GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Decreto legge Ristori, le disposizioni emergenziali​ per contenere il rischio di diffusione dell’epidemia nel contesto penitenziario

    Decreto legge Ristori, le disposizioni emergenziali per contenere il rischio di diffusione dell’epidemia nel contesto penitenziario

    Fabio Gianfilippi

    Il carcere alla prova della seconda ondata

    Mentre il numero di contagi aumenta su tutto il territorio nazionale, anche il carcere soffre la diffusione del COVID19, in alcuni casi, per come ricordato dal Garante nazionale nel suo comunicato del 28.10.2020

    (https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/it/dettaglio_contenuto.page?contentId=CNG9597&modelId=10021), con un coinvolgimento ancora limitato, ed in altri con numeri preoccupanti tra detenuti e personale.

    Nonostante la messa a punto di un sistema di controlli e la riduzione sensibile, di fatto mai davvero cessata, delle attività trattamentali all’interno degli istituti di pena, era prevedibile che un organismo fatto di tanta umanità, compressa in spazi relativamente limitati, fosse esposta al pericolo di contagio.

    In questa logica il DL “Cura Italia” n. 18 del 17.03.2020 (poi convertito con legge 24 aprile 2020 n. 27) aveva previsto alcuni interventi volti a deflazionare i numeri dei detenuti negli istituti penitenziari, anche se sin da subito si era percepito come si trattasse di soluzioni non destinate ad incidere con numeri particolarmente importanti sull’endemico sovraffollamento.

    Non è questa per altro la sede per raccontare invece come molto lavoro sia stato fatto dalla magistratura di sorveglianza utilizzando gli ordinari strumenti previsti dalla legge penitenziaria, soprattutto per mettere al riparo dal rischio di contagio i detenuti con patologie particolarmente gravi e con età avanzata. Si ricorderà come questi provvedimenti siano stati accolti da una certa campagna di stampa e come, di fatto, la risposta del legislatore sia stata in seguito caratterizzata da due DL (28 e 29/2020), che avevano di mira essenzialmente un freno alle uscite o comunque il rientro in carcere delle persone ammesse a quelle misure domiciliari, ove condannate o imputate per delitti di criminalità organizzata ed alcune altre gravi fattispecie di reato.

    Dopo un’estate che aveva condotto tutti a sperare, contra spem, che il peggio fosse passato, ecco che il virus torna, implacabile e, dopo un nuovo aumento del numero dei detenuti, la necessità di intervenire sul carcere si fa di nuovo pressante, anche se è indubbio che ogni misura volta a ridurre la pressione sul mondo penitenziario avrebbe sortito effetti migliori, e sarebbe stata praticabile in modo più semplice, intervenendo prima di questa seconda fase emergenziale, in cui gli uffici di sorveglianza, gli uffici esecuzione penale esterna e la polizia penitenziaria affrontano carenze ulteriori negli organici già non ampi, a causa del personale in isolamento domiciliare precauzionale, o positivo e in quarantena, o costretto al domicilio in blocco, per la chiusura temporanea degli uffici per la sanificazione degli ambienti.

    E’ in questo contesto che si collocano gli interventi contenuti negli art. 28. 29 e 30 del DL n. 137, pubblicato in Gazzetta Ufficiale nella serata del 28 ottobre 2020, e in vigore dal giorno successivo.

    La disposizione in materia di licenze.

    La prima misura, sulla falsariga di quella prevista nell’art. 124 del dl 18/2020, è inserita nell’art. 28 e concerne la concedibilità al condannato ammesso al regime di semilibertà di licenze “premio”, aggettivo quest’ultimo che, senza una particolare ragione, si aggiunge alla loro denominazione ordinaria, in misura superiore ai 45 giorni annui. Rispetto alla versione del decreto legge di marzo, oggi si precisa che questa possibilità incontra il solo limite della sussistenza di gravi motivi ostativi alla concessione da valutarsi da parte del magistrato di sorveglianza.

    Le licenze straordinarie, per durata, si sono rivelate assai utili nella gestione di condannati che avrebbero altrimenti quotidianamente alternato momenti in libertà e in detenzione, con evidente maggior rischio di portare il contagio con sé. E’ quindi assai utile che vi si possa nuovamente far ricorso. Il riferimento espresso ai gravi motivi ostativi come gli unici che giustifichino un diniego della concessione appare in tal senso come un incentivo ulteriore al più ampio uso dello strumento, almeno sino alla data del 31 dicembre 2020, indicata espressamente.

    I permessi premio di durata straordinaria

    L’art. 29 prevede che, ancora una volta sino al 31 dicembre 2020, si possano concedere permessi premio senza i limiti di durata previsti nell’art. 30 ter ord. penit., e dunque anche più lunghi di quindici giorni e complessivamente più ampi di quarantacinque giorni annui. La misura però è destinata soltanto a chi abbia già fruito di permessi premio e sia stato già assegnato a svolgere un lavoro all’esterno ai sensi dell’art. 21 ord. penit. (o sia ammesso all’istruzione o alla formazione professionale all’esterno, nel contesto dell’ordinamento penitenziario minorile). La formulazione parrebbe per altro fissare il momento in cui si cristallizzano i requisiti che consentono i permessi di durata straordinaria a quello di entrata in vigore del decreto legge.

    Nell’ottica deflativa che contrassegna l’intervento urgente del Governo, questa misura apre positivi spazi che con il decreto di marzo non erano stati percorsi, ma il riferimento soggettivo al condannato ammesso ai permessi e (con uso inequivoco della congiunzione semplice “e”) anche assegnato al lavoro all’esterno, limita particolarmente il suo campo di applicazione, rinunciando ad una apertura, invece possibile, a tutta la platea dei detenuti già provati mediante positive esperienze premiali, con la quale si sarebbe potuto lasciare alla prudente discrezionalità dei magistrati di sorveglianza il vaglio relativo alla maturazione dei percorsi individuali, e quindi alla capacità dei destinatari di rispettare le prescrizioni con permessi di più lunga durata. Sarebbe in tal senso auspicabile una modifica ampliativa, percorribile in sede di conversione del DL in legge, mediante la sostituzione della congiunzione con una particella disgiuntiva.

    La disposizione è arricchita, per altro, di ulteriori limitazioni, non potendo trovare applicazione a quei detenuti, che pure abbiano maturato dalla magistratura di sorveglianza una fiducia sufficiente ad aprirli ai benefici premiali e al lavoro all’esterno, ma espiino pene per delitti compresi nel disposto dell’art. 4 bis ord. penit. oppure  siano stati condannati per i delitti di maltrattamenti in famiglia (art. 572 cod. pen.) o di atti persecutori (art. 612-bis cod. pen.).

     Il permesso non è neppure concedibile a chi veda compreso nel proprio titolo esecutivo un delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso od altro reato commesso con modalità mafiose o con la finalità di agevolare un gruppo criminale ex art. 416 bis cod. pen., oppure di terrorismo anche internazionale, anche se ha già espiato la quota di pena relativa a questi delitti, se i reati residui siano stati giudicati, anche in sede esecutiva, avvinti da una connessione con quelli ostativi perché commessi con una sola azione od omissione o in esecuzione di un medesimo disegno criminoso (art. 12 co. 1 lett. b) cod. proc. pen.) o per eseguire od occultare i reati ostativi (art. 12 co. 1 lett. c) cod. proc. pen.).

    Quest’ultima indicazione, contenuta nell’art. 29 co. 2 del DL, introduce un’eccezione espressa al principio, di origine giurisprudenziale, dello scioglimento del cumulo in favore del condannato, alla luce del quale, quando occorre procedere al giudizio sull'ammissibilità di un beneficio penitenziario,  ostacolata dalla circostanza che nel cumulo è compreso un titolo di reato rientrante nel novero di quelli ostativi, si considera espiata per prima la parte di pena relativa al reato ostativo (con l’unico limite di cui all’art. 657 co. 4 cod. proc. pen.) e, se si verifica l’avvenuta integrale espiazione di quella quota, si può procedere alla valutazione di merito.

    Il DL limita quindi, sotto questo profilo, il ricorso allo scioglimento del cumulo, laddove si valutino i permessi di durata straordinaria.

    Non immediatamente comprensibile appare la scelta di evocare l’art. 12 co. 1 lett. b e c cod. proc. pen., disposizione dagli scopi tutti interni al processo, invece che l’art. 81 cod. pen. e l’aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen.  Un profilo non meramente formale, ulteriormente complicato nel testo dal riferimento alla necessità che la sussistenza della connessione sia deducibile dall’accertamento operato dal giudice di cognizione o dell’esecuzione (per quest’ultimo sarebbe stato al più opportuno richiamare l’art. 671 cod. proc. pen., esclusa una rilevanza dell’art. 12 co. 1 lett. c) in questa fase).

    La disposizione non sembra comunque destinata a mutare sensibilmente la giurisprudenza in merito della magistratura di sorveglianza perché, per come è congegnato l’art. 4 bis co. 1 ord. penit., già oggi tutti i reati commessi con modalità mafiosa o al fine di agevolare i gruppi criminali di riferimento, sono considerati ostativi alla concessione di benefici penitenziari e allo stesso modo, quando venga riconosciuta, anche in fase esecutiva, la continuazione tra il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. ed un qualunque altro delitto, la medesimezza del disegno criminoso, che è premessa per quella determinazione, si ritiene che attragga nell’alveo dell’ostatività anche il reato di per sé non ostativo.

    La scelta normativa appare invece utile a fugare ogni dubbio circa l’operatività del meccanismo di scorporo in tutti gli altri casi, secondo il principio generale riconosciuto ormai pacificamente da molti anni dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. SU 30.06.1999, Ronga), e che deve ritenersi ammettere delle eccezioni, soltanto ove espressamente individuate dal legislatore, come nel caso di specie (vd. anche l’ipotesi dell’art. 41-bis co. 2 ult. parte ord. penit.).

    Il ritorno della detenzione domiciliare per gli ultimi diciotto mesi di pena.

    L’art. 30 ripropone, in modo sostanzialmente invariato, la misura di detenzione domiciliare per le pene anche residue non superiori ai diciotto mesi, già prevista dall’art. 123 del DL 18/2020, con i marginali correttivi introdotti in sede di conversione con legge 27/2020.

    Ci si permette in questa sede un richiamo integrale alle considerazioni che si svolsero, immediatamente dopo l’entrata in vigore del DL “Cura Italia” su questa Rivista (https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/929-dl-17-marzo-2020-n-18-rischio-di-diffusione-dell-epidemia-di-covid19-nel-contesto-penitenziario).

    E’ soltanto necessario richiamare i pochi elementi di novità.

    Il più importante è contenuto nel co. 1 lett. a) poiché viene replicato il già decritto meccanismo impeditivo dello scioglimento del cumulo, in presenza di ipotesi di connessione secondo l’art. 12 co. 1 lett. b e c cod. proc. pen.

    Il perimetro applicativo, quindi, già segnalatosi nella stesura dello scorso marzo per l’esiguità, appare qui ancora più ridotto.

    Tra i soggetti esclusi, inoltre, vengono indicati, oltre i destinatari di provvedimenti disciplinari per le infrazioni di cui agli artt. 18, 19, 20 e 21 dpr 230/2000, anche coloro nei cui confronti, in data successiva all’entrata in vigore del decreto legge, venga redatto un rapporto disciplinare per la promozione o la partecipazione ad eventuali disordini o sommosse.

    Oggetto di particolari critiche era stata, all’entrata in vigore dell’art. 123, la difficoltà di reperimento dei dispositivi di controllo mediante mezzi elettronici (i c.d. braccialetti elettronici), cui è subordinata la concessione della misura quando, e finché, la pena residua sia superiore ai sei mesi residui.

    Una difficoltà che, in concreto, ha di certo ostacolato la più pronta deflazione degli istituti penitenziari, essendo comunque necessari alcuni giorni perché il dispositivo possa essere effettivamente reperito ed attivato, ma che, per l’esiguo numero complessivo di concessioni di misure, non si è appalesato come l’ostacolo decisivo all’efficacia del nuovo strumento.

    In sede di conversione, ad ogni modo, si era ritenuto di incrementare, per la verità in modo davvero esiguo, la quota di pena al di sotto della quale la misura non ne richiedeva l’installazione, con la barocca formulazione per cui: “nel caso in  cui  la pena residua non superi di trenta giorni la  pena  per  la  quale  é imposta l'applicazione delle procedure di  controllo  mediante  mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, questi non sono attivati.” Stessa soluzione oggi replicata.

    Il co. 9 prevede, sulla falsariga dell’art. 123 co. 8 bis, introdotto in sede di conversione del dl 18/2020, che questa forma particolare di detenzione domiciliare possa applicarsi ai detenuti che ne maturino i presupposti entro il 31 dicembre 2020, e dunque non ne è esclusa la concedibilità anche con istanze pervenute, o soltanto con istruttorie conclusesi, in data successiva. 

    Gli spazi del carcere e gli interventi normativi

    Le misure introdotte potranno consentire alcuni, più o meno immediati, effetti di deflazione (ad esempio svuotando le sezioni semiliberi o ammessi all’art. 21), ma non sembrano destinate a mutare in modo sensibile il quadro di sovraffollamento penitenziario che, in questa fase dell’epidemia, si fa più grave, perché risulta prioritario destinare spazi adeguati all’isolamento dei detenuti che giungono dall’esterno, ai fini delle opportune verifiche di negatività al virus, e si impongono sforzi organizzativi poderosi, ove si sviluppino cluster epidemici all’interno degli istituti stessi.

    In questo contesto resta inoltre sempre particolarmente delicata la condizione dei detenuti con maggiori fragilità: anziani ed ammalati, ed assolutamente necessaria una sinergia tra amministrazione penitenziaria e sanità regionale, in grado di gestire in modo adeguato istituti penitenziari cui sempre più si richiede di approntare ampi spazi interni al carcere in grado di garantire effettivi standard igienici e di sanificazione, di tipo persino ospedaliero.

    Uno scenario di enorme complessità, che ci fa guardare all’arrivo dell’inverno, con l’acuirsi pronosticato del contagio, con una paura per questa stagione che Adam Gopnik (L’invenzione dell’inverno, Guanda, 2016) poteva ritenere archiviata nel nostro passato premoderno, ma che la pandemia ha reso di nuovo contemporanea.

     

     

     

     

     

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