GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    POTERE E LIBERTA’ di Sibilla Ottoni

    POTERE E LIBERTA’

    Il ruolo del giudice amministrativo nell’emergenza sanitaria

    di Sibilla Ottoni

    Nel contesto emergenziale conseguente all’epidemia di Covid-19 assistiamo ad un susseguirsi e ad un moltiplicarsi di misure, normative ed amministrative, adottate a tutti i livelli. Tutte riguardano, in modo più o meno diretto, una sfera di libertà personale la cui intangibilità eravamo soliti dare per scontata. Forse la disabitudine a dover difendere tale spazio, felice privilegio dei periodi di pace, ha portato a trascurare e talvolta a dimenticare alcuni principi elaborati in altre fasi storiche, e che oggi probabilmente sarebbe molto utile tenere in mente. La riflessione prende spunto dalla storia di un bracciante agricolo sottoposto a quarantena e isolamento presso la propria residenza, con ordinanza sindacale, per essersi recato nei campi per lavoro in violazione di un’ordinanza regionale.

    Sommario – 1. Va tutto bene?; 2. Diritti, libertà e loro limiti; 3. Ruolo della giurisdizione e strumenti del giudice amministrativo; 4. Giudice amministrativo e diritto dell’emergenza;5. Occhi aperti sul presente.

    1. Va tutto bene?

    La sensazione che molti giuristi hanno, osservando il susseguirsi di provvedimenti adottati a tutti i livelli a partire dalla dichiarazione dello stato di emergenza del 31 gennaio scorso[1], è di una leggera, latente distonia con l’assetto costituzionale.

    La forte compressione delle libertà individuali che si sta sperimentando, con il disagio (umano innanzitutto) che ne consegue, potrebbe certamente giustificare tale sensazione anche laddove la stessa fosse, in termini giuridici, infondata.

    La questione tuttavia si pone, sia con riguardo alla costituzionalità dei provvedimenti normativi, sia con riguardo alla legittimità di quelli amministrativi (https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1005-il-non-processo-amministrativo-nel-diritto-dell-emergenza-covid-19[2].

    Rinviando per la prima questione a più autorevoli commenti (già ospitati anche su questa rivista https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/961-la-pandemia-aggredisce-anche-il-diritto [3]), questo contributo intende focalizzarsi su tale ultimo profilo, anche alla luce delle più recenti prese di posizione del giudice amministrativo che, pur incidentalmente, ha avuto occasione in sede cautelare di affermare una sorta di prevalenza dell’interesse alla tutela della salute pubblica su determinati diritti e libertà individuali[4].

    Il tono piuttosto tranchant con cui tale affermazione è stata veicolata impone qualche riflessione. L’attuale stato di emergenza non può infatti comportare alcun allentamento dei parametri di giudizio ordinariamente impiegati, quasi come se il diritto, nell’emergenza, potesse tradursi sul piano processuale in forme di controllo altrettanto “emergenziali”, attraverso strumenti di valutazione imprecisi, o quasi che la macroscopica prevalenza delle eccezionali circostanze sanitarie su qualsiasi altro diritto o interesse fosse tale da potersi pesare ad occhio nudo, senza bisogno di impiegare strumenti più raffinati. E quasi come se il nostro ordinamento, e per prima la magistratura amministrativa, non disponesse di tali strumenti, da tempo elaborati e lungamente cesellati.

     2. Diritti, libertà e loro limiti.

    Per evitare di male interpretare le parole del Consiglio di Stato, è utile ripercorrere alcuni punti fermi nell’evoluzione del sindacato del giudice amministrativo, che inducono ad escludere la possibilità di affermare la prevalenza secca di un diritto o interesse su qualsiasi altro.

    Tale esigenza è tanto più forte quanto più eccezionali sono le circostanze del caso concreto, e quanto più fondamentale appare l’interesse pubblico tutelato, come nel caso della salute pubblica nell’attuale situazione di pandemia globale.

    La salute pubblica, così come la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico, costituisce infatti un presupposto per l’esercizio dei diritti e delle libertà proprie dell’ordinamento democratico: alcun diritto può dirsi realmente tutelato, né può realizzare le propria funzione sociale, se lo stesso non è certo, ossia se non sono garantite le condizioni minime per il suo esercizio[5].

    La salute pubblica, in tal senso, potrebbe a sua volta qualificarsi come autonomo diritto, la cui necessità di tutela giustifica la compressione dei diritti e delle libertà individuali che lo minacciano. Ma tale elevazione dell’interesse alla salute pubblica al rango di autonomo diritto comporta il rischio, analogo a quello che si configura rispetto alla nozione di sicurezza pubblica[6], che misure volte garantire le condizioni basilari per l’esercizio dei diritti e delle libertà possano tradursi in una minaccia per gli stessi.

    L’idea di libertà, in un ordinamento democratico, porta ontologicamente in sé l’idea dei propri limiti, volti a garantire la coesistenza degli individui e delle singole libertà garantite a ciascuno. Decisivo diventa quindi individuare quei limiti, posto che da essi dipende l’ampiezza dello spazio libero che contengono; tanto più determinati e precisi saranno, quanto più ampio e quanto più certo sarà quello spazio. Non a caso, le libertà costituzionalmente garantite incontrano solo limitazioni specifiche[7]: incolumità pubblica e sanità alla libertà domiciliare (art.14 Cost.), sicurezza e sanità alla libertà di circolazione e soggiorno (art. 16 Cost.) e, insieme alla incolumità pubblica, alla libertà di riunione in luogo pubblico (art. 17 Cost.), buon costume a libertà di culto e manifestazione del pensiero (artt. 19 e 20 Cost.) [8].

    La stessa Corte Costituzionale ha più volte riaffermato che la disciplina delle modalità di esercizio di un diritto non equivale ad una lesione dello stesso[9], a meno che non giunga al punto di snaturarlo[10]. La necessità che lo Stato appresti misure e mezzi per l’esercizio dei diritti, imposta dalla pluralità di soggetti titolari, avvicina i diritti di libertà a quelli di prestazione o sociali[11]: se tradizionalmente i primi postulano una mera astensione dei poteri pubblici mentre i secondi ne richiedono un intervento, necessario a predisporre le risorse che soddisfino le corrispondenti pretese, l’esercizio collettivo delle libertà individuali richiede un intervento volto a porre le condizioni per il loro godimento.

    Se quindi l’ordinamento democratico non è di per sé incompatibile con l’esistenza di limiti a diritti e libertà, che anzi presuppone, tali limiti vanno intesi in senso costituzionalmente orientato, escludendo da un lato un primato indiscusso delle libertà, incompatibile con la pluralità e la coesistenza dei soggetti titolari, ma imponendo d’altro canto un loro corretto bilanciamento con gli interessi pubblici di volta in volta configgenti, dei quali è specularmente esclusa la necessaria prevalenza.

    Non è quindi mai possibile affermare una gerarchia fissa tra valori, astrattamente posta; nonostante il carattere primario di alcuni, questi dovranno sempre, nella loro applicazione concreta, essere bilanciati con tutti gli altri.

    3. Ruolo della giurisdizione e strumenti del giudice amministrativo.

    Nel momento in cui, concretamente, libertà e diritti vengono compressi in ragione di un interesse pubblico, il ruolo del giudice diventa cruciale al fine di verificare in concreto la prevalenza di questo, o la misura di tale prevalenza, e quindi la legittimità del sacrificio imposto al privato.

    Questo ruolo della giurisdizione, nell’attuale stato di emergenza, è parimenti importante a livello nazionale e a livello eurounitario[12], dove la Corte da sempre interpreta le possibili limitazioni poste dagli Stati membri ai diritti ed alle libertà fondamentali[13], ed in primis quella di circolazione delle persone, come strettamente ancorate a criteri di necessità e proporzionalità[14], tanto nel senso della sussistenza di mezzi alternativi a evitare il pericolo di lesione dell’interesse tutelato attraverso la limitazione, che nel senso di proporzionalità tra l’adozione dell’eccezione ai principi e il risultato atteso[15].

    A livello nazionale il controllo di proporzionalità, cui il giudice ordinario è poco avvezzo, è uno strumento classico del giudice amministrativo, frutto del percorso che, partendo dal vaglio di ragionevolezza dell’azione, ha portato tutti i paesi europei, seppure in fasi diverse e attraverso tecniche distinte, verso la piena sindacabilità del potere amministrativo discrezionale.

    Il giudice amministrativo, storicamente, ha dimostrato la capacità di adattare il proprio sindacato al suo oggetto. Le sue tecniche di controllo sono state fortemente influenzate dalle trasformazioni intervenute nel sistema delle fonti e sono strettamente connesse alla struttura della norma[16]; più la formulazione è diventata ampia, più i criteri di valutazione si sono fatti elastici, ed il sindacato sulla discrezionalità è diventato pervasivo[17].  Ragionevolezza e proporzionalità sono clausole generali, che operano ben diversamente dalle rigide figure sintomatiche di fine ottocento, collocandosi nel punto di approdo dell’evoluzione e dell’affinamento delle tecniche di controllo.

    Sebbene il principio di proporzionalità si sia sviluppato nell’ambito delle libertà e dei diritti costituzionalmente garantiti[18], nella dottrina amministrativistica la prospettiva è in qualche modo ribaltata rispetto a quella costituzionalistica, posto che non si discute tanto di limiti alla compressione di un diritto o libertà, quanto di prevalenza di un interesse pubblico sui diritti ed interessi individuali[19]. Progressivamente, dal diritto di polizia e dagli altri settori in cui si pongono istanze di tutela delle libertà fondamentali, il sindacato di proporzionalità si è così allargato fino a riguardare ogni ambito di esplicazione del potere discrezionale[20], consentendo il passaggio da un concetto di proporzionalità identificata essenzialmente con la mitezza dell’azione ad un più corretto inquadramento in termini di equilibrio complessivo degli interessi.

    L’azione proporzionata non è infatti la più mite, bensì quella equilibrata, poiché il bilanciamento postula sempre un rapporto plurilaterale, in cui la prevalenza di un interesse si misura sullo stesso terreno della recessività degli altri; allo stesso modo, più che alla mitezza e moderazione del potere si dovrà far riferimento alla sua corretta intensità, che ben può significare una severità estrema, qualora appunto dal bilanciamento emergesse una tale necessità[21].

    Il principio di proporzionalità si atteggia quindi come principio di riequilibrio tra forze in contrasto, e si esplica nei tre momenti dell’idoneità, della necessarietà, e dell’adeguatezza dell’azione[22]: essa deve essere tale da condurre al raggiungimento del fine, non deve eccedere l’ambito del necessario, deve garantire l’equilibrato bilanciamento degli interessi in gioco[23].

    L’applicazione del principio in sede giurisdizionale si traduce nel soppesare l’intensità del potere esercitato, che deve risultare adeguata rispetto al concreto assetto di interessi, nell’ottica del perseguimento della giustizia sostanziale dell’azione[24], che guardi al contenuto valoriale degli interessi confliggenti[25]. Si è parlato, in tal senso, di rapporto tra ius iussum e ius iustum, ovvero tra astratta regola di diritto che disciplina la fattispecie, e sua applicazione precettiva al caso concreto, come concreta definizione di un dato assetto giuridico[26]: per elaborare il precetto, estrapolandolo dalla norma, è necessario procedere alla ponderazione degli interessi, perché la giustizia sostanziale attiene all’equilibrio orizzontale tra gli elementi che entrano in contatto – o in conflitto – nell’ambito della fattispecie richiamata dalla norma.

    Un tale sviluppo coincide col superamento della concezione monistica dell’interesse pubblico e con il riconoscimento della pluralità dei valori e degli interessi tutelati dall’ordinamento[27]; il sindacato del giudice amministrativo si è evoluto di conseguenza da vaglio dell’esistenza, esattezza e qualificazione dei fatti a vaglio di completezza degli interessi considerati[28].

    4. Giudice amministrativo e diritto dell’emergenza.

    Il giudice amministrativo ha affinato i propri strumenti anche esercitandoli sul terreno dei provvedimenti amministrativi extra ordinem, che il nostro ordinamento prevede come “strumento valvola”, quali le ordinanze di necessità sindacali e prefettizie[29].

    Anche rispetto a tali strumenti si è assistito ad una evoluzione ampiamente debitrice dell’interpretazione offerta dalla Corte Costituzionale delle norme che li prevedono[30], che possono essere considerate costituzionalmente legittime solo in quanto vincolate al rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico, quindi, in primis, in quanto i poteri dalle stesse previsti non intacchino le libertà garantite in Costituzione[31].

    Fermo il ruolo del giudice costituzionale, quello amministrativo interviene necessariamente ex post rispetto all’adozione dell’atto emergenziale, e quindi rispetto alla compressione del diritto individuale. Anche in quest’ambito emerge il principio fondamentale per cui il bilanciamento tra valori non possa mai essere effettuato a priori e in astratto[32], posto che il giudice è sempre chiamato a vagliare il bilanciamento effettuato nel caso singolo, pur non potendo prescindere dal complesso dei valori costituzionali, che fungono da parametro[33].

    Il giudice amministrativo, adito in sede cautelare o comunque nel merito, è come sempre chiamato a valutare il contenuto (e la durata) del provvedimento, in relazione ai presupposti che ne hanno legittimato l’adozione; più rigidamente tali presupposti sono definiti  dalla normativa, più stringente sarà l’obbligo di motivazione, attraverso il quale potrà esercitarsi il controllo di ragionevolezza e di proporzionalità.

    Tuttavia il diritto dell’emergenza, in ogni campo, ha sempre la peculiarità di essere un diritto necessariamente elastico, posto che l’emergenza è tale proprio in quanto difforme – e difforme in modo imprevedibile – dall’ordinario. Lo stesso vale in ambito amministrativo: il presupposto dell’emergenza, di norma e almeno in parte, scioglie l’amministrazione dalla rigidità dei vincoli procedimentali, ivi incluso il dovere di motivazione, cosicché da un lato il controllo giurisdizionale è di fatto limitato all’eccesso di potere ma, dall’altro, un eventuale difetto di motivazione non necessariamente ridonda in tale vizio[34].

    Paradossalmente, quindi, laddove più forte è l’evenienza di una compressione dei diritti, delle libertà e degli interessi individuali, e quindi più forte è l’esigenza di un controllo, quest’ultimo rischia di essere pregiudicato dall’allentarsi dei vincoli procedurali. Ciò rende ancora più importante la rigorosa valutazione del presupposto che ha legittimato l’esercizio del potere, rispetto al quale l’esigenza di accertare la necessità, la proporzionalità e l’adeguatezza del sacrificio del singolo è rafforzata[35].

    5. Occhi aperti sul presente.

    L’applicazione di questo portato all’attuale contesto impone una serie di riflessioni, stimolate dai due decreti del Consiglio di Stato già richiamati.

    Come si è visto, l’ordinamento riconosce all’amministrazione dei poteri extra ordinem, caratterizzati dalla possibilità di derogare alle normali regole procedimentali, al ricorrere di stringenti presupposti di necessità e urgenza. Ora, la attuale situazione emergenziale non implica di per sé che tali presupposti ricorrano in ogni caso; conseguentemente, non sembra possibile giustificare a priori, in ragione della gravità del rischio per la salute pubblica, una generale deroga o un allentamento delle regole procedimentali. Le deroghe proprie del diritto dell’emergenza sono legittime solo ove imposte dall’impossibilità di applicazione dei procedimenti ordinari (in primo luogo per quanto attiene all’assetto delle competenze).

    In particolare, ad oggi il vizio di motivazione non può e non deve essere valutato con minor rigore rispetto a quanto non lo sarebbe in condizioni ordinarie[36], posto che proprio la motivazione è lo strumento attraverso il quale il giudice amministrativo può realmente conoscere e quindi valutare il processo di bilanciamento e di ponderazione effettuato dall’amministrazione. Il Consiglio di Stato ha forse perso un’occasione per ribadire, sebbene incidentalmente, tale fondamentale concetto, scegliendo di non spendere alcuna parola sul fumus boni iuris pur a fronte del denunciato difetto di motivazione[37].

    Ancora, deve escludersi che l’emergenza, ossia la gravità del pericolo per la salute pubblica, legittimi limitazioni delle libertà individuali che non tengano correttamente conto di tutti gli interessi coinvolti e del loro peso relativo. È vero che la misura “giusta” dell’azione amministrativa non necessariamente è quella più mite, bensì sempre quella adeguata, ma alla determinazione di adeguatezza può giungersi sempre e soltanto all’esito di una valutazione comparativa che non escluda nessuno degli interessi coinvolti.

    Nelle recenti pronunce del Consiglio di Stato, la sospensione di un ordine di quarantena è stata negata ritenendo non irreparabile e non grave il pregiudizio individuale se comparato con l’esigenza di tutela della salute pubblica https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1029-ordinanze-emergenziali-regionali[38]. Stridente è il contrasto tra gli argomenti impiegati in motivazione laddove, da un lato, si riconosce ai fini dell’ammissibilità dell’appello il rango costituzionale del bene della vita leso nel caso concreto, individuato nel “libero movimento, al lavoro, alla privacy”, mentre dall’altro si afferma che “le conseguenze dannose per l’appellante non hanno poi il carattere della irreversibilità”, con specifico riferimento all’esistenza di misure di tutela del posto di lavoro e di soccorso emergenziale per esigenze alimentari e di prima necessità.

    Sembrerebbe quasi che il bilanciamento sia stato effettuato dal Consiglio di Stato tra un pregiudizio economico (peraltro, qualificato come eventuale) ed un interesse pubblico primario, con ovvia soccombenza del primo in favore del secondo, secondo una impostazione che non è in alcun modo condivisibile, in quanto finisce per espungere dal bilanciamento la libertà individuale del singolo al movimento ed alla circolazione (sebbene nei limiti legalmente imposti dalla attuale normativa emergenziale), direttamente incisa dal provvedimento impositivo della quarantena.

    Se tale interesse fosse stato correttamente preso in considerazione, la conclusione sulla non gravità e non irreversibilità del pregiudizio sarebbe stata quanto meno più sfumata.

    È evidente infatti che la libertà personale temporaneamente negata al soggetto non può essergli in alcun modo restituita, né può dirsi ristorata dall’eventuale compensazione economica per le giornate di lavoro perse.

    Quanto alla gravità di tale lesione, desta perplessità il reiterato riferimento al carattere “limitato” del periodo residuo di efficacia della misura restrittiva di cui il ricorrente invocava in sede cautelare la sospensione, pari a quattro giorni, se si considera che il nostro ordinamento conosce termini ben più stringenti a tutela della libertà individuale, quali quelli per la convalida dei trattamenti sanitari obbligatori, o quelli di convalida di misure restrittive in materia penale, termini che, inutile ricordarlo, non sono sospesi pur a fronte dell’attuale stato di emergenza.

    Ecco allora che la mancata corretta considerazione di tutti gli interessi in gioco si traduce in un bilanciamento corretto solo in apparenza, in quanto parziale.

    Alla luce di tutto quanto detto, l’affermazione del Consiglio di Stato per cui le “disposizioni fortemente compressive di diritti anche fondamentali della persona - dal libero movimento, al lavoro, alla privacy -”, applicate oggi “per la prima volta dal dopoguerra”, si legittimano “in nome di un valore di ancor più primario e generale rango costituzionale, la salute pubblica” non può che far riflettere. È proprio la configurazione di un astratto e rigido rapporto gerarchico tra valori primari che ingenera, a cascata, le incongruenze appena rilevate nella motivazione dei decreti, che sembrano quasi dire, in ultima istanza, che una compressione (immotivata?) di quattro giorni della libertà di movimento di un soggetto non sia qualificabile come grave, né come irreparabile.

    In conclusione, posto che il nostro ordinamento, e in particolare il giudice amministrativo, dispone di strumenti – anche culturali – adeguati, validi anche in una situazione emergenziale ed utili a far fronte ai pericoli che inevitabilmente ne conseguono, ora come non mai è importante che di tali strumenti il giudice (qualsiasi giudice) faccia un attento e rigoroso utilizzo, prendendo seriamente le limitazioni delle libertà individuali che oggi ci sono imposte e valutandole caso per caso con il massimo rigore, senza trincerarsi più o meno frettolosamente e più o meno consapevolmente dietro l’apparente prevalenza di un interesse sugli altri.

    Il rischio di resuscitare le implicite clausole generali o ideali di ordine pubblico dell’ordinamento precostituzionale, o di elevare la salute e la sicurezza pubblica ad autonomi diritti, ipertrofici al punto di fagocitare gli altri, non è mai lontano o inverosimile come potrebbe sembrare; ripercorrere gli approdi lungamente e faticosamente raggiunti non è mai un esercizio vano; appigliarsi con forza agli strumenti consolidati della nostra cultura giuridica liberale è, mai come ora, opportuno e necessario.

    [1] Delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020, recante la “Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, pubblicata in GU Serie Generale n.26 del 1.2.2020.

    [2] Sulle norme che regolano, in questa fase, la continuità dell’operato della giustizia amministrativa, si veda su questa Rivista, www.giustiziainsieme.it, “La giustizia di fronte all’emergenza coronavirus. Le misure straordinarie per il processo amministrativo”, di Fabio Francario.

    [3] Si veda, in questa Rivista, www.giustiziainsieme.it , “La pandemia aggredisce anche il diritto?”, Intervista a Corrado Caruso, Giorgio Lattanzi, Gabriella Luccioli e Massimo Luciani, di Franco De Stefano.

    [4] Cfr. Cons. St., decreti “gemelli” n. 1553 del 30 marzo 2020 e n. 1611 del 31 marzo 2020, nei quali si legge che “la gravità del danno individuale non può condurre a derogare, limitare, comprimere la primaria esigenza di cautela avanzata nell’interesse della collettività, corrispondente ad un interesse nazionale dell’Italia oggi non superabile in alcun modo”, e decreto n. 2028 del 17 aprile 2020, in cui si legge che “la valutazione, quale priorità nazionale, dell’interesse generale alla rigorosa prevenzione anti-Covid19, non consenta di ritenere irragionevolmente compressi, per il periodo della emergenza, diritti, pur rilevanti e fondamentali, dei privati istanti in relazione ad esigenze (quali le modalità di approvvigionamento alimentare, come nel caso di specie) che ovviamente possono essere regolate quanto ai tempi e criteri, nell’interesse collettivo sicuramente prevalente su quello individuale”.

    [5] La prima delle condizioni per cui sia assicurata ai singoli la libera fruizione dei diritti loro riconosciuti dall’ordinamento è l’incolumità, elemento che accomuna salute e sicurezza attraverso la componente di fisicità implicita in quest’ultimo concetto. Sul tema, ampiamente, si veda Denninger E., Cinque tesi sull’architettura della sicurezza, in particolare dopo l’11 settembre 2001, in Sicurezza e stato di diritto: problematiche costituzionali, a cura di Baldini V., Cassino, 2005, 37 e ss.

    [6] Denninger E., Diritti dell’uomo e legge fondamentale, Torino, 1998, 38, per cui l’idea di un diritto fondamentale alla sicurezza suona quasi come la minaccia di “una procura in bianco affidata allo stato per ogni possibile intervento sulla libertà”. Ancora, con riferimento al dibattito sull’esistenza di un diritto alla sicurezza pubblica in Francia, si è scritto che l’accento posto sulla sicurezza all’interno dell’agenda politica a partire dagli anni ’70 è venuto dalla destra, ed ha avuto l’effetto di giustificare, in nome della sicurezza, un controllo della polizia in ambiti in cui gli era precluso in nome della libertà Lepineux B., Approche institutionnelle de l’ordre public: les fondements idéalistes de la notion à l’épreuve de son contenu réaliste, Clermont-Ferrand, 2008.

    [7]Sia pure comunemente ritenute accezioni circostanziate dell’ordine pubblico”, Famiglietti F., La sicurezza pubblica come interesse unitario. Aspetti problematici di un’organizzazione federalistica della “pubblica sicurezza”, in Sicurezza e stato di diritto, problematiche costituzionali, a cura di Baldini V., Cassino 2005 , 277.

    [8] Significativo è che il riaffermarsi in sede costituzionale dei diritti di libertà è accompagnato da una (nuova) frammentazione della nozione di ordine pubblico o, addirittura, da una sua espunzione dal testo, almeno fino alla l. cost. 2/2001, quasi che l’associazione col fascismo e con l’uso indiscriminato di tale concetto al fine di comprimere le libertà fosse così forte da renderlo ripugnante in seno all’Assemblea costituente. Una ricostruzione del dibattito sul tema in seno all’Assemblea Costituente è riportata da Corso G., voce Ordine pubblico nel diritto amministrativo,  in Dig. disc. pub., Torino 1995, X, 438, in cui l’autore analizza la vicenda dell’art. 19 (libertà di culto) e dell’art. 17 (libertà di riunione) testimoniando come la locuzione “ordine pubblico”, originariamente inserita, sia stata poi espunta perché giudicata “pericolosa” e sostituita dalle formulazioni che oggi conosciamo.

    [9] La giurisprudenza costituzionale ha in qualche modo ripristinato un limite di portata generale alle libertà costituzionali, recuperando una nozione unitaria di ordine pubblico che renda per così dire fungibili i singoli limiti posti in Costituzione; si vedano le sentenze della n. 168/1971, n. 218/1988, n. 1013/1988, n. 115/1995.

    [10] La stessa Corte Costituzionale si è preoccupata di qualificare tale concetto di ordine pubblico in senso democratico: si vedano le sentenze n. 1/1956, n. 121/1957, n. 38/1961, n. 48/1964, n. 49/1965, n. 129/1970, 138/1985.

    [11] Così Corso G., voce Ordine pubblico nel diritto amministrativo,  cit., 441.

    [12] Nei Trattati, sicurezza e ordine pubblico – da intendersi secondo le accezioni proprie di ogni Stato membro - sono menzionati ripetutamente come cause di eccezione all’applicazione della disciplina comunitaria della libera circolazione, in favore delle discipline nazionali. Quel che tali norme intendono riconoscere agli Stati è, in definitiva, un “margine di apprezzamento”, e non la totale libertà in materia, proprio perché “non si può […] negare che la nozione di ordine pubblico varia da un paese all’altro e da un’epoca all’altra”, C. Giust., causa 41/74, Yvonne Van Duyn c. Home Hoffice, punto 18 della motivazione. Cfr. anche ANGELINI F., voce Ordine pubblico nel diritto comunitario, in Dig. disc. pub., Torino 1995, Agg., 504.

    [13] La Corte si preoccupa di qualificare l’ordine pubblico comunitario in senso democratico, richiamando il rispetto dei principi democratici e dei diritti fondamentali così come garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, fin dalla sentenza 14 maggio 1974, causa 4/73, Nold, Racc., 1974, 491.

    [14] C. Giust., causa 36/75, Roland Rutili c. Ministre de l’Intérieur, Racc., 1975, 1219. La Corte richiama espressamente la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, agli artt. 8, 9, 10, 11 e all’art. 2 del quarto protocollo, secondo i quali le restrizioni apportare, per esigenze di sicurezza ed ordine pubblico, ai diritti che tutelano, non possono eccedere quanto necessario a garantire tali esigenze “in una società democratica” (punti 31 e 32 della motivazione).

    [15] Vedi, a titolo esemplificativo, C. Giust., causa 231/83, Cullet e Chambre sindacale des rèparateur automobiles c. Détaillants de produits pétroliers, Racc., 1985, 305; causa 154/85, Commissione c. Repubblica italiana, Racc., 1987, 2717; causa 352/85, Van Andersteen c. Stato olandese, Racc., 1988, 2805.

    [16] Il sistema CEDU, i Trattati comunitari, le Costituzioni nazionali costituiscono altrettanti “strati”, attraverso i quali un ricco complesso di diritti e libertà ricevono tutela rafforzata. Sul punto, si veda A. Bouveresse, Le pouvoir discrétionnaire dans l’ordre juridique communautaire, Bruylant, Bruxelles, 2010, 16 ss., e dottrina ivi citata, spec. a pp. 22 e 23. La giurisprudenza, nell’elaborare le fonti appena richiamate, ne ha estrapolato ulteriori principi inespressi, contribuendo alla perdita di centralità della legislazione ordinaria. È questa seconda tendenza evolutiva che impatta sul principio di legalità. Esso muta, trasformandosi da principio di rispetto della legge a principio di rispetto del diritto in senso lato. Sul punto, si veda S. Cognetti, Profili sostanziali della legalità amministrativa. Indeterminatezza ella norma e limiti della discrezionalità, Milano, 1993 nonché, sul principio di legalità dal punto di vista comparato, S. Flogaitis, La notion de principe de légalité, in Rev. eur. dr. Publ., 1998, X, p. 655 ss. Cfr anche M. D’Alberti, Diritto amministrativo comparato, cit., 41, ed A. Sandulli, La proporzionalità dell’azione amministrativa, Padova, 1998, 13 ss. e 18 ss., e dottrina ivi citata.

    [17] A riguardo, ex multis, V. D. Lochak, La justice administrative, Montchrestien, Paris, 1992, 118, e F. Ledda, L’attività amministrativa, in  Il diritto amministrativo degli anni ’80, Milano, 1987in particolare 89 ss.

    [18] A. Sandulli, La proporzionalità dell’azione amministrativa, cit., 45.

    [19] Si veda, in tal senso, M. D’Alberti, Diritto amministrativo comparato, cit., 128 e 136, che delinea un parallelismo tra democratizzazione del diritto amministrativo italiano a fine ‘800 ed il progressivo ampliamento del sindacato giurisdizionale cui si assiste nel periodo successivo, attraverso il sindacato sui motivi agli estremi inizi del ‘900 e poi negli anni ’30 attraverso il sindacato sulla completezza degli interessi. Si veda anche A. Sandulli, La proporzionalità dell’azione amministrativa, cit., 16 ss., per cui il passaggio dallo stato di diritto allo stato costituzionale ha comportato la necessaria conformità della legge ad una serie di principi fondamentali, ed ha quindi implicato una maggiore elasticità della ponderazione.

    [20] Si rinvia alla ricostruzione di D.U. Galetta, Il principio di proporzionalità quale principio generale dell’ordinamento (Commento a Cons. st., sez. V, 14 aprile 2006, n. 2087), in Giorn. Dir. Amm., n. 10/2006, 1107 ss.

    [21] Si utilizza fin da subito la terminologia di G. Zagrebelsky, Il diritto mite. Legge diritto giustizia, Torino, 1992. Il diritto mite di Zagrebelsky era il diritto dello Stato costituzionale in cui principi e valore svolgano una funzione integrativa delle norme, in contrapposizione con lo Stato di diritto positivista, considerato “organizzazione della coercizione”.

    [22] Riguardo la tripartizione del principio, si veda già D.U. Galetta, Discrezionalità amministrativa e principio di proporzionalità, (nota a Cons. St., sez. V, 18 febbraio 1992, n. 132), in Riv. It. Dir. Pubb. Com., n. 1/1994, pp. 146 ss.

    [23] La tripartizione ha origine nel diritto tedesco di polizia, e si è diffusa negli altri paesi grazie all’elaborazione della corte di Giustizia delle Comunità Europee. Cfr. A. Sandulli, La proporzionalità dell’azione amministrativa, cit., 66. Nello stesso testo, si trova anche una compiuta indicazione bibliografica della dottrina tedesca (pp. 1 ss. e 58 ss.). Si veda pure D.U. Galetta, Principio di proporzionalità e sindacato giurisdizionale nel diritto amministrativo, Milano, 1998, 20 ss.

    [24] Tale concetto di giustizia non è da intendersi in senso giusnaturalistico, bensì come componente immanente al concetto di diritto. Cfr. a riguardo R. Alexy, Concetto e validità del diritto, Torino, 1997. Individua questo concetto come base filosofica per lo sviluppo del principio J. Schwarze, Droit administratif européen, Bruylant, Bruxelles, 2009, 723. Ancora, sul concetto di giustizia sostanziale cfr. C. Perelman, Traité de l’argumentation: la nouvelle rhétorique, Parigi, 1958. L’Autore afferma che il giudice, nella decisione del caso concreto, è orientato da due direttrici: il contenuto precettivo della norma e l’”equità”. Si veda anche N. Bobbio, Perelman e Kelsen, in Diritto e potere, Saggi su Kelsen, Napoli, 1992, 179 ss..

    [25] Si veda, per tutti, P.G. Jaeger, Valutazione comparativa di interessi e concorrenza sleale, in Rivdirind1970, I, 7 ss.

    [26] S. Cognetti, Principio di proporzionalità: profili di teoria generale e di analisi sistematica,Torino, 2010, 16 ss.

    [27] Per l’evoluzione italiana, in prospettiva storica, si veda M. D’Alberti, Diritto amministrativo comparato, cit., 136, che riporta il caso Concetti, C.d.S., sez. IV, 10 settembre 1926.

    [28] La dottrina degli anni ’30 del secolo scorso ha definito l’apprezzamento discrezionale come “comparazione qualitativa e quantitativa degli interessi pubblici e privati, in modo che ciascuno di essi venga soddisfatto secondo il valore che l’autorità ritiene abbia nella fattispecie”: M.S. Giannini, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, cit, 73. Sulla genesi di quell’impostazione, si veda anche M. D’Alberti, Intervista a M.S. Giannini, Discrezionalità amministrativa e pluralismo, in Quaderni del pluralismo, 1984, 2, 104.

    [29] Migliarese F., voce Ordinanze di necessità, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 2004 XXII, p. 3.

    [30] V. le sentenze della Corte costituzionale nn. 8/1956 e 26/1961. Per un approfondimento sulla giurisprudenza sul tema, v. Caia G., L’ordine e la sicurezza pubblica, in Trattato di diritto amministrativo a cura di Cassese S., Milano, Giuffrè, 2003, I, p. 301.

    [31] La direzione seguita dalla Corte - ed accolta dalla maggior parte della dottrina - è pacificamente ritenuta suscettibile di estensione a tutte le ordinanze di necessità, anche se pronunciata in riferimento specifico all’art. 2 TULPS, e tende a salvare le ordinanze di necessità e urgenza da accuse di totale incostituzionalità, dichiarandole compatibili con l’assetto costituzionale purché si attengano ad una serie di canoni elaborati dalla Corte stessa: “efficacia limitata nel tempo in relazione ai dettami della necessità e dell’urgenza, adeguata motivazione, efficace pubblicazione nei casi in cui il provvedimento non abbia carattere individuale, conformità del provvedimento stesso ai principi dell’ordinamento giuridico”, C. cost. sent. n. 8/1956.

    [32] Cavallo Perin R., Romano A., Commentario breve al testo unico sulle autonomie locali, Padova, 2006, p. 54.

    [33] Sulla necessità di riportare al contesto dell’attuale ordinamento giuridico la discussione sulle ordinanze di necessità, mossa necessaria per evitare le perplessità che altrimenti sorgerebbero in relazione ad alcune impostazioni, Rescigno G.U., voce Ordinanza e provvedimenti di necessità, in NN.D.I., Torino, 1998, 92, che suggerisce di trascurare la trattazione delle ordinanze quali erano prima della Costituzione e quali “purtroppo molto spesso in dispregio della Costituzione continuano ad essere”.

    [34] Cavallo Perin R., Romano A., Commentario breve, cit., pp. 369 ss., anche per un’analisi di casi giurisprudenziali specifici.

    [35] Si rimanda a Rescigno G.U., voce Ordinanza e provvedimenti di necessità, cit., pp. 101-103, per un approfondimento ulteriore delle questioni di cui si è dibattuto e di quelle che, a questo punto, sembrerebbero prospettarsi, in primis l’individuazione, nel sindacato sul presupposto per l’esercizio del potere, del limite tra la legittimità e il merito.

    [36] Riguardo la possibilità di derogare ai principi procedimentali in materia di motivazione, in relazione ai provvedimenti straordinari ed urgenti, si veda Cerase M., Ordinanze di urgenza e necessità, cit., p. 3990.

    [37] Sul punto, il Cons. St., nei decreti n. 01553 del 30 marzo 2020 e N. 01611 del 3 marzo 2020, non ha ritenuto di spendere alcuna parola, essendo del resto la questione assorbita dalle ragioni del rigetto, basato sulla mancanza dei requisiti di gravità ed irreparabilità del danno lamentato, e quindi sulla mancanza di periculum in mora.

    [38] Si vedano ancora i decreti del Consiglio di Stato n. 01553 del 30 marzo 2020 e n. 01611 del 3 marzo 2020: si tratta, in entrambi i casi, di decisione originata da un’istanza di sospensione dell’ordinanza sindacale con cui era stato imposto l’isolamento o quarantena ad un lavoratore agricolo, adottata a seguito di una non precisata violazione da parte di questo di un’ordinanza regionale (provvedimenti sulla cui legittimità non c’è in questa fase spazio per soffermarsi, ma rispetto ai quali si rimanda a “Sull’uso (e abuso) delle ordinanze emergenziali regionali”, Intervista di Filippo Ruggiero a Antonio Bartolini, su questa Rivista, www.giustiziainsieme.it). Il Consiglio di Stato ha ritenuto ammissibile l’appello, posto che gli interessi lesi avevano ad oggetto libertà costituzionalmente garantite (essendo altrimenti esclusa l’appellabilità di decreti monocratici) ma lo ha rigettato nel merito, per mancanza dei requisiti di gravità ed irreparabilità del danno.


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