Diritto e società
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   Omaggio al Prof.Marongiu, padre nobile dello Statuto dei contribuenti di Roberto Succio

Omaggio al Prof.Marongiu, padre nobile dello Statuto dei contribuenti

di Roberto Succio

Il prof. Marongiu è stato mio docente di diritto tributario nell’a.a.1990/1991 presso l’Università di Genova, in quella che era allora la Facoltà di Giurisprudenza.

Allora le lezioni del suo corso, come degli altri, iniziavano a novembre e terminavano a maggio/giugno; se non ricordo male (tempus fugit) si tenevano nelle mattinate del lunedì e del mercoledì.

Il Professore teneva le lezioni in un’aula piccola: seguivano il suo corso solo una trentina di studenti perché già allora il diritto tributario, per il suo tecnicismo e la sua complessità, forse affascinava pochi. Era come esser tornati al Liceo; il ritmo delle lezioni infatti portava chi seguiva a conoscersi tutti, tra gli studenti; ci si scambiava sovente gli appunti, per controllarne il contenuto e magari per supplire a una lezione mancata a causa di sovrapposizioni con altri corsi o per imprevisti “ferroviari” per chi, come me, viaggiava tra casa e Università con ritmo quotidiano.

Spesso il suo esame, che era facoltativo per gli studenti del terzo/quarto anno del corso, veniva inserito nel piano di studi non senza una certa premeditazione, derivante da una forma di predisposizione perversa (o benedetta, dipende dai punti di vista) per lo studio dei tributi. Infatti, per argomenti e istituti da trattare, “diritto tributario” era assai affine a “scienza delle finanze”, che prevalentemente constava di diritto finanziario, ed era un corso tenuto dal Prof. Magnani. Sia pur con alcune differenze di contenuto e metodo, si potevano affrontare lo studio e fare gli esami in modo parallelo, per ambedue i corsi.

Era però, almeno per me e per altri colleghi, del tutto diversa la sollecitazione che mi spingeva a seguire il suo corso. Intanto, il tam – tam della Facoltà tra studenti riferiva di lezioni avvincenti, quasi romanzesche: il Professore era descritto come un grande narratore della storia dei tributi -(rimando ai suoi volumi “Storia del fisco in Italia. Vol. 1: La politica fiscale della Destra storica (1861-1876)”; “Storia dei tributi degli enti locali (1861-2000)”, il recente “Il fisco e il fascismo”)- e molti di noi, me incluso, subivano ancora fortemente il fascino delle epoche passate.

Inoltre, e soprattutto, le sue lezioni, per analiticità, chiarezza e completezza, ben potevano sostituirsi al manuale adottato; pertanto avevamo la sensazione che una adeguata conoscenza del loro contenuto potesse ben fungere da adeguato usbergo protettivo contro ogni strale possibile in sede d’esame.

A differenza di ora, a quei tempi non si usavano certo le slides e il Professore non predisponeva appunti per sé. La sua lezione presupponeva e manifestava il ricordo perfetto di quanto trattato nella lezione precedente, che era punto di partenza per quella che si accingeva a iniziare e – in qualche occasione – la lettura dei testi normativi. Quando era opportuno citarne letteralmente una porzione a fini didattici, il Professore apriva il corposo codice tributario che portava con sé, rimuoveva gli occhiali e avvicinandosi al testo desiderato (risultando quindi vittorioso sulla sua miopia, come ora faccio anch’io, e pluribus) leggeva quanto necessario alla sua illustrazione del tema.

Questa operazione, però, era sempre preceduta da una sottolineatura, che mi è rimasta indelebile: il Professore rammentava con essa l’importanza del dato legislativo dal quale prender le mosse anche in una materia in cui esso cambia quasi quotidianamente, specialmente con riguardo a quegli elementi autenticamente definitori (il presupposto dei tributi, il concetto di reddito, la nozione di impresa, di base imponibile, e quant’altro). Ed era una sottolineatura verbale precisa: all’atto di rimuovere gli occhiali per reperire il testo normativo, esordiva con un “come loro sanno, l’articolo…..”. Per noi studenti la sottolineatura era duplice: si dava per conosciuto un elemento (e quindi se non lo ricordavamo, immediatamente noi studenti ci appuntavamo la necessità di rivederlo per memorizzarlo) e ci si rivolgeva a noi con il “loro”.

Ora, non credo che ciò derivasse da una mera forma di amore per le parole desuete, almeno non solo.

Ritrovando il Professore qualche anno fa, tra un’udienza e l’altra, ne ho avuto la prova da lui stesso, mentre ci avvicinavamo alla macchinetta del caffè che volle, da genovese atipico, offrimi.

Era un modo istintivo, ma consapevole, per dare conto all’uditorio del rispetto portato, della cura destinata nell’insegnamento, che richiedeva specularmente e giustamente da noi analogo rigore nello studio in preparazione all’esame; era indice dell’attenzione alla meticolosa chiarezza espositiva a fronte della quale egli esigeva dagli studenti, in modo sinallagmatico, il giusto approfondimento degli argomenti e la loro padronanza in sede di esame.

Certo, l’espressione ottocentesca in parola lo aveva in almeno un caso posto a rischio di divertenti fraintendimenti.

Mi raccontò infatti quanto avvenne durante la sua campagna elettorale al termine della quale fu eletto al Parlamento, in occasione di un incontro con i frequentatori di un circolo operaio genovese, ai quali, anche in quell’occasione, si rivolse ripetutamente con l’amato “loro”.

L’effetto, percepito anche da chi lo accompagnava sedendo nel pubblico e lo riferì al Professore (segnalando con sano buon senso che forse in quella come in altre sedi era meglio esser meno risorgimentali nell’eloquio), fu disorientante.

Due uditori infatti, pur apprezzando e condividendo il contenuto del discorso “programmatico” del candidato Professore, iniziarono a chiedersi “chi fossero” questi “loro”; per sentirsi poi chiarire da un vicino che i “loro” erano “noialtri”, vale a dire proprio i presenti.

Al Professor Marongiu si deve – oltre alle pubblicazioni sulle quali sorvolo, trattandosi di un Maestro e bastando una ricerca in Internet – anche l’introduzione nel nostro ordinamento tributario dello Statuto dei diritti del Contribuente di cui alla L. n.  212 del 2000, al quale dedicò sempre attenzione specialmente nelle interpretazioni adottatene dalla giurisprudenza.

Qualche tempo fa, in una conversazione telefonica propedeutica a un convegno, mi accennò del suo intento di proporre al Legislatore modifiche e integrazioni allo stesso, anche alla luce della Giurisprudenza costituzionale e unionale; alla non tenera età sua, il Professore ha mantenuto sempre l’interesse, vivo e acuto, per il diritto dei tributi, nelle sue multiformi espressioni anche quelle più complesse e problematiche; di diritto tributario ha sempre scritto e argomentato ad alto livello, con passione e senza amor di pura polemica.

Ricordo, durante una riunione della Rivista “Diritto e Pratica tributaria”, quando gli chiesi una indicazione di metodo riguardante un articolo che stavo scrivendo in tema di autotutela: era appena stato pubblicato il d. M. n. 37 del 1997, che forniva importanti prescrizioni regolamentari in ordine al procedimento amministrativo in materia. Il Professore, che del d. M. aveva copia sulla scrivania, me ne consegnò il testo con alcune sue sottolineature, rammentandomi di tenerne conto particolarmente nella redazione dell’articolo, per le ragioni che mi suggerì e che feci subito mie.

Non l’ho dimenticato.

Ho ritrovato di recente il Professore nei ricorsi per cassazione che in alcune occasioni ho esaminato e deciso quale consigliere della Corte Suprema; ne ho nuovamente apprezzato - e a fronte di altri atti, non di rado rimpianto - il tono e i contenuti che ricordavo nelle sue lezioni, da studente: anche da difensore si è sempre dimostrato straordinariamente colto (e non solo in materia tributaria), sempre pacato e chiaro nell’argomentare e sempre altrettanto agevole da comprendere.

Gianni Marongiu ha concluso la sua corsa; ha certamente combattuto la buona battaglia: i suoi studenti hanno avuto un grande Professore e gli sono grati, i suoi clienti un difensore e un gentiluomo di eccezionale livello professionale e dovrebbero ricordarlo con eguale sentimento di gratitudine.

Per quanto ho potuto conoscerlo, penso non abbia mai perso la speranza di un sistema tributario, se non perfetto (il suo pragmatismo intelligente glielo avrebbe impedito), quantomeno perfettibile.

Grazie, Professore.

 

 

 

 

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