Diritto e società
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Doveri dell’uomo da Mazzini ad oggi: opinioni a confronto. Alessandro Morelli

Doveri delluomo da Mazzini ad oggi: opinioni a confronto*

*Editoriale

Intervista di Roberto Conti a Alessandro Morelli

1. Prof. Morelli, secondo Lei, il nostro tempo ha bisogno di tornare a riflettere sui doveri dell’uomo, tema assai caro a Giuseppe Mazzini che ad esso dedicò il suo celebre saggio? 

A partire soprattutto dai primi decenni del nuovo millennio si è iniziato a ripetere da più parti che, a fronte di un’ormai vastissima letteratura sui diritti, mancava un’elaborazione teorica altrettanto estesa e approfondita riguardo ai doveri. Limitando l’attenzione agli studi costituzionalistici, nei decenni precedenti, per la verità, erano state prodotte importanti opere scientifiche sulla categoria dogmatica dei doveri costituzionali o su specifiche situazioni giuridiche passive previste dalla Costituzione: si pensi soltanto al Contributo allo studio dei doveri costituzionali di Giorgio Lombardi, pubblicato nel 1967; al libro, uscito l’anno successivo, di Carmelo Carbone dal titolo I doveri pubblici individuali nella Costituzione; alla monografia di Luigi Ventura su La fedeltà alla Repubblica del 1984, o ancora a quella di Salvatore Prisco, dal titolo Fedeltà alla Repubblica e obiezione di coscienza. Una riflessione sullo Stato “laico”, del 1986. La quantità di studi dedicati alla tematica dei doveri e l’attenzione riservata a quest’ultima da parte della dottrina non erano però minimamente paragonabili a quelle relative ai diritti. Gli anni in cui si esprimeva tale istanza di maggiore attenzione per i doveri (e per il connesso principio di solidarietà) erano probabilmente gli ultimi scorci di quell’“età dei diritti”, parlando della quale Norberto Bobbio, nel 1990, aveva ammonito sulla necessità di non fermarsi alla mera proclamazione, in trattati e carte, dei diritti stessi ma di agire convintamente per la loro concreta attuazione.

L’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001 e la stagione del terrorismo di matrice islamista dallo stesso inaugurato, prima, e la crisi finanziaria ed economica esplosa nel 2008, poi, avevano già dimostrato la necessità di riscoprire il ruolo fondamentale dei doveri inderogabili di solidarietà come elementi strutturanti la dimensione istituzionale della democrazia pluralista. Successivamente, la pandemia da Covid-19 ha finito con il ribaltare, nella vita sociale, il rapporto tra diritti e doveri, i primi risultando sempre più direttamente condizionati dall’adempimento dei secondi (e, soprattutto, dagli obblighi imposti dalla necessità di salvaguardare la salute collettiva in un contesto emergenziale). Il conflitto in Ucraina e i rischi di un’escalation bellica che potrebbe coinvolgere direttamente anche i Paesi europei riportano in primo piano doveri come quello di difesa della Patria (“sacro” per l’art. 52 della nostra Costituzione) e quello di fedeltà alla Repubblica.

Stiamo, dunque, entrando nell’“età dei doveri”? Direi che ci siamo già da un po’. La categoria dei doveri dell’uomo, alla quale faceva riferimento Mazzini, evoca oggi, per la sua connotazione universalista, la prospettiva della responsabilità intergenerazionale e gli interessi delle generazioni future, che dopo l’introduzione in Costituzione, nel 2012, dei principi dell’equilibrio di bilancio e della sostenibilità del debito pubblico, hanno trovato di recente un ulteriore, importante riconoscimento con la revisione degli articoli 9 e 41 della Costituzione: nel primo dei due, in particolare, si è introdotta la previsione secondo cui la Repubblica “tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”.

2. Per Mazzini i doveri dell’uomo sono quelli che consentono di trovare il punto di equilibrio fra i diversi diritti. È attuale la sua ricostruzione e quanto essa deve misurarsi con il concetto di bilanciamento dei diritti, con la dottrina della atirannicità dei diritti umani?

La riflessione mazziniana sul rapporto tra diritti e doveri si inquadra in una visione fortemente spirituale, orientata dall’idealismo romantico e connotata da una potente istanza etica. Nei Doveri dell’uomo Mazzini si chiede: “Certo, esistono diritti; ma dove i diritti d’un individuo vengono a contrasto con quelli d’un altro, come sperare di conciliarli, di metterli in armonia, senza ricorrere a qualche cosa superiore a tutti i diritti?”. L’equilibrio può essere assicurato “in nome della Patria, della Società, della moltitudine dei vostri fratelli!”. Si postula, pertanto, una superiorità morale dei doveri (verso l’umanità, la patria, la famiglia) sui diritti, che invero appare estranea all’odierna dottrina del bilanciamento, la quale, sullo sfondo di una concezione pluralistica della società e della politica, presuppone, innanzitutto, l’eguale dignità costituzionale dei diritti inviolabili dell’uomo e dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, prevedendo che la risoluzione delle collisioni tra diritti avvenga nei casi concreti e non in astratto, salvaguardando pur sempre il “contenuto essenziale” di ciascun diritto. Come ha detto la Corte costituzionale, “tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre ‘sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro’ (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe ‘tiranno’ nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona” (sentenza n. 85 del 2013). Nessun diritto fondamentale, pertanto, è superiore agli altri, così come nessun dovere si erge a criterio ultimo di risoluzione delle collisioni tra i diritti (il che ne farebbe un principio “tirannico”, secondo la nota espressione schmittiana, ripresa dalla Corte costituzionale). Diversa è, come ho detto, la visione di Mazzini, animata da una forte tensione spirituale verso l’unità nazionale.

3. Mazzini, ad un certo punto si chiede: E dove i diritti di un individuo, di molti individui, vengono in contrasto coi diritti del paese, a che tribunale ricorrere? In questa domanda si coglie secondo Lei la diversità netta fra diritti e doveri dell’uomo? Oppure si tratta di una domanda retorica, che presuppone l’assenza di una risposta in chi la pone? Ed ancora, esiste un piano diverso e non sovrapponibile, in punto di tutela, fra l’attuazione dei diritti umani e quello dei doveri?

Mazzini risponde alla domanda subito dopo, nel passo richiamato, evocando appunto i doveri verso la patria, la società e la moltitudine dei fratelli. Egli aggiunge: “Cos’è la Patria, per l’opinione della quale io parlo, se non quel luogo in cui i nostri diritti individuali sono più sicuri? Cos’è la Società, se non un convegno d’uomini, i quali hanno pattuito di mettere la forza di molti in appoggio dei diritti di ciascuno?”. Forse anche per la vena polemica del pamphlet mazziniano, dedicato agli operai italiani e scritto contro le opinioni di quelle “scuole rivoluzionarie” che, fino a quel momento, avevano esaltato i diritti, predicando la ricerca della felicità con tutti i mezzi senza però migliorare concretamente la condizione del popolo, Mazzini colloca decisamente in una posizione di superiorità gerarchica i doveri rispetto ai diritti. Come ho ricordato, non esiste, invece, alcuna gerarchia del genere nella dimensione dell’attuale Stato costituzionale, dove, peraltro, non è dato riscontrare nemmeno un rapporto di corrispondenza biunivoca tra diritti e doveri.

Una differenza importante, però, può cogliersi nella diversa struttura delle situazioni giuridiche soggettive attive e passive e nella maggiore facilità delle prime di trovare protezione attraverso gli strumenti giurisdizionali. L’adempimento dei doveri, soprattutto di quelli inderogabili di solidarietà, non sempre è sanzionabile e giustiziabile: si pensi soltanto ai doveri di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione, quest’ultimo soprattutto quando si tratti di previsioni normative rivolte ad attori istituzionali, per la cui violazione non risulta agevole il ricorso alla Corte costituzionale.  

4. Antonio Ruggeri, più volte impegnato nella ricostruzione della teoria dei diritti fondamentali, nel delineare la struttura complessa dei diritti fondamentali ha sostenuto che essa, “riguardata sotto la luce della dignità, appare essere composita, in ciascun diritto e in tutti assieme, nel loro fare “sistema” e porsi al servizio della dignità, potendosi a mia opinione cogliere una componente deontica, resa palese dall’osservazione delle relazioni che l’individuo intrattiene con gli altri individui e l’intera società, conformandosi al canone della solidarietà (art. 2 cost.). La componente in parola è, ancora prima e di più, singolarmente evidente proprio nella dignità, da cui quindi si alimenta e per il cui tramite si diffonde, beneficamente contagiandoli, agli “altri” diritti fondamentali.”

La componente deontica dei diritti fondamenti ai quali Ruggeri accenna riconduce tutti i diritti alla dignità umana. Mazzini, per converso, sembra individuare nei Doveri dell’uomo la colla che tiene uniti i diritti per una comunità che diventa Stato. Così almeno sembra fare quando osserva che occorre “trovare un principio educatore superiore a siffatta teoria (quella dei diritti n.d.r.) che guidi gli uomini al meglio, che insegni loro la costanza nel sacrificio, che li vincoli ai loro fratelli senza farli dipendenti dall’idea d’un solo o dalla forza di tutti”. Quanto secondo Lei questa prospettiva si ritrova nell’art. 2 Cost. allorché si sofferma sui doveri di solidarietà e quanto se ne differenzia e quanto le due prospettive sono realmente fra loro diverse? E ancora, a suo giudizio, può dirsi che la Carta costituzionale sia, almeno in parte, debitrice nei riguardi della lezione mazziniana sui doveri, specie per ciò che concerne il rilievo centrale assegnato al principio di solidarietà?

Per quanto riguarda l’ispirazione mazziniana dell’art. 2 Cost., basti ricordare che nella sua Relazione al progetto di Costituzione, presentata alla Presidenza dell’Assemblea Costituente il 6 febbraio 1947, il presidente della Commissione dei settantacinque Meuccio Ruini, commentando il contenuto dell’art. 6 (poi trasfuso, con modifiche, nell’art. 2 del testo definitivo), rilevò come le enunciazioni sui doveri si accompagnassero “mazzinianamente a quelle dei diritti”: “contro la concezione tedesca che riduceva a semplici riflessi i diritti individuali, – sottolineò ancora Ruini – diritti e doveri avvincono reciprocamente la Repubblica ed i cittadini. Caduta la deformazione totalitaria del ‘tutto dallo Stato, tutto allo Stato, tutto per lo Stato’, rimane pur sempre allo Stato, nel rispetto delle libertà individuali, la suprema potestà regolatrice della vita in comune”. E ancora, citando Mazzini, secondo cui “lo Stato non è arbitro di tutti, ma libertà operante per tutti, in un mondo il quale, checché da altri si dica, ha sete di autorità”, il Presidente puntualizzava che “spetta ai cittadini di partecipare attivamente alla gestione della cosa pubblica, rendendo effettiva e piena la sovranità popolare. Spetta alla Repubblica di stabilire e difendere, con l’autorità e con la forza che costituzionalmente le sono riconosciute, le condizioni di ordine e di sicurezza necessarie perché gli uomini siano liberati dal timore e le libertà di tutti coesistano nel comune progresso”.

Il legame, complesso ma indissolubile, tra diritti inviolabili e doveri inderogabili, mediato dal principio di solidarietà, deve molto, pertanto, al monito mazziniano, pur colorandosi di una connotazione originale, conferitale dall’ispirazione pluralistica della Carta repubblicana. Nell’attuale stagione il rischio maggiore che corriamo è quello di definire in una prospettiva riduzionistica tale rapporto, intendendo i diritti soltanto come situazioni giuridiche subordinate o riflesse rispetto ai doveri. L’individuazione, da parte del prof. Ruggeri, di una “componente deontica” anche nei diritti fondamentali coglie efficacemente l’esigenza di tenere ben presente la complessità della trama ordinamentale, che nel rapporto tra diritti e doveri trova un suo snodo centrale. Specularmente, tuttavia, si potrebbe individuare anche una componente di volontarietà nello stesso adempimento dei doveri, non già nel senso che il rispetto di questi ultimi sia giuridicamente facoltativo (sarebbe un’evidente contraddizione) ma in quello per cui soltanto un’effettiva e intima adesione ai valori di cui quei doveri sono espressione può assicurare un pieno ed efficace adempimento degli stessi. In tal senso la lezione mazziniana mostra, a mio avviso, i suoi tratti di maggiore attualità laddove sottolinea l’importanza dell’educazione ai fini della sopravvivenza dei valori alla base della convivenza civile.

Esemplari sono le pagine dei Doveri dedicate alla distinzione e al rapporto tra istruzione ed educazione: la prima, che si traduce nell’insegnamento di nozioni, scrive Mazzini, “differisce dall’educazione quanto i nostri organi differiscono dalla nostra vita”. Gli organi non sono la vita, ma ne costituiscono gli strumenti e i mezzi di manifestazione: essi “non la signoreggiano, non la dirigono: possono tradurre in fatti la vita la più santa o la più corrotta. Così l’istruzione somministra mezzi per praticare ciò che l’educazione insegna: ma non può tener luogo dell’educazione”. Quest’ultima, invece, si rivolge alle facoltà morali e sviluppa nell’uomo la conoscenza dei suoi doveri, mentre l’istruzione si indirizza alle facoltà intellettuali e rende l’uomo capace di praticare i doveri medesimi.

L’istruzione slegata da un corrispondente grado di educazione è, per Mazzini, una gravissima piaga che conserva le diseguaglianze tra le classi sociali del popolo e “inchina gli animi al calcolo, all’egoismo, alle transazioni fra il giusto e l’ingiusto, alle false dottrine”.

In una prospettiva prossima, da questo punto di vista, al pensiero mazziniano, ho argomentato, in altre sedi (e, in particolare, nel mio I paradossi della fedeltà alla Repubblica, Milano, 2013), che esiste una stretta correlazione tra il dovere di fedeltà alla Repubblica, riconosciuto dall’art. 54 Cost., e il dovere di istruzione previsto dall’art. 34 della Carta, che, dopo avere riconosciuto, al primo comma, il principio per cui la scuola è “aperta a tutti”, stabilisce, al secondo comma, che “l’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”. Se, infatti, si intende il dovere di fedeltà come il vincolo gravante su ogni cittadino a concorrere solidalmente ad assicurare la continuità dell’ordinamento repubblicano nell’identità dei suoi principi ispiratori e se si riconosce che questi ultimi costituiscono un portato culturale che deve essere conosciuto per poter essere apprezzato e promosso, appare evidente come l’istruzione e, ancor più l’educazione, rappresentino condizioni necessarie, anche se non sufficienti, alla sopravvivenza della democrazia pluralista. L’educazione (civica), d’altro canto, non può e non deve tradursi in un indottrinamento; se lo facesse, finirebbe con il tradire gli stessi principi posti a base dell’ordinamento repubblicano: la libertà di coscienza e la capacità di autodeterminazione della persona. L’educazione, piuttosto, deve tendere a sensibilizzare sul valore della diversità e della pluralità, mostrando come i processi di costruzione dell’identità individuale e di quella collettiva non possano mai prescindere dagli altri.   

5. Il collegamento che Mazzini fa dei doveri a Dio come deve intendersi e quanto è secondo Lei oggi attuale in una società intesa come laica per Costituzione? E per altro verso, la radice divina che sembra potere orientare l’uomo verso la legge giusta o ingiusta che pure traspare dalle pagine mazziniane è ancora oggi attuale quando si parla di disobbedienza civile alle leggi in nome di valori fondamentali?

Non c’è separazione tra politica e religione nel pensiero mazziniano, al tempo stesso così accentuatamente intriso di spiritualismo e anticlericalismo. Da questo punto di vista, la distanza rispetto all’etica repubblicana dell’ordinamento costituzionale vigente sembrerebbe notevole.

E, tuttavia, la dimensione ideale entro cui si colloca la Costituzione – anche per la pluralità delle sue matrici culturali, le principali delle quali furono quelle cattolica, marxista e liberale – non è certo d’ispirazione materialista: si pensi soltanto alla vocazione universalistica del riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo, contenuto nell’art. 2, o al riferimento al “progresso spirituale della società”, accanto a quello “materiale”, verso cui possono tendere le attività e le funzioni che ogni cittadino ha il dovere di svolgere (art. 4). Ma si guardino anche le norme che riconoscono l’eguale libertà di tutte le confessioni (art. 8), il regime concordatario (art. 7) e la libertà di religione.

Non sorprende, pertanto, che la Corte costituzionale abbia da tempo riconosciuto, nonostante la carenza di una previsione espressa, la vigenza della libertà di coscienza, come diritto inviolabile, anche nel nostro ordinamento, sulla base del combinato disposto degli artt. 2, 19 e 21 Cost. (sent. n. 467 del 1991). La connotazione pluralistica e laica della nostra legge fondamentale si coniuga, pertanto, con una tensione spirituale insita nello stesso portato del principio personalista, che ispira l’intera trama normativa della Costituzione: il soddisfacimento delle istanze spirituali è, infatti, una declinazione essenziale di quel “pieno sviluppo della persona umana” di cui parla il secondo comma dell’art. 3.

6. “Quand’io dico, che la conoscenza dei loro diritti non basta agli uomini per operare un miglioramento importante e durevole, non chiedo che rinunziate a questi diritti; dico soltanto che non sono se non una conseguenza di doveri adempiti, e che bisogna cominciare da questi per giungere a quelli.” Così Mazzini. Nel nostro tempo, secondo Lei, come può concretizzarsi questa riflessione?

Il passo mazziniano suscita una riflessione sul dominio che fino all’inizio del nuovo millennio, non soltanto nell’ambito dell’elaborazione dottrinale ma anche in quello del dibattito pubblico, hanno avuto i diritti rispetto ai doveri. Si è assistito, per tutta la seconda metà del Novecento, a una proliferazione di “nuovi diritti”, sovente inventati o scoperti da giudici e corti nazionali e sovranazionali. Anna Pintore ha parlato, in tal senso, di “diritti insaziabili”, per indicare proprio questa tendenza alla moltiplicazione potenzialmente illimitata di situazioni giuridiche attive, tutte (o quasi) considerate meritevoli di protezione di rango costituzionale. Un fenomeno che è andato di pari passo con l’affermazione sempre più decisa della giurisdizione nelle dinamiche istituzionali degli Stati democratici.

Negli ultimi decenni, come si è detto, la situazione sembrerebbe essere cambiata e il rapporto tra diritti e doveri parrebbe oggi invertito. Tale mutamento di paradigma, tuttavia, non sembra costituire il portato di un’evoluzione culturale e di una maggiore presa di coscienza della complessità della democrazia pluralista. Al contrario, populismi e sovranismi spingono verso torsioni in senso autoritario delle stesse democrazie contemporanee, sicché l’insistenza sui doveri, in un siffatto clima, più che risultare espressione di una rinnovata istanza solidarista, si colora di inquietanti accenti neo-nazionalisti e illiberali.  

7. Nella nostra società, sempre più plurale, sempre più aperta e porosa verso esperienze sovranazionali e sempre più impegnata nel coltivare la cooperazione fra Paesi diversi, quanto è attuale il concetto mazziniano di Patria? E, per altro verso, il parimenti continuo richiamo all’umanità aiuta a spiegare meglio il significato della prospettiva della doverosità che Mazzini propugna?

Nel quadro internazionale di oggi che vede sempre più intensi i vincoli discendenti da tale principio e interconnesse le relazioni tra gli Stati, ritiene dunque che la lezione mazziniana possa o, addirittura, debba esser motivo d’ispirazione per lo svolgimento delle relazioni stesse, come pure di quelle che si svolgono tra i consociati e tra questi e i pubblici poteri?

Per molti italiani il termine “patria” presenta oggi una connotazione negativa, in quanto esprimente un concetto acquisito al patrimonio culturale di una determinata parte politica, così come, di contro, altri concetti, simboli e riti repubblicani sono normalmente ascritti alla tradizione e alla mitologia politica dell’opposto schieramento (si pensi, per esempio, alla Festa della Liberazione), risultando parimenti sgraditi agli avversari. Scontiamo i danni di una sistematica, reciproca delegittimazione degli attori politici, perpetrata per troppi anni, che ha finito con il logorare lo stesso linguaggio costituzionale, non soltanto impedendo l’affermazione di una religione civile ma minando perfino la coesione sociale e l’unità nazionale. Non soltanto per tale ragione ma anche per una serie di ulteriori fattori sociali, economici e culturali, che non mi è possibile indagare in questa sede, scontiamo una crisi di effettività del principio solidarista, che purtroppo trova riflesso in un analogo deficit a livello sovranazionale (basti pensare al modo ben poco solidale in cui l’Europa continua a gestire il fenomeno migratorio). Da tale punto di vista, i moniti e l’accorato invito all’unità di Mazzini appaiono più attuali che mai. 

8. E infine, la recente riforma degli artt. 9 e 41, con i richiami fatti all’ambiente ed all’ecosistema, la cui salvaguardia viene riconosciuta come espressiva di un principio fondamentale dell’ordinamento, può, a Suo avviso, per la sua parte concorrere a far rivedere sotto una luce diversa dal passato il dovere di solidarietà in parola, in ciascuna delle sue molteplici forme espressive ed in tutte assieme?

La revisione costituzionale degli artt. 9 e 41 della Costituzione, appena approvata, ha notevoli potenzialità, delle quali ho l’impressione che non si sia avuta e non si abbia piena consapevolezza, nemmeno da parte delle stesse forze politiche che l’hanno promossa. Non nascondo di nutrire qualche perplessità su tale riforma, che, per la prima volta, seppure per motivi condivisibili, ha modificato un articolo rientrante tra i principi fondamentali della Carta. Un precedente pericoloso, che potrebbe essere richiamato un giorno per giustificare modifiche solo apparentemente espansive delle tutele costituzionali o addirittura volte a ridurre o a limitare queste ultime; riforme che, dopo la revisione in esame, sarebbero più difficilmente contestabili benché, secondo un’autorevole dottrina, dovrebbero potersi ammettere soltanto revisioni in melius dei principi fondamentali, risultando vietate quelle regressive, dirette a recuperare principi o istituti che i Costituenti intesero negare o vietare (G. Silvestri).

Il riferimento all’“interesse delle generazioni future”, introdotto adesso nell’art. 9, sembrerebbe voler proiettare in una prospettiva diacronica il principio di solidarietà, conferendo alla responsabilità intergenerazionale la dignità di un principio fondamentale. Appare ovvio che l’impatto di una simile innovazione dipenderà dal seguito che le si vorrà dare, dall’attuazione normativa, amministrativa e giurisprudenziale che la riforma avrà.

In un paese nel quale le riforme hanno sempre più una valenza simbolica e un seguito scarso o inesistente, c’è forse ben poco da sperare. E il quadro non appare certo più roseo se si guarda alla prospettiva internazionale, segnata da tragici eventi bellici che rischiano di farci ripiombare nei più cupi incubi novecenteschi. Il pessimismo dell’intelletto, tuttavia, come ammoniva Antonio Gramsci, non preclude l’ottimismo della volontà, anche perché i momenti peggiori della storia sono quelli che consentono di riscoprire nella dignità umana la ragion d’essere e la finalità ultima della stessa solidarietà.

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