Diritto e società
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Nei programmi elettorali sulla giustizia è sparito il PNRR e manca il futuro

Nei programmi elettorali sulla giustizia è sparito il PNRR e manca il futuro

di Claudio Castelli

Da una lettura dei programmi elettorali sul tema giustizia la prima inevitabile impressione che si trae è che la giustizia sia un tema del tutto secondario che in genere si può liquidare con pochi slogan o addirittura (come avviene in alcuni casi) ignorare. La seconda considerazione davvero sorprendente è che il PNRR per la giustizia con i suoi ambiziosi obiettivi ed i suoi cospicui investimenti (in primis l’ufficio per il processo) è sparito, cui ci si limita a qualche cenno.

È l’emblema di un atteggiamento sulla giustizia, settore estremamente complesso e che non si presta a semplificazioni, che viene affrontato più con slogan e parole magiche, che pretendono di avere la capacità taumaturgica di risolvere tutte le questioni esistenti, che con un’analisi seria della realtà specificando le azioni e gli interventi concreti che si vogliono porre in atto.

Continuiamo a sentir declamare la necessità di una “riforma della giustizia”, facendo finta di ignorare che di riforme della giustizia ne abbiamo già avute almeno 5 o 6 negli ultimi quindici anni, senza che nessuno si premuri di andare a vedere gli esiti che hanno avuto, se abbiano avuto risultati, se abbiano fallito e le ragioni di successi e insuccessi. Così si riparte sempre da zero con un’ottica fondamentalmente ideologica e propagandistica.

Si continua ad abusare della parola “riforma” che si continua a invocare, quasi mai spiegando in che direzione si vuole andare, non essendo di per sé il cambiamento foriero di miglioramenti e soprattutto senza mai confrontarsi con l’esito delle riforme precedenti che magari la stessa forza politica ha sponsorizzato e realizzato, senza evidentemente avere mai raggiunto gli obiettivi proposti.

Il problema è che è molto più facile lanciare slogan o parole magiche con la pretesa che di per sé risolvano i problemi, rispetto ad affrontarli in concreto con pazienza, umiltà e conoscenza della realtà degli uffici giudiziari e dell’avvocatura. Servono (anche) riforme normative, ma soprattutto un’analisi della realtà, delle forti differenze territoriali esistenti, per estendere le pratiche migliori e per finalizzare investimenti mirati, interventi organizzativi, formazione e accompagnamento allo change management. Nulla è di per sé risolutivo, bisogna operare su più canali con una visione complessiva ed una strategia condivisa. Anche se quest’opera, l’unica che può essere produttiva, è difficilmente riducibile a slogan e parole d’ordine appetibili.

Così continuiamo a passare da una riforma epocale a quella successiva senza l’elaborazione di una visione complessiva e senza la consapevolezza che gli interventi normativi devono essere accompagnati sul campo   da misure organizzative e dalle necessarie risorse.

Inoltre è davvero singolare ed allarmante come gli ambiziosi progetti sulla giustizia contenuti nel PNRR e su cui si sta lavorando da oltre un anno siano praticamente ignorati, quasi che il complessivo disegno di assunzioni per l’Ufficio per il processo, di assunzioni di personale tecnico, di modifiche processuali e di coinvolgimento dell’Università sia irrilevante o vada abbandonato.

Ma vi è un ulteriore dato di fondo negativo: la giustizia è in genere vista più come un ostacolo o un impaccio che come una grande potenziale risorsa per il Paese. Quando l’idea di fondo con cui si doveva e poteva uscire dalla pandemia, anche grazie alla disponibilità di fondi per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, mediante il pacchetto di misure europeo del Next Generation EU, era di far sì che il sistema della giustizia italiana si potesse trasformare da “zavorra” del sistema sociale ed economico del nostro Paese in volano e risorsa per il suo sviluppo e la sua trasformazione.

Ma questo vorrebbe dire farsi carico di due enormi problemi che si interconnettono e che in realtà sono le sfide dei prossimi anni ovvero l’impatto che potrà avere l’intelligenza artificiale nei nostri sistemi giuridici e la crisi delle professioni giuridiche. L’intelligenza artificiale e la digitalizzazione potranno essere il volano per un salto di qualità garantendo maggiore celerità e qualità, oppure significare la progressiva sostituzione degli esseri umani, professionisti o magistrati, con sistemi automatizzati facendo perdere ogni umanità della decisione e facendo esplodere la crisi che già oggi alcune professioni giuridiche vivono (a partire dagli avvocati e dagli ufficiali giudiziari) esportandola a tutte le professioni giuridiche.

Quello che manca da anni nel dibattito sulla giustizia è l’elaborazione di una visione prospettica complessiva, che ragioni in termini di mesi e di anni, e non di giorni, di una prospettiva di cambiamento che davvero tocchi gli elementi arcaici, di blocco ed anacronistici della cultura e dell’organizzazione della giurisdizione. Manca un piano che declinato su più dimensioni innovi la cultura, i comportamenti e le azioni dell’agire strategico e quotidiano della giustizia. Le soluzioni che vengono riproposte per l’ennesima volta (riforma dei riti, riforme ordinamentali, assunzioni meramente quantitative), oltre ad aver più volte evidenziato la loro insufficienza, rivelano anche una profonda sfiducia nella giustizia e nei suoi attori e sono probabilmente perfette per la propaganda, ma del tutto inadeguate.

Se poi vediamo nel concreto la proposta della coalizione che viene ritenuta probabilmente maggioritaria, si riduce a tre assunti tutti su ordinamento e processo, ci rendiamo conto come guardiamo ad un passato non commendevole e non ad un futuro di reale cambiamento.

- Riforma della giustizia e dell'ordinamento giudiziario: separazione delle carriere e riforma del CSM.

- Riforma del processo civile e penale: giusto processo e ragionevole durata, efficientamento delle procedure, stop ai processi mediatici e diritto alla buona fama.

- Riforma del diritto penale: razionalizzazione delle pene e garanzia della loro effettività, riforma del diritto penale dell'economia, interventi di efficientamento su precetti e sanzioni penali.

Ancora una volta tutto viene ridotto a intervenire sulla magistratura e sui codici, con proposte nel contempo estremamente generiche e che stravolgono gli attuali assetti costituzionali. Si parte sempre da luoghi comuni come se la giustizia fosse all’anno zero, senza tener conto dei forti, anche se ancora insufficienti, miglioramenti avuti in questi anni: tempi medi costantemente in calo sia nel settore civile che in quello penale, pendenze civili dimezzate negli ultimi dieci anni, una quota rilevante di uffici (circa un quarto) che ha performance europee.

Da qui occorrerebbe partire perché far funzionare la giustizia e garantire tempi ragionevoli.  Un salto di qualità è possibile, ma questo non si può ottenere con un approccio ideologico e sostanzialmente ostile alla magistratura, ricominciando ogni volta daccapo, invece occorre partire dai risultati avuti, responsabilizzando e motivando tutti gli operatori, ottimizzando le risorse e poi investendo per darsi obiettivi ambiziosi per cambiare funzionamento e percezione della giustizia.

Si può ridare un futuro e una speranza di giustizia e per la giustizia, ma con un approccio radicalmente diverso.             

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