Spedizioni internazionali rifiuti pericolosi: poteri sovrani dello Stato di importazione e discrezionalità politica dello Stato di esportazione (nota a Cons. Stato, Sez. IV, 26 07 2021 n. 554).
di Simone Francario
Sommario: 1. Osservazioni preliminari sulla disciplina sovranazionale in materia di movimentazioni transfrontaliere di rifiuti pericolosi; 1.1 La convenzione di Basilea del 22 marzo 1989: principi fondamentali e ambito di applicazione; 1.2 La procedura delle movimentazioni transfrontaliere; 1.3 In particolare: il traffico illecito di rifiuti pericolosi e i rimedi previsti dal trattato; 2. La vicenda decisa dal giudice amministrativo; 3 La questione della giurisdizione sugli atti dell’amministrazione tunisina: i poteri sovrani dello Stato di importazione; 4 La questione dell’attivazione dell’arbitrato internazionale: la discrezionalità politica dello Stato di esportazione; 5. Osservazioni conclusive.
1. Osservazioni preliminari sulla disciplina sovranazionale in materia di movimentazioni transfrontaliere di rifiuti pericolosi.
1.1 La Convenzione di Basilea del 22 marzo 1989: principi fondamentali e ambito di applicazione
Il commento della sentenza 554/2021, resa dalla Sezione IV del Consiglio di Stato il 26 luglio 2021 in materia di reimpatrio di rifiuti pericolosi, rende opportuna la preliminare ricostruzione del quadro normativo della disciplina che, a livello sovranazionale disciplina i movimenti oltre frontiera di rifiuti pericolosi e la loro eliminazione, disciplina che ha nella Convenzione di Basilea del 22 marzo 1989 la sua principale fonte [1].
La comunità internazionale ha ritenuto necessario intervenire per regolamentare la materia in quanto, per gran parte del XX secolo, le spedizioni internazionali di rifiuti furono utilizzate come un “escamotage” di alcuni privati e/o Stati per liberarsi di ingenti quantità di rifiuti in danno per lo più di Paesi in via di sviluppo e spesso dietro la corresponsione di compensi irrisori, con grave danno per la salute umana e per l’ambiente[2].
Quando tali eventi furono portati alla luce dalla cronaca, la comunità internazionale ha deciso di porre immediatamente un freno al problema e furono così raggiunti vari compromessi[3].
In primo luogo furono emanate le “Linee direttive e principi del Cairo concernenti la gestione ecologicamente razionale dei rifiuti pericolosi” del 17 giugno 1987, che costituivano uno dei primi accordi internazionali in materia, ma che erano, tuttavia, sprovviste di efficacia vincolante considerato che il loro scopo, come si legge sin dalle prime righe del preambolo, era quello di “[to be] addressed to Governments with a view to assisting them in the process of developing policies for the environmentally sound management of hazardous wastes.”[4]
Successivamente, fu emanata la Convenzione di Basilea del 22 marzo 1989, che rappresenta un primo compromesso/punto d’incontro tra quegli Stati che volevano comunque regolamentare il campo delle spedizioni internazionali di rifiuti pericolosi, ma senza aggiungere troppi freni, e quelli che, d’altro lato, spingevano per una disciplina molto più stringente.
La linea “dura”, se così si può dire, ha poi prevalso nella Convenzione di Bamako stipulata nel 1991 su iniziativa dell’OUA (Organizzazione per l’unità africana), con cui la maggioranza degli Stati africani, rimasti insoddisfatti del compromesso politico raggiunto con la precedente Convenzione di Basilea, ha imposto norme più severe per quanto riguarda l’importazione in Africa di rifiuti pericolosi: ai sensi dell’art. 4 della Convenzione di Bamako, infatti, le Parti devono proibire l’ingresso in Africa di rifiuti pericolosi provenienti da Stati che non sono firmatari di tale trattato[5].
Il quadro normativo si è poi arricchito nel corso del tempo anche con l’emergere di altre normative sovranazionali “regionali”, tra cui, ad esempio, si può citare il Regolamento n. 1013/2006 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 giugno 2006, che abroga la precedente normativa contenuta nel Regolamento 259/93/CEE e nella decisione 94/774/CE, e che si applica alle spedizioni internazionali di rifiuti, pericolosi e non, qualora, tra le altre cose, un Paese appartenente all’Unione Europea sia coinvolto nella movimentazione a qualsiasi titolo (e quindi, sia come Paese di spedizione, che come Paese di transito e/o destinazione) [6].
Sebbene prima facie il sistema normativo di riferimento possa apparire molto frammentario, è bene ricordare che le varie normative internazionali sono in gran parte molto simili tra di loro in quanto, seppure con le dovute differenze, si basano sul modello e sui principi già stabiliti proprio con la Convenzione di Basilea, la quale occupa, pertanto, una posizione di fondamentale importanza.
Il preambolo della Convenzione di Basilea attualmente in vigore consente di individuare i principi generali alla base delle procedure ivi previste[7].
Nella parte introduttiva del Trattato internazionale innanzitutto si afferma, con una certa enfasi, che il movimento oltre frontiera di rifiuti pericolosi o di altri rifiuti, la loro gestione ed eliminazione deve avvenire nel rispetto della salute umana e dell’ambiente[8]; si evidenzia il “diritto sovrano [di ogni Stato] di vietare l’entrata o l’eliminazione, sul suo territorio, di rifiuti pericolosi e di altri rifiuti provenienti dall’estero”;[9] si ribadisce il principio di riduzione al minimo della produzione, pericolosità e movimentazione dei rifiuti[10]; si afferma il principio del previo consenso informato per cui i movimenti oltre frontiera di rifiuti pericolosi possono essere autorizzati soltanto se, oltre a svolgersi nel rispetto della salute umana e dell’ambiente, “sono effettuati […] in modo conforme alle disposizioni della presente Convenzione”[11]; si riconosce altresì la crescente tendenza a “voler vietare i movimenti oltre frontiera di rifiuti pericolosi e la loro eliminazione in altri Stati, in particolare nei Paesi in via di sviluppo” i quali “dispongono di una capacità limitata di gestione dei rifiuti pericolosi e di altri rifiuti” e che pertanto “è necessario promuovere il trasferimento, soprattutto verso i Paesi in via di sviluppo, di tecniche destinate ad assicurare una gestione razionale dei rifiuti pericolosi e di altri rifiuti prodotti localmente”[12]; e si evidenzia, infine, anche che la gestione ed eliminazione dei rifiuti deve essere ispirata al principio di prossimità, in base al quale “i rifiuti pericolosi e gli altri rifiuti, nella misura in cui ciò è compatibile con una gestione ecologicamente razionale ed efficace, dovrebbero venir eliminati nello Stato in cui sono prodotti”[13].
Successivamente, la Convenzione, utilizzando un criterio formalistico, si occupa di definire il suo ambito di applicazione e a tal fine l’art. 1, letto in combinato disposto con l’art. 3, prevede che essa si applichi nei confronti dei rifiuti qualificati come pericolosi dagli allegati alla Convenzione stessa o dalle legislazioni delle Parti[14].
1.2 La procedura delle movimentazioni transfrontaliere
Per quanto riguarda la disciplina vera e propria dei movimenti oltre frontiera di rifiuti pericolosi la Convenzione di Basilea, dunque, non ne impedisce tout court le movimentazioni[15] , ma, al contrario, pare più corretto affermare che le esportazioni di tali beni siano consentite solo nel rispetto della procedura e delle garanzie ivi previste[16].
Ad esempio, in applicazione del principio di prossimità, l’art. 4, comma 9, prevede che le movimentazione oltre frontiera di rifiuti pericolosi e di altri rifiuti possono essere autorizzate solamente “se lo Stato di esportazione non dispone dei mezzi tecnici e degli impianti necessari o dei siti di eliminazione richiesti per eliminare i rifiuti in questione secondo metodi ecologicamente razionali ed efficaci, oppure se i rifiuti in questione sono necessari come materia prima per l’industria del riciclaggio o del recupero nello Stato di importazione.” [17]
Ad ogni modo, la garanzia più importante prevista dalla Convenzione di Basilea, come anticipato nell’analisi dei principi fondamentali contenuti nel preambolo, consiste nel fatto che le movimentazioni transfrontaliere dei rifiuti pericolosi devono svolgersi sulla base di una procedura che si basa, essenzialmente, sul principio del previo consenso informato[18]: i Paesi coinvolti nella spedizione devono autorizzare in via preventiva tale movimentazione, e nel fare ciò devono seguire le modalità elencate nella Convenzione di Basilea, pena l’illegalità della spedizione.
Innanzitutto, ciascuna parte deve designare, ai sensi dell’art. 5, una o più “autorità competenti” [19] le quali hanno il compito di ricevere e rispondere a tutte le notificazioni relative alle movimentazioni di rifiuti pericolosi, così come sono deputate a ricevere ogni informazione relativa a tali spedizioni.
L’art. 5, inoltre, prevede che le parti designino anche una “autorità corrispondente”, la quale ha essenzialmente il compito di ricevere e inoltrare alle altre parti altro tipo di informazioni[20].
Il successivo art. 6 disciplina l’intera procedura autorizzatoria di previo consenso informato: lo Stato di esportazione deve notificare, tramite la propria autorità competente, all’autorità competente dello Stato di importazione e degli Stati di transito ogni movimento di rifiuti pericolosi, oppure può esigere che tale compito sia svolto dal produttore o dall’esportatore.
Tale notifica deve essere accompagnata da un documento contenente le dichiarazioni e informazioni specificate nell’allegato V-A come, ad esempio, il motivo dell’esportazione dei rifiuti, l’esportatore dei rifiuti, il produttore o i produttori dei rifiuti e il luogo di produzione, l’eliminatore dei rifiuti e il luogo effettivo dell’eliminazione, denominazione e descrizione fisica dei rifiuti, dichiarazione del produttore e dell’esportatore attestante l’esattezza delle informazioni e informazioni concernenti il contratto concluso tra l’esportatore e l’eliminatore.
In questo modo allo Stato di importazione vengono fornite tutte le informazioni necessarie per decidere se dare “conferma per iscritto a chi ha inviato la notifica di averla ricevuto e nel contempo consente al movimento, con o senza riserva, oppure nega l’autorizzazione a procedere al movimento, oppure chiede un complemento d’informazione” (art. 6, par. 2)[21].
Le autorizzazioni rilasciate dai Paesi di importazione e di transito costituiscono nel meccanismo delineato dal trattato il presupposto necessario e fondamentale affinché il Paese di esportazione possa autorizzare l’esportatore a spedire i rifiuti pericolosi oltre frontiera.
Infatti lo Stato di esportazione autorizzerà l’esportatore ad iniziare il movimento oltre frontiera “soltanto dopo aver ricevuto la conferma scritta che l’autore della notifica ha ricevuto il consenso scritto dello Stato di importazione”.[22]
Allo stesso modo anche l’autorizzazione del Paese di transito costituisce un presupposto necessario dell’autorizzazione all’esportazione del Paese di spedizione: quest’ultimo, infatti, “autorizza l’inizio del movimento oltre frontiera soltanto dopo aver ricevuto la conferma scritta dello Stato di transito.”[23]
Ciononostante, è al Paese di importazione che spetta l’ultima parola in merito allo svolgimento della spedizione: se manca la sua autorizzazione, allora, “le parti vietano o non permettono l’esportazione di rifiuti pericolosi o di altri rifiuti.”[24]
1.3 In particolare: il traffico illecito di rifiuti pericolosi e i rimedi previsti dal trattato
Tra le ragioni principali che hanno portato alla stipulazione della Convenzione di Basilea, si è visto, vi è la ferma intenzione delle parti firmatarie di contrastare il fenomeno delle movimentazioni illegali ed incontrollate di rifiuti pericolosi tra più Stati, in quanto estremamente dannoso per la salute umana e per l’ambiente.
Si da atto, infatti, già nel preambolo che la comunità internazionale è seriamente preoccupata dal problema del traffico illecito oltre frontiera di rifiuti pericolosi e di altri rifiuti[25], e a tal fine la Convenzione si occupa anche di fornire alcuni strumenti giuridici per prevenire e risolvere tale eventualità.
Innanzitutto viene fornita la definizione della fattispecie di traffico illecito di rifiuti pericolosi o di altri rifiuti, per tale intendendosi, ai sensi dell’art. 9, una qualsiasi movimentazione oltre frontiera effettuata in assenza della notifica; senza il consenso degli Stati interessati; senza il reale consenso degli Stati interessati in quanto ottenuto mediante falsificazioni o frode; oppure quando non è materialmente conforme ai documenti; o, infine, quando comporta una eliminazione deliberata dei rifiuti pericolosi o di altri rifiuti in violazione delle disposizioni del trattato e dei principi generali del diritto internazionale.
Ciò posto, la Convenzione di Basilea offre una soluzione diversa a seconda di chi sia l’autore del traffico illecito di rifiuti pericolosi.
Se il movimento oltre frontiera di rifiuti pericolosi è considerato traffico illecito a causa del comportamento dell’esportatore allora lo Stato di esportazione, in primo luogo, provvede affinché i rifiuti in questioni siano rimpatriati e, in secondo luogo, solo se il rimpatrio dei rifiuti non è di fatto possibile, si adopera affinché i rifiuti siano eliminati in altro modo e in maniera conforme alle disposizioni del trattato[26].
In questi casi, la Convenzione di Basilea precisa, “le parti interessate non si oppongono al ritorno di tali rifiuti nello Stato di esportazione, né lo ritardano o lo impediscono.”[27]
Se, invece, l’illegalità della spedizione è causata dal comportamento dell’importatore o eliminatore, spetta invece allo Stato di importazione provvedere affinché i rifiuti in questione vengano eliminati in modo ecologicamente razionale dall’importatore o dall’eliminatore o, in caso, anche dallo stesso Paese di destinazione.[28]
Infine, qualora la responsabilità del traffico illecito di rifiuti pericolosi non possa essere addossata all’esportatore, al produttore, all’importatore o all’eliminatore, le Parti interessate cooperano per eliminare tali rifiuti il più presto possibile e secondo metodi ecologicamente razionali all’interno dello Stato di esportazione, o di importazione o altrove.[29]
In aggiunta a tali rimedi, che sono riservati al caso in cui si verifichi una spedizione illecita di rifiuti pericolosi, la Convenzione di Basilea contiene anche ulteriori modi di risoluzione delle controversie che hanno valenza generale.
Innanzitutto, il primo comma dell’art. 20 pone la regola generale per cui se dovesse sorgere una questione circa l’interpretazione, applicazione o osservanza della Convenzione o di uno dei suoi protocolli le Parti “si sforzeranno di dirimere la controversia mediante trattive o qualsiasi altra via pacifica di loro scelta.”
In subordine, ai sensi del secondo comma, se le Parti non riescono a raggiungere un accordo tramite le modalità del primo comma, queste possono ricorrere a due strade diverse (che pare siano alternative): possono adire la Corte Internazionale di Giustizia, oppure possono avviare una procedura arbitrale alle condizioni definite nell’allegato VI alla Convenzione di Basilea; sempre al secondo comma, come norma di chiusura, poi, si stabilisce che “se le Parti non pervengono ad un accordo per sottoporre il caso alla Corte Internazionale di Giustizia o a una procedura arbitrale, ciò non le esime dalla responsabilità di continuare a tentare di risolvere la controversia con i mezzi indicati nel paragrafo 1.”
2. La vicenda decisa dal giudice amministrativo.
Nel contesto normativo sopra ricostruito s’inquadra la vicenda adesso decisa in appello dal giudice amministrativo, che riguarda appunto una peculiare ipotesi di spedizione internazionale di rifiuti pericolosi che non si conclude felicemente in quanto, una volta giunti a destinazione, il Paese di importazione ne ordina l’immediato rimpatrio per violazione delle garanzie e delle procedure previste per le loro movimentazioni stabilite dalla Convenzione di Basilea.
Una società operante nel settore aveva chiesto alla Regione Campania l’autorizzazione per spedire in Tunisia, in più movimentazioni, circa 12.000 tonnellate di rifiuti non pericolosi (classificati come rifiuti non urbani ma speciali) dove sarebbero stati sottoposti a trattamenti di recupero.
Allo stesso tempo, al fine di ottenere l’autorizzazione anche da parte del Paese di importazione, la documentazione relativa a tale spedizione era stata trasmessa anche alle autorità tunisine, in particolare all’ANGED (Agence nationale de Gestion des Déchets), la quale aveva autorizzato l’importazione dei suindicati rifiuti.
Dopo aver ricevuto il consenso dell’ANGED, e dopo aver ricevuto conferma da parte del Consolato di Tunisia a Napoli che l’ANGED fosse l’autorità competente ad esprimersi in merito, la Regione Campania aveva autorizzato l’esportazione dei rifiuti e una prima parte delle movimentazioni si svolge con esito positivo.
Le restanti movimentazioni, tuttavia, venivano bloccate presso il porto tunisino di arrivo in quanto le autorità locali asserivano di aver accertato, tramite un’istruttoria interna non comunicata neanche all’esportatore, che i rifiuti in oggetto erano in realtà rifiuti pericolosi. Secondo l’amministrazione tunisina, questi rientravano nella categoria “rifiuti urbani Y46” di cui alla Convenzione di Basilea, la quale ne vietava le movimentazioni se non nel rispetto di determinate particolari garanzie. Inoltre, sempre secondo l’Autorità tunisina, la direzione regionale dell’ANGED non era l’autorità competente a rilasciare l’autorizzazione per l’importazione di tali rifiuti ai sensi della Convenzione di Basilea.
Sulla base di tali ragioni, il Responsabile del Ministero degli Affari locali e dell’ambiente della Tunisia comunicava all’impresa esportatrice che la spedizione da essa svolta era da ritenersi illegale, e ordinava pertanto il rimpatrio dei rifiuti in Italia.
Conseguentemente all’ordine di rimpatrio emesso dalle autorità straniere, anche la Regione Campania, con un proprio provvedimento, ordinava all’esportatore di ritrasportare i rifiuti in Italia.
L’impresa esportatrice ricorreva a questo punto innanzi al TAR Napoli chiedendo, inter alia, l’annullamento del provvedimento di rimpatrio adottato dalla Regione Campania, l’accertamento della corretta classificazione dei rifiuti e “la condanna delle amministrazioni resistenti all’adozione di misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio anche mediante la tempestiva attivazione procedura risolutiva ex art. 20 della Convenzione di Basilea ai fini della risoluzione sul piano internazionale della controversia”.
Con sentenza il giudice amministrativo di primo grado Rigettato il ricorso di primo grado dichiarando il difetto assoluto di giurisdizione sulle domande proposte dalla ricorrente, la quale, successivamente, proponeva appello al Consiglio di Stato che, con la sentenza che si annota, confermava la pronuncia resa dal TAR.
Dichiarato inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione con sentenza del Tar Napoli, 9 febbraio 2021 n. 834, l’impresa ricorreva in appello al Consiglio di Stato.
Secondo il giudice amministrativo, la complessa e articolata domanda dell’impresa ricorrente si riassumerebbe sostanzialmente in due questioni: se, in considerazione del fatto che il gravato ordine di rimpatrio dalla Regione Campania si basa su atti emanati da una amministrazione straniera, sui provvedimenti adottati dalle autorità tunisine possa ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo; se la pretesa della società esportatrice a che lo Stato italiano promuova una procedura di arbitrato internazionale nei confronti della Tunisia ex art 20 della Convenzione di Basilea costituisca una situazione giuridica soggettiva tutelabile in giudizio o meno.
3 La questione della giurisdizione sui provvedimenti emanati dall’amministrazione tunisina: i poteri sovrani dello Stato di importazione .
Secondo il giudice amministrativo, la decisione sull’annullamento dell’ordine di rimpatrio della Regione Campania non può prescindere dall’esame degli atti precedentemente adottati dall’amministrazione tunisina, in quanto, in virtù del meccanismo delineato dalla Convenzione di Basilea, tra i due “è ravvisabile un rapporto di presupposizione necessaria, in ragione del quale l’atto straniero a monte si atteggi[a] come presupposto unico ed imprescindibile dei successivi atti nazionali che, in quanto tali, sono rispetto a quello, meramente consequenziali, ponendosi nell’ambito della medesima sequenza procedimentale quale inevitabile conseguenza dell’atto anteriore, senza necessità di ulteriori valutazioni di interesse, stante il carattere immediato, diretto e necessario del rapporto che s’instaura tra gli atti considerati.”
Tale considerazione ha portato il giudice a declinare la giurisdizione sulla domanda di annullamento, superando sbrigativamente anche il tentativo dell’appellante di escludere la qualificazione degli atti dell’amministrazione straniera come atti compiuti jure imperii.
In applicazione del noto principio consuetudinario di diritto internazionale “par in parem non habet iudicium”, gli atti compiuti iure imperii dalle autorità straniere godono infatti dell’immunità giurisdizionale da parte degli altri Stati, e ciò rende pacifico che sui provvedimenti emanati dall’amministrazione tunisina non possa sussistere la giurisdizione (amministrativa) del giudice italiano.
Sotto questo profilo, la stessa Convenzione di Basilea non sembra consentire l’esclusione della suddetta qualificazione nel momento in cui si basa sul principio fondamentale per cui è “riconosciuto pienamente ad ogni Stato il diritto sovrano di vietare l’entrata o l’eliminazione, sul suo territorio, di rifiuti pericolosi e di altri rifiuti provenienti dall’estero.”[30]
Ciò costituisce uno dei pilastri su cui è costruita l’intera Convenzione di Basilea e, infatti, esso trova applicazione in gran parte delle disposizioni ivi contenute, tra cui, in particolare, in quelle relative alla procedura autorizzatoria di previo consenso informato ed in quelle relative al rimpatrio dei rifiuti a seguito dell’accertamento dello svolgimento di un traffico illecito ad opera del comportamento dell’esportatore (che in questo caso non aveva rispettato le disposizioni del trattato avendo richiesto l’autorizzazione alla movimentazione ad una autorità straniera incompetente)[31].
Pertanto, quando al verificarsi di una spedizione internazionale illegale lo Stato di importazione ordina il rimpatrio dei rifiuti esso non sta agendo di certo jure privatorum anche se si muove nel contesto internazionale, ma sta esercitando il proprio “diritto sovrano di vietare l’entrata o l’eliminazione sul proprio territorio” di rifiuti pericolosi esteri.
Tanto è vero che quando viene ordinato allo Stato di esportazione di riprendersi i rifiuti spediti, come evidenziato in sentenza, la Convenzione di Basilea “non pone alcuna condizione, prescrizione o limitazione a tale ultimo proposito, ma prevede, anzi, espressamente, che lo Stato di esportazione né si opporrà né ritarderà né impedirà il ritorno dei rifiuti il cui traffico è stato dichiarato illecito.”
Da tanto esposto, secondo il Consiglio di Stato, discende che “a dispetto di quanto censurato dall’appellante, le note provenienti dalla Repubblica di Tunisia si configurano come atti autoritativi e decisori, esercizio di funzioni sovrane, da parte di un altro Stato” sui quali, pertanto, non può sussistere la giurisdizione del giudice amministrativo italiano.
L’assunto, riferito ad atti amministrativi di un’autorità straniera, è sicuramente corretto, ma rimane il fatto che di per sé non spiega l’asserito difetto di giurisdizione sui provvedimenti amministrativi dell’autorità amministrativa nazionale italiana, come si sottolinea meglio di seguito.
4 La questione dell’attivazione dell’arbitrato internazionale. La discrezionalità politica dello Stato di esportazione
La società esportatrice aveva altresì chiesto l’accertamento e la condanna delle Amministrazioni resistenti ad attivare tempestivamente la procedura arbitrale prevista ai sensi dell’art. 20, secondo comma, della Convenzione di Basilea nei confronti della Tunisia.
In relazione a tale domanda il giudice amministrativo, richiamando gli insegnamenti della Corte Costituzionale, ha ritenuto che non è ravvisabile un obbligo del Governo italiano di avvalersi del procedimento arbitrale e di attivare la cooperazione internazionale in quanto tale attività rientra all’interno di “prerogative governative – di natura eminentemente politica – in materia di esecuzione di trattati internazionali.”
Dunque, trattandosi di un atto che il Governo emana nell’esercizio del potere politico, è altresì pacifico che, ai sensi dell’art. 7, co. 1, c.p.a., questo non può essere impugnato davanti al giudice amministrativo.
Sulla base di queste motivazioni, in primo grado, la domanda di attivazione della procedura di arbitrato internazionale veniva dichiarata inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione.
Riproposta la questione in appello, il Consiglio di Stato ha ritenuto meritevole di conferma la pronuncia di primo grado ribadendo che “La possibilità di esperire un arbitrato internazionale, previsto dall’art. 20 della Convenzione, si profila come una soluzione rimessa alla scelta politica di ciascuno Stato, rispetto alla quale l’interessato non vanta alcun interesse giuridicamente qualificato. Si tratta infatti di attività chiaramente di natura politica, che involge delicati profili correlati ai rapporti internazionali fra gli Stati, di per sé espressione di una funzione sovrana apicale, libera nel fine e perciò sottratta al sindacato giurisdizionale.”
Sotto questo profilo, il Consiglio di Stato ritiene doveroso chiarire che la declinatoria della giurisdizione del giudice amministrativo anche in relazione alla domanda di arbitrato non lede in alcun modo il diritto di difesa, costituzionalmente garantito, della società esportatrice, in quanto il ricorso al giudice amministrativo nazionale e/o all’arbitrato internazionale non sono le due uniche opzioni esistenti per far valere i diritti dell’esportatore.
La possibile sede per tutelare le proprie pretese, a maggior ragione quando in una fattispecie del genere gli Stati coinvolti hanno deciso di non attivare la procedura arbitrale prevista dalla Convenzione di Basilea, è infatti rappresentata dal foro del Paese di importazione, ossia della Tunisia.
Il Consiglio di Stato si preoccupa al riguardo di precisare che “non va inoltre sottaciuto che il principio affermato dalla pronuncia del T.a.r. non priva di tutela la società odierna appellante, la quale -pienamente consapevole di aver intrapreso un’attività che la pone in contatto con le istituzioni, le procedure e l’ordinamento giuridico di un altro Paese – ben può, conseguentemente, adire gli organi giurisdizionali della Repubblica di Tunisia, per ivi proporre le sue censure e ivi far valere i suoi interessi o i suoi diritti.”
In conclusione, quindi, considerato il ventaglio di opzioni a disposizione dell’esportatore per tutelare le proprie ragioni, e considerato altresì che non è stata data prova di aver esperito le necessarie azioni processuali innanzi agli organi giurisdizionali della Tunisia o che presso queste autorità l’esportatore abbia ricevuto un diniego di giustizia o una decisione non conforme ai principi basilari dell’ordinamento italiano, anche questo motivo di gravame viene respinto e l’appello viene definitivamente rigettato con conferma della sentenza di prime cure.
5. Considerazioni conclusive
Non pare si possa seriamente dissentire dalla soluzione data dal giudice amministrativo alle questioni così come dallo stesso poste.
Ciò che tuttavia non convince nella decisione del giudice amministrativo è, come si è accennato, il fatto che sia praticamente scomparsa la questione della giurisdizione del giudice amministrativo sugli atti dell’amministrazione italiana.
Se infatti è corretto ritenere che il giudice amministrativo italiano sia privo di giurisdizione e non possa quindi sindacare gli atti se questi provengono dall’autorità tunisina, è anche vero che la ricorrente aveva comunque impugnato dinanzi al TAR un provvedimento dell’amministrazione italiana, non tunisina. E che per quanto l’ordine di reimpatrio della Regione Campania potesse e dovesse ritenersi vincolato nel contenuto dalla decisione delle autorità tunisine, esso rimaneva comunque un provvedimento almeno in astratto impugnabile innanzi al giudice amministrativo italiano ai sensi dell’art 113 Cost., il quale come è noto, statuisce che “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale” e che “tale tutela non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi d’impugnazione o per determinate categorie di atti”.
Già in sede commento della pronuncia di primo grado, si era sotto questo profilo sottolineato che sarebbe stato più corretto dichiarato infondato il ricorso, perché l’atto impugnato non poteva mai avere un diverso contenuto in ragione dell’insindacabile vincolo derivante dalla decisione dell’autorità straniera, piuttosto che declinare la giurisdizione su un provvedimento amministrativo[32].
Se la qualificazione della spedizione come traffico illecito di rifiuti pericolosi e il conseguente ordine di rimpatrio sono atti che lo Stato di importazione compie nell’esercizio di poteri sovrani e di governo e non sono pertanto sindacabili dal giudice amministrativo nazionale del paese di esportazione, non pare che dal riconoscimento dell’immunità giurisdizionale a favore di detti provvedimenti stranieri possa automaticamente discendere il difetto assoluto di giurisdizione anche sulla domanda di annullamento del provvedimento emanato dalla regione Campania.
Infatti, ai sensi del 113 Cost., il provvedimento della Regione Campania dovrebbe essere pur sempre impugnabile.
Secondo il meccanismo delineato dall’art. 9 della Convenzione di Basilea esso appare senz’altro come un provvedimento vincolato nel concreto contenuto, perché l’amministrazione italiana, a fronte dell’ordine di rimpatrio emanato dalla Tunisia, non può “opporsi, ritardare o impedire il rientro” di tali rifiuti, ma, anzi, è tenuta ad adoperarsi affinché i rifiuti tornino in Italia. Ma, se il provvedimento amministrativo non può avere un diverso contenuto, ciò dovrebbe a rigore portare alla pronuncia d’infondatezza del ricorso o semmai alla pronuncia d’inammissibilità per carenza d’interesse ai sensi dell’art 21 octies della l. 241/1990 e s.m.i., non ad una pronuncia di difetto di giurisdizione.
Nulla da eccepire invece con riferimento alla pronuncia declinatoria della giurisdizione con riferimento alla mancata proposizione dell’arbitrato internazionale, poiché appare in realtà pacifico che la ricorrente non possa vantare alcuna situazione giuridica tutelabile in giudizio, in quanto la decisione del Governo di iniziare (o non iniziare) la procedura arbitrale internazionale ex art. 20 della Convenzione di Basilea, costituisce un chiaro atto politico che, come è noto, ai sensi dell’art. 7, co. 1, cpa, non può essere impugnato davanti al giudice amministrativo.
[1] Per un’analisi più generale delle normative sovranazionali in tema di spedizioni di rifiuti pericolosi si rinvia a S. FRANCARIO, Movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e giurisdizione amministrativa, in www.federalismi.it, n. 16, del 30 giugno 2021.
[2] Tra i tanti, si possono ricordare il caso dei fratelli Colbert i quali compravano da industrie americane rifiuti chimici pericolosi e, invece di eliminarli come rifiuti pericolosi all’interno degli Stati Uniti, li riciclavano, li annacquavano e li vendevano come prodotti chimici vergini a vari Stati Africani (per un’analisi più approfondita si veda S.M. MÜLLER, Hidden Externalities: The globalization of hazardous waste, in Business History Review, Cambridge University Press, Cambridge, 93, 2019, pp. 51 e ss); o ancora la c.d. nave dei veleni Khian Sea, la quale, con un carico di circa 15 mila tonnellate di rifiuti nella stiva e al fine di risolvere una situazione di emergenza rifiuti, partì dal porto di Philadelphia nel 1986 e scaricò detti rifiuti in più di 11 Paesi diversi oltre che in mare aperto e, nonostante ciò, gli stessi rifiuti scaricati in mare, dopo non molto tempo, furono ritrasportati dalle correnti sulle coste della città di Philadelphia da dove erano partiti; gli eventi legati alla città nigeriana di Koko, la quale passò alla cronaca verso la fine degli anni ’80 quando fu scoperto che alcune imprese italiane spedivano container carichi di rifiuti pericolosi nella città nigeriana di Koko, dietro il pagamento di circa 100 dollari, al mese.
[3] Cfr. P. M. DUPUY, J. E. VINUALES, International Environmental Law, Cambridge University Press, Cambridge, 2018, p. 273, dove gli A. a proposito delle origini della Convenzione di Basilea affermano che: “The Basel Convention is also rooted in the environmental justice movement, and its predecessor was also a non-binding instrument. At the origin of this treaty lies a controversial factual configuration characterized by the generation of large amounts of waste in developed countries (or their richest regions) and the transfer of that waste to developing countries (or poor regions) for elimination or simply discharge. This phenomenon, largely induced by the high costs of waste disposal in the countries that generate such waste, came under much criticism, especially because of the impact on the environment and health of the people in receiving States and regions.”
Nello stesso senso cfr. anche S.A. KHAN, Clearly hazardous, obscurely regulated: lessons from the Basel Convention on waste trade, in American Journal of International Law Unbound, Symposium on global plastic pollution, Cambridge University Press, Cambridge, 2020, p. 201, dove si sottolinea proprio che “The Basel Convention was adopted in 1989 based on broad international consensus that the widespread business practice of exporting hazardous waste from industrialized to developing countries required stricter regulation. Accounts of the negotiation process show that beneath the general consensus that disposing toxic wastes in poor countries was unethical […].”
In generale sul tema si vedano anche K. KUMMER, International management of hazardous wastes: the Basel convention and related legal rules, Oxford University Press, Oxford, 1995; J. CLAPP, Toxic Exports: The transfer of hazardous wastes from rich to poor countries, Cornell University Press, London, 2001.
[4] Cfr. considerando n. 1 delle Linee direttive e principi del Cairo concernenti la gestione ecologicamente razionale dei rifiuti pericolosi.
La loro funzione di “guidelines”, ossia di suggerimento ai legislatori nazionali per modificare la propria normativa in materia, è confermata anche dai successivi punti del preambolo. Si prenda in considerazione, ad esempio, il considerando n. 3: “These guidelines are without prejudice to the provisions of particular systems arising from international agreements in the field of hazardous waste management. They have been developed with a view to assisting States in the process of developing appropriate bilateral, regional and multilateral agreements and national legislation for the environmentally sound management of hazardous wastes.”
[5] M. M. MBENGUE, Principle 14, in The Rio Declaration on Environment and Development: A Commentary, Oxford University Press, Oxford, 2015, pp. 384 e ss. dove l’A. sottolinea che: “Due to several publicized incidents in the mid 1980s involving hazardous wastes produced in industrialized countries and dumped in developing countries, international law has focused primarily on the permissibility of international movements and trade in waste and other hazardous substances. In this focus, a particular tension has emerged: the desire of many developing countries, particularly African states, to ban international trade in waste, and the opposition by many industrialized countries, desiring to keep their waste disposal options open. There are significant economic incentives that influences state policies regarding trade in hazardous substances and activities, and the industries and agricultural sectors that produce the substances in question are often of significant economic and therefore political importance regionally. Due to the high costs of disposal of such activities and substances in developed countries with stronger environmental regulation and enforcement, these industries seek to dispose of these substances in the developing world where costs are significantly lower.”
[6] Per una ricostruzione delle regole generali e dei principi fondamentali della normativa comunitaria in materia di rifiuti si veda M. MEDUGNO, T. RONCHETTI, Economia circolare e trasporto transfrontaliero dei rifiuti, in Ambiente & Sviluppo, 10, 2018, pp. 646 e ss.; A. STORTI, Spedizione transfrontaliera di rifiuti: sistematica delle fonti e profili problematici, in www.lexambiente.it, 2017; C. FELIZIANI, La gestione dei rifiuti in Europa, in www.federalismi.it, 2017; C. BOVINO, La normativa ambientale, in Manuale Ambiente, Wolters Kluwer, Milano, 2015, pp. 415 e ss; P. DELL’ANNO, Disciplina della gestione dei rifiuti, in Trattato di diritto dell’ambiente (diretto da P. DELL’ANNO, E. PICOZZA), Cedam, Padova, 2012, II, pp. 162 e ss.;
Più in generale sull’evoluzione dei principi generali in materia di ambiente e di rifiuti a livello comunitario cfr. R. ROTA, Profili di diritto comunitario dell’ambiente, in Trattato di diritto dell’ambiente, op. cit., I, pp. 151 e ss.; M. MONTINI, Unione Europea e Ambiente, in Codice dell’ambiente (a cura di S. NESPOR, A. L. DE CESARIS), Giuffrè Editore, Milano, 2009, pp. 47 e ss.; A. JAZZETTI, Manuale sui rifiuti, Il Sole 24 ore, Milano, 2001, pp. 1 e ss.
[7] Sui principi generali alla base della Convenzione di Basilea cfr. P. M. DUPUY, J. E. VINUALES, International Environmental Law, op. cit., pp. 273 e ss.: “The general approach of the Basel Convention is summarized by K Kummer, former Executive Secretary of the Convention, as follows: (i) the reduction of hazardous waste generation to a minimum (‘principle of waste minimisation’, Article 4(2)(a)); (ii) the disposal in an environmentally sound manner by facilities located as near to the source of generation as possible (‘principle of proximity disposal’, Article 4(2)(b)-(c)); (iii) absolute prohibition of exports of hazardous waste in some cases (to States which are not parties to the Convention, to Antarctica, to States which have prohibited imports or do not have the capacity to manage them in an environmentally sound manner, or from an OECD State to a non-OECD State); (iv) in all other cases, the exports of hazardous waste must comply with the system established by the Convention, namely the disposal must be carried out in an environmentally sound manner in the country of import and the transboundary movement must meet certain conditions, mainly a specific PIC procedure (Article 6); (v) hazardous waste which is exported illegally or which is not disposed of in an environmentally sound manner must be re-imported into the State of origin.”
[8] Il principio che impone che le spedizioni transfrontaliere di rifiuti devono innanzitutto svolgersi in una maniera tale da rispettare la salute umana e l’ambiente si evince da molteplici disposizioni del preambolo dove, in particolare, si legge che: “Le parti alla presente Convenzione, coscienti dei danni che i rifiuti pericolosi e altri rifiuti nonché i movimenti oltre frontiera di tali rifiuti rischiano di causare alla salute umana e all’ambiente; consce della minaccia crescente che rappresentano per la salute umana e l’ambiente la sempre maggiore complessità e lo sviluppo della produzione dei rifiuti pericolosi e di altri rifiuti nonché i loro movimenti oltre frontiera; consce ugualmente del fatto che il modo più efficace per proteggere la salute umana e l’ambiente dai pericoli che rappresentano tali rifiuti consiste nel ridurre al minimo la loro produzione dal punto di vista della quantità e/o del pericolo potenziale; convinte che gli Stati dovrebbero prendere le misure necessarie per fare in modo che la gestione dei rifiuti pericolosi e di altri rifiuti, compresi i loro movimenti oltre frontiera e la loro eliminazione, sia compatibile con la protezione della salute umana e dell’ambiente, qualunque sia il luogo nel quale tali rifiuti vengono eliminati; fatto notare che gli Stati dovrebbero provvedere affinché il produttore adempia gli obblighi relativi al trasporto e all’eliminazione dei rifiuti pericolosi e di altri rifiuti in un modo che sia compatibile con la protezione dell’ambiente, qualunque sia il luogo nel quale tali rifiuti vengono eliminati.”
[9] Cfr. Considerando n. 6.
[10] Cfr. Considerando nn. 3, 10, 17 e 18.
[11] Cfr. Considerando n. 9.
[12] Cfr. Considerando nn. 7, 20, 21.
[13] Per una recente applicazione del principio di prossimità in materia di spedizioni internazionali di rifiuti si veda Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Sez. VIII, sentenza 11 novembre 2021, Causa C-315/20. Una società italiana aveva richiesto alla Regione Veneto l’autorizzazione preventiva per la spedizione in Slovenia di rifiuti urbani non differenziati prodotti in Italia. La Regione si era opposta alla spedizione osservando in particolare che: sebbene i rifiuti in esame erano stati sottoposti a un trattamento meccanico al fine del loro utilizzo in combustione, tale operazione non aveva sostanzialmente alterato la loro natura e rimanevano, pertanto, rifiuti urbani non differenziati e non potevano essere qualificati diversamente al fine di agevolare la lor movimentazione transfrontaliera; e che, in applicazione del principio di autosufficienza e prossimità, ispiranti anche la normativa comunitaria in materia di spedizioni internazionali tra Stati membri di rifiuti, sarebbe stato necessario smaltire tali rifiuti in Italia in quanto la stessa Regione Veneto si era dichiarata disponibile ad accogliere gli stessi disponendo nel proprio territorio di impianti in grado di soddisfare le esigenze dello spedizioniere. Lo spedizioniere aveva impugnato il provvedimento regionale dinanzi al TAR ottenendone l’annullamento; proposto l’appello dalla Regione, il Consiglio di Stato sottoponeva la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea chiedendo, in via di estrema sintesi se i rifiuti urbani indifferenziati, trattati meccanicamente da un impianto al fine del recupero energetico (operazione R1/R12 ai sensi del d. lgs. 152/2006), possono rimanere classificati come rifiuti urbani non differenziati; e se, inoltre, tale operazione possa influire sul diniego opposto dall’amministrazione italiana motivato sulla base del principio di prossimità.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea conferma che la natura dei rifiuti rimane inalterata: essi devono essere inquadrati come rifiuti urbani indifferenziati anche se sono stati sottoposti ad un trattamento meccanico di cui alle operazioni R1/R12.
Successivamente il giudice comunitario chiarisce anche che il diritto europeo, in particolare, in virtù dell’art. 11, paragrafo 1, lettera i) del regolamento 1013/2006, consente alle competenti autorità di spedizione di opporsi alla spedizione transfrontaliera di rifiuti urbani indifferenziati e che tale norma costituisce diretta applicazione del principio di prossimità, il quale costituisce uno dei cardini anche del quadro normativo approntato dal diritto europeo in materia.
Infatti, si legge in sentenza ai punti 25-26: “La Corte ha tuttavia sottolineato che, in tale ambito, per quanto concerne in particolare le misure atte ad incoraggiare la razionalizzazione della raccolta, della cernita e del trattamento dei rifiuti, una delle più importanti misure che devono essere adottate dagli Stati membri, in particolare tramite gli enti locali dotati di competenza a tale riguardo, consiste nel cercare di trattare detti rifiuti nell’impianto più vicino possibile al luogo in cui vengono prodotti, segnatamente per i rifiuti urbani non differenziati, per limitarne al massimo il trasporto.
Ne consegue che, conformemente all’art. 3, par. 5, e all’art. 11, par. 1, lett. i) del regolamento n. 1013/2006, e al fine di garantire il rispetto dei principi di autosufficienza e di prossimità sanciti all’articolo 16 della direttiva 2008/98 e attuati dalle disposizioni succitate del regolamento n. 1013/2006, principi invocati, nel procedimento principale, dall’autorità competente di spedizione, quest’ultima può opporsi a una spedizione di rifiuti urbani non differenziati provenienti dalla raccolta domestica destinati al recupero o allo smaltimento.”
[14] P. BIRNIE, A. BOYLE, C. REDGWELL, International law and the environment, Oxford University Press, Oxford, 2009, p. 477, dove gli A. affermano che “Wastes are ‘hazardous’ only when listed in the Convention’s annexes, or if defined as such by national law and notified to the Convention’s Secretariat.”
Tuttavia proprio il ricorso a tale criterio formalistico sembra destare qualche perplessità in dottrina la quale evidenzia che in tal modo la definizione di rifiuto pericoloso sarebbe rimessa alla valutazione, svolta caso per caso, dagli Stati coinvolti. Così argomentando, un rifiuto qualificator come pericoloso, ad esempio, dallo Stato di esportazione, potrebbe essere considerate non pericoloso dallo Stato di importazione e ciò escluderebbe di conseguenza l’applicazione delle regole previste dalla Convenzione di Basilea, la cui applicazione, così ragionando, sarebbe rimessa alla interpretazione sovrana e discrezionale compiuta dalle Parti. Sul punto O. BARSALOU e M.H. PICARD, International Environmental Law in an Era of Globalized Waste, in Chinese Journal of International Law, Oxford University Press, Oxford, 17, 2018, pp. 887 e ss dove si legge che: “Furthermore, the Basel regime does not precisely define ‘hazardous waste’, leaving the legal qualification of waste within the sovereign discretionary interpretation of States authorities. […] This means that sovereign States are able to circumvent their international legal obligations and claim that the waste they manage, export and import is outside the purview of the Basel Convention. […] By allowing States to subjectively interpret the concept of ‘hazardous waste’, international environmental law facilities global waste displacement.”
[15] Anche se, comunque, la Convenzione di Basilea prevede una serie di casi in cui le movimentazioni transfrontaliere di rifiuti pericolosi sono vietate e non possono essere autorizzate.
Ci si riferisce in primo luogo all’art. 4, comma 1, lett. a), dove è previsto il diritto per gli Stati firmatari di vietare ad ogni modo l’importazione di determinate categorie di rifiuti pericolosi; questo divieto, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. b), dovrà essere comunicato alle altre parti secondo le modalità indicate dalla Convenzione stessa e, una volta adempiuta tale comunicazione, “le parti vietano o non permettono l’esportazione di rifiuti pericolosi o di altri rifiuti nelle parti che hanno vietato l’importazione di tali rifiuti, se questo divieto è stato notificato conformemente alle disposizioni del capoverso a) di cui sopra.”
Inoltre l’art. 4, comma 5, in base al quale le spedizioni internazionali di rifiuti pericolosi possono avvenire solamente tra gli Stati firmatari della Convenzione e dove si legge che “Le Parti non autorizzano né le esportazioni di rifiuti pericolosi o di altri rifiuti verso uno Stato non Parte, né l’importazione di tali rifiuti provenienti da uno Stato non Parte.”
L’art. 4, comma 6, invece, vieta l’esportazione di rifiuti pericolosi o di altri rifiuti in vista della loro eliminazione in Antartide.
Mentre l’art. 4, comma 2, lett. e), vieta le esportazioni di rifiuti pericolosi o di altri rifiuti “verso gli Stati o i gruppi di Stati appartenenti ad organizzazioni di integrazione politica o economica che sono Parti, in particolare i Paesi in via di sviluppo, che hanno vietato, nella loro legislazione, ogni importazione di tali rifiuti, oppure [ogni Parte vieta tali esportazioni] se ha motivo di credere che i rifiuti in questione non vi saranno gestiti secondo metodi ecologicamente razionali come quelli stabiliti dai criteri che le Parti definiranno in occasione della loro prima riunione.”
[16] Cfr. J. CRAWFORD, Brownlie’s Principles of Public International Law, Oxford University Press, Oxford, 2019, p. 347, dove si legge che: “The Basel Convention of 1989 was negotiated in response to concerns that the transport of hazardous waste between countries could pose an environmental hazard to both transit and recipient countries. It does not ban the transport of hazardous waste, but places limits on its movement: it is permissible to export waste if the exporting country does not have sufficient disposal capacity or disposal sites capable of disposal in an environmentally sound manner, and if the waste is required as a raw material for recycling or recovery industries in the importing country.”
[17] Sul punto P. BIRNIE, A. BOYLE, C. REDGWELL, International law and the environment, op. cit. pp. 476, dopo aver ribadito che la Convenzione di Basilea è frutto di un compromesso tra gli Stati che volevano lasciare aperto lo spostamento di rifiuti pericolosi oltre frontiera e gli Stati che invece, all’opposto, lo volevano vietare in toto, affermano che da tale Trattato è possibile ricavare alcune importanti norme consuetudinarie: ad esempio, la regola che il “transboundary movement is permitted only in circumstances where the state of export does not have the capacity of facilities to dispose of the wastes in an environmentally sound manner itself, unless intended for recycling […]” rappresenta un principio che “probably already represent customary law, since they are supported in part by state practice, by the sovereign right of states to control activities in their own territories, and by the responsibility of exporting states for activities within their jurisdiction which harm other states or the global environment.”
[18] Cfr. J. CRAWFORD, Brownlie’s Principles of Public International Law, op. cit., p. 347, il quale afferma che: “In addition, the exporting state must obtain the consent of the importing state and transit states before allowing a shipment of hazardous waste.”
Nello stesso senso anche O. BARSALOU e M.H. PICARD, International Environmental Law in an Era of Globalized Waste, op. cit., p. 899, dove gli autori affermano che “The Basel Convention does not determine a legally binding cap on waste transfer across jurisdictions. Provided the host State consents and is notified by the exporting State, hazardous waste is legally traded on the international market. Technically speaking, the Basel Convention implements the Environmentally Sound Management (ESM) of hazardous waste through a Prior Informed Consent (PIC) Procedure. In short, there is no ban of waste transfer, rather a regulatory platform for exchange.”
Della stessa opinione sono anche P. BIRNIE, A. BOYLE, C. REDGWELL, International law and the environment, op. cit., p. 478, secondo cui: “Only rarely does international law require the prior consent of other states before environmentally harmful activities may be undertaken. […] Unusually, the essence of the control system established by the Basel Convention is the need for prior, informed, written consent from transit states and the state of import. Only in the case of transit states which are parties to the Convention can this requirement be waived in favour of tacit acquiescence. Information must be supplied which is sufficient to enable the nature and effects on health and the environment of the proposed movement to be assessed.” Inoltre, sempre secondo gli A. (p. 476), anche questa regola positivizzata nella Convenzione di Basilea rappresenterebbe una norma di diritto internazionale consuetudinario: “Lastly, the Basel and regional conventions demonstrate widespread agreement that trade which does take place requires prior informed consent of transit and import states” e ciò rappresenta una “customary law.”
[19] Sul sito istituzionale della Convenzione di Basilea (www.basel.int) per autorità competente si intende “the governmental authority designated to be responsible, within such geographical areas as the Party may think fit, for receiving notifications of transboundary movements and any related information and for responding to such notifications.”
[20] Il sito istituzionale della Convenzione di Basilea (www.basel.int) definisce “l’autorità corrispondente” come “the entity of a Party responsible for receiving and submitting information to other parties as provided for in articles 13 and 16 of the Convention.”
[21] M. M. MBENGUE, Principle 14, op. cit., pp. 386 e ss., dove si legge che: “The Basel Convention sets out detailed conditions for the international regulation of transboundary movements of hazardous and other wastes between parties, based on a system of ‘prior informed consent’. Under the regime, the exporting state must notify the states concerned of any transboundary movement and the importing state responds by giving its consent with or without conditions, denying permission, or requiring additional information. No transboundary movement can occur until the exporting state has received the written consent of the importing state and confirmation from that state of the existence of a contract between the exporter and the disposer that specifies the environmentally sound management of the wastes.”
[22] Cfr. art. 6, co. 3, lett. a).
Inoltre, ai sensi dell’art. 6, co. 3, lett. b), in applicazione del principio della gestione ecologicamente razionale dei rifiuti, il trattato prevede anche che il rilascio dell’autorizzazione da parte dello Stato di esportazione sia subordinato al fatto che “l’autore della notifica ha ricevuto dallo Stato di importazione la conferma dell’esistenza di un contratto, stipulato fra l’esportatore e l’eliminatore, sulla gestione ecologicamente razionale dei rifiuti in questione.”
[23] Cfr. art. 6, co. 4.
[24] Cfr. art. 4, co. 1, lett. c).
[25] Cfr. considerando n. 19.
[26] Cfr. art. 9, co. 2, lett. a), b).
[27] Cfr. art. 9, co. 2, lett. b), ultimo periodo.
[28] Cfr. art. 9, co. 3.
[29] Cfr. art. 9, co. 4.
[30] Cfr. considerando n. 6.
[31] Cfr. P. BIRNIE, A. BOYLE, C. REDGWELL, International law and the environment, op. cit., p. 476.
[32] Cfr. S. FRANCARIO, Movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e giurisdizione amministrativa, cit.