Emergenza sanitaria e organizzazione degli uffici. Il ruolo dell’autogoverno
di Chiara Gallo
Mentre nel paese la situazione emergenziale legata alla pandemia assume dimensioni che destano sempre maggiore preoccupazione, agli occhi del legislatore il mondo giudiziario sembra essere un’isola felice dove è magicamente cessato ogni pericolo di contagio.
La lettura delle norme del 137\2020 (c.d. Decreto Ristori) in materia di giustizia rende evidente come l’assetto organizzativo emergenziale previsto soprattutto nel settore penale, sia inadeguato allo scopo per cui le norme sono state adottate, ovvero il contenimento del pericolo di contagi.
E non è un caso che la maggiore inadeguatezza riguardi le previsioni relative all’attività giudicante penale, settore al quale nessuno degli ispiratori della modifica normativa appartiene, che proseguirà senza alcun tipo di sospensione e quasi tutta in presenza, senza nessun intervento organizzativo di logistica o dotazione di mezzi che possa incidere sul flusso di presenze o quantomeno renderlo maggiormente controllabile.
Soprattutto con il nuovo decreto appare definitivamente archiviata l’esperienza che ha costituito una novità assoluta nel panorama legislativo, conseguente alla scelta di affidare ai dirigenti degli uffici giudiziari la modulazione del flusso degli affari sulla base delle esigenze connesse alla situazione emergenziale, collegando tali scelte organizzative all’operatività di norme processuali come quelle sulla decorrenza dei termini di prescrizione e decadenza nei procedimenti civili e sui termini di prescrizione e di durata delle misure cautelari nel settore penale.
L’art. 83 comma VI del DL 18 del 17.3.2020 aveva previsto, per la c.d. fase 2, ossia quella successiva al periodo di sospensione ex lege di attività di udienza e termini processuali, un ruolo attivo dei dirigenti nel contrasto all’emergenza epidemiologica, ponendoli al centro dell’interlocuzione tra le autorità regionali locali e l’avvocatura e attribuendo loro il potere-dovere di adottare le misure organizzative necessarie a tal fine, “anche relative alla trattazione degli affari giudiziari” .
E tra le misure specificamente elencate nel comma 7 dell’art. 83, vi erano l’adozione di linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze, la previsione del processo da remoto o cartolare delle udienze civili, la previsione di rinvio delle udienze dopo il 30.7.2020.
In materia penale il successivo comma 9 dell’art. 83 prevedeva che il corso della prescrizione, i termini di fase delle misure cautelari e il termine previsto per la decisione del Tribunale del Riesame rimanessero sospesi per il periodo in cui il procedimento veniva rinviato ai sensi della lettera g) del comma 7, ossia sulla base delle previsioni adottate dai dirigenti degli uffici.
Tale opzione legislativa era stata fortemente criticata, soprattutto dall’avvocatura, per il potere attribuito ai dirigenti di incidere negativamente sui diritti degli imputati, prolungando i termini di prescrizione dei reati e soprattutto quelli di durata delle misure cautelari, in assenza di criteri di legge per l’adozione dei provvedimenti di rinvio diversi dalle eccezioni indicate nel comma 3.
Ma al netto delle criticità sopra evidenziate tale scelta normativa ha, in concreto, inaugurato un percorso virtuoso attraverso il quale si sono ampliati gli spazi di intervento del circuito dell’autogoverno nell’organizzazione degli uffici, in un’ottica di gestione partecipata, finalizzata al raggiungimento di obiettivi di efficienza e qualità.
Il Consiglio Superiore della Magistratura, con delibera del 26.3.2020, è tempestivamente intervenuto in via preventiva, attraverso linee guida destinate a rendere il più possibile omogenea l’organizzazione dell’attività giudiziaria demandata ai dirigenti dalla legislazione emergenziale, fornendo indicazioni assai dettagliate in merito alle modalità di svolgimento delle attività nei diversi settori e predisponendo anche format di protocolli per la trattazione delle udienze da remoto o cartolare, contenenti previsioni il più possibile rispettose del principio del contraddittorio e del diritto di difesa.
Le delibera su tali linee guida ha anche consentito, per la fase emergenziale, un utilizzo più flessibile degli strumenti atti a supplire alle assenze di magistrati e alle carenze di organico negli uffici, prevedendo la possibilità di ricorrere, con decreto immediatamente esecutivo del Presidente della Corte d’Appello o del Procuratore Generale, all’assegnazione di magistrati distrettuali e alle tabelle infradistrettuali, in deroga alle previsioni della circolare 108 del 2018, per la trattazione dei procedimenti indifferibili non gestibili tramite le assegnazioni interne.
Sebbene la delibera del CSM richiedesse la trasmissione alla Settima Commissione dei soli provvedimenti di carattere generale assunti ai sensi dell’art. 83, comma 7 lettere d) del D.L. 18/2020 (ovvero le linee guida vincolanti per la trattazione delle udienze) nonché di quelli di rinvio delle udienze - oltre che naturalmente delle variazioni tabellari temporanee limitate al periodo di emergenza ed i provvedimenti di applicazione, di supplenza e coassegnazione infradistrettuali - di fatto è accaduto che tutti i provvedimenti adottati dai dirigenti degli uffici, sia quelli strettamente tabellari, sia quelli di carattere logistico ed organizzativo degli uffici, intesi nella loro materialità, sono stati inseriti nel percorso di controllo dell’autogoverno e sono passati al vaglio dei Consigli Giudiziari e del Consiglio Superiore della Magistratura.
Con ciò consentendo una ampia raccolta di dati ed informazioni, utile ad avere una visione completa dei singoli uffici giudiziari e del loro funzionamento ed effettuare una verifica delle diverse criticità.
Un ruolo attivo in questo percorso è stato svolto dai Consigli Giudiziari che, operando in composizione allargata ratione materiae e, dunque, in un confronto diretto con l’avvocatura locale hanno, in prima battuta, esaminato i provvedimenti adottati dai dirigenti dei diversi uffici dello stesso distretto, confrontandoli tra loro e potendo verificare le singole criticità o le difformità tra le diverse scelte non giustificate da differenti situazioni degli uffici.
E proprio in sede di autogoverno locale è stata delineata la possibilità di svolgere, nel periodo emergenziale, una funzione ricognitiva delle scelte organizzative, non limitata ai soli provvedimenti di natura tabellare, e riconducibile al potere di vigilanza sugli uffici attribuito ai Consigli Giudiziari dall’art. 15, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 25/2006 e richiamato dai regolamenti interni di tali organi.
In questa direzione si è mosso il Consiglio Giudiziario di Genova che, con delibera del 28.7.2020, ha formulato un quesito al CSM con cui chiedeva se rientrasse nelle funzioni proprie dell’organo locale effettuare una ricognizione delle scelte organizzative compiute dai dirigenti del distretto, durante la fase emergenziale, sia con riferimento ai provvedimenti incidenti sulla organizzazione delle udienze sia con riferimento a quelli relativi alla gestione delle aule, al fine di esaminarli e individuare eventuali criticità. E ciò sulla base del presupposto che tali provvedimenti, pur non avendo natura strettamente tabellare in quanto di competenza esclusiva del dirigente quale datore di lavoro, rientrano tra quelli che, a norma dell’art. 44 della circolare sulle tabelle (oggi art. 46) devono essere trasmessi al Consiglio Giudiziario.
Nella risposta al quesito il CSM ha fornito importanti chiarimenti sulla portata dei compiti di vigilanza attribuiti ai Consigli Giudiziari che sembrano preludere ad una nuova visione dell’attività di vigilanza. E’ stato ribadito, secondo quanto affermato nella risoluzione del primo luglio 2010 sul ruolo di vigilanza degli uffici svolto dai Consiglio Giudiziari, che l’attività di vigilanza è ritenuta funzionale “anche alla diffusione di buone prassi ed alla verifica periodica dell’andamento degli uffici giudiziari, in una prospettiva che non è più soltanto di mero controllo ma è, soprattutto, di promozione di modelli organizzativi efficienti “ e che “ai Consigli giudiziari spetta, oltre che la verifica in ordine ad eventuali disfunzioni verificatesi nei singoli uffici, anche l’attivazione di meccanismi idonei a prevenire situazioni di disservizio”.
Il CSM ha osservato che nella stessa risoluzione del 2010 si erano indicati, come possibile oggetto dell’attività di vigilanza, “sia la individuazione e la verifica di disfunzioni connesse all’attuazione del progetto e delle previsioni tabellari” sia la ricognizione “di segnalazioni relative a disfunzioni organizzative o dei servizi amministrativi”.
Sulla base di tali principi l’attività ricognitiva delineata nel quesito del Consiglio Giudiziario di Genova, è stata ritenuta attinente alla verifica dell’andamento degli uffici giudiziari, e rientrante nei compiti dell’organo locale con il limite, insito nell’art. 15 del DL.vo 25\2006, di non poter trasmodare in un controllo diretto sull’operato svolto dai singoli dirigenti degli uffici.
Il percorso così delineato partito dalla scelta del legislatore di coinvolgere i dirigenti degli uffici nella gestione dell’emergenza sanitaria ha, dunque, consentito di riprendere, anche attraverso casi ed esperienze concrete, una riflessione sulla gestione partecipata dell’attività degli uffici che, soprattutto in momenti di criticità, si rivela l’unica modalità per perseguire obiettivi strettamente connessi tra loro: quello di offrire un servizio di qualità, nel rispetto delle norme a tutela dei diritti, anche in una situazione di riduzione quantitativa del flusso degli affari e di difficoltà logistiche e quello di assicurare condizioni di sicurezza dell’ambiente di lavoro a tutela degli stessi lavoratori e dell’utenza anche in un’ottica di salvaguardia del benessere psicofisico dei magistrati.
Le nuove diposizioni hanno, forse troppo ingenerosamente, interrotto questo percorso escludendo la magistratura dalle scelte organizzative nella rinnovata fase emergenziale.
Infatti gli artt. 23 e 24 del DL 137\2020, che ricalcano il contenuto di una proposta a doppia firma dell’organo rappresentativo delle Camere Penali e di un gruppo di Procuratori della Repubblica e che non prevedono alcuna ipotesi di sospensione dell’attività giudiziaria, pongono, soprattutto nel settore penale, limitazioni al “processo telematico” di tale portata da rendere tale modalità del tutto residuale e inidonea a ridurre l’afflusso di persone negli uffici giudiziari.
La tecnica legislativa prescelta è stata quella di formulare, al comma 5 dell’art. 23 una regola generale sull’utilizzo del processo da remoto per la trattazione delle udienze penali, disciplinandone minuziosamente le modalità esecutive, cui seguono una serie di eccezioni che di fatto svuotano la portata applicativa della regola. Sono, infatti, escluse dalle modalità da remoto le tipologie di udienze che costituiscono il fulcro dell’attività penale e che portano maggior afflusso di persone nei Tribunali, ossia le udienze nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti e le udienze in cui si procede alla discussione sia in fase dibattimentale sia in fase di giudizio abbreviato. L’esclusione si estende anche alle udienze preliminari e più in generale a quelle dibattimentali, salvo il consenso delle parti. Non fanno eccezione neppure le udienze con un numero di imputati tale da non rendere possibile il rispetto del distanziamento nelle aule.
L’attuale normativa lascia, dunque, uno spazio ristrettissimo per il processo da remoto nel settore penale limitandolo ad udienze (come quelle a seguito di opposizione all’archiviazione o di incidente di esecuzione) che, stante il numero e la tipologia, non pongono particolari problemi di afflusso di persone negli uffici giudiziari. A ciò si deve aggiungere che, in assenza di qualsivoglia indicazione sulle modalità di acquisizione del consenso sarà sostanzialmente impossibile, soprattutto per i processi già fissati, utilizzare il processo da remoto per le udienze preliminari o le udienze dibattimentali diverse da quelle istruttoria e di discussione.
Nessuno spazio è poi lasciato a forme di trattazione cartolare delle udienze nel settore penale, come invece era avvenuto nella vigenza della precedente normativa attraverso l’adozione di protocolli tra dirigenti degli uffici e rappresentanti dell’avvocatura per alcune tipologie di udienze camerali.
L’assenza di qualsivoglia spazio decisionale lasciato alla magistratura nell’organizzazione dell’attività giudiziaria nella fase attuale e la rinuncia al contributo, che solo chi lavora sul campo è in grado di apportare, soprattutto nella valutazione delle ricadute concrete di scelte normative così decisive per il prossimo futuro, appare una scelta poco comprensibile e distonica rispetto all’impostazione iniziale, che aveva visto innescarsi una positiva attivazione di tutte le forze in campo verso soluzioni razionali e condivise.
Ma questo non significa che l’esperienza vissuta non possa costituire la base per un rinnovato impegno, finalizzato, anche nell’auspicato ritorno a condizioni di normalità, a ricercare strumenti concreti per la realizzazione di benessere organizzativo coniugato ad un servizio di qualità che solo una forte partecipazione di tutti alle scelte organizzative può garantire.