Diritto dell’emergenza Covid-19 e recovery fund
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Giustizia penale e ideologie emergenziali di Giorgio Spangher

Giustizia penale e ideologie emergenziali

di Giorgio Spangher

Sommario: 1. Premessa.  - 2. Oralità e cartolarità. - 3. La detenzione carceraria. - 4. Le misure cautelari. -  5.Gli orizzonti.     

1.  Premessa. 

Una analisi Intesa a verificare il substrato culturale e ideologico sotteso alla parte della normativa  d’urgenza relativa alla giustizia penale non dovrebbe arrovellarsi più di tanto, tanto sono esplicite ed evidenti le relative linee ispiratrici.

Invero, le aree interessate dal d.l. n. 18 del 2020, ed ancor più dagli emendamenti approvati al Senato con il maxiemendamento con la successiva fiducia evidenziano chiaramente dove “batte il mare” della maggioranza parlamentare o almeno di quella parte di essa che, silente l’altra, governa ormai da tempo l’area della giustizia e di quella penale in particolare.

Come è noto le aree di intervento sono due: processi e libertà personale. Il primo è cristallizzato nell’art. 83, dove non casualmente è regolata anche la materia della custodia preventiva e il secondo è disciplinato dagli artt. 123 e 124 dove trovano disciplina i profili legati all’esecuzione della pena negli istituti penitenziari.

Con riferimento alla prima tematica la logica sottesa alla normativa – dopo una prima fase orientata alla sospensione – è quella finalizzata alla celebrazione dei processi da remoto: l’ulteriore logica delle previsioni è sicuramente quella tesa ad anticipare la logica già da tempo orientata alla c.d. smaterializzazione del processo, come si è evidenziata con la riforma Orlando degli artt. 139 bis, 146 bis e 45 bis disp. att. c.p.p.

2.  Oralità e cartolarità.

Invero, come succede spesso nelle fasi emergenziali, i precari equilibri sui quali si reggono le previsioni frutto di compromessi, si rompono e si cerca di “spostare in avanti gli equilibri” sui quali si regge la materia. E’ evidente che l’epidemia come emerge quotidianamente è lo strumento attraverso il quale si cerca di perfezionare e consolidare la filosofia di un processo che punta alla marginalizzazione della difesa e al ridimensionamento del contraddittorio effettivo a vantaggio di uno meramente formale.

In altri termini si cerca di ottenere nei fatti quella dimensione del processo che pone a fondamento le esigenze decisionali di cui è garante il solo giudice monocratico, la cui collegialità appare sempre più marginale, e il pubblico ministero per la fase investigativa di cui si cerca di consolidare i risultati.

Irrilevanti si prospettano i contributi difensivi filtrati dalla asettività, impersonalità, precarietà del mezzo tecnologico.

Il processo assume il ruolo di un rito virtuale, impersonale, freddo, un contenitore algido, con soggetti separati nella lontananza delle immagini spersonalizzate.

Questi elementi obliterano l’aspetto più importante che la informatizzazione avrebbe dovuto e dovrebbe realizzare: la sburocratizzazione degli adempimenti per l’espletamento delle attività procedurali: notificazioni, deposito degli atti, formazione dei fascicoli, o quant’altro non implichi riflessi che superano gli elementi puramente formali, escludendo quelli di merito.

Il dato trova una precisa conferma nella visione che si vuole assegnare al processo in Cassazione, perfezionando la vocazione alla sua auspicata cartolarità, che sottende molte implicazioni tese a ridurre il confronto delle opinioni, alimento che dovrebbe, invece, nutrire la funzione nomofilattica del Supremo Collegio, attraverso il confronto delle idee.

Innestato sulla freddezza che ha ormai attanagliato il fatto, anche la questio iuris si inaridisce nella cartolarità delle argomentazioni.

3. La detenzione carceraria. 

Si potrebbe pensare che sia stata dedicata maggiore sensibilità al tema della restrizione nelle carceri, considerato quanto previsto dagli artt. 123 e 124, attraverso il parziale recupero di quanto previsto dalla legislazione svuota carceri, in particolare dalla l. n. 199 del 2010 che, infatti, viene in parte richiamata.

Si tratta di pura apparenza, perché il dato non risulta calibrato sull’effettiva condizione penitenziaria, relativamente al suo stato di degrado, ma esclusivamente sull’abbassamento della tensione sfociata nelle manifestazioni dei detenuti.

Lungi dall’affrontare il tema delle carcere nei suoi profili strutturali, si è preferito un provvedimento tampone che non trova le sue premesse neppure nella verifica delle condizioni sanitarie indotte dall’emergenza.

Questo elemento è stato sicuramente condizionato dalla mancanza di un intervento in materia da parte del Ministro della Salute che avrebbe dovuto – e peraltro dovrebbe e potrebbe ancora verificare, come è nella sua competenza, le condizioni sanitarie oggettive e soggettive.

Si consideri sul punto quanto è previsto in generale dall’art. 11 della l. n. 354 del 1975, nonché più specificamente dall’art. 286 bis c.p.p. relativamente al divieto della custodia in carcere per i soggetti affetti da HIV.

In altri termini, posto l’art. 32 Cost. che tutela la salute individuale e collettiva, riconosciuto come diritto fondamentale, il tema avrebbe richiesto una approfondita riconsiderazione delle condizioni di vita collettiva nella situazione di restrizione che supera la mera situazione dell’affollamento. Sarebbe stato necessario e sarebbe necessario, fra le altre, verificare le condizioni di socialità, regolare le modalità di aggregazione, indicare le malattie suscettibili di accentuare il rischio connesso a possibili contagi.

4. Le misure cautelari.   

Questa mancata iniziativa oltre a prevenire le situazioni interne agli istituti penitenziari, in relazione non solo ai detenuti, ma anche con riferimento agli operatori penitenziari, alla polizia penitenziaria, al personale amministrativo, ha condizionato le scelte relative ai soggetti ristretti in carcere in esecuzione di una misura cautelare.

Conseguentemente, questo elemento è rifluito nella disciplina processuale che – come anticipato – è rimasta non solo insensibile a questa condizione personale del ristretto ma addirittura ha imposto la sospensione dei termini della custodia e ne ha aggravato la condizione.

Una attenta valutazione della condizione dell’epidemia nelle carceri, con le conseguenti implicazioni, avrebbe contribuito a riconsiderare l’intero sistema delle cautele, alla luce del mutato quadro di riferimento dei pericula libertatis e delle presunzioni relative della pericolosità.

Dall’esclusione del carcere, fatte salve le situazioni di pericolosità assoluta e di eccezionali esigenze cautelari, il criterio processuale del carcere extrema ratio, così ridimensionato ulteriormente, avrebbe – dovrebbe – comportare scelte processuali calibrate sulla situazione delle cautele e conseguentemente sulle altre misure restrittive (arresti domiciliari) e non custodiali.

5.Gli orizzonti.     

Come anticipato in esordio, la filosofia sottesa alla normativa d’urgenza si muove e continua a muoversi su piani slegati e senza progettualità, consegnando alla fine dell’emergenza tutte le problematicità esistenti, ma anche profonde divisioni tra gli operatori della giustizia.

Sul fronte del processo si scontreranno quelli che vorranno consolidare il modello di processo emerso dalla “sperimentazione”, a cui si contrapporranno le opinioni di coloro i quali chiederanno che si fermi la deriva di un processo “contenitore tecnologico”, sollecitando invece, scelte nel nome dell’efficienza degli strumenti informatici.

Sul fronte del carcere, si riproporrà il confronto mai sopito sul ruolo della pena, tra funzione retributiva e dimensione rieducativa, in attesa che Corte edu e Corte Costituzionale arginino le situazioni che maggiormente stridono con la dignità e l’umanità della reclusione, aprendo qualche spiraglio alle misure alternative. L’applicazione delle misure cautelari, non intaccata da qualche decisione ispirata al favor, resterà marchiata dal suo codice genetico, legato all’anticipazione della colpevolezza.

 

 

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