttorie, in quanto asseritamente inquadrabili nell’ambito di un “dialogo caratterizzato dall’informalità dei rapporti attinenti ad una pluralità di dossier, incluso il Ponte, con contributi non prodotti per le consuete regole di cortesia istituzionale che non consentono di trasmettere documenti di lavoro e scambio di note non protocollate”.
[30] Per un’analisi completa delle competenze dell’ART, cfr. G. Veltri, La natura giuridica dell’Autorità dei trasporti e il suo ruolo nella regolazione di un mercato in via di trasformazione, in Giustizia-amministrativa, 15 marzo 2019.
[31] Cons. Stato, Sez. IV, sent. 4 gennaio 2021, n. 5.
[32] Art. 2, comma 8, lett. c), n. 2, del d.l. n. 35 del 2023, cit.
[33] Contro l’impostazione dell’attuale Codice dei contratti pubblici di cui al d. lgs. n. 36 del 2023: nella Relazione di accompagnamento si legge: “La concorrenza come mero strumento per il raggiungimento del risultato del “preminente interesse della committenza” (pag. 11): “La codificazione dei principi mira a realizzare, fra gli altri, i seguenti obiettivi: ribadire che la concorrenza è uno strumento il cui fine è realizzare al meglio l’obiettivo di un appalto aggiudicato ed eseguito in funzione del preminente interesse della committenza (e della collettività) (cfr. art. 1, co. 2, d. lgs. n. 36 del 2023, cit.)
[34] Con riferimento alla disciplina del contraente generale, sotto la vigenza del precedente Codice, C.E. Gallo, S. Foà, Affidamento a contraente generale, in M.A. Sandulli, R. De Nictolis (diretto da), Trattato sui contratti pubblici, Milano, 2019, Vol. V, 345 ss.
[35] Corte dei conti, SS.RR. in sede consultiva, 30 ottobre 2024, Delibera n. 3/2024/CONS.
[36] Corte dei conti, Sez. regionale di controllo per la Regione Campania, 28 novembre 2025 (Pres. M. Gagliardi – Relatore A. De Santis), punto 3.3, dal quale si attingono i puntuali e completi richiami giurisprudenziali nel testo.
[37] Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 gennaio 1903, ove si discuteva della disciplina applicabile nell’ipotesi di rifiuto opposto dalla Corte dei conti rispetto alla registrazione di un decreto reale di decisione di un ricorso straordinario. Come ricostruisce Corte dei conti, Sez. regionale di controllo per la Regione Campania, 28 novembre 2025 (Pres. M. Gagliardi – Relatore A. De Santis), loc. cit., già in tale occasione i giudici amministrativi riconobbero la insindacabilità giurisdizionale del rifiuto del visto della Corte, concludendo nel senso che il ministro interessato fosse tenuto a provocare la deliberazione del Consiglio dei ministri al fine di promuovere la registrazione con riserva di quel decreto reale “od emettere un diverso provvedimento, anche capace di discostarsi dal parere dello stesso Consiglio di Stato”. Tali considerazioni si saldano con quelle contenute nella successiva sentenza del 19 giugno 1903, con cui il Consiglio di Stato afferma la non impugnabilità degli atti costituenti espressione del controllo preventivo di legittimità, osservando che tali atti non sono conoscibili dal giudice in quanto la Corte costituisce nel contempo “emanazione del potere parlamentare, in virtù di delegazione permanente delle Camere” e “magistratura suprema ed autonoma … indipendente dal potere esecutivo”. Appartenendo all’ordine giudiziario, in nessun caso essa rientra “nell’orbita del potere esecutivo e nel novero degli organi amministrativi, non dovendo rispondere dei propri atti ad altra autorità che al parlamento per quanto riguarda l’adempimento del mandato parlamentare, e non avendo sopra di sé che la Corte di cassazione in quanto possano i suoi giudicati esorbitare dai confini della sua giurisdizione speciale”.
[38] Cons. Stato, Ad. Plen. sentenza n. 1 del 1961, Cons. St., nn. 572 e 597 del 1963 e n. 636 del 1996. Di particolare rilievo la sentenza n. 3806/1974 delle Sezioni Unite della Cassazione, con cui veniva annullata senza rinvio l’isolata sentenza del Consiglio di Stato n. 501/1972, che aveva ammesso un sindacato del giudice amministrativo sugli atti di controllo della Corte dei conti. La Cassazione aveva ribadito la sottrazione “a qualsiasi vaglio giurisdizionale” e la “permanente stabilità” delle delibere emesse dalla Corte dei conti in sede di controllo preventivo di legittimità, stabilità “confermata proprio dall’esistenza dell’istituto della registrazione con riserva … che, come affermato dalla Corte costituzionale (sentenza 19 dicembre 1966, n. 121), ‘costituisce deroga al principio della non eseguibilità degli atti del Governo o dell’amministrazione dello Stato ritenuti non legittimi dall’organo preposto al controllo giuridico’, ed ha il suo contrappeso ‘nell’immediato, istituzionale assoggettamento del provvedimento registrato con riserva al controllo politico del Parlamento’”.
[39] Cass. SS.UU., sentenze nn. 2073 del 1953, 1016 del 1964, 1396 del 1965 e 3806 del 1974, tutte richiamate da Corte dei conti, Sez. regionale di controllo per la Regione Campania, 28 novembre 2025, cit.
[40] Corte dei conti, Sez. riunite in speciale composizione, sentenza 27 aprile 2020, n. 5/2020/SR.
[41] Cons. Stato, Sez. V, sentenza 3 giugno 2025, n. 4789.
[42] A commento critico, S. Foà, Oltre lo “scudo erariale”: quale futuro per la responsabilità amministrativa?, in questa Rivista, 15 aprile 2025.
Sullo stesso tema su questa Rivista si veda anche Il ponte sullo stretto: la delibera della corte dei conti e le ragioni dell’illegittimità e La Corte dei conti allontana il Ponte sullo stretto. Intervista di Roberto Conti ad Aurora Notarianni
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